Massimo Bacigalupo

Stoppard. Herzen-Bakunin sul set delle idee

Come ti racconto la storia a teatro. Tom Stoppard, grande giocoliere delle scene, ha saputo fare del teatro uno strumento dialettico, una palestra dell’intelligenza fin dalla sua celebre rivisitazione dell’Amleto visto dal punto di vista dei mediocri Rosenkrantz e Guildenstern. Per i suoi settant’anni ha offerto al pubblico inglese e americano The Coast of Utopia, La sponda dell’utopia (ma anche il costo dell’utopia), tre lavori per una durata di otto ore, rappresentati separatamente ma anche insieme e ora offerti alla riflessione di lettori e teatranti italiani nella traduzione di Marco Tullio Giordana e Marco Perisse (Sellerio, pp. 396, € 13,00). Giordana ha recentemente messo in scena il testo a Torino e Roma, ottenendo consensi per il grande impegno: decine di attori, affresco storico, tematica ambiziosa...

     Si tratta infatti della storia dei pensatori radicali russi, soprattutto Alexandr Herzen e Michail Bakunin, dal 1833 al 1866. Niente meno che un Guerra e pace delle idee, molto russo in quanto tutti parlano e discutono nelle loro tenute e poi nelle capitali dell’emigrazione: Parigi, Londra, Nizza. Il gioco appassionante delle idee. Vediamo il ragazzo Bakunin, insopportabile dittatore in famiglia nell’impedire i matrimoni di convenienza delle sorelle, convertirsi prima a Schelling, poi scoprire Fichte e infine con Hegel innamorarsi della razionalità del reale. Vediamo Marx comporre il Manifesto, ammettere di non conoscere nessun proletario, e Turgenev lambiccarsi su come tradurre in inglese “fantasma che si aggira per l’Europa”. Vediamo soprattutto Herzen dubitare di estremismi e utopie, attraversare amicizie, amori, rotture, perdite, e tirare le somme dell’intricato ingranaggio quando perde il figlio sordo e nega che il senso dell’esistenza vada cercato nel futuro ideale. Qui parla lo Stoppard poeta scettico eppure affascinato e pietoso dei sogni dei cuori degli uomini: “Il dono della vita è nel suo scorrere, più tardi è troppo tardi. Dove va la canzone dopo che è stata cantata? La danza dopo che è stata danzata? Solo noi umani vogliamo possedere il futuro. Siamo persuasi che l’universo sia modestamente impiegato a rivelarci la nostra destinazione...”. Qui i traduttori hanno capito a rovescio: “Siamo persuasi che l’universo non faccia nulla per rivelarci la sorte...” (p. 255). Ma fra tante parole e discorsi qualche salto logico sarà passato inosservato. Soprattutto è chiaro che Herzen sta facendo un Discorso Importante, e forse a teatro conta meno il senso esatto.

     E’ stato detto che La sponda dell’utopia è un testo più da vedere sulla scena che da leggere, a differenza di altri di Stoppard. Tuttavia, a parte qualche incidente di percorso traduttivo, sarà stimolante per il lettore nuotare in questo mare di microstoria rivoluzionaria che sta fra le due rivoluzioni maggiori, francese e russa. E’ l’occasione per dar corpo a nomi come Bakunin, le cui origini di possidente ribelle sono gustose da rivisitare, e per ricordarsi del critico Bielinsky e delle sue polemiche con e sui contemporanei Gogol e Puškin...

     Un critico del New York Times presentava la trilogia raccomandando agli spettatori di prepararsi all’impegno leggendo le memorie di Herzen e il libro di Edward Carr sul suo circolo francofilo, The Romantic Exiles (non tradotto in italiano),  e soprattutto Russian Thinkers di Isaiah Berlin, anch’esso inedito da noi, dove Herzen, molto ammirato dal liberale Berlin, ha grande spazio. Infatti Stoppard, che ha frequentato Berlin, ha dichiarato il suo debito rispetto al saggista di Oxford e Portofino. Quante volte i nomi di Bakunin e Herzen sono stati pronunciati nella piazzetta mentre si discuteva intorno al 1970 se appunto la storia stesse o no modestamente rivelandoci il nostro destino.

