Giuseppe Zuccarino

la luce ustoria

Una delle caratteristiche dell’opera di Marco Ercolani consiste nella sua capacità di turbare la configurazione dei generi letterari. La cosa non stupirebbe se egli si richiamasse alla linea delle avanguardie, vecchie o nuove, ma è facile constatare che non è così, che la sua scrittura, pur non essendo né aulica né inamidata, resta sostanzialmente classica. E tuttavia Ercolani ha pubblicato romanzi, racconti e saggi che non sono mai esattamente tali, che a un esame ravvicinato si rivelano qualcosa di più composito o spiazzante.

Ciò vale anche per un libro come Sentinella, che solo in prima approssimazione potrebbe essere definito una raccolta di aforismi1. Certo, se riteniamo che l’aforisma sia caratterizzato in primo luogo dalla brevità, possiamo dire che il volumetto rispetta appieno la regola, poiché l’autore sembra proporsi di condensare le frasi, anzi la frase (visto che perlopiù i testi ne comprendono una sola), nel minor numero possibile di parole. Tuttavia proprio quest’estrema condensazione finisce col condurlo vicino a un’espressione di tipo poetico, che ricorda ad esempio i versi aforistici di Char o le sentenze liriche di Jabès, ma senza affatto imitarli direttamente. Del resto, nessuno scrittore autentico è davvero imitabile: come nota Ercolani, «gli stili sono strumenti accordati da interpreti diversi»2.

Per cominciare ad entrare nel libro, conviene interrogarne lo strano titolo. L’immagine della sentinella compare a più riprese nel volume, persino nei luoghi più esposti e strategici, ossia l’inizio e la fine. Nell’aforisma di apertura (che è poi, come accade non di rado, anche un micro-racconto) si legge infatti: «Disegno sul muro, con temperini spuntati, città inutili e favolose, composte di nuvole o di foglie. Di quelle città, dove sono sveglio e dove dormo, sono io la sentinella», mentre l’aforisma conclusivo si limita a ribadire: «Sono io la sentinella»3. L’uso della prima persona evidenzia come Ercolani si identifichi in quella particolare figura, ma ci mostreremmo ingenui se credessimo di sapere in anticipo cosa essa rappresenti per lui. La sua sentinella, infatti, è sì ligia a un dovere, obbedisce ad un ordine interiore, ma ignora ogni disciplina di tipo militare. Accadeva la stessa cosa anche in un precedente libro, Il mese dopo l’ultimo4, dove era in causa il personaggio di un soldato che solo ignorando gli ordini ricevuti e abbandonando il posto assegnatogli riusciva a trovare la propria vera strada. Analogamente, qui possiamo leggere: «La sentinella ha il dovere non di proteggere dal fuoco ma di esporre alle fiamme», oppure «la sentinella aprirà le porte della casa che custodisce, se sarà necessario, e sarà sostituito dal ladro»5. Dunque il suo ruolo non è affatto quello di garantire il mantenimento dell’ordine, ma all’opposto di destabilizzare sé e gli altri: «La sentinella è in bilico, sulla soglia, come all’inizio di una catastrofe che prevede due destini opposti: essere placata dalla logica del delirio o diventare irrequieta materia di forme»6.

Una volta che si sia compresa la funzione della figura eponima, non sorprenderà più il fatto che il volumetto di Ercolani rinunci a perseguire il sogno della «grande opera», quella che un tempo certi scrittori aspiravano a realizzare: «Oggi il Libro è svuotato, graffiato, smascherato anche delle ultime parole, che restano rapidi arpeggi sulle macerie»7. È sentinella chi sa che il tempo dell’opera suprema, dell’imponente e sontuoso edificio di parole, è trascorso, ma non per questo porta il lutto di tale perdita. Ercolani cita una frase di Kafka, secondo cui è «come se in una casa che sta per essere distrutta dalle fiamme ci si ponesse per la prima volta il problema della sua architettura»8. Solo quando lo scrittore capisce che non può più illudersi di costruire l’opera-mondo, il libro destinato ad inglobare tutto, gli diviene possibile dedicarsi a un compito meno ambizioso: riutilizzare le macerie e i tizzoni del palazzo incendiato per costruire un nuovo edificio, minuscolo ed essenziale. In tal senso, gli aforismi di Sentinella sono definibili come frammenti, essendo ciò che resta dopo il crollo storico della «grande opera».

