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IV. I procedimenti di secondo grado: i ricorsi amministrativi, la revisione d’ufficio e la revoca

La materia relativa ai ricorsi amministrativi e, in generale, ai procedimenti detti di secondo grado, intesi come quelli che hanno per oggetto la riconsiderazione o revisione dei propri atti da parte dell’Amministrazione, sia a richiesta dell’interessato o d’ufficio, globalmente sono stati oggetto di una notevole modificazione da parte della Legge 4/99[51].


All’interno di questa vasta categoria di procedimenti si possono comprendere, nell’ordinamento giuridico spagnolo, i ricorsi amministrativi e i procedimenti di revisione e revoca degli atti amministrativi. Mentre la ratio e il fine dei primi sono fondamentalmente equivalenti nel Diritto italiano e spagnolo —eccetto le normali differenze tipologiche, che studieremo in seguito—, la questione dei procedimenti eseguiti sotto la protezione della cosiddetta autotutela decisoria in senso stretto della Pubblica Amministrazione, presenta notevoli divergenze tra i due ordinamenti. La prima e più importante delle differenze si trova nel fatto che l’ordinamento italiano manca di una disciplina generale intorno ai procedimenti di revisione e di riesame, in quanto questi istituti sono di costruzione eminentemente dottrinale e giurisprudenziale, mentre l’ordinamento spagnolo ne prevede tradizionalmente una regolazione legale organica[52]. Le restanti differenze in questa materia saranno messe in evidenza nel corso dell’esposizione che segue.

IV.1. I ricorsi amministrativi

Il sistema dei ricorsi amministrativi in Spagna ha subito una modificazione trascendentale ad opera della Legge 4/99, come vedremo immediatamente. In seguito esporremo la disciplina di base dei ricorsi amministrativi ordinari —reposición e alzada— e del ricorso straordinario di revisione —recurso extraordinario de revisión—, così come il regime giuridico di base applicabile a tutti essi, secondo la situazione rimasta dopo la riforma del 1999.



La Legge 4/99 regula tre ricorsi amministrativi fondamentali di comune applicazione a tutte le Pubbliche Amministrazioni: ricorsi de reposición, alzada e revisión. In questa sezione non esporremo, per evidenti ragioni legate alla teleologia del presente lavoro, gli strumenti di impugnazione applicabili a determinati settori, come quello tributario, che restano espressamente esclusi dalla normativa sui ricorsi stabilita dalla LAP[53]. Non esporremo neanche in questa sede il regime giuridico di altri rimedi simili ai ricorsi, ma non interamente asssimilabili ad essi, e che trovano la loro espressione concreta nelle cosiddette reclamaciones previas[54].


Prima dell’avvento della LAP 1992, l’ordinamento amministrativo spagnolo disponeva di due tipi di ricorsi amministrativi e un cosiddetto “ricorso straordinario di revisione”, che a rigore non era un ricorso, ma un mezzo di rescissione di provvedimenti amministrativi inoppugnabili, ossia, contro i quali non era possibile la proposizione di nessuno dei due ricorsi precedenti, e inoltre, doveva essere basato su motivi tassativi, come vedremo quando lo analizzeremo, al contrario degli altri due, che erano ordinari precisamente perché potevano essere basati su qualsiasi infrazione dell’ordinamento giuridico.


I ricorsi ordinari erano due, reposición (in opposizione) y alzada (gerarchico). Il loro meccanismo in principio era semplice ed identico a quello italiano. Il primo era un ricorso che doveva essere proposto presso l’organo amministrativo che aveva emesso il provvedimento impugnato, assolvendo materialmente una funzione di conciliazione previa alla via giudiziaria. La sua regolazione era contenuta maggioritariamente nella Legge sulla Giurisdizione Contenzioso-Amministrativa (LJ) del 1956 e si configurava in generale come un ricorso obbligatorio, e pertanto requisito previo per l’ulteriore impugnazione giudiziaria, contro provvedimenti che ponessero fine alla via amministrativa. Tuttavia esso si configurò in certi casi come facoltativo[55]. Anche il recurso de alzada era un ricorso obbligatorio contro atti che non ponessero fine alla via amministrativa (art. 122.1 LPA 1958), ossia, contro atti dettati da organi che avessero un superiore gerarchico, a meno che una norma stabilisse che contro di essi non sarebbe stato possibile alcun ricorso amministrativo.


La situazione era pertanto molto simile a quella in cui si trovavano il ricorso gerarchico e il ricorso in opposizione nell’ordinamento italiano prima dell’abolizione della loro obbligatorietà da parte dell’art. 20 della Legge TAR del 1971[56].


La LAP 1992 introdusse una modificazione sostanziale in materia unificando i ricorsi amministrativi ordinari in uno solo, appunto chiamato recurso ordinario, al fine di esaurire la via amministrativa in un solo ricorso[57]. Tale ricorso ordinario non era altro che quello precedentemente denominato recurso de alzada, che veniva ora deciso dall’organo gerarchico superiore a quello che aveva dettato il provvedimento oggetto del ricorso e continuava ad essere configurato come obbligatorio. La nuova Legge comportava perciò l’eliminazione del recurso de reposición, anche a carattere facoltativo. Di conseguenza, gli atti che in precedenza erano sottoposti all’opposizione, dovevano se mai, essere impugnati direttamente in via giurisdizionale. In alternativa al ricorso in opposizione e al suo scopo conciliatore, il legislatore del 1992 introdusse l’obbligo per gli interessati di comunicare all’amministrazione l’interposizione del ricorso giurisdizionale[58].


L’eliminazione del ricorso in opposizione a carattere facoltativo senza dubbio è stato uno degli aspetti della LAP che ha suscitato più critiche[59]. Infatti, oltre alla perdita di garanzie per l’amministrato —che in questi casi era forzato ad optare per l’accettazione della decisione amministrativa o a intraprendere un ricorso giudiziario sproporzionatamente gravoso nella maggior parte delle occasioni—, la soppressione del ricorso amministrativo ebbe effetti sensibili sugli enti locali, posto che i provvedimenti dei loro organi ponevano sempre fine alla via amministrativa, spodestandoli così dell’unico mezzo che avevano a disposizione per tornare sulle proprie decisioni. Il legislatore del 1992 dimenticò due importanti circostanze: da un lato che la soppressione del ricorso amministrativo come meccanismo di difesa a carattere facoltativo avrebbe incrementato considerabilmente il flusso di ricorsi presso una giurisdizione contenzioso-amministrativa sull’orlo del collasso; dall’altro che, per circostanze di diversa indole, l’Amministrazione locale era quella che presentava meno remore quando bisognava rettificare i suoi atti amministrativi[60].


Il legislatore spagnolo ha cercato con la riforma del 1999 di correggere questa situazione in conformità con i modelli che la dottrina scientifica aveva suggerito. Tuttavia, la correzione non fu così profonda come sarebbe stato auspicabile. Infatti, benché sia stato recuperato il ricorso de reposición —configurato, però, come ricorso ordinario facoltativo—[61], non si è soppresso tuttavia il carattere obbligatorio del ricorso ordinario che, oltre a recuperare il nomen iuris che già prevedeva la LPA per diventare nuovamente ricorso de alzada, continua ad essere caratterizzato come requisito previo all’accesso giurisdizionale; un aspetto che contrasta con la situazione vigente nell’ordinamento italiano che, in questo campo, è diventato un punto di riferimento per la dottrina spagnola[62].


IV.1.a. Principi generali dei ricorsi amministrativi



Insieme alla trascendentale eliminazione del ricorso de reposición, la LAP 1992 introduceva la possibilità che il ricorso ordinario potesse venire sostituito in determinati settori, quando la specificità della materia lo giustificasse e in virtù di una norma legale, da altri procedimenti d’impugnazione o reclamo, compresi quelli di conciliazione, mediazione e arbitraggio —art. 107.3 LAP—[63]. La Legge 4/99 ha mantenuto questa disposizione, senza dubbio al fine di dare un impulso definitivo alla via convenzionale per la conclusione di procedimenti amministrativi, come mezzo più efficace per la riduzione della litigiosità contenzioso-amministrativa. Benché la norma dell’art. 107.3 non sia praticamente applicata[64], la legge di riforma ha stabilito un termine di diciotto mesi perché il Governo consegni al legislatore uno o più disegni di legge nei quali vengano regolati i suddetti procedimenti alternativi ai ricorsi ordinari —disp. agg. 2ª—.


L’elemento oggettivo determinante per distinguere i ricorsi gerarchici e in opposizione consiste nel tipo di atto che può essere sottoposto all’uno o all’altro tipo di ricorso. In questo senso, bisogna tener conto se l’atto pone fine alla via amministrativa o meno, giacché nel primo dei casi, il ricorso pertinente sarà quello in opposizione —o direttamente quello contenzioso-amministrativo—, mentre nel secondo sarà pertinente il ricorso gerarchico.



Chiamiamo via amministrativa la catena formata dai successivi organi gerarchizzati di un’organizzazione. L’art. 109 LAP, riformato dalla Legge 4/99, segnala quali sono gli atti che mettono fine alla via amministrativa e che, pertanto, in principio possono solo essere impugnati giudiziariamente, a meno che il privato non decida di proporre contro di essi il ricorso facoltativo in opposizione. La regola generale consiste che pongono fine a tale via gli atti dettati da organi sprovvisti di superiore gerarchico, così come quelli da cui vengono decisi i ricorsi gerarchici —o i procedimenti sostitutivi a cui abbiamo fatto riferimento—. Bisogna ricordare che l’atto con cui si provvede sul ricorso gerarchico, non solo mette fine alla via amministrativa, ma che è inoppugnabile in tale via, ossia, contro di esso non è possibile il ricorso facoltativo in opposizione, come chiarisce l’art. 115.3 LAP. Con ciò si conseguono vari obbiettivi: da un lato, si evita che l’interessato debba raggiungere la cuspide dell’organizzazione per rivolgersi alla via giudiziaria, circostanza che, a proposito, si dava nell’ordinamento spagnolo fino al 1963 mediante la necessità di una doppia alzada; dall’altro la proibizione che l’atto di decisione del ricorso gerarchico possa essere oggetto di opposizione facoltativa, elimina la sterile possibilità che i due ricorsi possano succedersi, possibilità che fu istituzionalizzata nell’ordinamento spagnolo mentre era in vigore la LPA del 1958, che, come abbiamo visto, permetteva l’interposizione facoltativa del ricorso in opposizione contro gli atti risolutivi di altri impugnati.


Con alcune modifiche di scarsa importanza introdotte dalla Legge 4/99, l’art. 110 LAP contempla i requisiti minimi che deve avere l’istanza di proposizione di qualsiasi ricorso[65], mantenendo la regola antiformalistica consistente nel non considerare rilevante l’errore dell’interessato nella qualificazione del ricorso, sempre che dalla domanda di interposizione si possa dedurre il suo vero carattere. Infine la Legge 4/99, coerentemente con l’introduzione del ricorso in opposizione, ha confermato l’eliminazione del requisito della comunicazione previa all’Amministrazione in caso di impugnazione giudiziaria degli atti amministrativi, che già aveva effettuato la LJ 1998.


Una delle novità più rilevanti introdotte dalla Legge 4/99 in materia di ricorsi amministrativi, consiste nel nuovo regime di sospensione degli atti amministrativi impugnati —art. 111 LAP—. La regola generale in materia è che l’interposizione del ricorso amministrativo —anche se lo stesso si può dire del ricorso giurisdizionale—, salvo che una norma stabilisca il contrario, non sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato[66]. Come già disponeva la redazione originaria della LAP, quando la norma non dispone espressamente la sospensione automatica dell’atto, l’organo competente per la decisione del ricorso potrà accordarla a seconda se intervengono o meno determinate circostanze.


In primo luogo, essa potrà essere concessa solo quando l’esecuzione può causare danni di impossibile o difficile riparazione (art. 111.2.a LAP), oppure quando l’impugnazione si basa su una delle cause di nullità di pieno diritto dell’art. 62.1 (art. 111.2.b LAP). Se intendiamo che ciò che la norma persegue è l’intervento dei due elementi classici di cui bisogna tener conto per l’adozione di misure di sospensione —periculum rei e fumus boni iuris—, bisogna concludere che, perché l’organo decreti la misura, non sarà sufficiente la mera allegazione da parte dell’interessato di una causa di nullità, bensì bisognerà ricercare, anche se in modo preliminare, la consistenza di detta causa[67]. Se interviene qualcuna delle cause appena menzionate, l’organo potrà solo sospendere l’esecutività dell’atto previa ponderazione, sufficientemente ragionata, del danno che la sospensione causerebbe all’interesse pubblico o a terzi, e il danno che si causa al ricorrente a conseguenza dell’efficacia immediata dell’atto impugnato (art. 111.2 LAP).


La Legge di riforma mantiene una misura certamente favorevole all’interessato, consistente nel fatto che l’efficacia dell’atto impugnato si intenderà sospesa (silenzio assenso) se, decorsi trenta giorni da quando la richiesta di sospensione fa il proprio ingresso nell’ufficio del registro dell’organo decidente, questo non avesse ancora emesso provvedimento espresso al riguardo (art. 111.3 LAP)[68].


