da Il Corsaro (programma di sala), Teatro Carlo Felice, Genova 2005.

Massimo Bacigalupo

Byronmania

 Byronmania” è un sito web gestito da una signora del British Columbia (Canada). Qui si possono trovare risposte a domande più o meno ghiotte quali: “Byron fu omosessuale?”, “Ebbe una relazione incestuosa con sua sorella?”, e addirittura “Come si pronuncia il suo nome?”. Sembra infatti che in casa tendesse a elidere la prima vocale e chiamare “Lady B’ron” la moglie (che gli diede la figlia Augusta Ada, la quale avrà un ruolo importante nella storia della... cibernetica, tanto da essere considerata la prima programmatrice). Probabilmente l’amante ufficiale degli ultimi anni italiani, la contessina Teresa Gamba Guicciòli, pronunciava (e scriveva) “Biron  all’italiana.

     Le biografie ricordano tutte che The Corsair, poemetto in tre canti in distici a rima baciata, fu uno dei primi bestseller, vendendo 10.000 copie il giorno in cui fu pubblicato, 1° febbraio 1814. Byron aveva allora 26 anni, essendo nato a Londra il 22 gennaio 1788, ed era divenuto celebre due anni prima con la comparsa del poema Childe Harold’s Pilgrimage (1812), in cui raccontava in terza persona il favoloso recente viaggio in Spagna, Albania, Grecia e Turchia. Era un giovane alto 1,73, claudicante per una malformazione al piede, con tendenza alla pinguedine (aveva raggiunto a un certo punto i cento chili), che teneva a bada con l’esercizio (equitazione, boxe, soprattutto nuoto). Ed era un grande rubacuori, ricercato in alcove e salotti mondani, nonostante i principi fieramente liberali e la passione per Napoleone. Eppure alcune delle sue poesie più toccanti le scrisse nel 1812 in memoria di un giovane corista di cui si era innamorato negli anni dell’Università di Cambridge:

 

I will not ask where thou liest low,

    Nor gaze upon the spot;

There flowers or weeds at will may grow,

    So I behold them not:

It is enough for me to prove

That what I loved, and long must love,

    Like common earth can rot;

To me there needs no stone to tell,

Tis Nothing that I loved so well...

(And Thou Art Dead, As Young and Fair)

 

Non chiederò dove tu giaci,

né contemplerò quel luogo;

lì fiori ed erbacce possono crescere liberamente

purché io non le veda;

per me è sufficiente sapere

che quel che amai, e a lungo amerò,

può consumarsi come la terra vile;

a me non serve una pietra che mi dica,

che ciò che tanto amai è Nulla...

 

Questo motivo dell’indifferenza nei confronti della sorte delle spoglie dell’amato defunto è ripreso da Byron nel Corsair, che fu scritto l’anno successivo. Infatti in esso si narra del cupo pirata Conrad che disdegna la vita allegra e fuorilegge della sua banda nell’incantevole isola greca ma è legato da tenerissimo affetto all’amata Medora. Richiamato improvvisamente a difendersi da una spedizione turca attaccando il Pascià nel suo quartiere generale, egli si strappa dal canto di Medora, che ne attende invano il ritorno e a un certo punto, saputa la sua cattura e convinta che egli sia stato giustiziato, muore di  dolore. Conrad lo apprende al suo insperato ritorno, essendo stato salvato dalla concubina del Pascià, Gulnare, e contempla la morta, ma non fa alcuna domanda sull’accaduto:

 

He ask’d no question – all were answered now

By the first glance on that still, marble brow.

It was enough – she died – what reck’d it how

The love of youth, the hope of better years,

The source of softest wishes, tenderest fears,

The only living thing he could not hate,

Was reft at once – and he deserved his fate... (III, 21)

 

Non fece domande – tutto era ormai chiarito

dal primo sguardo sulla fronte immobile e marmorea.

Bastava – era morta – cosa  importava come

l’amore della gioventù, la speranza degli anni migliori,

la fonte dei desideri più dolci, dei timori più teneri,

la sola cosa vivente che non potesse odiare,

si fosse spezzata in una volta – ed egli meritava la sua sorte...

 

Nell’opera che Verdi e Piave ricavarono da The Corsair (e dal balletto di successo Il corsaro di Giovanni Galzerani, 1826), Medora non è ancora spirata al ritorno del fuggiasco Conrad, ed è possibile un ultimo addio degli amanti. D’altra parte sia Galzerani che Piave-Verdi accentuano un’inclinazione già presente nel Corsair, dando ruolo di eroina a Gulnere, la concubina del Pascià che ama e libera il prigioniero Conrad che l’ha salvata dalle fiamme, per quanto questi le dica subito che il suo cuore è già impegnato. Gulnere è un personaggio più dinamico della placida amata domestica Medora, con le sue visite nottetempo al carcerato e la sua ribellione al Pascià, ed infatti le illustrazioni che il Corsair stimolò, fra gli altri di Delacroix (1831), presentano la scena della visita di Gulnere in abito orientale alla torre dove Conrad langue in attesa di terribili suppizi.

