Circolo GL Cristoforo Astengo, Savona

lettere aperte

 

Lettera aperta agli azionisti. La società siamo noi

Il panorama azionista e giellista attuale è, come ben sapete, ristretto ma operativo. Giustizia e Libertà come movimento politico, nato sotto l’impulso di Carlo Rosselli, è confluito nel 1942, con il Movimento Liberalsocialista di Guido Calogero e Aldo Capitini, nel Partito d'Azione. Lo stesso P.d’A ha avuto vita breve e si è sciolto nel 1947, per le tensioni tra chi aveva più a cuore la giustizia sociale e chi la libertà individuale. Da allora si è verificata una vera e propria diaspora che ha interessato inizialmente i partiti laici di sinistra: PSI, PSLI-PSDI e PRI. In maniera minore e meno indicativa le altre formazioni dell’arco costituzionale. Poi con il movimento di Unità Popolare, nato nel 1953 in reazione alla legge truffa, e il primo Partito Radicale, sorto nel 1955 intorno al giornale “Il Mondo”, si sono presentate le due uniche realtà politiche strettamente legate al percorso azionista. La prima più socialista e la seconda più liberale, in perenne equilibrio tra i valori di Giustizia e Libertà. Successivamente i fiumi carsici dell’azionismo si sono interrati, continuando a scavare senza emergere autonomamente ma popolando la sinistra e animandone il dibattito. Occorre ricordare però la figliazione da parte di GL di molte associazioni e movimenti lontani da una prospettiva partitica e talora estranei all’iter parlamentarista: il Movimento Comunità di Adriano Olivetti, il Movimento Federalista Europeo di Altiero Spinelli, il Movimento Gaetano Salvemini di Ernesto Rossi e il Movimento Nonviolento di Aldo Capitini. Questo percorso duplice, da un lato nella forma partito e nelle aule parlamentari, dall’altra in maniera movimentista e associazionista è il risultato di una storia nata con un movimento, Giustizia e Libertà, e proseguita in un partito, il P.d’A. Un movimento fondato peraltro primariamente in funzione antifascista, ma secondariamente in reazione al socialismo parlamentare rinunciatario e privo di coraggio. Un partito infine avversato dal PLI, schiacciato tra i due colossi PCI e DC rappresentanti dei rispettivi blocchi, e non coadiuvato da partiti laici di sinistra socialisti e repubblicani. Ad oggi le realtà che si rifanno direttamente a quella storia a livello nazionale sono quattro, due partiti e due associazioni: il Partito d'Azione Liberalsocialista, il Nuovo Partito d'Azione, da cui recentemente si è staccata la costituente Sinistra d’Azione, Libertà e Giustizia e Federgielle, Federazione dei circoli di Giustizia e Libertà, alla quale aderisce Il Movimento d'azione Giustizia e Libertà di Torino. I due partiti ripropongono l’esperienza del Partito d’Azione, chi in maniera più ortodossa chi più aggiornata, con minore o maggiore successo elettoralistico e aperti o meno ad alleanze programmatiche con le altre formazioni di sinistra. Le associazioni Libertà e Giustizia e la Federazione di Giustizia e Libertà invece non hanno scopi partitici ed elettoralistici e si propongono di incidere culturalmente nel dibattito politico per un mutamento ideale e fattivo della società. Nel complesso pare che ci si trovi al cospetto di una storia nata con la formulazione di una teoria, il socialismo liberale di Carlo Rosselli, e finita ad avere come obiettivo programmatico il semplice rispetto della legalità democratica. Questo tragitto riduzionista può avere come causa l’imbarbarimento dei tempi, ma senza dubbio cova anche una mancanza di slancio ideale, presente nei prodromi di GL da Piero Gobetti, Giovanni Amendola e Giacomo Matteotti in avanti. Non crediamo che si possa ridurre un’area politica e culturale così ricca e generosa all’ora di educazione civica. Prefissarsi come principale e talvolta unico obiettivo il rispetto senza se e senza ma delle norme, è un progetto criticabile oltre che minimalista. Sappiamo benissimo quanto l’orizzonte grigio della legge abbia offuscato in passato e ottenebri nel presente la natura umana e come la meccanicità formalista del codice abbia ieri come oggi avversato le ragioni della persona. Il ruolo di punta di diamante del fronte legalitario è quindi un compito discutibile oltre che limitato: lo stesso giellista Umberto Calosso, durante la Costituente, ha criticato a più riprese la deriva burocratica delle discussioni allora in atto. Ci sembra quindi non debba dominare nella nostra area in maniera così schiacciante la direttrice culturale, pur apprezzabilissima e importantissima, che da Piero Calamandrei arriva a Gustavo Zagrebelsky, passando da Norberto Bobbio, ovvero la linea politico-giuridica. Occorre tornare ad uno slancio ideale e contemporaneamente alla centralità del fattore umano. Parafrasando la frase cara a Calamandrei “lo Stato siamo noi” si potrebbe arrivare a sostenere “la società siamo noi”. Tra il codice civile e il bastone esiste una terza via: una via libertaria e umanista, da intraprendere attraverso l’associazionismo e i rapporti interpersonali. Una via sviluppabile grazie alla democrazia diretta, alle pratiche autogestionarie e alla partecipazione assembleare. Una via accostabile alla politica rappresentativa, che, a seconda delle occasioni, può essere spronata e coadiuvata o contestata e contrastata da una società civile attiva e mobilitata. E tutto questo non si può che affrontare riconcedendo centralità al socialismo liberale di Carlo Rosselli, al suo pensiero eterodosso e originale in continuo confronto, nel corso degli anni ’30, con il socialismo libertario di Andrea Caffi e l’anarchismo di Camillo Berneri.