Per il resto la norma permette che l’organo competente, nel momento di pronunciarsi sulla sospensione, possa adottare delle “contromisure”, ossia misure cautelari necessarie ad assicurare la protezione dell’interesse pubblico o di terzi e l’efficacia del provvedimento o atto impugnato. Tra le suddette misure si trova la cauzione o garanzia sufficiente, la cui prestazione da parte dell’interessato è obbligatoria nel caso di atti dalla cui sospensione potrebbero derivare danni di qualsiasi natura (art. 111.4 LAP).


Ma la vera novità della Legge 4/99 in materia di sospensione dell’atto impugnato, consiste nella possibilità di prolungare la sospensione, accordata nel procedimento di ricorso, oltre la via amministrativa, sempre che vi sia la misura cautelare e che i suoi effetti si estendano alla via contenzioso-amministrativa. Se l’interessato propone ricorso giudiziario contro l’atto sospeso e richiede all’organo giurisdizionale la sospensione dello stesso in via processuale, quest’ultima avrà effetto fintanto che il Giudice o Tribunale si sarà pronunciato sulla richiesta di sospensione.



Essendo il ricorso amministrativo uno dei tanti procedimenti, ad esso saranno applicabili le norme e l’iter a tutti comuni, soprattutto quelle relative all’istruttoria (artt. 78-86 LAP). Tuttavia, e dato che si tratta di un procedimento che ha per oggetto la revisione di un procedimento già concluso, la realizzazione di nuovi atti procedimentali logicamente sarà limitata. Al riguardo, la LAP dispone che il tramite di udienza agli interessati sarà precettivo nella via di ricorso solo quando intervengono certi requisiti: quando si debbano considerare nuovi fatti o documenti non presenti nel procedimento originario o se sono comparsi nuovi interessati al ricorso. In qualsiasi caso, i documenti o fatti nuovi, o semplicemente il ricorso, a seconda dei casi, saranno trasmessi agli interessati, entro un termine non inferiore a dieci giorni e non superiore a quindici, affinché possano presentare le memorie scritte e i documenti che ritengano opportuni.


Il provvedimento del ricorso potrà adottare tre contenuti essenziali: dichiarare l’inammissibilità del ricorso, accoglierlo o rigettarlo. Quando l’invalidità dell’atto deriva da un vizio di forma che impedisce dettare un provvedimento nel merito, verrà ordinata la regressione del procedimento al momento in cui fu commesso il vizio, a meno che tale vizio possa essere convalidato in conformità con la norma corrispondente. Infine vengono stabilite due misure cautelari di notevole importanza: la necessità per la pronuncia del ricorso di essere congruente con tutte le questioni suscitate nel procedimento, siano esse state allegate dagli interessati o meno; nonché la proibizione espressa della reformatio in peius, secondo la quale in nessun caso il ricorso può aggravare la situazione iniziale dei ricorrenti.


IV.1.b. Il recurso de alzada


Abbiamo già fatto riferimento alla natura e alla meccanica di base di questo ricorso. Adesso passiamo ad analizzare sommariamente alcune delle norme specifiche che lo regolano.


Dal punto di vista soggettivo, benché il ricorso de alzada venga risolto dall’organo gerarchico superiore a quello che adottò l’atto impugnato, la LAP permette che esso possa essere proposto presso l’organo che dettò l’atto impugnato, nel qual caso esso dovrà rimetterlo all’organo competente entro dieci giorni, accompagnandolo con una relazione e una copia del procedimento, in quanto la norma stabilisce la responsabilità diretta in caso di inadempienza di questo dovere (art. 114.2 LAP).


In congruenza con il nuovo regime del silenzio amministrativo introdotto dalla Legge 4/99 e con l’intensificazione delle garanzie dell’amministrato nei confronti dell’inattività formale delle Pubbliche Amministrazioni, l’art. 115 LAP stabilisce differenti termini per la proposizione del ricorso gerarchico, a seconda che l’atto contro il quale si ricorre sia espresso o presunto. Nel primo caso, il termine è di un mese; nel secondo di tre. Trascorsi questi termini senza che vi sia stata presentazione di ricorso, il provvedimento viene considerato inoppugnabile a tutti gli effetti. Come abbiamo detto in precedenza, il provvedimento tramite il quale si risolve il ricorso gerarchico è inoppugnabile in via amministrativa, nella misura in cui non è suscettibile di nessun altro ricorso amministrativo ordinario —mentre lo è di ricorso straordinario di revisione, nel caso sia pertinente (art. 115.3 LAP)—, ed è solo possibile proporre contro di esso il ricorso giurisdizionale. Nel caso di non interposizione di ricorso gerarchico entro i termini, l’atto originario diventa inoppugnabile a tutti gli effetti, vale a dire che, trattandosi di un ricorso obbligatorio ai fini dell’interposizione dell’ulteriore ricorso giurisdizionale, in tal caso l’atto non potrà più essere impugnato giudiziariamente e sarà quindi inoppugnabile in via amministrativa senza che sia possibile interporre ricorso giurisdizionale, in altre parole, sarà inoppugnabile nelle vie amministrativa e giudiziaria.


L’Amministrazione dispone di un termine legale di tre mesi per provvedere e notificare il ricorso. In caso che il provvedimento espresso non sia dettato e notificato entro tale termine, il senso del silenzio sarà di rifiuto, in applicazione della regola dell’art. 43.2 LAP. Tuttavia, il silenzio avrà significato «positivo» se interviene il caso eccezionale previsto all’art. 43.2. § 2º LAP, ovverosia, quando non si provveda espressamente entro i termini al ricorso gerarchico proposto contro un precedente silenzio «negativo».

IV.1.c. Il recurso de reposición


Così come accadeva con il ricorso gerarchico, passiamo ad esporre alcune peculiarità del ricorso in opposizione. Questo ricorso facoltativo impedisce che la via giudiziaria possa essere avviata fin tanto che tale ricorso sia stato deciso espressamente o sia stato rifiutato per silenzio; silenzio di significato «negativo» che nel caso del ricorso in opposizione avverrà sempre in quanto l’eccezione al silenzio «negativo» nell’ambito dei ricorsi contemplata dall’art. 43.2 § 2º LAP, comprende solo il ricorso gerarchico.



Anche il termine per l’interposizione del ricorso in opposizione è diverso a seconda che l’atto oggetto del ricorso sia espresso o fittizio: rispettivamente uno e tre mesi. Dato che il ricorso in opposizione è facoltativo, una volta trascorso il termine corrispondente senza che esso sia stato interposto, l’atto diventa inoppugnabile in via amministrativa, e l’unica possibilità che resta aperta è quella del ricorso contenzioso-amministrativo o, in caso fosse pertinente, il ricorso straordinario di revisione, senza che sia possibile, come già stabiliva la LPA 1958, proporre lo stesso ricorso contro la decisione dell’opposizione. Il termine massimo per provvedere e notificare il ricorso in opposizione è di un mese.


IV.1.d. Il recurso extraordinario de revisión



Come è già stato anticipato, il cosiddetto ricorso straordinario di revisione è un mezzo autonomo di rescissione di provvedimenti inoppugnabili, che può essere proposto solo quando interviene una delle circostanze che la LAP stabilisce in modo tassativo. Questo rimedio è il riflesso di un meccanismo di analoga funzionalità esistente, con identica denominazione e motivi simili, in tutti gli ambiti giurisdizionali spagnoli e mediante il quale si può “richiedere —per alcune cause specifiche e tassative— la «riapertura» di un processo precedente già terminato, e una nuova analisi di un provvedimento giudiziario che, per definizione, risulta inattaccabile: la sentenza passata in giudicato”[69]. Anche se in alcune occasioni si è dubitato della loro giustificazione, i motivi per i quali può essere proposto, come vedremo in seguito, presuppongono un lodevole esempio di anteporre la giustizia materiale del caso alla certezza giuridica che implica il carattere essenzialmente inattaccabile di certe decisioni.



Il ricorso di revisione, da non confondersi con l’omonimo procedimento che andiamo ad analizzare, può essere proposto contro atti inoppugnabili in via amministrativa, cioè quelli contro i quali, per qualsiasi motivo, non sia possibile nessun ricorso amministrativo ordinario. La redazione originale della LAP 1992, consentiva questo ricorso contro gli atti che esauriscano la via amministrativa o contro i quali non sia stato proposto ricorso amministrativo entro il termine, essendo stata adottata dalla Legge di riforma una formula più semplice e comprensiva.


Il ricorso di revisione deve essere proposto e deciso dallo stesso organo amministrativo che aveva dettato l’atto e per una delle cause indicate all’art. 118.1 LAP: 1ª che nel dettare il provvedimento si fosse incorsi in un errore di fatto, che risulti dai documenti facenti parte del procedimento; 2ª che compaiano documenti di valore essenziale per la decisione della questione che, anche se posteriori, mettano in evidenza l’errore del provvedimento impugnato; 3ª che sul provvedimento abbiano influito essenzialmente documenti o testimonianze dichiarate false da una sentenza giudiziaria con forza di giudicato, anteriore o posteriore a quel provvedimento; 4ª che il provvedimento fosse stato dettato a conseguenza di una prevaricazione, corruzione, violenza, macchinazione fraudolenta o altra condotta perseguibile e così sia stato dichiarato in virtù della sentenza giudiziaria passata in giudicato.


I termini per la proposizione del ricorso variano a seconda del motivo addotto dal ricorrente; se si tratta del primo, il termine sarà di quattro anni; negli altri casi il termine sarà di tre mesi a partire dalla conoscenza dei documenti o da quando la sentenza giudiziaria è diventata inoppugnabile. La LAP dichiara espressamente la compatibilità di questa via con i procedimenti di revisione d’ufficio e di rettificazione di errori materiali, di fatto o aritmetici previsti dalla legge stessa.


Infine la LAP prevede la possibilità che venga accordata l’inammissibilità del ricorso in limine litis, senza altre formalità, quando esso non è fondato su una delle cause menzionate sopra, così come nell’ipotesi che ricorsi sostanzialmente uguali fossero stati rifiutati nel merito. In caso di dichiarazione dell’ammissibilità, l’organo competente dovrà pronunciarsi nel merito della questione provveduta dall’atto impugnato. Per il resto, il legislatore fa entrare in gioco in questa materia il silenzio «negativo», di modo che, trascorsi tre mesi senza che sia stato dettato o notificato alcun provvedimento espresso nel procedimento del ricorso di revisione, esso si intenderà rifiutato, e per l’interessato resterà aperta la via giurisdizionale contenzioso-amministrativa.


IV.2. La revisione d’ufficio dei provvedimenti amministrativi e regolamenti nulli


La revisione è un procedimento formalizzato mediante il quale la Pubblica Amministrazione, al dilà delle vie di ricorso, torna sui propri atti favorevoli agli interessati (atti accrescitivi) per motivi di legalità e, se pertinente, li annulla o li dichiara lesivi dell’interesse pubblico e li impugna presso la giurisidizone contenzioso-amministrativa.


All’interno del genus della revisione regolata al Capitolo I del Titolo VII LAP, l’art. 102, riformato dalla Legge 4/99, prevede la revisione di atti e disposizioni nulli di pieno diritto, cioè incorsi in uno dei casi citati all’art. 62.1 e 2 LAP[70]. Il Diritto Amministrativo spagnolo cerca di distinguere chiaramente due specie di invalidità negli atti amministrativi: la nullità radicale e l’annullabilità, stabilendo un elenco di vizi che danno adito alla nullità e configurando, invece, l’annullabilità con carattere aperto[71]. A differenza degli atti amministrativi, l’unica invalidità in cui possono incorrere i regolamenti nel Diritto spagnolo è la nullità radicale, siano essi interessati da vizi di procedimento o di contenuto. Le ragioni per cui è stata stabilita una sanzione così severa in rapporto alle norme dell’Amministrazione sta, tra altre di notevole trascendenza, nella redazione stessa dell’art. 62 LAP, che separa chiaramente i regimi di invalidità degli atti e dei regolamenti[72]. Tutto ciò, fermo restando che la regola generale d’invalidità per gli atti amministrativi sia l’annullabilità, mentre la nullità si pone come categoria di applicazione tassativa[73].


L’oggetto della revisione sono atti amministrativi favorevoli agli interessati che abbiano posto fine alla via amministrativa o non siano stati tempestivamente impugnati, nonché disposizioni generali[74]. Il concetto stesso di atto favorevole merita un breve commento. Praticamente fino alla LPA 1958 non venne riconosciuta legalmente all’Amministrazione spagnola la possibilità di revisionare ex se i suoi stessi atti dichiarativi di diritti per motivi di legalità. Essa era obbligata, se voleva eliminarli, a dichiararli lesivi degli interessi pubblici e ad impugnarli ulteriormente presso la Giurisdizione amministrativa, di modo che il principio generale era quello dell’irrevocabilità degli atti dichiarativi di diritti, mentre vi era una regola implicita intorno alla più o meno libera revocabilità degli atti non dichiarativi di diritti o ablatori[75]. La LPA 1958 introdusse la possibilità di revisionare d’ufficio, e quindi di annullare, gli atti dichiarativi di diritti che incorressero in vizi di nullità o annullabilità —in quest’ultimo caso con infrazione manifesta della legge—, mentre per i restanti atti favorevoli invalidi restava la necessità di ricorrere al processo di lesività. La LAP 1992 confermava questa possibilità di revisione degli atti dichiarativi di diritti nulli e gli annullabili con infrazioni gravi[76]. Come vedremo, la possibilità di revisione di atti favorevoli annullabili è stata eliminata dalla Legge 4/99, che, in relazione a questo tipo di atti, ha mantenuto unicamente la possibilità di ricorrere al processo di lesività.


