Amelia Rosselli, nata a Parigi nel 1930, figlia di Carlo Rosselli, esule antifascista assassinato per ordine di Mussolini nel 1937 e di madre inglese. Ebbe un’infanzia tormentata e segnata da questa tragedia e una giovinezza divisa tra Parigi, gli Stati Uniti e l’Inghilterra, dove studiò musica e composizione.

Si trasferì a Firenze nel 1948, poi a Roma, dove lavorò come traduttrice e dove compì studi letterari e filosofici.

 Si legò agli ambienti letterari pubblicando su diversi periodici e fece pure una occasionale adesione al Gruppo 63, l’ambiente dell’avanguardia degli anni sessanta, cui però rimase sostanzialmente estranea, essendo troppo lontana dai modi ideologici <maschili> di tale avanguardia.

 Il suo esordio letterario è del 1963, quando pubblicò 24 poesie  sul Menabò di Vittorini accompagnate da una nota critica di P.P. Pasolini.

Tappa significativa è il volume Variazioni belliche (1964) che la impose come una delle voci più originali della poesia della seconda metà del Novecento.

In seguito scrisse:  Serie ospedaliera (1969), Documento (1966-1973) (1976), Impromptu (1981), Appunti Sparsi e Persi (1966-1977) (1983), La libellula (1985), che confermarono la validità della sua presenza nel panorama poetico. L'Antologia poetica (1987) offre un quadro selettivo ma puntuale dell'intero suo lavoro, arricchito anche dalla raccolta dei Primi scritti (1952-1963) (1980).

 Pubblicò inoltre il volume di poesie in lingua inglese Sleep (1992). Scriveva infatti indifferentemente in inglese, francese ed italiano, essendo priva di una lingua madre . Raccolse la corrispondenza del padre in Epistolario familiare (1979).

 Morì suicida a Roma  nel 1996.

 

Nella sua lingua sono presenti processi di contaminazione di lessico, ma anche di grammatica e di sintassi. Il critico Mengaldo dice che la Rosselli “lascia agire la lingua come un organismo biologico, le cui cellule proliferano incontrollatamente…. in un’attività che diviene patogena e mortale: da cui anche uno dei paradossi di questa poesia..” E la Rosselli dal canto suo afferma: “ Io decidevo di esprimermi con maestà e furore anche se le parole assumevano a volte un contegno più che irrispettoso”( Diario ottuso, p.21 )

La sua lingua è davvero straordinaria, attenta alle cadenze e al ritmo più che al significato etimologico: sembra riprendere nel tessuto linguistico-espressivo le misure musicali che lei ben conosce, cercando una fusione più alta e più profonda della parola evocatrice e il profondo misterioso  della psiche. Ne deriva una scrittura per certi aspetti visionaria, tra follia e oracolarità, sempre comunque repressa e controllata, una ricerca costante di antiautoritarismo che può essere confusa con lo sperimentalismo e che ha invece una dimensione prevalentemente etica.

“Quale nero velo: quale bianca rima: quale grigio pudore” (p.20): è la sua definizione.

 

Oltre alle raccolte poetiche la Rosselli ci ha lasciato una straordinaria esperienza di prosa, il Diario ottuso del 1968, preceduto da brevi prose, oggi ristampato  dalla casa editrice romana Empiria.

E’ difficile dire in quest’opera dove finisca la poesia ed inizi la prosa. La stessa autrice lo riconosce: ” E’ prosa difficile, interiore quanto la poesia, ma vorrebbe riflettere  come in uno specchio curvo, il razionale…..

