Massimo Bacigalupo

Tyler, terza età con discrezione

Un insegnante di scuola elementare viene licenziato a sessant’anni e decide di accontentarsi della pensione e magari fare il “nonno” volontario in una scuola ebraica (per quanto non sia né ebreo né credente). Si chiama Liam, ha un padre, una sorella che non ha perdonato al padre di avere lasciato la madre per una donna più giovane, una figlia dal primo matrimonio (concluso dal suicidio della moglie) e due dal secondo (finito con un divorzio), una nipote adolescente e un nipotino di sette anni. Una storia di normale solitudine a Baltimora, città in cui si respira già il Sud, i suoi tempi più espansi. La città dei romanzi di Anne Tyler, di cui La bussola di Noè (traduzione di Laura Pignatti, pp. 253, €16,00) è il diciassettesimo. Un libro da legger e godere, dolceamaro e “veritiero” come gli altri di questa scrittrice della normalità eccezionalmente dotata.

    Abbiamo tutti visto persone trasferirsi con la pensione in una casa più piccola, liberarsi del superfluo, e cominciare a pensare cosa resta del giorno. I fortunati trovano da impegnarsi, dedicano tempo con discrezione ai familiari, badando a non pretendere troppo in cambio. Come ha scritto un mio amico ottantenne, per farsi amare occorre “Fingere di capire senza fingersi / ancora giovani anzi cercando  / di parere più vecchi più intronati / di quanto già non si sia e bisognosi / di piccoli aiuti che facciano tenerezza / e chiedano ai prestatori pochi sforzi / impegni non prolungati. // Non ammalarsi mai né avere acciacchi / che esigano cure assidue veglie spese...”

    A Liam Pennywell, protagonista di La bussola di Noè, capita invece di finire in ospedale in seguito a una colluttazione con un ladruncolo entrato nel nuovo appartamento nella prima notte che vi passa. Le figlie poco espansive vengono così subito messe alla prova, e si rivelano degne parenti di Goneril e Regan nel Re Lear... No, esagero. Hanno i loro pensieri, e non perdono nemmeno tempo a spiegare al povero Liam cosa gli è capitato. La prima cosa che gli dicono è che è colpa sua che non ha chiuso a chiave la porta del giardino, come dire al ladro: si accomodi.

     A poco a poco comprendiamo che anche Liam non è proprio un padre esemplare. Certo, ha fatto del suo meglio, ma spesso non ha capito. Come mai Xanthe, la figlia maggiore, è sempre così fredda? Solo alla fine lui e noi vediamo che si è sentita abbandonata quando, al divorzio dei genitori, è stata affidata alla matrigna, con cui pareva stare benissimo, data anche la presenza delle sorelle minori. E invece... Liam insomma scopre cose che non sapeva, e chiede pubblicamente perdono.

    Per il resto segue intelligentemente le succitate istruzioni, accettando di prendersi in casa la nipote adolescente  (il cui ragazzo è addirittura sospettato da Xanthe di essere l’intruso – nulla a quanto pare è stato rubato) o di badare al nipotino Jonah quando la figlia Louise, pervicace fondamentalista, deve andare dal ginecologo.

     In realtà il ladro notturno qualcosa ha rubato a Liam: la memoria della colluttazione, che Liam cerca di recuperare avvicinando una “ricordatrice professionale” con cui inizia una tarda relazione. Ma con Tyler il lettore non ha da preoccuparsi: nulla di prevedibile e dolciastro. Tutti in questo libro sono un po’ sgraziati, abitano in sobborghi con prati disseminati di nanetti e daini che tirano carretti con fioriere, la “ricordatrice” Eunice è una quarantenne fallita, ha strane paure, sorprende con la sua franchezza e reticenza. Le figlie di Liam la guardano un po’ preoccupate, e l’ex-moglie addirittura sorprende i due in un momento di tenerezza. Liam pensa che forse questa sarà una soluzione: Eunice è stravagante e incolta (lui invece ha molto riflettuto sui filosofi greci), ma con scintille di vitalità. Ma la vicenda non andrà come spera.

    Tyler, essa stessa vedova e prossima alla settantina, tratta qui come nel precedente bellissimo romanzo La figlia perfetta il tema di ciò che resta sul finire della vita, dei bilanci, dell’improbabile vagheggiamento di una nuova relazione, che resta appunto amaramente e inevitabilmente deluso.