Non è un caso che Ercolani parli anche delle «rovine dell’io»9. Occorre, però, capire bene cosa intende. Negli ultimi due secoli, sono stati molti i filosofi, gli psicoanalisti e i letterati a mettere in dubbio il carattere unitario della personalità individuale. Ercolani concorda senz’altro con l’opinione di Valéry, secondo cui «essere umani vuol dire sentire vagamente che c’è in ognuno qualcosa di tutti e in tutti qualcosa di ognuno. […] C’è di che passare dall’uno all’altro; e forse l’essenza stessa del vero Io è questa potenza di trasformazione»10. Dunque la perdita dell’io chiuso su di sé equivale, a ben vedere, a un’apertura di possibilità, in quanto dischiude la prospettiva di un io plurale. Non a caso Ercolani ama parlare con la voce di altri, praticando spesso il genere dell’apocrifo, con un’inventiva e una potenza che è lecito definire poetiche, se prestiamo attenzione a quel che asserisce Baudelaire: «Il poeta gode dell’incomparabile privilegio di poter essere, a piacere, se stesso e altri. Come le anime erranti che cercano un corpo, entra, quando vuole, nel personaggio di ognuno»11. Tutto ciò ci viene ricordato, sia pure fuggevolmente, in Sentinella, dove leggiamo: «L’ossessione è mantenere la propria voce nel frastuono che la cancella, trasformandola in un’altra voce»; «restare suscettibili di trasformazione: questo è il segreto»; «scrivere per la gioia delle proprie maschere»; «eco di io multipli, l’io»; «è l’opera stessa a inventare l’io nel quale vuole esprimersi»12.

Il privilegio concesso alla pluralità vale anche per i temi affrontati nel libro: incontriamo infatti minuscole schegge narrative, riflessioni sulla condizione dello scrittore, metafore poetiche che spesso celano al proprio interno implicazioni teoriche. A quest’ultima categoria appartengono (per limitarci a un solo esempio, fra i tanti possibili) le immagini, assai frequenti, relative alla luce. È vero che Ercolani stabilisce spesso un rapporto di interazione fra essa e il suo apparente opposto, vale a dire il buio: «Il punto più in ombra corrisponde al centro della luce più intensa»; «per chi esige una certa luce, l’ombra non sarà mai sufficiente»13. Tuttavia ci imbattiamo qui in una particolare, e talvolta crudele, insistenza della luce. Scriveva Kafka nei suoi diari: «L’arte è un essere abbagliati dalla verità. Di vero non c’è altro che la luce proiettata sul viso, che arretra in una smorfia di sbigottimento»14. Pur senza riprendere, come lo scrittore praghese, la tradizionale associazione tra la luce e la verità, Ercolani trova accenti molto simili ai suoi: «L’arte è uno stato di esposizione alla luce, un acuto scorticarsi, un perenne stordimento a cui dare voce con parole frantumate ed esatte»15.

In Sentinella, la luce appare al tempo stesso aggressiva e salvifica: «Le luci. Minacciose, inesatte, violente. Poi precise, ma solo per individuare il precipizio»; «mi salva dalla morte una parola a cui non hanno tolto la luce. Apro gli occhi: scintilla come una lama»16. Ciò che l’intensità luminosa preannuncia è anche l’incendio: «Centinaia di vecchie finestre, nel bosco, una casa circondata da alberi tutti coperti di carta d’alluminio. Un bagliore di specchi. Era la casa del costruttore visionario Clarence Schmidt, misteriosamente bruciata nel 1968»17. Sono cose che possono accadere, ma vanno accettate, perché «sognare il fuoco significa disamorarsi di ogni architettura eterna»18. L’incendio, infatti, non va visto solo come negativo: è in causa un «fuoco che arde e insorge, senza incenerire», e occorre saper sostare «nel chiarore dell’incubo, vicini alla stessa fiamma»19. È questo il compito della sentinella, di colui che, come già sappiamo, «ha il dovere non di proteggere dal fuoco ma di esporre alle fiamme»20.