 

Lettera aperta agli anarchici. Tra il voto e il fucile

Ricoprendo una posizione di vicinanza culturale al mondo anarchico, abbiamo uno sguardo privilegiato ma esterno sul suo percorso. Nonostante questo non riusciamo ad afferrare uno dei punti più discussi del dibattito attuale. Perché invitare continuamente i compagni anarchici ad abbandonare l'astensionismo, quando l'astensionismo è parte integrante del pensiero e della prassi anarchica, in quanto rifiuto del concetto di delega e di autorità? Da una parte gli esponenti della sinistra radicale e alcuni militanti comunisti-anarchici vi invitano a smetterla di non votare e a mettere una “X” sul candidato di turno di Rifondazione Comunista. Dall’altra gli anarcocapitalisti e gli “anarchici analitici” vi spingono a recarvi alle urne e votare Radicale. Il pensiero anarchico viene tirato per la giacchetta a destra e a manca. E' evidente che nel mondo libertario ci siano affinità da un lato con quello comunista e dall'altro con quello liberale: ma perdere l'equilibrio tra giustizia sociale e libertà individuale porta storicamente gli anarchici in altri lidi. Le porzioni del movimento anarchico che puntano in una delle due direzioni non possono che finire con abbandonare l'anarchia, per qualcosa di simile al comunismo o al liberismo: ad esempio i “Gruppi Anarchici di Azione Proletaria” (1951) poi sfociati nel leninismo di Lotta Comunista e il magma anarcoliberale emerso di recente intorno all’Istituto Bruno Leoni. Ma anche qualora non si “tradisca” l’idea anarchica e non si approdi ad un altro campo ideologico è innegabile la dinamica interna al movimento, come in quello giellista/azionista, tra chi pone in primo piano la libertà individuale e chi antepone invece la giustizia sociale. In quest’ottica si comprendono le principali scissioni della FAI da una parte in direzione meno organizzativa, gli individualisti e i “Gruppi di iniziativa anarchica” (1965); dall’altra in direzione più organizzativa i piattaformisti e “L'Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica” (1974), poi confluita nella Federazione dei Comunisti Anarchici ma anche nel contraddittorio esperimento del Partito Anarchico Italiano. La contrapposizione tra collettivisti e individualisti, organizzativi e antiorganizzativi, astensionisti e possibilisti si continua a ripetere, aggiornandosi, da decenni. Rimane poi la questione dell’impiego della violenza, un mezzo talora giustificato solo in senso difensivo e in altri casi anche in funzione offensiva. Ma mettendo a parte la pregiudiziale nonviolenta e l’accettabilità della difesa attiva, è la passione per l’azione cruenta, a più riprese espressa dal coté anarcoinsurrezionale non solo informale a determinare, a nostro avviso, un fattore controproducente nella storia complessiva dell’anarchismo recente, che, strumentalizzato dai media, serve a nascondere le grandi idealità e le importanti pratiche. Paradossalmente lo stesso ruolo, castrante e dannoso, lo svolge nella nostra area il legalitarismo senza sé e senza me, di chi alla passione per il valore della Giustizia sostituisce l’innamoramento per il codice civile. E così siamo chiusi in una morsa tra la violazione aprioristica della legge e il suo aprioristico rispetto, tra il ricorso privilegiato alla forza e l’appello esclusivo alla legalità. Il fronte antilegalitario e la fazione ultralegalitaria sono forse due facce della stessa medaglia nella quale l’amore per la spranga è il rovescio dell’ossessione per il comma. Si parla quindi del momento di crisi dell'anarchismo classico, della sua condizione di pugile all'angolo, non così diversa dalla nostra. L’unico sprone che possiamo darvi è quello di trovare nuovi modi di intervenire nel reale senza snaturamenti di sorta, ripartendo dal basso, dalla società, non dalle elezioni. Tra il voto è il fucile c’è una terza via fatta di municipalismo libertario, assemblearismo, democrazia diretta. Invitarvi perciò a concorrere alla perpetuazione dello Stato, inseguendo il male minore è una causa inutile oltre che irritante. Il problema per noi non è far votare gli anarchici ma fare in modo che i votanti si interessino della comunità in cui vivono anche il giorno dopo le elezioni. Occorre intessere reti virtuose per rivitalizzare la società e renderla sempre più autonoma dalla macchina burocratica grazie a pratiche autogestionarie.  L’auspicio è la creazione di una “società nella società” in cui lo Stato sia sempre meno utile e meno dannoso. Un progetto al quale anarchici e giellisti potrebbero collaborare con cittadini e movimenti, senza pregiudiziali di sorta su voto e astensionismo. A prescindere dall’obiettivo di eliminare lo Stato o indebolirlo gradualmente per renderlo minimo, questa collaborazione dovrebbe avvenire nella prospettiva di un aumento di solidarietà, di giustizia e di uguaglianza nella società. In modo quindi totalmente differente dal progetto, molto liberista e poco libertario, di predominio esclusivo del mercato proposto dagli anarcocapitalisti. D’altra parte la fiducia cieca nello Stato e nella forma centralista, autoritaria e gerarchica, sia nell’eurocomunismo sia nella socialdemocrazia occidentale, rimane uno scarto invalicabile tra l’anarchismo e la sinistra istituzionale. Difficilmente sanabile, nonostante la retorica di una fase intermedia sempre senza fine nella sinistra democratica come nel socialismo reale. Nessuno di noi vi chiede quindi di rinunciare al vostro progetto rivoluzionario antistatale. Ma in attesa della rivoluzione potreste prendere in esame la nostra proposta gradualista.