     Romanzi da terza età? Non direi, anche perché Liam con i suoi sessant’anni non può dirsi proprio anziano (come le figlie non mancano di ricordargli). Anzi, visto che suo padre è in vita, egli funge da fulcro di quattro generazioni di Pennywell, tutte presenti nel romanzo, tutte disegnate con mano sicura, tutte portate dalla corrente del loro daffare quotidiano.

    Ann Tyler è oggi una delle maggiori scrittrici in lingua inglese, e un recensore di La bussola di Noè ha lamentato che il suo nome non sia fatto più frequentemente accanto a quelli di un John Updike o un Philip Roth. In realtà i suoi romanzi hanno qualità assenti nei due fratelli maggiori: la concisione e la discrezione. Non ha ambizioni epiche, per fortuna. Non ci annoia con lunghissime descrizioni di attività quotidiane o sessuali. Si accontenta del modello di Jane Austen, cioè di dire senza commentare. Qui avendo un personaggio centrale, Liam, a volte riporta la sua reazione. Ma gran parte dello svolgimento è lasciato al dialogo. Quando la figlia Louise gli suggerisce che potrebbe tornare nella casa precedente, più grande e più sicura, risponde:  “Sto bene dove sono. Adesso ho un frigo con un distributore d’acqua fresca nello sportello”. Qui l’ironia di Liam si confonde con quella di Tyler. Che ha non di rado uscite comiche. Quando Liam si risvegli dalla botta in testa un dottore opportunamente ottuso gli chiede: “Può dirmi chi è il nostro Presidente?”. Liam che non manca di temperamento sbotta: “Non è il mio Presidente. Mi rifiuto di riconoscerlo come tale”. La vicenda si svolge infatti durante i mandati del non rimpianto George W. 

     La comicità di Tyler non è sguaiata come sa essere a volte Austen, che presenta dei tipi settecenteschi esilaranti come i coniugi Bennet. I suoi personaggi non sono macchiette, e anche i fondamentalisti come Louise che vuole “condividere la sua fede” non restano unidimensionali. Tyler guarda uomini e donne con indulgenza ma senza perdere nettezza nel disegno, che ha appunto una  precisione settecentesca. Non sorprende che Tyler sia quasi più apprezzata in Inghilterra che in patria: il New York Times non ha ancora recensito La bussola di Noè, mentre non c’è importante quotidiano inglese che in questi mesi non ne abbia parlato in toni quasi sempre entusiastici. (L’unica ad avanzare riserve è stata la collega Anita Brookner, che ha segnalato una “sconcertante mancanza di ironia”: ma che libro avrà letto?)

    Dunque un uomo perde la memoria di una notte, cerca di ricostruirla e così facendo a poco a poco ritrova i fili della sua vita, il cui bilancio non è troppo confortante. “Viviamo vite così ingarbugliate e dense, pensò, ma alla fine moriamo come tutti gli altri animali e veniamo seppelliti sotto terra e dopo qualche anno è come se non fossimo mai esistiti”. Ma caratteristicamente Tyler aggiunge: “Questo pensiero avrebbe dovuto deprimerlo, e invece lo fece sentire meglio. Appena scattò il verde, ripartì”.

    Liam è senza illusioni, ma questo lo rende più partecipe e indipendente. Suo nipotino Jonah gli chiede se l’Arca di Noè andava a vela o motore. No, gli risponde il nonno, credo non avesse nemmeno una bussola, perché non doveva andare da nessuna parte. Galleggiava. Questo stupisce Jonah, ma visto che l’immagine dà il titolo al romanzo deve suggerirne il tema di fondo. La bussola dell’assenza (o sospensione) di destinazione che consente di sopravvivere.

“Il manifesto-Alias”, 19 settembre 2009

P.S. La recensione del New York Times” è poi arrivata, con buon ritardo, il 31 dicembre 2009. A firma di Kathryn Harrison, e intitolata “The Memory Thief”, è nel complesso piuttosto tiepida. Inoltre la Harrison assegna a un episodio comico verso la conclusione (la visita a Liam della madre del ladruncolo) un’importanza decisiva che a mio parere non ha. (M.B.)