In un cupo autunno – inverno dell’anima scrissi “Diario ottuso”..che avrebbe voluto essere l’inizio di una autobiografia possibilmente pochissimo autobiografica. Tentai uno stile rozzo e semplice, più tardi chiamato “selvaggio”. Il primo capitolo divenne poi una specie di mini-romanzo, perché la chiusura era piuttosto su un tono filosofico che no, e mi pareva dolorosamente sufficiente…

….dei tre testi ( Prime prose italiane,1954, Nota, 1967-68; Diario ottuso,1968) è evidente che lo sperimentare in prosa è ciò che mi attira: ugualmente vero e probabile è che si dica di più in prosa che non in poesia, spesso manieristica o decorativa.” (Esperimenti narrativi, in Diario Ottuso, p.54).

 

Il diario si apre con una straordinaria avventura: “ Non so quale nuovo rigore m’abbia portato a voi, case del terreno nero. La stesura dei campi vi spinge sul limite dei viali appena inalberati. Tra i cespugli torti le case s’innalzano violente. Rompe il numero un fuoco d’erbe accese.

Ha le dita prese dal fastidio la luna, piena la notte, incomoda giù per i balconi nuovi. E’ tremante il quartiere d’ingiuria. La collina sciupa il nodo del sole.” (p.13)

 

 Il suo interlocutore è muto, è forse la nera solitudine, un deserto ai margini della città. Forse il vuoto, che ricorre nella sua prosa, così rispettosa dei ritmi.

 “Vuoto verde viola e rosso. Il giallo non sorrise affatto affatto, perché tu lo violavi invano. Verde viola, giallo e rosso, bianco come me.” (p.26).

 Ma anche se fosse un ipotetico tu maschile la conclusione riapre l’interrogativo del senso e dell’accettazione. ..”Pieno di benzina. Hai il marchio  d’una vecchia bestia addosso e non ti permetti di accarezzare le sue mammelle perché?(p.26) … La luna di miele è finita! – mi disse ed imparò così a spolverare”  (p.26)

E a conclusione: “ E così fu luce esatta: si convinse d’aver trovato la sua dimensione vitale: il non sapere, il non vedere, il non capire.” (p.50)

 

L’interpretazione univoca sfugge, il presente e il passato diventano interscambiabili, la realtà e l’irrealtà sono parimenti minacciosi.

“Perché non capire la vita da sola? Perché non forzare la vita a capirsi? Perché non ebbe modo di capire la vita? E infatti non capì bene la vita, se no avrebbe avuto paura della vita, invece di sfidarla, come fosse un pozzo da riempirsi. La vita è un pozzo vuoto e va rispettato il suo vuoto. (p.31 )

Allude a se stessa, alla vicenda traumatica paterna che ha segnato la sua infanzia e la sua vita?

Il confine tra i fatti e i pensieri rimane ambiguo, sfumato, vuoto: Il non vedere, non sapere, non capire della conclusione del diario. Né è una soluzione il partire o il fuggire:

“Non ho un mondo pronto per me e così parto per un mondo meno pronto per me che vorrà farmi soffrire severamente per le pene che non ricordo d’aver sofferto…(p.32)

Partì senza dire a nessuno perché partiva: partiva, ed era obbediente agli altri nel partire, essi che preferivano che lei partisse. Partì, e fu togliersi la giacca, tutta indaffarata nel partire, e pensare: perché sono partita? perché mi hanno fatto partire? Non so perché sono partita, si disse, e nemmeno voglio sapere perché essi hanno voluto che io partissi, si disse, e ora non ho nemmeno voglia di partire, pensò partendo.” (p.34)

 

 

 

 

I fiori vengono in dono e poi si dilatano

 


I fiori vengono in dono e poi si dilatano

una sorveglianza acuta li silenzia

non stancarsi mai dei doni.

 

Il mondo è un dente strappato

non chiedetemi perché

io oggi abbia tanti anni

la pioggia è sterile.

 

Puntando ai semi distrutti

eri l’unione appassita che cercavo

rubare il cuore d’un altro per poi servirsene.

 

La speranza è un danno forse definitivo

le monete risuonano crude nel marmo

della mano.

 

Convincevo il mostro ad appartarsi

nelle stanze pulite d'un albergo immaginario

v’erano nei boschi piccole vipere imbalsamate.

