Sfogliando fra i fascicoli di "Rinascita" conservati nella nostra biblioteca, ci siamo imbattuti nella seguente breve recensione all'edizione italiana del libro dei fratelli Cohn-Bendit, apparsa sul numero del 30 maggio del 1969. Al di là di alcune farragini discorsive -e a una quasi segreta gioia dell'autore nel trovare accomunata a vecchie dissidenze del comunismo l'omologa organizzazione francese del partito che pubblicava il giornale (ricordiamo che "Rinascita", settimanale fondato da Palmiro Togliatti, era uno degli organi ufficiali del Partito comunista italiano)- il meno che si possa dire del testo è che, tutto sommato, è onesto. La vera sopresa, nello spulciare questi vecchi fascicoli, è stata quella di constatare l'altissima qualità del pubblicato -considerandone la larga diffusione e il fatto che si trattava di fogli controllati da un partito, che dunque davano ampio spazio anche ai resoconti di congressi, riunioni, appelli e via di seguito. Ovviamente c'erano vistose reticenze, in specie nei confronti della storia (ancorché meno rozze che in passato) e la forte ideologizzazione conferiva una grigiastra colorazione anche alle migliori intenzioni, ma resta il fatto che, quanto a livello, niente di simile ci è dato da vedere oggi. Oltretutto sarebbe interessante fare una comparazione di questo giornale con altri giornali di partito dello stesso periodo. A questo proposito ci viene in mente quanta energia si è spesa in questi anni, nello specifico assai comodi, per denunciare "l'egemonia comunista sulla cultura" del dopoguerra. Battaglia sacrosanta, soprattutto se fatta al momento debito, ma anche fonte di equivoci e malafede. In fin dei conti, nel nostro lungo dopoguerra, non erano i comunisti a controllare le maglie della censura (benchè moralisti inflessibili a casa propria e opportunisti calabrache, fino alla complicità, sulla strada dell' "incontro coi cattolici", ai quali erano d'altronde ideologicamente affini a dispetto delle scomuniche papali) e non erano i comunisti a trasmettere per televisione soporiferi concerti il giorno del "venerdì santo" (quando "si consigliava" la chiusura dei locali ai gestori di cinema e teatri). Entrando nel dettaglio si potrebbe diventare interminabili. Tutto questo ci ricorda che "il trinariciuto" non è soltanto il militante comunista, come voleva il buon vecchio Guareschi (per altro messo in prigione dai democristiani, non dai comunisti). Se il proletario bolscevico necessitava di una narice in più per raffreddare i bollori del cervello, oggi constatiamo che c'è chi per lo stesso risultato è costretto a tenere perennemente aperta la bocca nel sorriso ottimista che segue la fatigante deiezione.

 

Cohn-Bendit, internationale situationniste, socialisme ou barbarie, rinascita

Gabriel e Daniel Cohn-Bendit, L'estremismo rimedio alla malattia senile del comunismo Torino, Einaudi, 1969, Pagg.347, L.1.200

Un contributo sul maggio è sempre interessante ma quasi sempre viziato da una visione puramente descrittiva o (spesso insieme) da una forte tendenza alla generalizzazione. Nel libro ci sono entrambi i difetti come ci sono anche spunti utili per intendere le basi su cui si sono mossi i militanti del 22 Marzo (ma non solo loro). La critica al PCF e alla CGT non si rivolge, infatti, e si limita alla condotta di queste organizzazioni durante il maggio, ma si estende ad ogni tipo di organizzazione politica rivoluzionaria e, in sostanza, alla concezione leniniana, madre di tutti i moderni vizi burocratici. Non si salvano, perciò, neanche i trotskisti e i bordighiani e i filocinesi, incapaci, dice Cohn-Bendit, di staccarsi dal modello bolscevico, che tutti accomuna e che tutti tiene distanti dalle masse in lotta. Il modello ("organizzativo") bolscevico non è degenerato, pertanto, con Stalin ma è nato già burocratico con il Che fare? Di Lenin e con lo stesso Trotschij, fautore della militarizzazione del lavoro e della repressione contro i ribelli di kronstadt. Queste tesi, in realtà, non sono di Cohn-Bendit: prima e meglio di lui hanno fatto capo ai gruppi (Debord, Lefort, Mathé) di "Internationale situationniste" -molto bello è il libro di Debord- e di "Socialisme ou barbarie", ai quali direttamente si richiama. Ma questo stesso soggettivismo -osservano alla fine del volume alcuni studenti torinesi in un loro documento- si trasforma nel suo opposto: l'oggettivismo metafisico della spontaneità rivoluzionaria delle masse.

(Riccardo Fiorito)

"Rinascita", 30 maggio 1969, alla rubrica "schede"