Come si era ribellato a John Dewey allorché questi si allineava all'idea di una guerra, la prima mondiale, eticamente giustificata quale strumento diffusivo della democrazia, in questo breve articolo il radicale e pacifista Randolphe Silliman Bourne prendeva le distanze, senza far venir meno l'ammirazione, dalla spietata ironia di quell'originale conservatore che piaceva ai radicali che fu H.L. Mencken, rilevandone i limiti appunto in quel gusto dell'invettiva che ne aveva decretato la fortuna sulle pagne dello "Smart Set". Non solo, lo vedeva addirittura poco attento alla pubblica opinione che investiva quel grande scrittore, Thedore Dreiser, che proprio Mencken aveva aiutato nel corso delle controversie che avevano accompagnato la pubblicazione e ripubblicazione di Sister Carrie. L'articolo apparve su "The New Republic" nel novembre del 1917,  pochi mesi prima che l'autore, minato nel fisico fin dalla nascita, morisse vittima dell'epidemia di "spagnola".

Randolph Silliman Bourne

H.L. Mencken

Il sig. Mencken dà l'impressione di una mente irritata dal filisteismo di una vita americana che non raggiunge la sua piena espressione. Ha lavorato meglio nei Saggi Critici che nei commenti che provocatoriamente ci allunga il suo giornale. Come è possibile che un  robusto e feroce critico del puritanesimo si capovolga nel fanatico crociato? Si è costretti a chiamare Mencken un moralista. Per dimostrare che è un buon scrittore deve attaccare come fatui, ignoranti e maliziosi siano perfino quelli che lo amano. Questo può forse valere come primo impulso, tuttavia Mencken si permette di sprecare le invettive come fossero il suo approdo estetico. Ciò nonostante egli possiede la materia prima del grande moralista che ha a cuore la libertà, la passione per le idee, la bellezza letteraria, la frase piccante, una notevole erudizione. Perché questi pregi finiscono nella parzialità? È lui stesso la vittima paralizzata dal facile consenso contro cui giustamente si infuria? Dispiace che non ci sia rottura fra le sua ispirazione coraggiosa e quella della vecchia scuola. Cosa ottiene la nuova generazione quando i nostri critici ribelli spendono le loro vite a decapitare l’Idra della noiosa vita americana?

Che il moralismo possa infettare il saggio su Conrad è il meno. Mencken si libera facilmente dai nemici puritani e regola giustamente Conrad nel proprio tempo. “Cio che Conrad vede e descrive nei suoi libri”, dice Mencken, “non è solo la vicenda di un uomo o di una donna, ma il dramma centrale di tutti i drammi, l’anima dell’uomo sottoposta all’oscena stupidità degli dei, la travolgente devastazione delle forze universali.” Gli piace Dreiser per la stessa ragione, “mette nei suoi romanzi un tocco dell’eterno Weltschmerz.” “Il piccolo dramma è rivelatore del dramma senza fine”. Mencken discute Dreiser con mirabile equilibrio e il suo saggio è importante perché è più duro e indagatrore di quanti molti fra noi abbiano il coraggio di essere. Il saggio più divertente è forse quello su Huneker (Scrittore, musicista e critico musicale americano, Ndr). Se “essere uomo civile in America, malgrado la guerra, è più facile oggi che nel 1890”, quando Mencken aveva dieci anni, “lo si deve anche alla passionale eccitazione procurata da Huneker.”

Con Dreiser e Huneker, Mencken è come Sansone coi filistei e ha usato tutta la sua artiglieria antipuritana come una forza letteraria. Moralista contro i moralisti, qui Mencken vuol far ribollire il nostro sangue ed è così pesantemente severo e documentato che d’ora in poi l’America dovrebbe pensare a non esser più puritana. Nessuno oserebbe sfidare, come lui fa, il motore dal quale deriva la storia e l’anima del popolo americano. Mencken è serio. La sua invettiva non è quella di una sprezzante esagerazione, ma la sua disperazione appare forzata. Forse che Mencken, attento critico di una lunga serie di opere, non voglia correre rischi? Per quanto ammetta che sia difficile quantificare la proscrizione puritana e la sua irrazionalità, non credo che i giovani scrittori sentano di vivere sotto una cappa di terrore quale lui descrive, e non sarà la presunta forza di questa proscrizione a travolgerci e dominarci finché ci saranno riviste e case editrici che si daranno a un lavoro sincero e coraggioso.

E Zola e Flaubert e Baudelaire in Francia? E l’ultimo romanzo di Lawrence, perseguitato in Inghilterra prima di esserlo da noi? La prsospettiva è falsa, la censura non è un problema della società americana, lo è della prudenza della classe media e della civilizzazione borghese. L’attacco dovrebbe esser guidato da quella trasfigurazione immaginata da Nietzsche, ma la comprensione di Nietzsche da parte di Mencken non è del tutto felice. Eppure ha scritto un libro col quale gli americani, prima della recente opera di W.S. Salter, sembrano essersi formata un’idea sul filosofo tedesco. Forse cercando di inseguire le sottigliezze di Nietzsche a Mencken è sfuggito come le nostre biblioteche e le recensioni dei giornali trattano Dreiser. I modi di attacco di Mencken in realtà demoralizzano il potere critico. L’artista non deve preoccuparsi di quel che si dirà di lui, anche se immaginerà un suo pubblico, ma il critico deve giudicare anche per quel pubblico che immagina.