Per quanto riguarda l’iniziativa del procedimento, essa può provenire sia dalla stessa Amministrazione autrice dell’atto o della disposizione, nel qual caso si parla propriamente di revisione d’ufficio, sia dagli interessati, attraverso quella che è stata denominata azione di nullità. Tuttavia, nel caso delle disposizioni generali, l’iniziativa potrà essere solo dell’Amministrazione, in quanto la Legge 4/99 non ha previsto la possibilità di esercitare l’azione di nullità[77].


Questa facoltà può essere esercitata in qualsiasi momento, anche se si deve tener conto dei limiti stabiliti all’art. 106 LAP[78]. La possibilità di esercitare sempre la facoltà di revisione, sia d’ufficio o per esercizio dell’azione imprescrittibile da parte del privato, è conseguenza dell’impossibilità di rimediare ai vizi di nullità con il mero scorrere del tempo (regola quod ab initium nullum est, tractu tempore convalescere non potest); orbene, la possibilità di agire contro gli atti nulli in qualsiasi momento viene ricondotta unicamente a questa via, di modo che l’allegazione di un vizio di nullità attraverso un ricorso amministrativo dovrà essere condotta entro i brevi termini di scadenza previsti per la sua proposizione[79].


Per quanto riguarda il procedimento da seguire nella revisione, esso sarà il procedimento comune regolato al Titolo VI della LAP, nonostante che la Legge di riforma abbia soppresso il rimando a tale procedimento contenuto nella redazione originaria dell’art. 102.2 LAP. Sarà comunque precettiva l’udienza agli interessati ai sensi dell’art. 84 LAP. Più problematica si presenta invece l’udienza agli interessati al procedimento di revisione di regolamenti, a causa della rilevanza generale che generalmente hanno le loro norme, cosa che può rendere impraticabile l’udienza a tutti i singoli interessati, nei termini previsti dall’art. 84[80].


Per procedere all’annullamento è necessario il parere favorevole del Consiglio di Stato o dell’organo autonomico equivalente. Il riferimento all’equivalenza dell’organo consultivo regionale con il Consiglio di Stato è stato ugualmente introdotto dalla Legge 4/99. Si tratta, in ogni caso, di una questione polemica in cui si verifica una tensione tra le potestà di auto-organizzazione delle Comunità Autonome e la necessità di garantire agli amministrati uguale trattamento davanti a tutte le Pubbliche Amministrazioni, vera ratio del procedimento comune regolato dalla LAP 1992, secondo quanto consta espressamente nell’art. 149.1.18ª CE[81].


Nel caso della revisione di disposizioni generali, data la diversa redazione dell’art. 102.2 LAP —dove si dice “potranno”, invece di “dichiareranno” a cui fa riferimento l’art. 102.1 LAP riguardo alla revisione degli atti—, si è inteso che non vi è vincolo al parere dell’organo consultivo, di modo che anche se questo è favorevole all’annullamento, l’Amministrazione può decidere di non annullare il regolamento. La Legge 4/99 ha introdotto il vincolo al parere favorevole dell’organo consultivo in relazione alla revisione degli atti amministrativi e, introducendo espressamente la revisione delle disposizioni generali, sembra aver disposto il carattere ostativo, e non vincolante, di tale parere, di modo che, contrariamente a quanto accade con la revisione degli atti, in cui l’Amministrazione dovrà imperativamente annullare in caso di parere favorevole, quando si tratta di regolamenti, il suo annullamento sarà possibile, anche se non obbligatorio, solo in caso di parere favorevole. Riguardo agli atti intendiamo che non è possibile, pertanto, che emesso il parere consultivo favorevole alla nullità, l’Amministrazione decida di non dichiararla[82].


Per quanto concerne gli organi che, in ogni Amministrazione, sono competenti per la revisione, in quella dello Stato bisogna ricorrere alla disp. agg. 16ª LOFAGE, in cui si attribuisce detta competenza agli organi gerarchicamente superiori a quelli che emisero l’atto oggetto di revisione —salvo l’eccezione logica del Consiglio dei Ministri su cui ricade la competenza di revisionare i propri atti—. Viene così accantonata la possibilità per l’Amministrazione dello Stato che la revisione sia condotta dallo stesso organo che aveva emesso l’atto[83]. Riguardo alle Comunità Autonome, bisognerà attenersi alle loro norme sul governo e l’amministrazione che, in talune occasioni, contengono un regime di competenze non speculare rispetto a quello dello Stato[84]. Nel caso degli enti locali, la competenza spetta all’organo di natura assembleare (pleno), come stabilito all’art. 110.1 LBRL.


La Legge 4/99 introduce ex novo nell’art. 102.3 la possibilità che l’organo competente per la revisione possa, senza bisogno di chiedere il parere consultivo, dichiarare motivatamente in limine litis l’inammissibilità delle richieste di revisione in tre casi: quando non siano basate su una delle cause di nullità di cui all’art. 62 LAP, quando manchino manifestamente di fondamento o quando fossero state rifiutate nel merito richieste sostanzialmente uguali.

Per quanto riguarda la prima delle cause di inammissibilità, un’interpretazione eccessivamente rigorosa non pare conveniente. Se la revisione è un procedimento eseguito sotto gli auspici della potestà di autotutela dell’Amministrazione, il cui scopo sta, al dilà delle concrete posizioni soggettive dei singoli, nel vincolo al principio della legalità e la depurazione oggettiva delle illegalità a beneficio della comunità[85] e se, inoltre, intendiamo come nota caratteristica della nullità il suo riguardare beni giuridici riconducibili alla nozione di “ordine pubblico”, ossia di notevole trascendenza per l’interesse generale, dovremo per forza concludere che il mero appellarsi dell’interessato a un vizio altro che quello di nullità, non può esimere l’Amministrazione dal dovere di indagare l’effettiva natura del vizio allegato, sebbene esso non sia riconducibile, in virtù del solo contenuto formale dell’esposto dell’interessato, a una delle cause indicate all’art. 62.1 LAP[86]. Contro il provvedimento di inammissibilità si potranno proporre i ricorsi pertinenti, in quanto si tratta di atti endoprocedimentali qualificati[87].



L’art. 102.4 LAP prevede la possibilità di risarcire i danni causati ai privati come conseguenza dell’annullamento degli atti o disposizioni, sempre che intervengano i requisiti che la stessa LAP esige per la determinazione della responsabilità extracontrattuale delle Pubbliche Amministrazioni —artt. 139.2 e 141.1—, cioè: danno effettivo, valutabile economicamente e individualizzato in relazione a una persona o ad un gruppo di persone, nonché la provenienza della lesione obbligatoriamente da un danno che il soggetto non abbia il dovere giuridico di sostenere secondo la legge. Si avverte infine che potranno sussistere gli atti inoppugnabili emessi in applicazione di un regolamento annullato per questa via, cosa che costituisce una novità solo parziale della Legge 4/99. Tale precisazione si trovava infatti già nell’art. 120 LPA 1958, benché la legge di riforma la introduca per la prima volta in sede di revisione. Ci soffermeremo ora su queste due precisazioni.


Per quanto concerne la determinazione dei risarcimenti pertinenti in caso di annullamento dell’atto o disposizione, si è inteso che essi possono essere sia quelli che spettano in funzione delle lesioni causate dall’atto o dalla disposizione nulli, sia quelli pertinenti in ragione dell’annullamento dei suddetti atti o disposizioni. Sembra infatti che la Legge si limiti a fare riferimento a questa seconda possibilità, ma l’inclusione di un ultimo inciso relativo alla sopravvivenza degli atti inoppugnabili emessi in applicazione di una disposizione annullata avallano questa interpretazione[88].



La questione della sussistenza degli atti inoppugnabili emessi sotto la vigenza di un regolamento annullato, non è una questione del tutto indiscussa nell’ordinamento spagnolo, fondamentalmente a causa delle ripetute ambiguità del legislatore, che, in un primo momento equiparò la deroga e l’annullamento, almeno in quanto a effetti[89]. Inoltre, le soluzioni legali a questa situazione non sono identiche rispetto a tutte le istanze con competenze di annullamento di norme, per cui non è possibile stabilire un criterio uniforme. Si tratta quindi di una vexata quaestio, il cui studio dettagliato non è opportuno in questa sede[90].



L’art. 104 LAP stabilisce la possibilità di sospendere l’esecuzione dell’atto quando da essa potessero derivare danni difficili o impossibili a riparsi, misura che si deve intendere estesa ai procedimenti di lesività di atti annullabili e, forse a maggior ragione, a quelli di revoca di provvedimenti sfavorevoli o ablatori, e che già si trovava nella redazione originaria della LAP.



Quanto agli effetti della mancanza di provvedimento espresso, l’art. 102.5 LAP dispone che il termine per decidere il procedimento è di tre mesi. Su questo punto la riforma ha inciso in modo sensibile. Prima che essa venisse attuata, la mancanza di provvedimento espresso entro il termine aveva sempre come conseguenza il silenzio rifiuto, indipendentemente dal modo di avvio del procedimento. Dopo la riforma, in caso che l’Amministrazione non avesse provveduto espressamente entro quel termine, se il procedimento era stato avviato d’ufficio —in ogni caso quello avente per oggetto disposizioni generali—, si verificherà la caducazione del medesimo; se invece fosse stato avviato ad istanza dell’interessato, si intenderà che è stato rifiutato per silenzio. Anche se tale precetto non fa riferimento alla notificazione, ma al provvedimento, come momento a partire dal quale bisogna intendere che si è verificato il silenzio, consideriamo che sia da applicarsi la nuova disciplina introdotta al riguardo dalla Legge 4/99, e pertanto sarà la mancanza di notificazione —non di provvedimento— in quei tre mesi a determinare la formazione del silenzio.


Infine, contro il provvedimento che conclude il procedimento di revisione, sia esso espresso o fittizio, si potrà proporre il ricorso amministrativo o contenzioso-amministrativo, a seconda dei casi. Su questo punto la Legge 4/99 ha eliminato il riferimento della redazione precedente all’impossibilità di ricorrere tale provvedimento in via amministrativa, mentre era possibile farlo in via giursdizionale. In questo modo adesso, a seconda che l’atto tramite il quale si provvede alla revisione esaurisca o meno la via amministrativa, si potrà sollevare contro lo stesso ricorso facoltativo in opposizione o contenzioso-amministrativo, oppure ricorso gerarchico rispettivamente.


IV.3. La dichiarazione di lesività dei provvedimenti amministrativi annullabili


Nonostante abbiamo incluso la dichiarazione di lesività degli atti annullabili all’interno della categoria generica della revisione, e che lo stesso abbia fatto la legislazione spagnola sul procedimento dal 1958 in avanti —e faccia oggi la LAP dopo la riforma—, in senso stretto, la revisione di atti annullabili non esiste più dopo la Legge 4/99. Precedentemente ad essa e dal 1958, la Pubblica Amministrazione poteva revisionare entro un termine di quattro anni, e quindi annullare, gli atti dichiarativi di diritti viziati che infrangessero gravemente norme di rango legale o regolamentare. Se l’Amministrazione voleva eliminare quelli che non la infrangevano in tal modo, invece, doveva procedere, entro lo stesso termine di quattro anni, a dichiarali lesivi dell’interesse pubblico e a impugnarli ulteriormente presso la Giurisdizione contenzioso-amministrativa[91]. In questo modo la legge di riforma torna al regime precedente alla LPA 1958, che partiva dal principio generale dell’irrevocabilità degli atti favorevoli invalidi, ad eccezione di quelli che fossero stati nulli a radice. In seguito alla Legge 4/99, nei confronti degli atti annullabili favorevoli resta solo quest’ultima possibilità offerta dal processo di lesività, indipendentemente dalla gravità dell’infrazione commessa dall’atto annullabile. Questo procedimento per la dichiarazione di lesività viene regolato all’art. 103 LAP. Prima di passare ad esporre il regime del processo di lesività conviene fare alcune precisazioni sulla revisione degli atti annullabili ora eliminata.



Il procedimento di revisione di atti annullabili che regolava la LAP 1992, presentava una fisionomia molto simile alla revisione degli atti nulli. Esso poteva essere avviato d’ufficio da parte dell’Amministrazione o a richiesta dell’interessato ed era obbligatorio il parere del Consiglio di Stato o, nel caso, dell’organo consultivo della Comunità Autonoma. Ma la LAP introdusse modifiche importanti in questa materia in rapporto alla disciplina del 1958. Eliminò così il carattere ostativo del parere dell’organo consultivo, relegandolo a una funzione meramente precettiva; introdusse la possibilità di avvio del procedimento su istanza dell’interessato —introducendo così una sorta di “azione di annullabilità” che poteva essere esercitata in un termine molto superiore a quello dei ricorsi— e ampliò le possibilità della revisione, a scapito del processo di lesività, agli atti annullabili dichiarativi di diritti che infrangessero “gravemente norme di rango legale o regolamentare”, quando la redazione della LPA 1958 limitava tale revisione agli atti che infrangessero “manifestamente la legge”. La maggior parte di queste modifiche furono criticate dalla dottrina[92].



