Massimo Bacigalupo

Pound spia? Un giallo storico di Justo Navarro

Ezra Pound, personalità camaleontica, negli anni nebulosi della guerra, è il protagonista dell’eccellente giallo storico di Justo Navarro, La spia, ben tradotto da Francesca Lazzarato ed elegantemente edito (con qualche refuso) da Voland (pp. 171, €14,00). Un libro che si legge tutto d’un fiato, frutto di una magnifica ossessione che però si risolve in  un dettato lineare, nitido, quasi sempre accurato. “Faction”, come a volte si chiama questo genere di romanzo aderente ai fatti. Fatti assai sfuggenti.

Non c’è dubbio che Ezra Pound durante la guerra ottenne un microfono di Radio Roma dal quale arringò inglesi e americani sull’assurdità della guerra, le buone ragioni dell’Asse, le nequizie dei banchieri internazionali, soprattutto ma non solo ebrei (giudeocrazia, la chiamava la propaganda). Ma anche, al suo solito, sui suoi scrittori preferiti che come lui erano da sempre in guerra contro la stupidità omicida: Joyce, Cummings e compagni. E anche sulla sapienza di Confucio. E leggeva qualche invettiva contro l’Usura tratta dai Cantos. Una cugina di mio padre, impiegata al Minculpop, lo pagava per le queste prediche, che erano diverse dalle sue precedenti crociate poetiche ed economiche solo per la veemenza dei toni, dovuti a una vera furia profetica ma anche a una voluta scelta di tono da “predicatore di villaggio” (come l’aveva definito sarcasticamente anni prima Gertrude Stein, un’altra americana, e per lo più ebrea, che visse nella Francia occupata simpatizzando apertamente per il regime di Pétain, che infatti la protesse).

Ma queste trasmissioni, che avevano un fondamento non peregrino nella denuncia delle manovre della finanza e del mercato del denaro di cui oggi sentiamo sempre più direttamente la minaccia, e per altri versi parevano agli stessi coordinatori della propaganda italiana farneticanti, dunque controproducenti come propaganda, nascondevano forse dell’altro, dei messaggi criptati? Certo la polizia fascista se lo chiese ed esaminò con attenzione i dischi registrati da Pound. “Quel giorno c’erano nuvole sopra Zoagli”, annunciava. Ma non era un verso  del suo canto 46? I paesaggi tempestosi del nuovo profeta Ezra.

Altro fatto certo è che Pound fu indiziato di tradimento per aver continuato a trasmettere dopo che gli Usa entrarono in guerra. E che il 3 maggio 1945 fu arrestato a Sant’Ambrogio di Zoagli forse su istruzioni del Cln e consegnato (pare su sua stessa richiesta) a militari americani. Fu interrogato per varie settimane a Genova da agenti speciali a cui non nascose nulla, spiegò per filo  e per segno quello che pensava e aveva fatto, consegnò carte, firmò dichiarazioni. Chiese anche di mandare a suo nome un messaggio al presidente Truman offrendosi come mediatore per una pace con il Giappone. Hiroshima era di là da venire.

“Timido e impostore” aveva definito Pound Leo Longanesi, come ricorda Luca Gallesi nella documentata introduzione alla ristampa di un libretto scritto da Pound in italiano e pubblicato nel 1942 da Giambattista Vicari, fascista frondista: Carta da visita (Bietti, pp. 103, €14,00). Si tratta di una fulminea introduzione al mondo di Pound, dal caratteristico piglio didattico: le date fondamentali della storia economica (dissimulate dai libri di testo con le loro battaglie campali), la grande letteratura, la Cina, la religione dei misteri e naturalmente “lo stato ideale e fascista”. Qui è importante il doppio aggettivo, giacché si tratta pur sempre di una repubblica ideale. Quella che sarà evocata sulla prima pagina dei Canti pisani: “Ma dite questo al Possum [Eliot]: uno schianto, non una lagna, uno schianto, non una lagna, per costruire la città di Dioce, le cui terrazze hanno il colore delle stelle”.

Dunque questo 2012, a quarant’anni dalla morte del “timido impostore” Pound, offre delle buone occasioni per riscoprirlo nella sua inquietante attualità. In Carta da visita parla lui con tutte le sue profezie e celie, e naturalmente il lettore dovrà fare la tara ricordando che si tratta messaggi affidati a una bottiglia nel bel mezzo di una vera tempesta mondiale di cui a Pound molto ma forse non tutto sfuggiva.

Justo Navarro con La spia fa romanzo della realtà storica, seguendo i passi di Ezra per l’Italia in guerra, e i passi delle spie che lo seguivano, sempre incerte chi fosse il loro indagato. Il risultato è in realtà uno dei migliori ritratti che di quel Pound  si siano scritti, perché Navarro si è documentato accanitamente, mentre (racconta) trascorreva a Pisa una strana estate, oltre sessant’anni dopo l’estate trascorsa da Pound nel campo di prigionia per militari americani a Metato, a nord di Pisa, sul Serchio (niente a che fare con Coltano, campo per militari tedeschi e italiani, dove molti continuano pigramente a ripetere che Pound fu detenuto).

Sono gli anni della militanza fascista e repubblichina di Pound, che intrattiene rapporti a Salò con Pavolini e Mezzasoma (entrambi poi appesi a Piazzale Loreto), e ha una corrispondenza con William Joyce, che faceva propaganda da radio Berlino ed era soprannominato Lord Haw Haw (e, a differenza di Pound, fu impiccato dagli inglesi – per quando inglese non fosse). Navarro dedica pagine a questi figuri, ma soprattutto è affascinato dall’ambiguità che si cela anche nella apparentemente inequivocabile militanza poundiana. Pound era amico di James Jesus Angleton, futuro capo paranoide della Cia, che da ragazzo lo visitò a Rapallo e lo fotografò sulla sua mansarda, lo sguardo rivolto al  mare. (E che Pound visitò durante un breve sfortunato viaggio in America nel 1939.) Che vi siano stato contatti nella Roma delle spie, fra Vaticano, Giappone e il sinologo eccentrico che era Pound? Navarro non sa che quando Pound fu poi internato in un manicomio giudiziario di Washington uno dei suoi principali sostenitori accademici fu il professore Norman Holmes Pearson di Yale, anch’egli con un passato nello spionaggio. Ciò significa solo che nei servizi c’erano uomini d’ordine, oppure che vi è una trama nascosta?

Navarro risolve brillantemente la sua narrazione passando nell’ultimo capitolo alla sua storia personale: addirittura un benservito da parte della moglie Cecilia. Ma forse qui sta inventando. (Non per nulla è traduttore di Auster.) Fa ancora delle scoperte decisive sul caso Pound nell’ultimo capitolo, come ben si addice a questa storia vera che alla fine si trasforma in vero romanzo.

“il manifesto”, 15 agosto 2012