gente di Liguria

Carlo Romano

Marcello Barlocco

Quando nel 2002 uscì il “romanzo-verità” di Tonino Conte L’amato Bene (Einaudi) e seppi che fra i personaggi vi era ritratto Marcello Barlocco, capii che una mia antica consuetudine conversativa – snobistica, lo confesso - volgeva ormai alla fine. Se ero in vena, allorquando il discorso cadeva su qualche meritevole ma ignorato romanzo italiano, per spiazzare i  miei interlocutori usavo giusto citare il suo Veronica i gaspi e monsignore, suscitando l’auspicata sorpresa. Ciò nondimeno, oggi che quel libro l’ha ristampato la Greco & Greco, meritevole non soltanto nel campo dei recuperi, sono soddisfatto e mi auguro che il suo autore possa trovare il posto di competenza nelle patrie lettere, in quell’ambito bizzarro e “surrealizzante” più ricco di quel che comunemente si pensa.

Barlocco, fra l’altro, avevo avuto modo di incrociarlo varie volte quand’ero ragazzo. Ne ho conservato nella memoria un’immagine estiva, con un bel vestito di lino chiaro e le scarpe di corda ai piedi, alto, elegantemente bohemien. Nella Genova degli anni sessanta era una figura con una sua visibilità “all’artista”. Soggiornava per certi periodi nella pensione di via Groppallo gestita dai famigliari di un amico e fra noi ragazzini si favoleggiava delle sue esperienze con la droga, il manicomio, la galera. Veniva dagli studi di chimica farmaceutica e farmacisti erano i suoi consanguinei (ho idea, ma non vorrei dire una fesseria né stabilire una coincidenza diversa dai capricci del caso, che fossero questi a produrre allora a Genova le fiale di morfina per uso medico).

A tempo debito ebbi modo di rinvenire un suo racconto su una avvenente quanto ilare rivista che amava presentarsi, rafforzandosi così in lepidezza, come “bimestrale di lettere e storia”. Era “Il delatore”, diretta da Bernardino Zapponi, uno dei famosi redattori di “Marc’Aurelio” passati al cinema. Senza troppi sforzi trovai anche, per i tipi de La Cartaccia, la seconda edizione (1964) di Veronica, i gaspi e monsignore. Aveva una suggestiva sovraccoperta disegnata dal bergamasco Maurizio Bovarini -  pennino assai incisivo, frequente allora sulle riviste francesi come “Bizzarre” – che da lì a qualche anno avrebbe diretto l’edizione italiana della leggendaria “Hara-Kiri” di Cavanna, Wolinski ecc.  “Gli editori” (ancora Zapponi?) sancivano che il “grottesco macabro” è “una delle armi più genialmente appuntite di cui disponga Barlocco”. Le vicende di droga erano così riassunte: “nel 1957 Barlocco più irrequieto che mai, in seguito a una complicata vicenda nell’angiporto di Genova, fu accusato di appartenere ad una banda internazionale di spacciatori di stupefacenti e condannato a quattro anni e mezzo di reclusione”.

Mi impadronii più tardi anche della prima edizione della Veronica, stampata a Genova da ALA con un’anonima copertina che chiudeva il titolo in un triangolo colorato. Quella della Cartaccia, pur interamente riveduta, recava ciò nondimeno un errore e accreditava questa prima come risalente all’agosto del 1953, quando invece era del luglio 1952 (non bastasse, la dedica dell’autore “a una gentile lettrice” sulla copia in mio possesso è del settembre 1952).

Il secolo XIX”, 28 aprile 2005