Questa e altre circostanze, come la dichiarata intenzione di equiparare nella materia le posizioni di Amministrazione e amministrato[93], hanno deciso il legislatore del 1999 a eliminare la revisione di atti annullabili, mantenendo esclusivamente la possibilità di dichiararli lesivi dell’interesse pubblico e la sua ulteriore impugnazione presso la Giurisdizione contenzioso-amministrativa.



L’oggetto della dichiarazione di lesività sono atti amministrativi “favorevoli” viziati di annullabilità, ossia incorsi in uno dei casi di cui all’art. 63 LAP[94]. La precedente redazione dell’art. 103 LAP esigeva come presupposto della revisione o dichiarazione di lesività di atti annullabili che essi fossero “dichiarativi di diritti”. Questo cambiamento terminologico presenta conseguenze significative a beneficio delle garanzie dell’amministrato nei confronti dell’esercizio delle facoltà di autotutela dell’Amministrazione. Con la precedente redazione, se l’atto era favorevole all’interessato, ma non riconosceva a suo favore un diritto soggettivo, poteva essere liberamente revocato dall’Amministrazione secondo l’art. 105 LAP[95]. A partire dalla riforma del 1999, si deve ritenere che qualsiasi atto favorevole invalido, riconosca esso o meno un diritto soggettivo al singolo, può solo essere sottoposto a uno dei procedimenti formalizzati previsti agli artt. 102 e 103 LAP. La revoca, come vedremo, resta riservata ai provvedimenti ablatori o sfavorevoli.[96]



L’iniziativa del procedimento spetta in questo caso solo alla Pubblica Amministrazione. Detto procedimento sarà quello comune, in quanto l’art. 103.2 in fine LAP esige l’udienza precettiva di quanti compaiano come interessati. Anche se questa precisazione può in un certo modo essere considerata superflua, la giurisprudenza era venuta qualificando la dichiarazione di lesività come un atto interno, in cui non era precettiva l’udienza all’interessato, che già disponeva della possibilità di allegare quanto stimasse conveniente nell’ulteriore processo giurisdizionale[97].



Così come accadeva con la revisione d’ufficio di atti nulli —e specialmente di disposizioni generali, che non possono essere considerate oggettivamente come atti favorevoli né sfavorevoli—, la necessità dell’udienza agli interessati in tutti questi procedimenti —indipendentemente dal loro modo d’avvio—, intendendo per interessati sia coloro che sono beneficiati dall’atto o regolamento revisionato, sia chi abbia un interesse legittimo alla sua eliminazione, non trova un regime interamente simmetrico e coerente nella previsione della caducazione come conseguenza dell’inattività dell’Amministrazione durante il termine massimo stabilito per la dichiarazione espressa della lesività. In altre parole, la caducazione, come dichiarazione di effetti meramente procedimentali, impedisce che gli interessati, a cui era stata data udienza e che avevano un interesse nell’eliminazione dell’atto o norma, possano ricorrere. Ciò altro non è che la decisione tacita dell’Amministrazione di non annullare l’atto o disposizione o di non dichiararlo lesivo dell’interesse pubblico[98].



Il termine per poter dichiarare lesivo un atto annullabile, è di quattro anni dalla sua emissione —art. 103.2 LAP—, estremo in cui la riforma non ha introdotto alcuna modifica. Tuttavia, prima della Legge 4/99, la revisione in senso stretto degli atti annullabili che infrangessero gravemente norme legali o regolamentari, poteva avere luogo una volta espirato il termine di quattro anni dell’emissione dell’atto, dato che il suddetto termine si riferiva all’avvio del procedimento e non alla sua conclusione[99]. Infine, una volta avviato il procedimento, il termine massimo per provvedere sarà di tre mesi; decorsi infruttuosamente i quali si verificherà, come abbiamo visto, la caducazione del procedimento.



Al contrario di quanto succede con la revisione di atti nulli e disposizioni generali, nella quale non è necessario giustificare la loro eliminazione con una lesione all’interesse pubblico, essendo sufficiente la mera esistenza della nullità, la dichiarazione di lesività esige non solo l’intervento nell’atto di un vizio di annullabilità, ma anche che la permanenza di tale atto provochi una lesione degli interessi pubblici che giustifichi la sua eliminazione da parte della Giurisdizione contenzioso-amministrativa. Questo fenomeno è stato denominato di “doppia lesione” (lesione dell’ordinamento giuridico e dei pubblici interessi), e trova la propria giustificazione nell’assimilazione della lesività alla figura della rescissione per lesione, dalla quale trae la propria origine[100].



L’art. 103.4 e 5 LAP stabiliscono che se l’atto proviene dall’Amministrazione Generale dello Stato o delle Comunità Autonome, la lesività sarà dichiarata dall’organo competente e, nel caso degli enti locali, spetterà al Consiglio (Pleno), o in sua mancanza, all’organo collegiale superiore dell’ente. Per quanto riguarda l’Amministrazione Generale dello Stato, bisogna di nuovo ricorrere alla disp. agg. 16ª LOFAGE. Tuttavia, come abbiamo visto, tale disposizione stabilisce quali sono gli organi competenti per la revisione d’ufficio di atti nulli e annullabili, per cui non è adattata alla Legge 4/99. La dottrina più autorevole ha inteso, però, tenendo conto dell’art. 13.11 LOFAGE[101], che stabilisce che i ministri sono competenti per la dichiarazione di lesività quando gli spetta, che il regime di competenze in questa materia è lo stesso che vigeva per la revisione d’ufficio di atti nulli[102]. Per quanto concerne le Comunità Autonome bisognerà ricorrere alle loro rispettive normative che, nella maggior parte dei casi, sono speculari a quella dello Stato[103].



Infine, dichiarata espressamente la lesività dell’atto annullabile, l’Amministrazione procedente dispone di un termine di due mesi per la proposizione del corrispondente ricorso presso la giurisdizione contenzioso-amministrativa —artt. 45.4 e 46.5 LJ—.



IV.4. La revoca dei provvedimenti sfavorevoli o ablatori



La revoca, secondo la LAP, consiste nell’atto mediante il quale l’Amministrazione elimina un proprio atto precedente, per motivi di opportunità o legittimità, sempre che tale atto sia sfavorevole o comporti un gravame per uno o più amministrati.



Benché sia vero che la revoca in senso stretto fa riferimento all’eliminazione di un atto valido per motivi di opportunità, è anche vero che nel Diritto spagnolo è possibile la libera revoca per entrambi i motivi —legalità e opportunità—, ma sempre che l’atto da revocare sia “sfavorevole” o “ablatorio”. Quando l’atto non risponde a tali categorie, potrà solo essere eliminato per motivi di legalità e previa sottomissione ai procedimenti formalizzati contenuti negli artt. 102 e 103 LAP[104].



Precedentemente alla Riforma del 1999, la revoca era possibile in relazione ai provvedimenti “non dichiarativi di diritti” e ai provvedimenti ablatori. Come abbiamo visto, se l’espressione “non dichiarativi di diritti” era intesa in senso stretto, gli atti favorevoli agli interessati che non riconoscessero a loro favore un vero diritto soggettivo, potevano essere liberamente eliminati dall’Amministrazione senza vincoli ai procedimenti formali della revisione, possibilità che si è cercato di eliminare con la Legge 4/99[105]. Il mantenimento delle espressioni “sfavorevoli” o “ablatori” nell’attuale redazione, può però far insorgere dei problemi al momento di determinare quando si può esercitare la facoltà di revoca. Il primo dubbio suscitato dall’attuale art. 105 è se il mantenimento di entrambe le espressioni non risulti in un certa misura ridondante, dato che l’atto sfavorevole e quello ablatorio nella nostra dottrina sono stati tradizionalmente considerati termini molto prossimi[106].



Nonostante che l’art. 105 LAP non riconosca espressamente ai privati la possibilità di avviare il procedimento, essendo la revoca un procedimento indirizzato all’eliminazione di atti sfavorevoli o ablatori per motivi di legalità od opportunità, sembra ragionevole ritenere che quando il vizio in cui l’atto può incorrere è quello di nullità radicale, il privato dispone della stessa azione imprescrittibile che gli viene riconosciuta in sede di revisione di atti nulli. In relazione agli atti annullabili, sembra che il riconoscimento di un’azione di annullabilità sia più difficile, soprattutto se consideriamo che la Legge 4/99 l’ha eliminata dai processi di “revisione” contro gli atti favorevoli. Quando la revoca è pertinente per motivi di opportunità, intendiamo che non sia nenache possibile riconoscere all’interessato azione per l’avvio del procedimento, dato che la corrispondenza dell’atto con gli interessi pubblici è un aspetto la cui valutazione preliminare spetta esclusivamente alla Pubblica Amministrazione[107]. Questo ferma restando la necesità di dare udienza nel corso del procedimento, in ogni caso, a chi compaia come titolare di diritti soggettivi o interessi legittimi, così come della legittimazione di questi nell’ulteriore processo giurisdizionale che potrebbe essere instaurato.



La revoca è pertanto, al contrario della revisione, un procedimento non formalizzato, benché in esso sia obbligatorio il tramite dell’udienza agli interessati. Per il resto la dottrina più autorevole stima che, al contrario di quanto avveniva con la revisione, la revoca, a meno che non vi siano disposizioni in contrario, spetta allo stesso organo che emise l’atto[108].



La revoca può essere condotta in qualsiasi momento. La Legge 4/99 ha proceduto ad ampliare i limiti specifici all’esercizio di tale facoltà. Mentre nella redazione iniziale dell’art. 105 LAP 1992 la revoca poteva essere condotta a condizione che non fosse contraria all’ordinamento giuridico, la legge di riforma ha voluto essere più esplicita, specificando che la revoca non sarà possibile se costituirà dispensa o esenzione non permessa dalle leggi o se è contraria al principio di uguaglianza, all’interesse pubblico o all’ordinamento giuridico. A tali limiti specifici bisogna unire, come abbiamo già visto, i limiti genericamente imposti alla revisione dall’art. 106 LAP.



L’esposizione dei limiti summenzionati ci permette di avvertire, come ha fatto una certa dottrina, che la revoca di atti amministrativi sfavorevoli, soprattutto quando è fondata su motivi di opportunità, deve sempre essere basata su ragioni di interesse pubblico che dovranno essere sufficientemente esplicitate dall’Amministrazione[109].



La Legge 4/99 ha soppresso, infine, il riferimento del precetto alla possibilità di revoca degli atti, sia espressi che prodotti dal silenzio amministrativo —“atti presunti”—. Riteniamo che tale soppressione non modifica nulla, dato che si potrà continuare a revocare i rifiuti causati dal silenzio. Sembra che la riforma abbia eliminato questo riferimento agli atti presunti più per motivi di precisione tecnica che per ragioni di fondo. In primo luogo perché, come abbiamo opportunamente esposto, in seguito alla riforma del 1999 possono essere considerati atti veri e propri solo quelli in cui il silenzio è assenso, che sono favorevoli e, pertanto, non suscettibili di revoca, almeno non nei termini dell’art. 105 LAP. In secondo luogo perché, com’è stato fatto notare da autori rilevanti, gli atti prodotti per silenzio nel sistema spagnolo, non rispondono al meccanismo della “presunzione” ma della “finzione” giuridica[110].



V. Considerazioni finali



Nel corso delle pagine precedenti abbiamo cercato di avvicinare il lettore italiano ad alcune delle novità più rilevanti presentate dalla riforma del procedimento in Spagna, operata, come sappiamo, dalla Legge 4/99. I due ambiti presi in esame —l’obbligo di provvedere e gli effetti che derivano dalla sua inadempienza (sezione III) e il regime dei procedimenti di secondo grado (sezione IV)— presentano numerosi punti di contatto con l’ordinamento italiano, e forse la conoscenza di entrambe le realtà potrebbe far luce sulla soluzione di alcuni problemi che ostacolano l’attività delle Pubbliche Amministrazioni, sia italiane che spagnole: la determinazione di un termine massimo per provvedere e notificare i procedimenti, lo stabilimento di una disciplina generale che dia coerenza alle facoltà di autotutela degli enti pubblici, sono estremi che, tra i molti altri, possono arricchire lo studio dottrinale sul procedimento amministrativo in Italia, soprattutto in un momento in cui si preannuncia la riforma della Legge 241/90. Allo stesso modo, l’evoluzione che l’ordinamento italiano presenta nel trattamento dei ricorsi amministrativi costituisce, di fatto, un punto di riferimento di prim’ordine per correggere una delle remore che continua a pesare sulla normativa spagnola in questa materia, in cui il recurso de alzada mantiene, come abbiamo visto, il suo carattere obbligatorio.



La Legge 4/99 offre, quindi, vari aspetti interessanti nell’ambito della tematica che circonda l’ordo productionis degli atti amministrativi. Non è tutto: gli spunti che da essa possono essere tratti, spesso godono di supporti solidi, che possono senza difficoltà essere ricollegati a una lunga e valida tradizione storica nella regolazione del procedimento amministrativo che, da lungo tempo, ha caratterizzato il Diritto Amministrativo spagnolo.



