Massimo Bacigalupo

Joyce Finnegans Wake, traduzione infinita

Finnegans Wake non è “l’ultima e incompiuta opera di Joyce” (Garzantina Letteratura): fu finito e pubblicato dopo diciassette anni di fatiche il 2 febbraio 1939, cinquasettesimo compleanno dell’autore. Incompiuta però resterà la traduzione italiana che del romanzo joyciano è andato elaborando dal 1974 Luigi Schenoni (1935-2008). Oltre trent’anni dunque per “tradurre” i primi dodici capitoli di FW (come lo chiamano gli addetti); ne restano da fare cinque, ma per affrontarli ci vuole un bel coraggio. (Traduzioni integrali di FW esistono in tedesco, francese, olandese e... giapponese.) Schenoni non tradusse solo FW, ma questa è stata la sua impresa principale, che fu rallentata a causa di alterne vicende editoriali. Infatti il primo volume (quattro capitoli) uscì negli Oscar nel 1982 con una introduzione di Giorgio Melchiori, poi sembra che a Segrate sia prevalsa l’idea di aspettare a pubblicare il tutto a lavoro finito, salvo cambiare opinione in seguito e metter fuori via via tre altri volumi, di cui Finnegans Wake, libro secondo, III-IV (trad. Luigi Schenoni, Oscar Mondadori, pp. 732, €11,00) è l’ultimo.

     FW è un’opera divisa in quattro libri, corrispondenti alle tre età cicliche dell’umanità secondo Giambattista Vico, e al “ricorso” che riporterebbe ogni cosa al principio. E come quasi tutti sanno (giacché FW è anche un libro di cui molto si parla ma che poco si legge), l’ultima frase a p. 628 dell’edizione inglese resta sospesa sulla parola più sussurrata di quella lingua, “the”, per ricollegarsi alla prima parola a pagina 1, minuscola: “riverrun” (Schenoni: “fluidofiume”). Con questo quarto Oscar siamo dunque arrivati alla fine del Libro II, o dell’età degli Eroi, mentre il Libro III ci porterà (chissà quando e come se non conosciamo l’inglese) all’età degli Uomini.

    Il capitolo II.3 comincia in traduzione con la frase-paragrafo: “Può non essere o forsepuò una preoccupazione da niente dei Guinness ma” (si tratta di birra, non di primati).

    L’ultimo periodo del capitolo II.4 recita: “Quindi, a giovanni per un giovanni, giannisogna, checcossosia!”. (In inglese: “So, to john for a john, johnajeams, led it be!” -- forse Joyce era in contatto medianico con John Lennon, che nacque l’anno dopo la pubblicazione di FW?)

    Davanti a tanta stravaganza, che poi corrisponde allo stile di tutto FW,  che è composto di una serie ininterrotta e defatigante di giochi di parole, ci si può chiedere che senso abbia iniziare la lettura del romanzo-monstre più o meno a metà strada. Invece questo quarto volume del FW schenoniano è senz’altro da acquistare e tesaurizzare, se non altro per trovare delle password impensate per i propri log-in.

    Scherzi a parte, FW è così intrigante che può dare assuefazione appena uno si appassioni al gioco notturno, ché di gioco, anche se serissimo, si tratta. E proprio la natura assolutamente circolare e ripetitiva dell’opera rende quasi indifferente iniziarne la lettura da questo o quel punto, o piuttosto capitolo, giacché Joyce era un maestro di retorica e musica e ogni capitolo ha un suo andamento sinfonico e un suo efficace inizio e finale.

    Se dunque incominciamo qui, cioè da II.3, ci troviamo precipitati in una delle sezioni più oscure della vicenda, riassunta in poche righe all’inizio dell’apparato. Siamo nella taverna di un sobborgo di  Dublino dove si svolge tutta la “storia” e l’oste H.C. Earwicker accende la radio e poi addirittura la televisione (che già si sperimentava quando Joyce scriveva). Vanno in onda due racconti, il primo riguardante un certo sarto navigatore, l’altro il soldato irlandese Buckley che spara in Crimea a un generale russo sorpreso a defecare -- probabilmente una metafora dell’uccisione edipica del padre (i figli malvagi che dileggiano le nudità del padre Noè). La storia di Buckley, tanto per semplificare, è riferita in un dialogo da due comici, Butt e Taff.