     Stoppard è un autore che si documenta puntigliosamente. E si entusiasma, e riesce a dare vita teatrale ai suoi personaggi, facendoli anche vibrare di passioni terrestri nonché intellettuali, mettendo i loro cuori a nudo, ma senza produrre un effetto di banalizzazione. E’ un maestro della tecnica teatrale, che si vale di giustapposizioni, flashback che prevedono un pubblico smaliziato. Per esempio, Viaggio, il primo dei tre drammi, quello centrato su Bakunin, è composto di due atti che coprono più o meno lo stesso arco di tempo, 1833-1844, integrandosi a vicenda, il che richiede una non comune capacità di attenzione. Inoltre Stoppard, si sa, è un virtuoso del linguaggio, che corre il rischio di stordirci a forza di aforismi. Con l’età è diventato più sobrio. La sua è una scrittura piana, che rifugge la battuta facile, il colpo di scena. Qualcuno ha paragonato La sponda dell’utopia a Angeli in America di Kushner, altro drammone storico, a tutto favore del secondo, certo più semplice da seguire perché basato su poche figure. Però Angeli in America è viziato dal gusto della battuta a effetto e da un finale buonista.

    Conrad aveva dedicato allo stesso ambiente degli emigrati russi un  formidabile romanzo, Sotto gli occhi dell’Occidente, che non fa una piega e prevede un lettore attento e intelligente. Stoppard si avvicina alla lezione del suo predecessore fra gli scrittori inglesi di adozione, anche se Tom giunse in Inghilterra a nove anni e fu adottato, lui figlio di ebrei cechi, da un inglese che gli diede il nome.

    Stoppard guarda con equanimità la vita degli uomini e delle idee, e riesce a comunicare la sua passione tranquilla al pubblico. Dopo tutto, con quattro nonni vittime del nazismo, egli sa che questi discorsi non sono oziosi. Ecco Herzen, nemico delle utopie: “Cosa pensate che non funzioni in quelle comunità utopistiche? Non certo le zanzare. Preferisco Bakunin a Marx. ‘Prima agire, le idee seguiranno’. E’ mettere le cose a testa in giù, ma così è il mondo...”. Infatti Bakunin aveva annunciato qualche scena addietro: “E’ un errore mettere le idee prima dell’azione. Bisogna agire prima, le idee seguiranno. Cominciamo con distruggere tutto”.

     Stoppard ha il merito di aver dato vita drammatica a questo dibattito, facendo emergere d’ogni tanto le ragioni dell’estetica, che poi sono quelle sue. “Ho trovato che leggere il dott. Mackenzie” dice Turgenev, “mi ha fatto sentire le mie emorroidi... mentre leggendo Puškin le ho proprio dimenticate. Utilità pratica, anch’io ci credo”.

    Herzen deve confrontarsi con i rivoluzionari totalitari ante litteram, così come Berlin nel 1970 doveva confrontarsi con gli entusiasmi utopici del maggio 1968, o Havel, amico di Stoppard, con la repressione. Dice Slepzov: “La giovane generazione ha capita chi è lei, e le abbiamo voltato le spalle disgustati. Non ci importa il suo noioso, trito, sentimentale attaccamento al ricordo e a idee che sono estinte. Si faccia da parte, lei è indietro rispetto ai tempi. Dimentichi di essere un grand’uomo. Quel che è oggi è un uomo morto”.

     E Herzen (che ebbe il suo nome significativo dal padre naturale perché “frutto di un affare del cuore”) ribatte con la sua filosofia umanista: “C’è qualcosa di sbagliato in questa figura. Chi è questo Moloch che promette che tutto sarà bellissimo dopo che saremo morti? La storia non ha scopo! La storia bussa a mille porte in ogni momento, e il custode è il Caso. Ci vuole spirito e coraggio per costruire il nostro cammino mentre il nostro cammino ci costruisce, senza consolazioni a cui affidarci salvo l’arte e i lampi estivi della felicità personale...”.

    Come si vede, Stoppard ha la dote di una serena eloquenza e di una saggezza non urlata ma suggerita con discrezione e fermezza. Alias-Il Manifesto”, 1 luglio 2012