Fatta questa considerazione —che, in realtà vuol solo fa risaltare la convenienza del riferimento spagnolo nell’analisi del fenomeno di procedimentalizzazione dell’attività amministrativa—, non vogliamo concludere questo lavoro senza prima realizzare una riflessione globale sul senso e il significato della riforma del procedimento amministrativo in Spagna. La lettura dei diversi commenti che la dottrina scientifica ha realizzato recentemente sul contenuto della Legge 4/99, permette di intravedere un’accoglienza favorevole e soddisfacente delle diverse modifiche apportate; i vari studi coincidono nell’affermare la buona riuscita della nuova regolazione introdotta in istituti centrali e fondamentali come il silenzio amministrativo. Si può, tuttavia, avvertire una critica anche generalizzata: si sente la mancanza della revisione di molte altre materie che oggi richiedono, con maggiore o minore intensità, una nuova impostazione —pensiamo, ad esempio, allo stabilimento di un procedimento sanzionatore comune[111]—.



Lasciando da parte questa circostanza, la valutazione positiva della Legge 4/99 è condizionata, a nostro giudizio, dalla necessità di aspettare i risultati dell’intenso processo di adeguamento che ora dovrà essere attuato[112]. Non bisogna dimenticare che questo testo legislativo obbliga a revisionare l’ampio panorama procedimentale in vista di adattare, in particolare, il nuovo regime del silenzio amministrativo. In modo illustrativo González Navarro ha alluso alla Legge 4/99 come a una «Legge pontifex», ossia come una legge ponte che pone le fondamenta per raggiungere una meta più lontana[113]. È per questo che, cosciente dell’importanza di questo processo che si sta aprendo, il legislatore spagnolo ha previsto la creazione di un organo incaricato di salvaguardare la materializzazione e la coerenza di questo processo e, al tempo stesso, di promuovere decisamente una delle esigenze più pressanti delle nostre Pubbliche Amministrazioni: la semplificazione dei procedimenti amministrativi. A tale fine, la disposizione aggiuntiva 1ª della Legge 4/99 prevede la creazione di una Commissione Interministeriale, presieduta dal Ministro per le Pubbliche Amministrazioni, con lo scopo di sostenere nello studio e nella formulazione di proposte di semplificazione dei procedimenti esistenti nell’ambito dell’Amministrazione Generale dello Stato e suoi organismi pubblici. La creazione di questa Commissione è stata resa effettiva mediante il Decreto Reale del 23 aprile 1999 in cui viene definito con maggior precisione lo statuto giuridico di questo organo[114].



La Commissione Interministeriale per la Semplificazione Amministrativa trova un punto di riferimento immediato nell’ordinamento italiano, giacchè, com’è noto, la Legge 50/1999, 8 marzo, sulla delegalizzazione e testi unici delle norme in materia di procedimenti amministrativi —primo esponente delle Leggi annuali di semplificazione— ha istituzionalizzato un’unità funzionale di appoggio al Governo, destinata a dare consulenza e supporto tecnico nell’attuazione dei processi di delegificazione, semplificazione e riordino dei procedimenti amministrativi in Italia. Quest’unità riceve il nome di Nucleo per la semplificazione delle norme e dei procedimenti[115]. Si noti pertanto, come sorgono nuove interconnessioni tra la realtà spagnola e quella italiana; entrambe devono affrontare l’arduo compito della razionalizazzione del tessuto procedimentale che, al suo stato attuale, minaccia seriamente di atrofizzare il funzionamento dell’apparato pubblico.



In conclusione, risulta prematuro definire un giudizio globale sulla riforma introdotta dalla Legge 4/99 e, sebbene le premesse sembrino solide —e le prime analisi lo confermano—, bisognerà aspettare maggiori approfondimenti nell’adattamento delle sue misure all’esteso e prolisso spettro di procedimenti amministrativi. Per il momento è stato fatto il primo passo. Ci stiamo riferendo all’approvazione, da parte della Commissione Interministeriale di Semplificazione Amministrativa degli Obbiettivi, criteri e direttrici del Primo Piano Generale di Semplificazione Amministrativa[116].

 

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[51] La nozione di “procedimento di secondo grado”, di uso poco frequente nella dottrina spagnola, si trova invece in numerosi autori italiani; per tutti, Massimo Severo Giannini, Diritto amministrativo, vol. II, 2ª ed., Milano, 1988, p. 542.

[52] Cfr. Vicenzo Cerulli Irelli, Corso..., cit., pp. 588-589 e 643. In Spagna la revisione d’ufficio, anche con estensione diseguale, era già regolata con carattere generale nell’art. 37 del Decreto del 26 luglio 1957, mediante il quale veniva approvato il testo unico della Legge di Regime Giuridico dell’Amministrazione dello Stato, così come agli artt. 109-112 LPA 1958.

[53] I ricorsi nell’ambito tributario sono stati espressamente esclusi dalla LAP dalla Legge 4/99 (art. 107.4 e disp. agg. 5ª), di modo che, in questo ambito, essi saranno guidati da disposizioni specifiche. All’interno dei metodi di impugnazione in questo ambito risalta il cosiddetto ricorso economico-amministrativo, che si propone presso organi amministrativi paragiurisdizionali detti Tribunali Economico-Amministrativi. Neppure le impugnazioni di atti della Previdenza Sociale e Disoccupazione sono guidate dal sistema di ricorsi della LAP (disp. agg. 6ª).

[54] Vi sono diversi tipi di reclami previ obbligatori nell’ordinamento spagnolo. I più caratteristici sono i reclami previ all’esercizio di azioni civili e di lavoro (artt. 120 e ss. LAP), i quali, da un lato presuppongono un privilegio a favore delle Pubbliche Amministrazioni, se teniamo conto che la fase di conciliazione previa nei litigi civili tra privati è meramente facoltativa e, dall’altro, si scostano dalla natura dei ricorsi amministrativi in quanto hanno per oggetto atti o comportamenti dell’Amministrazione basati su Diritti materiali diversi da quello Amministrativo. Ma, oltre a questi, vi sono altri reclami previ riferiti a questioni propriamente giuridico-amministrative, ma che non consistono nell’impugnazione di un’attività formale dell’Amministrazione, ma di una sua condotta attiva od omissiva. Si tratta dei reclami nei confronti delle attuazioni materiali costitutive di vie di fatto e nei confronti della cosiddetta inattività materiale (artt. 29 e 30 della Legge 29/1998, del 13 luglio, sulla Giurisdizione Contenzioso-Amministrativa —in seguito, LJ—).

[55] L’art. 53 LJ del 1956 disponeva che saranno eccettuati dal ricorso in opposizione:

a) Gli atti che implicassero la decisione di qualsiasi ricorso amministrativo, compreso l’economico-amministrativo.

b) Quelli dettati nell’esercizio della potestà di fiscalizzazione sugli atti provenienti da un altro Organo, Corporazione o Istituzione se fossero d’approvazione dell’atto fiscalizzato.

c) Gli atti presunti, in virtù del silenzio amministrativo, regolato all’art. 38.

d) Gli atti non manifestati per iscritto.

e) Le disposizioni di carattere generale, nel caso previsto all’art. 39, comma primo.

In tutti questi casi il ricorso in opposizione era facoltativo. Bisogna considerare, per quanto riguarda il comma a) dell’articolo riprodotto che, se la decisione era di un ricorso di reposición, non era possibile, secondo la logica, proporlo nuovamente, come sarebbe stato chiarito in seguito dall’art. 126.3 LPA 1958. Per quanto concerne l’eccezione citata nel comma e) relativa alle disposizioni generali, il rinvio che conteneva permise di intendere, in una prima analisi, che le uniche disposizioni generali sottoposte all’obbligo di ricorso in opposizione erano quelle denominate “autoapplicative” (art. 39.3 LJ 1956). L’opposizone di parte della dottrina a questa esclusione selettiva delle disposizioni generali in relazione al ricorso in opposizione, intendendo, tra le altre cose, che le norme regolamentari non danno luogo, in nessun caso, alla nascita di un rapporto giuridico tra l’Amministrazione e l’amministrato, della quale essa possa disporre per via di ricorso (Eduardo García de Enterría, “Recurso contencioso directo contra disposiciones reglamentarias y recurso previo de reposición”, Revista de Administración Pública, nº 29, 1959, pp. 161 e ss.), così come la posteriore conferma tramite il Tribunale Costituzionale (TC) —STC 32/1991, del 14 febbraio— che non era possibile esigere il ricorso in opposizione in relazione a disposizioni generali, determinò infine che detto rimedio passasse ad essere facoltativo in relazione con tutte loro. L’esclusione dei ricorsi amministrativi diretti contro i regolamenti è stata generalizzata, come vedremo, nella legislazione sul procedimento posteriore al 1958.

[56] Cfr. Sebastiano Cassarino, Manuale di Diritto processuale amministrativo, Milano, 1990, pp. 279-281.

Tuttavia, la LPA 1958 (art. 122.3) introdusse un altro ricorso speciale che, con il nome di recurso de súplica, poteva essere proposto presso i massimi organi del Governo della nazione: il Consiglio dei Ministri, le Commissioni Delegate del Governo e il Presidente del Consiglio. I suoi tratti caratteristici consistevano nel fatto che la risoluzione del ricorso era affidata a un organo che non era in senso stretto, superiore gerarchico di quello che aveva emesso l’atto impugnato, e, inoltre, la sua proposizione era possibile solo quando una norma legale lo avesse previsto.

[57] Cfr. Preambolo (13).

[58] In realtà questa comunicazione previa non ha assolto lo scopo conciliatore che le si voleva assegnare, dato che non era necessario aspettare una risposta dell’Amministrazione, e nenache è servita come ultima via perché questa tornasse sui propri atti prima dell’inzio della litis vera e propria, nella misura in cui non esisteva un termine concreto per la previa presentazione di detta comunicazione, che poteva essere effettuata lo stesso giorno della interposizione del ricorso giurisdizionale e, anche, la giurisprudenza ha considerato che la sua mancanza, una volta proposto il ricorso, fosse perfettamente sanabile (STS de 22 aprile 1996; STC 76/1996, del 30 aprile). In ogni caso, la norma che conteneva detto dovere (art. 110.3 LAP) è stata espressamente derogata dalla LJ 1998.

[59] Per segnalare solo alcuni esempi, García de Enterría e Fernández Rodríguez in proposito affermano che “ancora più grave da tutti i punti di vista era l’eliminazione pura e semplice da parte della LPC del vecchio ricorso in opposizione contro gli atti dettati dagli organi e autorità che ultimano la via amministrativa. Dal punto di vista costituzionale, ciò lasciava tutti i cittadini senza alcuna garanzia negli affari di scarsa entità economica, nei quali l’accesso ai tribunali risulta sproporzionato e antieconomico” (Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso..., cit., vol. II, 6ª ed., 1999, p. 510); si mostrano critici anche Ramón Parada Vázquez, Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y Procedimiento Administrativo Común (Estudio, comentarios y texto de la Ley 30/1992, de 26 de noviembre), Marcial Pons, Madrid, 1999, p. 383; Jesús González Pérez, Francisco González Navarro e Juan José González Rivas, Comentarios a la Ley 4/1999..., cit., p. 53.

[60] Gli enti locali spagnoli hanno tradizionalmente affidato la soluzione dei ricorsi amministrativi ai loro stessi servizi attivi, i quali, più prossimi alla realtà su cui incide l’atto impugnato e agli interessi implicati, presentavano una disponibilità alla rettificazione delle loro decisioni più elevata delle altre Pubbliche Amministrazioni, disponibilità ancora maggiore nei tempi in cui la difesa processuale dell’Amministrazione locale fu affidata all’Avvocatura dello Stato, formata da avvocati in principio estranei alla problematica e agli interessi locali.

[61] In realtà, il ricorso in opposizione è stato reintrodotto nel nostro ordinamento poco prima della Legge 4/99, dalla LJ 1998 —art. 46.4— che, in un impeto di fiducia nell’inalterabilità in sede parlamentare del disegno di legge di riforma del procedimento amministrativo, riconobbe la sua esistenza vari mesi prima che fosse approvato definitivamente.

[62] Cfr. Juan Pemán Gavín, “Vía administrativa previa y derecho a la tutela judicial”, Revista de Administración Pública, n. 127, 1992, pp. 145 e ss.; Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso..., cit., vol. II, pp. 507-511.

[63] Il suddetto precetto stabilisce, dopo il 1999, che la stessa possibilità di sostituzione operi in relazione al ricorso in opposizione, e dispone che l’applicazione di questi procedimenti nell’ambito dell’Amministrazione Locale non potrà comportare la non conoscenza delle facoltà risolutorie riconosciute agli organi rappresentativi eletti stabiliti dalla Legge, affermazione che di certo viene a ridurre l’efficacia della norma.