 

Lettera aperta ai radicalsocialisti. La pregiudiziale antiautoritaria

Il mondo radicale, dal così glorioso passato, ha toccato il fondo. Il partito di Marco Pannella è ormai la parodia della vecchia formazione. Il radicalismo di fine ‘800 e inizio ‘900 rivitalizzato nel 1955 da Ernesto Rossi è solo un pallido ricordo. Nel primo periodo, dal 1955 al 1963, la salda cultura liberalsocialista di Ernesto Rossi, Leo Valiani e Guido Calogero aveva trovato un buon punto di intesa con la sinistra liberale grazie alla mediazione del cenacolo degli amici del Mondo di Mario Pannunzio. Un partito certamente non socialista ma libertario: pronto a combattere contro la partitocrazia, la deriva autoritaria e gli affarismi economici. Obiettivi critici rimanevano poi i totalitarismi neri e rossi, il potentato assolutista del Vaticano e il mondo militarista. La difesa della libertà individuale non accantonava però il tema della giustizia sociale, tanto caro all’Ernesto Rossi di “Abolire la miseria”. Ne seguì, dopo una breve crisi interna, la prima fase, 1963-1974, guidata da Marco Pannella, militante e non teorico, istrione più che intellettuale. In questo periodo il Partito Radicale, prima e dopo la scomparsa di Rossi, mette in pratica in maniera efficace le coordinate del suo fondatore e le idee di Umberto Calosso e Aldo Capitini. All’attenzione per la laicità e alla lotta anticlericale, si affiancano la battaglia pacifista e pacifica e il tema imprescindibile dei diritti individuali. Il partito si colloca nella sinistra extraparlamentare accanto a Lotta Continua e in stretta relazione con gli anarchici della FAI. Poi a metà anni ’70 si cambia il simbolo, il Berretto frigio lascia il posto alla Rosa nel pugno, e il partito fa il suo ingresso trionfale in parlamento. Da quel momento il partito inizia a mutare: da libertario diviene liberista, da pacifista guerrafondaio. Con grande sopportazione solo in anni recenti la parte assennata del partito lascia Pannella al suo narcisismo egotico. Nascono così i Radicali di Sinistra e da un’ulteriore spaccatura Libertà ed Eguaglianza e il Movimento Radicalsocialista. Tre realtà molto interessanti che riprendono le fila del vecchio Partito Radicale e ne riscoprono le radici liberalsocialiste. L’umanesimo e il federalismo, la libertà individuale e la giustizia sociale tornano ad essere i capisaldi programmatici insieme ad una spiccata propensione alla laicità. Fin dai nomi sembra si voglia rievocare oltre al radicalismo Giustizia e Libertà e il Movimento Liberalsocialista. Tra queste tre formazioni è quella dei radicalsocialisti a svolgere il ruolo più determinante. Il suo compito principale è quello di patrocinare l’unità della sinistra promuovendo però un ideale libertario e liberale del socialismo. La vecchia, e alquanto criticata, idea di Rosselli di un “partitone” della sinistra torna attuale. Ma un forte