            Cattiva letteratura? In effetti c’è molta maniera nel poema di Byron, ma anche motivi che egli sente intensamente: il sogno dell’isola mediterranea, il giogo turco sulla Grecia, l’amore totale (eppure diviso) a un tratto troncato, l’osservazione dell’animo femminile, il fatalismo, e naturalmente il personaggio byroniano di Conrad, che nella lealtà anche nei confronti del nemico (rifugge dall’uccidere il Pascià dormiente, e inorridisce davanti alle mani insanguinate della spietata  Gulnere, che non perdona al Pascià di non averla amata) anticipa l’eroe generoso e silenzioso di tanta letteratura e cinema (pensiamo al western, o anche a Hemingway). L’eroe byroniano è oppresso da un oscuro destino che ha fatto avvizzire i moti teneri del suo animo:

 

His heart was form’d for softness – warp’d to wrong;

Betray’d too early, and beguiled too long;

Each feeling pure – as falls the dropping dew

Within the grot – like that had harden’d too...

There grew one flower beneath its rugged brow,

Though dark the shade – it shelter’d – saved till now.

The thunder came – that bolt hath blasted both,

The Granite’s firmness, and the Lily’s growth... (III, 23)

 

 

Il suo cuore era fatto per la dolcezza – deformato dal torto;

troppo presto tradito, e troppo a lungo ingannato;

ogni sentimento puro, come cade a gocce la rugiada

nella grotta, si era come questa indurita...

Cresceva un solo fiore sotto il suo ciglio frastagliato,

per quanto scura l’ombra – esso lo proteggeva – salvava finora.

Il tuono giunse: la saetta distrusse entrambi,

la fermezza del granito, e la crescita del giglio...

 

E infatti anche Conrad scompare imbarcandosi da solo per chissà dove, e “lasciando ad altri tempi il nome di un Corsaro, / congiunto a una virtù, e a mille delitti”:

 

He left a Corsair’s name to other times,

Link’d with one virtue, and a thousand crimes. (III, 24)

 

     I parallelismi insistiti dei distici a rima baciata del poemetto sono poco adatti ad esprimere dei sentimenti non convenzionali o il nuovo spirito romantico. In questo periodo Byron leggeva e apprezzava più o meno apertamente Wordsworth e soprattutto Coleridge, ma in realtà restava legato alle forme auliche e alle atmosfere gotiche del Settecento. Tutt’altra impressione si ricava dalle sue lettere piene di arguzia e franchezza nel raccontare la vita quotidiana del poeta galante  e i suoi corteggiamenti. A una sconosciuta ammiratrice francese, Henrietta d’Hussières, che gli scrisse all’epoca del successo del Corsair, rispose a tono:

 

A parte i vostri complimenti (scusabili solo perché non mi conoscete), voi scrivete come una donna intelligente, ragion per cui spero che non ne abbiate minimamente l’aspetto – ne ho conosciuta una sola del vostro paese – Madame de Staël – ed è terrificante come un precipizio. – Poiché venirvi a far visita mi sembra poco pratico – non potete fare in modo di venire voi a trovare me? dicendomi in anticipo l’ora perché mi trovi sul vostro percorso – e se questo percorso condurrà al “tuffo nel Serpentine” [laghetto a Kensingtin Gardens] cui accennate – possiamo fare il salto insieme – e sarete in ottima compagnia – poiché io nuoto come un’anatra – (una delle poche cose che faccio bene) e voi dite che il vostro Genitore vi ha insegnato la stessa utile perizia... Se farete la mia conoscenza – vi prometto di non farvi la corte a meno che la cosa non vi vada a genio – e anche in tal caso non avrete motivo di riceverne più di quanto vi farà piacere... (Byron, Vita attraverso le lettere, a cura di Masolino d’Amico, Einaudi 1989)

 

Come resistere a una simile parlantina del tutto priva di presunzione, anche se ben conscia della propria autorevolezza? Byron aveva l’energia dei ventenni e metteva giù i suoi pensieri come venivano, con straordinaria  freschezza. Finalmente scoprirà questa sua vena migliore negli anni italiani, dandosi a poemi non più foschi ma dal lieve tono arguto e satirico, facendone il diario della sua mente incandescente e matura. E sarà il Don Juan, scritto fra Venezia Pisa e Genova. Ma queste nel 1814 erano scoperte di là da venire – la poesia che si avvicina alla lettera privata, al saggio alla Montaigne.

     E tuttavia questo periodo del Corsair decise la sorte di Byron. E’ infatti del 2 gennaio 1815 il suo matrimonio infausto con la “filosofa” Annabella Milbanke, del 10 dicembre dello stesso anno la nascita della figlia Ada la “cibernetica”. Il 15 gennaio 1815 Annabella abbandonò il tetto domestico allegando crimini imprecisati. Byron tentò una riconciliazione e nei biglietti alla sposa sentiamo il tono cupo di Conrad il Corsaro, una disperazione confermata dall’esperienza:

 

“Ancora le ultime parole” – non molte – e tali quali ascolterete – risposte non ne attendo – né importa – ma mi starete a sentire. – Mi sono appena separato da Augusta [la sorella] – quasi l’ultimo essere che mi avete lasciato da cui separarmi – e l’unico legame non infranto della mia esistenza – dovunque possa andare – e vado lontano – voi e io forse non  ci incontreremo più in questo mondo – né nel prossimo – che ciò vi contenti o vi plachi...