[64] Lo riconoscono, tra gli altri, Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso..., cit., vol. II, p. 534; Ramón Parada Vázquez, op. cit., p. 384; Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, Comentarios a la Ley de Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y Procedimiento Administrativo Común (Ley 30/1992, de 26 de noviembre), vol. II, 2ª ed., Civitas, Madrid, 1999, pp. 2296 e 2297. I motivi della mancata operatività sono diversi; tra cui che essi devono essere instaurati da una norma con rango di Legge, cosicché le esigenze stabilite all’art. 107.2 (che si tratti di organi collegiali o commissioni specifiche non sottoposte ad istruzioni gerarchiche, nonché il necessario rispetto da parte di detti meccanismi sostitutivi ai principi, garanzie e termini che la LAP riconosce ai cittadini e interessati in qualsiasi procedimento amministrativo) possono essere perfettamente ovviate dal legislatore futuro.

[65] Tale articolo stabilisce che l’interposizione del ricorso dovrà esprimere:

a) Nome e cognome del ricorrente, nonché la sua identificazione personale.

b) L’atto che viene impugnato e la ragione dell’ impugnazione.

c) Luogo, data, firma del ricorrente, identificazione del mezzo e, se necessario, del luogo segnalato agli effetti della notificazione.

d) Organo, centro o unità amministrativa a cui si rivolge.

e) Altre peculiarità eventualmente richieste da disposizioni specifiche.

[66] La stessa LAP contiene alcune precisazioni al riguardo; l’art. 138.3, ad esempio, dispone che gli atti mediante i quali vengono decisi i procedimenti sanzionatori, saranno esecutivi solo quando mettono fine alla via amministrativa, dimodoché, se contro tale atto risolutorio è possibile un ricorso gerarchico, la sua efficacia si vedrà rinviata finchè questo non sarà deciso (nello stesso senso l’art. 21.2 del Decreto Reale 1398/1993, del 4 agosto, mediante il quale viene approvato il Regolamento del procedimento per l’Esercizio della Potestà Sanzionatrice). Sembra che il legislatore del 1999 non abbia tenuto in gran conto in questa materia la reintroduzione del ricorso facoltativo de reposición. Nella misura in cui tale ricorso viene proposto contro provvedimenti che abbiano posto fine alla via amministrativa, forse sarebbe stato conveniente prevedere anche il ritardo dell’efficacia del provvedimento sanzionatore in caso l’interessato avesse optato per interporre tale ricorso: in altre parole, forse sarebbe stato conveniente subordinare in ogni caso l’esecutività dell’atto al suo carattere inoppugnabile in via amministrativa, cosa che di certo non ha lo stesso significato.

[67] Cfr. Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, op. cit., vol. II, p. 2321.

[68] Questo regime così progressivo non è stato giudicato positivamente da tutta la dottrina. È stato detto, infatti, che “da questo regime di silenzio amministrativo risulta senza dubbio una contrapposizone irragionevole, giacché non si capisce come condizioni estremamente rigorose richieste per concedere la sospensione di atti espressi, si riducano a niente quando si tratta di atti presunti; e null’altro che scandalo deve suscitare il fatto che l’esecutività degli atti amministrativi, blindata da tutto quanto detto nei confronti dell’atto espresso resti così facilmente disarmata nei confronti degli atti presunti e nonostante i danni all’interesse pubblico o a terzi che potrebbero essere causati dalla mancata esecuzione dell’atto, cosa che viene dimenticata per il semplice fatto di punire a scapito altrui la negligenza di non rispondere a una richiesta di sospensione entro sì breve termine” (Ramón Parada Vázquez op. cit., p. 388).

[69] Andrés de la Oliva e Miguel Ángel Fernández, Derecho Procesal civil, vol. II, 3ª ed., Ed. Centro de Estudios Ramón Areces, Madrid, 1994, p. 561.

[70] L’art. 102.1 stabilisce che le Pubbliche Amministrazioni, in qualsiasi momento, per iniziativa propria o su richiesta dell’interessato, e previo parere favorevole del Consiglio di Stato o organo consultivo equivalente della Comunità Autonoma, qualora esistesse, dichiareranno d’ufficio la nullità degli atti amministrativi che abbiano messo fine alla via amministrativa o che non siano stati impugnati entro i termini, nei casi previsti dall’articolo 62.1. Da parte sua, il comma 2 dello stesso articolo 62 dispone che allo stesso modo, in qualsiasi momento, le Pubbliche Amministrazioni d’ufficio, e previo parere favorevole del Consiglio di Stato od organo consultivo equivalente della Comunità Autonoma qualora esistesse, potranno dichiarare la nullità delle disposizioni amministrative nei casi previsti all’articolo 62.2. Quest’ultimo comma prevede in modo espresso e definitivo, la possibilità di rivedere d’ufficio le disposizioni generali, possibilità che è stata discussa dottrinalmente dalla LPA 1958 fino alla riforma del 1999.

[71] L’art. 62.1 LAP stabilisce che gli atti delle Pubbliche amministrazioni sono nulli di pieno diritto nei seguenti casi:

a) quelli che ledono i diritti e le libertà suscettibili di “amparo” costituzionale;

b) quelli dettati da un organo manifestamente incompetente in ragione della materia o del territorio;

c) quelli che hanno un contenuto impossibile;

d) quelli che siano costitutivi di infrazione penale o siano dettati a conseguenza di quest’ultima;

e) quelli dettati prescindendo totalmente e assolutamente dal procedimento legalmente stabilito o dalle norme che contengono le regole essenziali per la formazione della volontà degli organi collegiali;

f) gli atti espressi o presunti contrari all’ordinamento giuridico per mezzo dei quali vengono acquisiti facoltà o diritti quando non si possiedono i requisiti essenziali per la loro acquisizione;

g) qualsiasi altro che stabilisca espressamente una disposizione di rango legale.

Si può accennare che il comma a) di questo articolo è stato modificato dalla Legge 4/99, che ha soppresso l’espressione “contenuto essenziale” come oggetto della lesione dei diritti e delle libertà, ma questa non sembra la sede adeguata per approfondire le varie differenze di regime giuridico tra i due tipi di invalidità nell’ordinamento spagnolo, regime che si scosta sensibilmente da quello proprio degli atti amministrativi nel suo omologo italiano. A proposito della soppressione da parte della Legge 4/99 dell’espressione riferita nell’art. 62.1.a LAP e alle critiche dottrinali che suscitò la redazione originaria del precetto, vid. Tomás de la Quadra-Salcedo, “La revisión de los actos y disposiciones nulos y anulables y la revocación de actos”, Documentación Administrativa, nº 254-255, 1999, pp. 199-203. Sulla distinzione tra la nullità e l’annullabilità nel Diritto pubblico spagnolo, vid., ex plurimis, Margarita Beladíez Rojo, Validez y eficacia de los actos administrativos, Marcial Pons, Madrid, 1994 e Juan Alfonso Santamaría Pastor, La nulidad de pleno derecho de los actos administrativos. Contribución a una teoría de la ineficacia en el Derecho público, 2ª ed., Instituto de Estudios Administrativos, Madrid, 1975, i quali, trovano la differenza accennata nell’imprescrittibilità dell’azione per far valere la nullità, cosa che si riflette precisamente nella possibilità di procedere alla revisione d’ufficio degli atti nulli in qualsiasi momento, al contrario di quanto avviene con la dichiarazione di lesività degli atti annullabili. L’unica diffrenza legale tra i due istituti, consistente nel fatto che solo gli atti annullabili possono essere convalidati —art. 67 LAP—, è stata criticata da una certa dottrina come irragionevole, in quanto impedisce all’amministrazione precisamente di rimediare ai vizi più gravi; cfr. Carmen Chinchilla Marín, “Nulidad y anulabilidad”, in Jesús Leguina Villa e Miguel Sánchez Morón (dir.), La nueva Ley de Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común, Tecnos, Madrid, 1993, p. 212.

[72] L’art. 62.2 LAP dispone che saranno ugualmente nulle di pieno diritto le disposizioni amministrative che vulnerano la Costituzione, le leggi o altre disposizioni amministrative di rango superiore, che regolino materie riservate alla Legge, e quelle che stabiliscono la retroattività di disposizioni sanzionatrici non favorevoli o restrittive dei diritti individuali. Come si avverte, per la speciale trascendenza dei regolamenti sulla comunità, il legislatore spagnolo ha voluto separare chiaramente il sistema di invalidità degli atti amministrativi e dei regolamenti, stabilendo che, in rapporto a questi ultimi, l’unica possibile conseguenza invalidante è la nullità di pieno diritto. La redazione del precetto fa sì che esso venga interpretato nel senso che tale grado di invalidità sia pertinente sia per vizi di contenuto che di procedimento, giacché in definitiva, le disposizioni sul procedimento e la competenza nell’elaborazione dei regolamenti sono indicate in norme con rango legale; cfr. Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso..., cit., vol. I, pp. 214-217.

[73] L’art. 63 LAP stabilisce che 1. Sono annullabili gli atti dell’Amministrazione che incorrono in qualsiasi infrazione dell’ordinamento giuridico, compreso lo sviamento di potere. 2. Tuttavia, il difetto di forma determinerà l’annullabilità solo quando l’atto non possegga i requisiti formali indispensabili per raggiungere il proprio fine o dia adito alla indifensione degli interessati. 3. La realizzazione di attuazioni amministrative fuori dai tempi per esse stabiliti, implicherà l’annullabilità dell’atto solo quando ciò sia imposto dalla natura del tempo o termine.

L’assegnazione attuata dal legislatore tra infrazioni e grado di invalidità, a volte è stata giudicata poco ragionevole. È stato inteso, così, che il vizio di sviamento, tenendo conto delle cause di nullità, meriterebbe di essere annoverato tra di esse e non tra i casi di annullabilità, dato che presuppone una delle più gravi illegalità che l’Amministrazione possa commettere, in quanto implica una perversione dell’elemento teleologico della potestà; cfr. Carmen Chinchilla Marín, op. cit., p. 205. D’altra parte, il caso di nullità di cui all’art. 62.1.f LAP, grazie ad un’interpretazione ampia del termine “requisiti essenziali”, ha portato a che l’Amministrazione abbia tentato di revisionare senza vincoli a termini, atti amministrativi semplicemente annullabili —che, in seguito alla Legge 4/99, in ogni caso devono essere dichiarati lesivi e impugnati presso la giurisdizione amministrativa—, pratica che ha condotto il Consiglio di Stato spagnolo a segnalare che tale caso di nullità deve essere interpretato in senso restrittivo (tra gli altri, Parere dell’11 dicembre 1997, n. 5.380).

[74] In relazione agli atti “che non sono stati impugnati entro i termini”, si tratta di una nuova redazione apportata dalla Legge 4/99. La redazione originaria della LAP faceva riferimento agli atti “contro i quali non sia stato proposto ricorso amministrativo entro i termini”. Bisogna tuttavia considerare che la riforma non altera nulla, giacché se si intendesse la non interposizione del ricorso entro i termini come comprensiva del ricorso contenzioso, non avrebbe senso il riferimento alla possibilità di revisionare gli atti che abbiano posto fine alla via amministrativa, i quali non implicano di per sé l’esaurimento dei termini per l’interposizione del ricorso contenzioso; cfr. Jesús González Pérez, Francisco González Navarro e Juan José González Rivas, op. cit., pp. 412-414.

Il Consiglio di Stato spagnolo, tuttavia, ha inteso, ragionevolmente, che non è possibile revisionare atti amministrativi confermati da sentenza inoppugnabile (tra gli altri, Parere dell’8 maggio 1997, n. 838).

[75] Cfr. Ernesto García-Trevijano Garnica, “Consideraciones sobre la revocación de los actos administrativos no declarativos de derechos y de gravamen”, Revista Española de Derecho Administrativo, nº 91, 1996, p. 418.

[76] Per quanto concerne il concetto di “atto dichiarativo di diritti”, esso può prestarsi a varie interpretazioni. Il Consiglio di Stato spagnolo ha considerato tali quelli “che abbiano arricchito il patrimonio dei destinatari con un diritto prima inesistente o che abbiano liberato un diritto effettivo preesistente da un limite di esercizio”. Tale espressione, però, è stata intesa in senso convenzionale come equivalente a “atto favorevole”, ovverosia ad atti che “generino o riconoscano una situazione giuridica soggettiva di vantaggio” (Ernesto García-Trevijano Garnica, op. cit., p. 428). Bisogna considerare che, in rapporto alla revisione di atti nulli, la legislazione spagnola non ha mai specificato che si debba trattare di atti dichiarativi di diritti o favorevoli, nonostante che così sia stato interpretato da gran parte della dottrina. È stato considerato che l’eliminazione di atti nulli non dichiarativi di diritti o ablatori, possa essere operata attraverso la revoca prevista all’art. 105 LAP (Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, op. cit., vol. II, p. 2247). Tale specificazione è stata invece fatta, come vedremo, in relazione alla dichiarazione di lesività di atti annullabili, anche se la nuova Legge 4/99 ha modificato la terminologia in modo significativo.