distinguo Rosselli lo ha sempre evidenziato: l’antiautoritarismo. La vita stessa del leader giellista è stata spesa contro i fanatismi totalitari, che hanno dominato e devastato l’Europa e il mondo intero. Lo statuto e i documenti programmatici del Movimento Radicalsocialista in questo senso parlano chiaro: l’aspirazione è ad una libertà eguale, lontana sia dal despotismo del socialismo reale sia dal centralismo della socialdemocrazia. Ma di fatto l’unità a sinistra, se non la fusione con partiti comunisti, non può verificarsi senza la rinuncia alla pregiudiziale antiautoritaria: nonostante tutti gli esempi nefasti del realismo socialista, sono infatti ancora molti i militanti infatuati da dittatori e modelli claustrofobici. Il centralismo è poi presso i piccoli ma numerosi partiti comunisti italiani una caratteristica predominante, che male si concilia con il federalismo “integrale” proprio della tradizione azionista e ribadito dal Movimento Radicalsocialista. La stessa democrazia diretta, da voi elogiata e auspicata, si pone in stretta relazione all’attuazione federalista, come espressione di un’attività decentrata o autonoma, funzionale a pratiche autogestionarie. A voler andare più a fondo, poi, non si capisce la necessità di unire l’eterodossia marxista, di Rosa Luxemburg o di Karl Korsch, e il pensiero della scuola di Francoforte di Marcuse o di Fromm, con il liberalsocialismo, già di per sé considerato dai detrattori “ircocervo impossibile” di socialismo e liberalismo e dagli estimatori filosofia politica totalmente autosufficiente. Tuttavia, se proprio si vuole spaziare, porre tra i padri nobili Sartre e non Camus, Gramsci e non Berneri è alquanto strano per un movimento libertario. E’ quindi apprezzabilissimo lo sforzo sincretico, la voglia di contaminazione e l’apertura mentale che infrange le barriere e costruisce i ponti. Ma non solo la miscela di giustizia e libertà è già sviluppata appieno nel mondo socialista liberale: secondo molti liberalsocialisti è la matrice marxiana stessa, al netto di qualsiasi figliazione degenerata, ad essere di ostacolo all’anelito di libertà. A prescindere dalla riscoperta del Marx autentico e libertario, emancipato dalle incrostazioni dei suoi seguaci ed esegeti si è sviluppato in GL un dibattito che va dagli antisovietici agli antimarxisti. Storicamente infatti nel mondo giellista si sono mossi antistalinisti come Carlo Rosselli, socialista senza Marx, anticomunisti come Ernesto Rossi, profondamente liberale, acomunisti come Riccardo Lombardi, per il quale Marx è necessario ma non sufficiente, e antibloscevichi come Andrea Caffi, proudhoniano puro. Condividiamo quindi ogni aspetto dell’utopia concreta di un nuovo umanesimo, ma vi chiediamo se in tutto questo non occorra mettere con forza e determinazione la pregiudiziale antiautoritaria e federalista come punto di partenza pratico oltre che teorico.