 

Mi truccai a prete della poesia

ma ero morta alla vita

le viscere che si perdono

in un tafferuglio

ne muori spazzato via dalla scienza.

 

Il mondo è sottile e piano:

pochi elefanti vi girano, ottusi.

 

 

da: Documenti

 

 

*

 


Un tenero sonetto è tutta la forza che ho

di creare, piena facile vita che io ho sempre e poi sempre

di nuovo e di nuovo distrutta, ma era dio a gridare

dentro di me spegnete tutte

le luci! Nessun amore sia concesso a colui che

odia ogni amore tranne la vita

scritta su carta, là scorre il mio

seme folle alla

morte

 

da: Sleep, Poesie in inglese.

 

 

*

 

Attorno a questo mio corpo

stretto in mille schegge, io

corro vendemmiando, sibilando

come il vento d’estate, che

si nasconde; attorno a questo

vecchio corpo che si nasconde

stendo un velo di paludi sulle

coste dirupate, per scendere

poi, a patti.

 

 

Attorno a questo corpo dalle

mille paludi, attorno a questa

miniera irrequieta, attorno

a questo vaso di tenerezze

mal esaudite, mai vidi altro

che pesci ingrandire, divenire

altro che se stessi, altro

che una incontrollabile angoscia

di divenire, altro che se

stessi nell’arcadia di un

mondo letterario che si forniva

formaggi da sé; sentendosi

combattere, nelle vacue cene

da incontrollabili istinti

di predominio: logori fanciulli

che si stiravano altre membra

pulite come il sonn, in vacue

miniere.

 

da: Serie ospedaliera

 

 

*

 

L’alba si presentò sbracciata e impudica; io

la cinsi di alloro da poeta. Ella si risvegliò

lattante, latitante.

 

L’amore era un gioco instabile; un gioco di

fonosillabe.

 

da: Variazioni

 

 

La difficoltà di vivere e di autodefinirsi si coglie esplicitamente nelle sue parole sofferte ed ha certamente radici che risalgono all’infanzia dolorosa. Il trauma viene da lontano.  Ne sono testimonianza il ritmo spezzato Di L’alba si presentò sbracciata.. io la cinsi di alloro da poeta, o in ..nessun amore sia concesso a colui che/ odia ogni amore tranne la vita scritta su carta…Ma la sofferenza è ancor più vasta ed investe tutta la vita e la ricerca del suo senso, come donna e come poeta.

 Le parole diventano quasi folli e violente, ripetitive, ossessive in Attorno a questo mio corpo/ stretto in mille schegge, io/ corro vendemmiando, sibilando….. La ricerca del vocabolo (stretto, schegge, sibilando, vendemmiando ) ha una profondità psicanalitica quasi angosciante; sono un urlo represso, l’affanno della ricerca di un punto fermo, di una certezza di sé, di una conferma di amore che potrebbe rassicurare  (vaso di tenerezze mal esaudite).

Nessuna certezza per lei. Il mondo non le è leggero, i compagni di strada non vedono, non sentono, non capiscono. L’immagine fulminante  e disperata lo fotografa : Il mondo è sottile e piano/ pochi elefanti vi girano, ottusi.

 Ed anche i suoi simili, i poeti compagni, altro non sono che logori fanciulli / che stiravano altre membra/ pulite come il sonno, in vacue/ miniere. Ossimoro ed enjambement traducono angoscia e contraddizione meglio di qualunque logico ed articolato discorso sulla poesia.

 

Il percorso della poesia al femminile ancora una volta si mostra  più arduo di quello al maschile. E lei , consapevole, può lucidamente dire: Mi truccai da prete della poesia/ ma ero morta alla vita.

 

 

 

 

 

Contributo critico:

 

M. CORTI – La Repubblica 11-3-1996.

 

Amelia Rosselli…forse la più originale poetessa del Novecento italiano….