     Finito l’intrattenimento HCE (com’è noto l’oste) chiude i battenti, si scola i fondi di bicchiere dei clienti, e sprofonda in una fantasticheria ubriaca in cui viene accusato di vari peccati soprattutto carnali in relazione fra l’altro a due ragazze urinanti nel parco. Ma si parla anche di un libro proibito che potrebbe essere l’Ulisse, o lo stesso FW: “E’ imbullito con tavole espurgative, ben provvoste di informazioni, che accompagnano l’azione passiomamente, sbobbabotta, strengonneiria...” (356).

    Questa lunga parte di autodifesa di HCE ricorda l’analogo processo onirico a Leopold Bloom nel capitolo del bordello di Ulisse, ed è uno dei pezzi forti di FW, pubblicato nel 1931 in un volumetto a se stante, Haveth Childers Everywhere (cioè HCE) da T.S. Eliot, che a differenze del sodale Pound ammirava l’opera magmatica di Joyce semicieco e la paragonava al capolavoro del cieco John Milton, Il Paradiso perduto, per la sonorità e l’enormità. Del resto anche FW ha per tema la Caduta, la caduta di Finnegan-HCE ma anche di Ognuno.

    Infatti FW è un’opera da leggere ad alta voce, per coglierne la musica e il senso di fondo. E’ disponibile una versione in quattro CD della Naxos in cui un ottimo attore irlandese, Jim Norton, legge brani scelti per circa un quarto del testo complessivo. La registrazione salta però del tutto proprio il nostro accidentato capitolo IV.3, mentre offre l’inizio e la fine del successivo più breve capitolo IV.4, di più facile lettura, in quanto (mentre continua il sogno di HCE) quattro vecchi -- insieme  amici, avventori, ed evangelisti -- riferiscono gli amori di Tristano e Isotta:

 

la vivace ragazza, sorda d’amore... con un quoelèttico crido di joysissosa crisi... renullì le loro disunite, con rubinose leppe e rovinose loppe (la cara tra le care!)... quando, veloce come un viscido football, Americus Champius, con una aragànica dspinta, drirvo il massiccio del virilvigtouros flshpsoltre entrambe le linee degli attaccanti (l’Eburnea è depressa, ragazzi!) drittobingobangamente dentro il centro della sua strozza... (395-6)

 

In ogni frase di FW ci sono molte cose che accadono contemporaneamente, come qui il football americano, forse il Qoelet (“Tutto è vanità”), e il bunga bunga. A p. 379 troviamo anche “Due Ide, due Eve, due Nessi e Rubyjuby. Phook!”.

    Il libro di Schenoni è un sussidio indispensabile per chi voglia iniziare o continuare l’avventura entusiasmante di FW in quanto offre il testo inglese nella sua disposizione canonica (36 righe per pagina) e a fronte la ricreazione (40 righe), sicché Schenoni riesce a risolvere il perenne problema della maggiore lunghezza dell’italiano rispetto all’inglese, qui accentuato ovviamente dalla polisemia. Inoltre, dono prezioso, il volume contiene un Glossario di oltre trecento pagine, dove riga per riga Schenoni indica quali parole e riferimenti abbiano concorso alla formazione dell’originale, e alla sua decifrazione.

     Ad esempio, riguardo al periodo delle due Ide da me citato ultimo, annota:

 

Ida, catena montuosa in Turchia, oggi chiamata Kasdagh, e monte di Creta; Eva, prima donna, sposa di Adamo; ingl. two eyes, two ears, two nostrils and mouth: due occhi, due orecchie, due narici e bocca (sette orifizi); Nessie, mostro del Lock (sic) Ness, Scozia; ingl. ruby: rubino, di rubini; Ruby Jubilee, quarantesimo anniversario (di nozze, di sacerdozio ecc.); ingl. fuck: va’ a farti fottere, al diavolo; irl. púca: folletto... (677)

 

Il glossario è tanto più ammirevole in quanto al lettore si forniscono solo le pietre dell’edificio, lasciandogli tutta la responsabilità e gioia dell’interpretazione, e magari della scoperta di qualche elemento ulteriore sfuggito al generoso traduttore-chiosatore.

“Il manifesto-Alias”, 5 Marzo 2011