Jean Montalbano

Daumal patafisico

René Daumal: Écrits Pataphysiques, Au Signe de la Licorne, 2016

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A René Daumal va riconosciuto il merito di aver mantenuto vivo, con pochi altri, il ricordo della patafisica di Jarry, molto prima che, da Boris Vian in poi, essa diventasse tema da Simposi e affare di Collegi. Questa raccolta (Écrits Pataphysiques, Au Signe de la Licorne, 2016, edizioni già responsabili anni fa degli scritti cinematografici) spiegano i curatori, adottando un'ottica meno restrittiva di quella in lingua inglese del 2012, riporta anche testi sparsi di ardua consultazione d'argomento non strettamente patafisico a partire dallo “scolastico” Bubu magazine, al tempo del forte sodalizio con Roger Gilbert-Lecomte, pienamente dispiegato nel “Grand Jeu” (e scavando tra le fonti Pascal Sigoda, in uno dei contributi critici inclusi nel libro, suggerisce di annoverare, oltre a Kipling, il meno noto e meno scontato Maurice Dekobra). Ciò detto, non è di pochi l'impressione che, per la patafisica come per la vicinanza al surrealismo di stretta osservanza (!), anche se su tempi più lunghi, siamo di fronte ad un ricorso strumentale, ad un attrezzatura “concettuale” utilizzata da Daumal per dire tutto quanto, guardando soprattutto ad oriente, gli stava a cuore. Il testo esemplare La Pataphysique et la Révélation du Rire, apparve nel 1929 su “Bifur”, la rivista di Ribemont-Dessaignes: l'autore vi sosteneva come il bisogno di patafisica nascesse dallo scandalo dell'esistenza definita e fissata, persistente (pena la dissoluzione nel tutto) nell'ossequio alla legge particolare. La forma (la pelle stessa del corpo) ci salva da quell'identità di contrari che il riso rivela. Il particolare è assurdo, che è come dire evidente, ma fa scattare una rivolta che è “una corsa disperata su una pista senza fine, uno slancio che nega la meta”. Ora, un patafisico di stretta osservanza, non potrebbe non prendere con le molle simili considerazioni: il tono stesso, tutt'altro che impassibile come ad un patafisico si converrebbe, anzi a momenti “apocalittico”, per non dire del contenuto teorico (e del tentativo stesso di fare della patafisica una teoria o anche una tecnica) provocarono le critiche dell'immaginato portavoce Julien Torma secondo cui la patafisica daumaliana ricopriva una mistica, anzi l'autore dello scritto era versato sottilmente per la mistica in maniera irreligiosa e prendendosi diabolicamente sul serio. Una volta convenuto che l'esistenza è un'equazione irrazionale irrisolta, il patafisico dovrebbe passare ad altro, magari frequentare assiduamente zinc e bistrot nel tempo lasciato libero da un oscuro lavoro alle Halles. Invece, apparecchiando una metafisica dietro la patafisica, Daumal ne avrebbe fatto “la facciata di una credenza”. Ciononostante, il Collegio di Patafisica nel secondo dopoguerra dedicò molte cure alla pubblicazione di inediti di Daumal conservati dalla moglie Vera. Per parte sua l'autore de La Grande Bevuta tenne pure per qualche tempo la rubrica “La Pataphysique du Mois”, sulla NRF (fino al 1939) in cui esperimenti e modelli dei fisici contemporanei erano vagliati e inquadrati dall'occhio del dr. Faustroll in un generale sentimento catastrofico di cui fece immeritatamente le spese lo stesso Enrico Fermi nel momento in cui gli era attribuita, nella gara a bombardare particelle e ad omaggiare la tavola mendeleviana, l'intenzione di chiamare mussolinium un nuovo elemento. Ancora nel 1941, a sottolineare quel bisogno stravolto di concettualizzare assenze, sulla rivista “Fontaine” apparve una Pataphysique des fantômes. Ma erano mesi in cui, evitate le secche ben note della “letteratura” (cui gli amici del “Grand Jeu” sprezzantemente videro destinato Breton) la storia proponeva a un Daumal braccato cataclismi ben diversi da quelli auguratisi per sé a vent'anni: il pathos della poesia bianca ed i suoi appelli alla guerra santa poterono allora essere scambiati, dagli ex colleghi engagés, come un rilancio disperato per smarcarsi dall'evasione spiritualista.

(A margine ricordiamo che la rivista “Lirica” dell'editore genovese Emiliano degli Orfini accolse, rara avis, poesie di Daumal nei primi due numeri del 1934)