Non dissimile è il ruolo dello scrittore, che ugualmente deve tenersi in prossimità di questa luce ustoria, praticando «una scrittura errabonda, vigile ma dormiente, disattenta ma lucidissima» e continuando senza mai desistere a «rileggere sogni già sognati. Comporre libri con vana ostinazione»21. Certe volte si accorgerà di essersi eccessivamente accostato alla fonte di calore: «Questa fiamma brucia troppo forte qui, accanto alla mano, e non posso avvicinare le dita al foglio»; altre volte saranno i vocaboli stessi a rischiare di sparire senza lasciare traccia: «Se la luce che arriva sul foglio fosse tanto forte da cancellare le parole…»22. Ma anche quando si trova costretto a confrontarsi con una pagina che sembra volergli opporre il proprio rovente candore, lo scrittore sa che tale situazione non durerà a lungo, perché «il foglio bianco nasconde parole non nate»23, e spetta proprio a lui farle emergere.

note

1 M. Ercolani, Sentinella, Bazzano, Carta Bianca, 2011.

2 Ibid., p. 13.

3 Ibid., pp. 6 e 74.

4 M. Ercolani, Il mese dopo l’ultimo. Frammenti di un romanzo incompiuto, Genova, Graphos, 1999.

5 Sentinella, cit., pp. 8 e 9.

6 Ibid., p. 17.

7 Ibid., p. 13.

8 Franz Kafka, Frammenti da quaderni e fogli sparsi, in Confessioni e diari, tr. it. Milano, Mondadori, 1972, p. 831.

9 Sentinella, cit., p. 10.

10 Paul Valéry, Mauvaises pensées et autres, in Œuvres, II, Paris, Gallimard, 1960; 1993, p. 862 (tr. it. Cattivi pensieri, Milano, Adelphi, 2006, p. 126).

11 Charles Baudelaire, Les Foules, in Le Spleen de Paris, in Œuvres complètes, I, Paris, Gallimard, 1975, p. 291 (tr. it. Le folle, in Lo spleen de Parigi, Milano, SE, 1988, p. 29).

12 Sentinella, cit., pp. 8, 46, 47, 48, 57.

13 Ibid., pp. 57 e 59.

14 F. Kafka, Gli otto quaderni in ottavo, in Confessioni e diari, cit., p. 726.

15 Sentinella, cit., p. 10.

16 Ibid., pp. 9 e 74.

17 Ibid., p. 11. L’americano Clarence Schmidt (1897-1978) è un personaggio realmente esistito, un esponente dell’outsider art, costruttore di edifici realizzati con materiali di recupero.

18 Ibid., p. 45.

19 Ibid., pp. 13 e 27.

20 Ibid., p. 8.

21 Ibid., pp. 20 e 45.

22 Ibid., pp. 22 e 6.

23 Ibid., p. 45.



1 M. Ercolani, Sentinella, Bazzano, Carta Bianca, 2011.

2 Ibid., p. 13.

3 Ibid., pp. 6 e 74.

4 M. Ercolani, Il mese dopo l’ultimo. Frammenti di un romanzo incompiuto, Genova, Graphos, 1999.

5 Sentinella, cit., pp. 8 e 9.

6 Ibid., p. 17.

7 Ibid., p. 13.

8 Franz Kafka, Frammenti da quaderni e fogli sparsi, in Confessioni e diari, tr. it. Milano, Mondadori, 1972, p. 831.

9 Sentinella, cit., p. 10.

10 Paul Valéry, Mauvaises pensées et autres, in Œuvres, II, Paris, Gallimard, 1960; 1993, p. 862 (tr. it. Cattivi pensieri, Milano, Adelphi, 2006, p. 126).

11 Charles Baudelaire, Les Foules, in Le Spleen de Paris, in Œuvres complètes, I, Paris, Gallimard, 1975, p. 291 (tr. it. Le folle, in Lo spleen de Parigi, Milano, SE, 1988, p. 29).

12 Sentinella, cit., pp. 8, 46, 47, 48, 57.

13 Ibid., pp. 57 e 59.

14 F. Kafka, Gli otto quaderni in ottavo, in Confessioni e diari, cit., p. 726.

15 Sentinella, cit., p. 10.

16 Ibid., pp. 9 e 74.

17 Ibid., p. 11. L’americano Clarence Schmidt (1897-1978) è un personaggio realmente esistito, un esponente dell’outsider art, costruttore di edifici realizzati con materiali di recupero.

18 Ibid., p. 45.

19 Ibid., pp. 13 e 27.

20 Ibid., p. 8.

21 Ibid., pp. 20 e 45.

22 Ibid., pp. 22 e 6.

23 Ibid., p. 45.