 

E in effetti Lord e Lady Byron non si videro più nei dodici anni di vita che restavano al poeta, e che egli come noto visse con la massima intensità e creatività.

    Fra risposte a fan letters, pettegolezzi, storie dei suoi amori veneziani, e momenti di cupo abbandono come questo, Byron ha lasciato una registrazione variegata di una vita che fu un mulinello e che interferì con i grandi eventi pubblici del suo tempo, di cui anche egli fu spettatore e critico di grande acutezza e onestà, per non dire della sua eroica impresa greca. Che come tante imprese eroiche ha i suoi aspetti comici, non ultimo la possibilità che egli sia salpato da Genova nel 1823 per prendersi una vacanza dal ménage con Teresa, ormai troppo domestico e asfittico.

      Nel Corsair, come detto, non manca un accenno all’oppressione della Grecia da parte dei Turchi. Byron si rivolge ad Atene e dice che “l’isola del Corsaro fu una volta tuo domino - / Oh se con la libertà essa potesse essere di nuovo tua!”. E si ricorderà la condanna senza appello che Byron dettò della spoliazione dei marmi del Partenone da parte di Lord Elgin: uno scozzese, insistè, non un inglese!

     Concludiamo con un episodio di “byronmania”, questa volta ligure, e proprio legata al Corsair, che ebbe molti lettori in Italia per via della traduzione di Giuseppe Nicolini (1824) e naturalmente dell’opera verdiana. Nel 1877 fu murata a Portovenere, presso la grotta detta “Arpaia”, una lapide che leggeva in italiano e (zoppicante) inglese:

 

QUESTA GROTTA

INSPIRATRICE DI LORD BYRON

NEL SUBLIME POEMA IL CORSARO

RICORDA L’IMMORTALE POETA

CHE

ARDITO NUOTATORE

DA PORTOVENERE A LERICI

SFIDO’ LE ONDE DEL MAR LIGURE

 

THIS GROTTO

WHICH INSPIRED LORD BYRON

IN THE SUBLIME POEM THE CORSAIR

RECORDS THE IMMORTAL POET

WHO

AS A DARING SWIMMER

FROM PORTOVENERE TO LERICI

DEFIED THE WAVES OF THE LIGURIAN SEA

 

 

Nasceva così (o trovava conferma lapidaria) la leggenda della nuotata di Byron nel golfo di La

Spezia. O forse chi fece mettere la lapide, il Conte Ferdinando Pieri-Nerli che aveva una casa sull’Isola Palmaria, si rifaceva a una tradizione locale forse un po’ ricamata dalla fantasia. Giacché Byron, come s’è visto, era in effetti un nuotatore provetto, e nei pressi aveva bordeggiato e si era tuffato dal suo yacht “Bolivar” (fra l’altro il 15 agosto 1822, quando volle assistere sulla spiaggia di Viareggio alla cremazione dell’amico Shelley).

     Ma il riferimento della lapide di Portovenere al Corsaro è sicuramente un anacronismo, visto che il “sublime poema” fu scritto due anni prima che Byron piombasse in Italia, con tutto ciò che ne nacque. E poi in che senso la Grotta Arpaia avrebbe “ispirato” il Corsair? Probabilmente l’estensore della lapide pensava ai versi del canto I in cui i messaggeri raggiungono il pensoso Conrad:

 

From crag to cliff they mount – Near yonder cave,

What lonely straggler looks along the wave?

In pensive posture leaning on the brand,

Not oft a resting-staff to that red hand?  

 

Da crinale a scogliera essi salgono: presso codesta grotta

quale vagabondo solitario guata l’onda?

In atteggiamento pensoso appoggiato al brando,

che di rado dà sostegno e riposo a quella mano arrossata?

 

Così piaceva agli ammiratori italiani di Byron di fine ’800 immaginare il loro eroe, meditabondo su uno sfondo edenico di una felice isola dei pirati. Forse in Italia tarda tuttora a farsi strada l’immagine più moderna e autentica del Byron testimone appassionato e caustico del suo e nostro tempo.

     In ogni caso l’inverosimiglianza della lapide del Conte Pieri-Nerli fu denunciata fin dal 1899 in un articolo di Ubaldo Mazzini sulla “Rassegna Nazionale”. E quando intorno al 1950 la targa controversa fu restaurata, il riferimento al Corsair scomparve, ma probabilmente non per scrupolo storico bensì per mancanza di spazio. Sicché anche oggi una gita a Portovenere non può dirsi completa senza una sosta presso l’ingresso della Grotta Byron (da lungo tempo franata), dove tuttora si inneggia in due lingue all’indimenticabile poeta nuotatore del Corsair.