Qualche particolare notizia possiamo offrire in quanto subito dopo la morte della Rosselli gli eredi, in particolare il fratello John da Londra, decisero con tempestiva generosità di inviare al Fondo manoscritti dell' Università di Pavia tutto il materiale manoscritto e dattiloscritto della poetessa, un dono prezioso per la cultura italiana oltre che per il Fondo: si tratta di ben quarantasei cartelle e contenitori, di cui si avrà modo di parlare in sedi specifiche dopo una serie di appropriate ricerche. Un primo accostamento alle Carte già risulta eccitante, anche per noi che avevamo nel Fondo Pavese, da lei donate alcuni anni fa, tre cartelle colme di manoscritti riguardanti Documento, Sleep e Appunti sparsi e persi. Forse più che eccitante direi sorprendente la lettura di qualcuna di queste 46 cartelle, per esempio le due contenenti gli esiti delle lunghe ricerche in ambito musicale. La Rosselli studiò composizione musicale, violino, pianoforte, etnomusicologia per circa 14 anni a Londra, Darmstadt, Parigi, Roma (con Guido Turchi). Confessa in una autobiografia inedita di aver desiderato la professione di organista prima di quella di poetessa. Parte dei saggi uscirono in "Diapason", in "Civiltà delle macchine" per spinta di Sinisgalli nel 1954 e ancora più tardi, nel 1967, un lavoro di teoria musicale approdò a "Nuovi Argomenti". Finalmente parecchi anni dopo, nel marzo-giugno 1987, sul "Verri" comparve La serie degli armonici con grafici e bibliografia. Ma non è questo che sorprende sui manoscritti, bensì la titanica aspirazione a produrre in poesia la regolazione del tempo propria della musica. Lei mette a confronto la durata del tempo fra una nota e l' altra in musica e quella fra una sillaba e l' altra in poesia riscontrando che "la durata di una sillaba in una sequenza metrica è ancora incerta e non determinabile". Il suo cammino verso il "linguaggio musicale" passa per disegni a penna, grafici, formule matematiche, il tutto in quella carta lucida da disegno degli ingegneri: ecco circonferenze con inseriti triangoli a colori e costruzioni geometriche varie. C' è una introduzione inedita a Spazi metrici, testo più volte edito, che è significativa al riguardo. Forse il suo sforzo comparativo ha prodotto quel singolare, abbastanza straordinario ritmo poetico apprezzato da molti critici. E che dire dei dipinti su carta, a forti colori con varie tecniche pittoriche, di tipo prevalentemente astratto, che riempiono una voluminosa cartella, oppure gli studi su Carte segrete di Scipione (Vallecchi 1943), sul diario e le dieci poesie scritte dal pittore fra il ' 28 e il ' 30? Una curiositas incontenibile per tutte le arti in relazione possibile con la poesia, ma mai petto gonfio o ebollizione dell' euforia creatrice: tutto è esposto con grande, rara, razionalità; del soffio creatore esistente in lei non resta sulla pagina nessuna bolla. Studi su Campana, Penna, su stranieri come Hopkins, Joyce, la Dickinson, la Bachmann, autori a volte solo letti e commentati, a volte tradotti. Carte spesso ingiallite, risalenti agli anni Cinquanta, come il dattiloscritto della prima stesura della Libellula, da inviare subito alla Patologia del libro per salvarlo dai microrganismi. Attenzione alla neoavanguardia, soprattutto ad Antonio Porta, "unico che si stacchi, per originalità di intenti poetici e autenticità di linguaggio, dalla comune presa di posizione estetico-filosofica dei membri del Gruppo 63".

 Chiudiamo ancora con parole sue in un foglio di appunti: "La poesia è frutto di lunghi ragionamenti, di ricerche, di ideali covati a volte per anni"; come dire che è il punto in cui il linguaggio umano si trasforma, in rapporto all' altezza dell' acustica e della forza poetica, in linguaggio della poesia medesima.