[77] Il Preambolo della Legge 4/99, stabilisce che si introduce la revisione d’ufficio di disposizioni generali nulle, che non opera, in nessun caso, come azione di nullità. La ragione per cui l’iniziativa dei privati è stata esclusa da questa materia in concreto è basata, secondo le argomentazioni dello stesso fautore della riforma, sul fatto che “si considera che il privato dispone già di strumenti sufficienti per reagire nei confronti di disposizioni di carattere generale che consideri nulle, come l’interposizione di un ricorso contro un atto amministrativo che sia fondato sulla nullità di una disposizione amministrativa” (Jaime Rodríguez-Arana Muñoz, “La reforma del procedimiento administrativo y del régimen procesal contencioso-administrativo: presupuestos y objetivos”, Revista Aragonesa de Administración Pública, nº 14, 1999, pp. 412 e 413). L’autore fa riferimento alla possibilità del cosiddetto ricorso amministrativo indiretto per saltum regolato all’art. 107.3 LAP, che stabilisce che contro le disposizioni amministrative di carattere generale non sarà possibile il ricorso in via amministrativa... I ricorsi contro un atto amministrativo che siano fondati unicamente sulla nullità di disposizioni amministrative di carattere generale potranno essere proposti direttamente presso l’organo che dettò tale disposizione. A dire il vero la giustificazione riportata non sembra del tutto convincente per due motivi: in primo luogo perché i rimedi amministrativi di cui il privato dispone per far fronte agli atti sono di gran lunga più numerosi che quelli offerti dalla Legge nei confronti dei regolamenti, rispetto ai quali viene mantenuta l’impossibilità di ricorso amministrativo diretto; in secondo luogo perché è considerazione dottrinale diffusa che tale ricorso per saltum non permetta l’annullamento della disposizione generale, ma solo quella dell’atto applicativo, cosicché, a rigor di termini, non si tratta di un rimedio contro la norma. Tenendo conto della nuova disciplina, alcuni autori, come ad esempio Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso..., cit., vol. I, pp. 220 e 221, sostengono, tuttavia, la necessità di intendere che l’azione di nullità nei confronti dei regolamenti sia sussistente.

[78] Esso stabilisce che le facoltà di revisione non potranno essere esercitate quando per prescrizione di azioni, per il tempo trascorso o per altre circostanze, il suo esercizio risulti contrario all’equità, alla buona fede, al diritto dei singoli o alle leggi. A causa della loro collocazione sistematica, tali limiti operano in relazione a tutti i procedimenti regolati in questo capitolo: revisione degli atti nulli e delle disposizioni generali, processi di lesività e revoca di provvedimenti non favorevoli o ablatori.

[79] In questo senso, Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, op. cit., vol. II, pp. 2228 e 2229.

[80] In questo senso, alcuni autori hanno postulato la necessità di ricorrere alle norme che disciplinano l’udienza nel procedimento di elaborazione delle disposizioni generali: art. 24 della Legge 50/1997, del 27 novembre, del Governo, nel caso delle norme emanate dall’Esecutivo statale, nel quale si prevede l’alternativa tra l’udienza ai singoli interessati o alle associazioni rappresentative di interessi che si vedano toccate dalla disposizione (Jesús González Pérez, Francisco González Navarro e Juan José González Rivas, op. cit., p. 416). In Spagna, soprendentemente, il procedimento di elaborazione di disposizioni generali non viene regolato dalla LAP, di modo che è materia di competenza esclusiva delle Comunità Autonome, per cui, riguardo alla disciplina del tramite di udienza, bisognerà ricorrere alle rispettive norme di governo e amministrazione. L’udienza nel procedimento di elaborazione di regolamenti locali è prevista all’art. 49 della Legge 7/1985, del 2 aprile, contenente le basi del regime locale (LBRL).

Non bisogna tuttavia dimenticare che, contrariamente all’ordinamento italiano, in cui non è previsto un meccanismo di partecipazione generale al procedimento di elaborazione delle norme amministrative, in Spagna l’udienza in tale procedimento è prevista espressamente all’art. 105 CE, che dispone che la Legge regolerà: a) l’udienza dei cittadini, direttamente o attraverso organizzazioni riconosciute dalla legge, nel procedimento di elaborazione delle disposizioni amministrative che li riguardano.

[81] In seguito alla conferma da parte del TC (STC 204/92, del 26 novembre) della possibilità per le Comunità Autonome di creare organi consultivi analoghi al Consiglio di Stato, la maggior parte di esse dispone attualmente di tali organi. La determinazione dell’“equivalenza” è però, come abbiamo segnalato nel testo, problematica. Ciò è dovuto fondamentalmente al fatto che lo stesso TC non ha stabilito uno standard di equivalenza. In ogni caso, sembra vero che questi organi autonomici non presentano un’identità strutturale e funzionale con il Consiglio di Stato che permetta di trarre da essi un livello equivalente di garanzia. L’esistenza nel Consiglio di Stato di un corpo di giuristi di notevole prestigio, il carattere vitalizio dei suoi membri permanenti e la necessità della sua regolazione tramite legge orgánica, sono tutti indici che sono stati giudicati sufficienti per criticare severamente l’alternativa contenuta all’art. 102.1 LAP (Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso..., cit., vol. I, pp. 641 e 642).

Sembra che la via più efficace per dare una certa effettività all’espressione “equivalente” contenuta nell’art. 102.1 LAP, sia la possibilità che i singoli, nel ricorso contenzioso che eventualmente possono proporre contro il provvedimento conclusivo del procedimento di revisione, richiedano all’organo giurisdizionale la proposizione del corrispondente ricorso incidentale di incostituzionalità contro la Legge regionale che regola l’organo consultivo e prevede, tra le sue funzioni, quella di pronunciarsi sui procedimenti di revisione d’ufficio istruiti dagli organi amministrativi di tale Comunità Autonoma, intendendo che tale organo consultivo non è, di fatto, equivalente al Consiglio di Stato (cfr. Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., pp. 223-227).

[82] In senso contrario, ultimamente, Consuelo Alonso García, “La revisión de oficio de los actos administrativos tras la Ley 4/1999, de 13 de enero”, Justicia Administrativa, nº 6, 2000, p. 40.

[83] Principio che, in generale, non vige nell’ordinamento italiano, in cui si riconosce la facoltà di annullamento d’ufficio rispetto ai propri atti a qualsiasi organo, anche se con la condizione che, al momento di esercitare tale facoltà, l’organo continui ad essere competente nella materia su cui versa l’atto da annullare. Ciò è stato riconosciuto dalla giurisprudenza maggioritaria: Consiglio Stato, sez. V, 30 giugno 1995, n. 955; Consiglio Stato, sez. VI, 14 novembre 1992, n. 876; Consiglio Stato, sez. V, 26 ottobre 1990, n. 731; T.A.R. Campania, sez. III, Napoli, 18 dicembre 1986, n. 238; T.A.R. Campania, sez. Salerno, 15 giugno 1984, n. 204.

Per il resto la disp. agg. 16ª LOFAGE fa riferimento agli organi competenti per la revisione degli atti amministrativi, ma non delle disposizioni generali. Come hanno segnalato alcuni autori, si tratta di una circostanza idonea per l’applicazione analogica del precetto (cfr. Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., p. 233).

[84] Ad esempio l’art. 25.1 della Legge 2/1995, del 13 marzo, del Regime Giuridico dell’amministrazione del Principato delle Asturie stabilisce, precisamente, la competenza dell’organo autore dell’atto; o l’art. 6.4 della Legge 8/1999, del 9 aprile, di adeguamento della normativa della Comunità di Madrid alla Legge statale, 4/1999, del 13 gennaio, di Modifica della Legge 30/1992, del 26 novembre, di Regime Giuridico delle Pubbliche Amministrazioni e del Procedimento Amministrativo Comune, in cui si attribuisce competenza ai Consiglieri —membri del esecutivo regionale— per la revisione dei loro stessi atti.

[85] Cfr. Montserrat Cuchillo Foix, “La revisión de oficio y la revocación en la LRJPAC”, in Joaquín Tornos Mas (coord.), Administración pública y procedimiento administrativo. Comentarios a la Ley 30/1992, Ed. Bosch, Barcelona, 1994, pp. 353 e 354.

[86] Il suddetto dovere ci sembra chiaro, tenuto conto dell’obbligo che tradizionalmente è stato predicato per gli organi giurisdizionali di apprezzare ex officio iudicis i vizi costitutivi di nullità radicale, al dilà dei motivi effettivamente addotti dagli interessati, senza che, in tal caso, l’errore di questi nella qualificazione formale del vizio, esima l’organo dall’apprezzare la sua vera natura. Altre interpretazioni su questa e altre cause di inammissibilità, in Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., pp. 233-237.

[87] Cfr. Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, Comentarios a la Ley..., cit., vol. II, p. 2231. Sia la LAP —art. 107.1—, che la LJ —art. 25.1—, permettono l’impugnazione autonoma di certi atti endoprocedimentali qualificati, tra essi quelli che determinano “l’impossibilità di continuare il prcedimento”.

[88] Cfr. Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., pp. 237-239.

[89] Così fece l’art. 120.1 LPA, che stabiliva che l’accoglimento di un ricorso proposto contro una disposizione di carattere generale —ricorso allora possibile— implicherà la deroga o riforma di tale disposizione, fermo restando che sussistono gli atti inoppugnabili dettati in applicazione della medesima (l’inciso è nostro). Com’è noto, la deroga, al contrario dell’annullamento, ha un’efficacia meramente prospettica in relazione agli effetti prodotti durante la vigenza della norma derogata, cosicché, a rigor di termini, anche gli atti non inoppugnabili dovrebbero sopravvivere. A ciò bisogna unire che l’espressione “sin perjuicio de” (fermo restando che), reiterata dalla Legge 4/99, non ha nella lingua spagnola la connotazione imperativa che la maggior parte della dottrina ha voluto assegnarle, sicchè la riforma sarebbe stata una magnifica occasione per chiarire se la sopravvivenza di detti atti inoppugnabili deve verificarsi o meno in tutti i casi.

[90] La competenza sull’annullamento delle norme risiede, oltre che nell’Amministrazione, nel Tribunale Costituzionale e negli organi della Giurisdizione contenzioso-amministrativa. Ora, mentre l’art. 73 LJ stabilisce che le sentenze passate in giudicato che annullano un precetto di una dispozione generale non riguarderanno di per sé l’efficacia delle sentenze o atti amministrativi inoppugnabili che l’abbiano applicata prima che l’annullamento avesse effetti generali, eccetto nel caso in cui l’annullamento del precetto presupponesse l’esclusione o la riduzione delle sanzioni non ancora completamente eseguite, l’art. 40.1 della Legge Orgánica 2/1979, del 3 ottobre, del Tribunale Costituzionale (LOTC), dispone che le sentenze dichiarative dell’incostituzionalità di Leggi, disposizioni o atti con forza di legge non permetteranno di revisionare processi terminati mediante sentenza con forza di giudicato in cui si sia fatta applicazione di Leggi, disposizioni o atti incostituzionali, eccetto che nei casi dei processi penali o contenzioso-amministrativi riferiti a un procedimento sanzionatore in cui, come conseguenza della nullità della norma applicata, risulti una riduzione della pena o della sanzione o un’esclusione, esenzione o limitazione della responsabilità. Come si può avvertire, le sentenze del TC non hanno come limite alla naturale retroattività della pronuncia di nullità gli atti amministrativi inoppugnabili, a meno che essi siano stati confermati da sentenza con forza di giudicato. Tuttavia il TC ha esteso loro l’inattaccabilità in ogni caso, invocando genericamente il principio di certezza giuridica e argomentando che, in caso contrario, si sarebbe verificata una discriminazione ingiustificata tra coloro che hanno lasciato trascorrere il termine senza impugnare, che sarebbero stati favoriti, e coloro che, avendo fatto ricorso, si fossero visti confermare l’atto da una sentenza con forza di giudicato. Per una panoramica su questa questione nel Diritto spagnolo, vid., tra gli altri, Eduardo García de Enterría, “Un paso importante para el desarrollo de nuestra justicia constitucional: la doctrina prospectiva en la declaración de ineficacia de las Leyes inconstitucionales”, Revista Española de Derecho Administrativo, nº 61, 1989, pp. 5 e ss.; Avelino Blasco Esteve, “Efectos de la Sentencia constitucional sobre la Ley del Suelo respecto de planes urbanísticos y sus actos de ejecución”, Revista de Estudios de la Administración Local y Autonómica, nº 273, 1997, pp. 7 e ss.; Margarita Beladíez Rojo, Validez y eficacia..., cit., pp. 321-361; Ricardo Alonso García, “El Tribunal Constitucional y la eficacia temporal de sus sentencias anulatorias”, Revista de Administración Pública, nº 119, 1989, pp. 255 e ss.; A. Calonge Velázquez e J.A. García de Coca, “Nulidad de pleno derecho y derogación de las normas: reciente doctrina sobre el artículo 120 de la LPA del Tribunal Supremo”, Revista Española de Derecho Administrativo, nº 73, 1992, pp. 89 e ss.

[91] Nella sua redazione originaria, l’art. 103.1 e 2 LAP disponeva che 1. Potranno essere annullati dall’Amministrazione, su iniziativa propria o a richiesta dell’interessato, previo parere del Consiglio di Stato od organo consultivo della Comunità Autonoma, qualora vi fosse, gli atti dichiarativi di diritti quando intervengono le seguenti circostanze: a) Che tali atti infrangano gravemente norme di rango legale o regolamentare. b) Che il procedimento di revisione venga avviato prima che siano trascorsi quattro anni da quando furono emessi. 2. Negli altri casi, l’annullamento degli atti dichiarativi di diritti richiederà la dichiarazione previa di lesività dell’interesse pubblico e l’ulteriore impugnazione presso la Giurisdizione Contenzioso-Amministrativa.

Il Consiglio di Stato, riguardo alla gravità dell’infrazione, ha considerato che “il concetto di infrazione grave deve essere inteso in consonanza col senso che ha la revisione d’ufficio, che viene a significare una prerogativa della Pubblica Amministrazione per annullare da sé i propri atti (dichiarativi di diritti) e che per ciò si deve adeguare a un procedimento in cui si rispetti e garantisca la situazione giuridica dell’interessato da tale modo di procedere. Attenendosi a questa configurazione, l’art. 106 della LAP impone limiti di esercizio a questa potestà che vengono formulati con maggiore ampiezza di quanto prima non facesse l’articolo 112 della Legge di Procedimento Amministrativo del 1958.

D’altra parte, la revisione d’ufficio viene prevista dalla LAP in modo diverso per gli atti nulli che per gli atti annullabili. Riguardo ai primi la LAP definisce in modo concreto e tassativo i casi in cui è pertinente (quelli in cui l’atto sia nullo in conformità all’articolo 62.1 della LAP), mentre rispetto ai secondi si impiega la generica formulazione riportata più sopra, che sussista un’infrazione grave della norma (legale o regolamentare).

Così, perché l’infrazione sia grave agli effetti della revisione d’ufficio, deve avere sufficiente entità per:

— Giustificare l’esercizio della facoltà di revisione d’ufficio, tenendo conto del suo carattere esorbitante dei limiti ad esso imposti legalmente.

— Autorizzare la revisione di un tipo concreto di atti annullabili, quelli la cui contrarietà all’ordinamento giuridico sia tale che, senza farli incorrere nella nullità di pieno diritto, presupponga una lesione grave della norma. Sono annullabili gli atti che incorrono in qualsiasi infrazione dell’ordinamento giuridico (articolo 63.1 della LAP), ma tali atti annullabili possono essere revisionati d’ufficio solo quando l’infrazione è grave, e riferita ad una norma di rango legale o regolamentare.

Non essendo, quindi, qualsiasi atto annullabile revisionabile d’ufficio conformemente all’articolo 103, e dato che l’Amministrazione non può in nessun modo esercitare questa facoltà in ogni caso, si dovrà attribuire al termine grave un contenuto proprio che dovrà essere esaminato caso per caso, in funzione del tipo di norma presuntamente infranta, e della garanzia giuridica che debba essere conferita alla situazione giuridica dell’interessato dall’atto” (Parere del 9 gennaio 1997, n. 4.079).

A complemento di questa dottrina, il Consiglio di Stato ricordò che la determinazione di quando un atto infrange gravemente una norma legale o regolamentare non è stata lasciata all’arbitrio dell’Amministrazione agente, ma deve rispondere a presupposti oggettivi. Inoltre —ha segnalato—, “la gravità dell’infrazione non dipenderà dalle apparenze né dal loro carattere evidente. Per meritare tale qualificazione, è necessario che l’infrazione sia rilevante, che riguardi elementi essenziali della norma trasgredita, alterando sostanzialmente lo scopo che con essa si persegue, nel suo presupposto o nelle sue conseguenze” (Parere del 31 luglio 1997, n. 3.789).

[92] Le critiche furono specialmente intense nei confronti della soppressione del carattere ostativo del parere consultivo, che mancava di giustificazione in confronto alla revisione degli atti nulli, così come in rapporto all’estensione della revisione agli atti che infrangono norme regolamentari, tutte circostanze che riducevano le garanzie di coloro che erano beneficiati dagli atti revisionati. Un riassunto delle critiche alla revisione degli atti annullabili nella LAP, si trova in Consuelo Alonso García, op. cit., pp. 43-45.

[93] Così viene stabilito nel Preambolo (V).

[94] L’art. 103.1 LAP dispone dopo la riforma che le Pubbliche Amministrazioni potranno dichiarare lesivi dell’interesse pubblico gli atti favorevoli agli interessati che siano annullabili conformemente a quanto disposto nell’articolo 63 di questa Legge, al fine di procedere alla sua ulteriore impugnazione presso la Giurisdizione Contenzioso-Amministrativa.

[95] Tale articolo disponeva che le Pubbliche Amministrazioni potranno revocare in qualsiasi momento i propri atti, espressi o presunti, non dichiarativi di diritti e i provvedimenti ablatori, sempre che tale revoca non sia contraria all’ordinamento giuridico.

[96]

[97] Cfr. Ramón Parada Vázquez, op. cit, p. 372. D’altra parte, l’uguaglianza tra Amministrazione e amministrato cui mirava la riforma, non si raggiunge con il processo di lesività. Anche quando l’eliminazione della possibilità di revisionare e annullare atti annullabili ha determinato che, davanti a tali atti sia l’Amministrazione che l’amministrato debbano ricorrere ai Tribunali —cosa che presuppone un’approssimazione delle posizioni dei due soggetti—, a dire il vero il rifiuto che la dichiarazione di lesività possa essere adottata su istanza dei soggetti interessati presuppone una chiara disuguaglianza: mentre l’Amministrazione ha un termine di quattro anni per decidere la proposizione del ricorso presso i Tribunali, i privati dovranno reagire contro l’atto annullabile entro i brevi termini di decadenza dei ricorsi (ibidem, p. 371).

[98] In questo senso, Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., pp. 239-241, 254 e 255.

[99] Su questo punto la Legge 30/92 aveva modificato in peius la regolazione della LPA 1958 per i soggetti beneficiati dall’atto. In quest’ultima legge, il termine di quattro anni faceva riferimento a la conclusione e non all’avvio del procedimento.

[100] In questo senso, Ramón Parada Vázquez, op. cit., p. 370; Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., pp. 244-246.

[101] Questo comma è stato introdotto dalla Legge 50/1998, del 30 dicembre, di Misure Fiscali, Amministrative e di Ordine Sociale (collegata alla Finanziaria).

[102] Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, op. cit., vol. II, p. 2241.

[103] Anche se non è sempre così. In questo senso l’art. 23.j della Legge 3/1995, dell’8 marzo, di Regime Giuridico del Governo e Pubblica Amministrazione della Comunità Autonoma di La Rioja, o l’art. 77.2 della Legge 2/1997, del 28 aprile, di Regime Giuridico del Governo e Amministrazione della Diputación Regional di Cantabria, che attribuiscono in ogni caso la competenza al Consejo de Gobierno —massimo organo esecutivo—.

[104] Il fatto che la LAP non disponga in generale la possibilità di revocare atti favorevoli per motivi di opportunità —avvertendo, in questo modo, sul suo carattere eccezionale, a beneficio dei titolari di situazioni soggettive riconosciute dall’atto—, tale possibilità è stata pienamente riconosciuta sia in sede scientifica (tra gli altri, Eduardo García de Enterría e Tomás Ramón Fernández, Curso..., cit., vol. I, pp. 651 e ss.; Ramón Parada Vázquez, op. cit., pp. 373-376) come normativa il cui esempio paradigmatico è l’art. 16 del Regolamento dei Servizi delle Corporazioni Locali del 1955, che prevede la revoca di licenze municipali, tra gli altri, per due motivi: il cambiamento nei criteri di apprezzamento dell’interesse pubblico, revoca che resta vincolata al dovere di risarcimento; e il cambiamento delle circostanze che avevano motivato la concessione, che invece non implica dovere di risarcimento. Si tratta, in definitiva, di un regime molto simile a quello esistente nel Diritto italiano; vid. Vincenzo Cerulli Irelli, Corso.., cit., pp. 592 e 593.

[105] Si deve considerare che l’espressione “non dichiarativi di diritti” aveva un fondamento che, si condivida o meno, non mancava di razionalità. Così, secondo la redazione iniziale dell’art. 105 LAP, non era necessario ricorrere al procedimento di revisione contro gli atti che non dichiaravano o costituivano un diritto a favore di un soggetto, ma che si limitavano a creare un’aspettativa. Tale espressione, d’altra parte, permetteva la revoca di atti che, in un certo modo, avevano un’efficacia “neutra” per gli interessati —atti interni di ogni Amministrazione—, revoca che, con l’attuale redazione del precetto non potrà verificarsi (cfr. Tomás de la Quadra-Salcedo, op. cit., pp. 258 e 259).

[106] In modo implicito, Ernesto García-Trevijano Garnica, op. cit., p. 429. Lo stesso autore da un chiarimento intorno a cosa deve intendersi per atto sfavorevole o ablatorio (ibidem, pp. 427-430).

[107] Riconoscono tuttavia azione al privato per l’avvio del procedimento di revoca, Jesús González Pérez, Francisco González Navarro e Juan José González Rivas, Comentarios a la Ley 4/1999, de 13 de enero..., cit., p. 426, e anche Ernesto García-Trevijano Garnica, op. cit., p. 435.

[108] Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, op. cit., vol. II, p. 2248.

[109] Cfr. Ernesto García-Trevijano Garnica, op. cit., p. 419-423.

[110] Così, Jesús González Pérez e Francisco González Navarro, op. cit., vol. I, p. 1189-1195; anche Ernesto García-Trevijano Garnica, El silencio administrativo en la nueva Ley de Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común, Civitas, Madrid, 1994, pp. 24 e ss.

[111] Cfr., tra gli altri, José Luis Piñar Mañas, “Justificación y alcance de la reforma”, in AA.VV., La reforma del procedimiento administrativo, Dykinson, Madrid, 1999, pp. 15-23, e Jesús González Pérez, Francisco González Navarro e Juan José González Rivas, Comentarios a la Ley 4/99..., cit., pp. 64-67.

[112] Senza dimenticare i problemi che sorgeranno in occasione dell’applicazione del regime transitorio. Cfr. al riguardo Jesús González Pérez, “Disposiciones transitorias de la Ley 4/1999”, Revista Española de Derecho Administrativo, n. 101, 1999, pp. 25 e ss., e Rafael Fernández y Acevedo, “La Ley 4/1999, de 13 de enero, de modificación de la Ley de Régimen Jurídico de las Administraciones Públicas y del Procedimiento Administrativo Común: régimen transitorio y adaptación de procedimientos”, Revista Vasca de Administración Pública, n. 54, 1999, pp. 43 e ss.

[113] Jesús González Pérez, Francisco González Navarro e Juan José González Rivas, Comentarios a la Ley 4/99..., cit., pp. 51 e 68.

[114] I lavori della Commissione Interministeriale di Semplificazione Amministrativa si cristallizzeranno nell’elaborazione e approvazione del Piano Generale di Semplificazione nell’Amministrazione Generale dello Stato. Facendo uso della stessa definizione normativa, si può dire che tale Piano Generale costituisce “lo strumento di base in cui si concretizza l’azione del Governo in materia di semplificazione amministrativa” (art. 8 del Decreto Reale del 23 aprile 1999). Il contenuto del Piano si instrada in una doppia direzione: stabilire le misure d’adattamento della regolazione dei procedimenti amministrativi alla recente modifica della LAP —specialmente per quanto riguarda la disciplina del silenzio assenso e del silenzio rifiuto—, e analizzare la realtà procedimentale per segnalare, sulla base di tale analisi, le possibili misure di soppressione, modificazione o sostituzione nella struttura sequenziale dei procedimenti amministrativi. L’art. 9 del succitato Decreto Reale concretizza il contenuto minimo che dovrà essere plasmato nel Piano Generale di Semplificazione e che si orienta, come abbiamo detto, in queste due direzioni. È vero, tuttavia, che, così come le coordinate di semplificazione, il contenuto di questo Piano non possiede contorni molto precisi. Basti segnalare che la caratterizzazione del contenuto si conclude con una clausola aperta secondo la quale nel Piano si potrà includere “qualsiasi altra azione che contribuisca a facilitare il rapporto dei cittadini con l’Amministrazione Generale dello Stato”.

[115] Il Nucleo per la semplificazione delle norme e dei procedimenti è formato da un totale di venticinque esperti, vincolati e no alla Pubblica Amministrazione, ma in qualsiasi caso dotati di un’alta qualificazione in materia di redazione di testi normativi, analisi economica, valutazione dell’impatto delle norme, analisi costi-benefici, diritto comunitario, diritto pubblico comparato, linguistica, scienze e tecniche dell’organizzazione e analisi delle politiche pubbliche (art. 3 Legge 50/1999). In definitiva, un corpo tecnico specializzato incaricato di promuovere e garantire un controllo adeguato dei lavori di semplificazione.

Dobbiamo anche segnalare che le funzioni di controllo e valutazione che il Nucleo deve svolgere, sono state rafforzate grazie all’integrazione della sua Segreteria all’interno del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi. Questo Dipartimento, introdotto dal recente riordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri —Decreto Legislativo del 30 luglio 1999, n. 303, emesso in applicazione degli articoli da 11.1.a 12 della Legge Bassanini uno— annovera tra le sue funzioni il compito di valutare l’impatto della semplificazione dei procedimenti amministrativi.

[116] In questo documento si possono trovare le direttrici generali che dovranno guidare il processo di semplificazione procedimentale che si dovrà compiere in Spagna.

 




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