Dal volume “Il beato Giovanni Battista Scalabrini” di Barbara Fiorentini, Piacenza, ed. Berti, 1997.

 

 

Il beato Giovanni Battista Scalabrini viene ricordato dalla storia con vari appellativi: Principe della Carità, Padre dei Migranti, Apostolo del Catechismo. Ma soprattutto Scalabrini fu vescovo: dal 1876 al 1905 governò la diocesi di Piacenza e proprio durante il periodo dell'episcopato maturò la sua vocazione missionaria in favore dei migranti, portata avanti poi dalle congregazioni da lui fondate, quelle dei Missionari e delle Missionarie di san Carlo Borromeo.

Dalle straordinarie doti di uomo di fede e di cultura, Scalabrini visse in tempi di aspri dibattiti all'interno della Chiesa (vedi la Questione Romana e quella Sociale), ma si distinse sempre per la sua capacità di mediazione nel rispetto della tradizione pur guardando con simpatia alle nuove correnti.

Particolarmente ricca la sua spiritualità. La sua devozione per la Madonna, per la Croce di Cristo, per l'Eucaristia e per i Santi hanno segnato il passo nella spiritualità della Chiesa del nostro secolo. Così come è avvenuto per le sue idee in campo politico e sociale.

Scalabrini vescovo di Piacenza e fondatore. Ma soprattutto fu vescovo. Infatti  proprio nella diocesi di Piacenza maturò la sua ansia caritativa, in particolare verso i migranti. Scalabrini non era nato santo, ma lo diventò proprio in terra piacentina, una terra fatta e guidata da santi, da persone che nella realtà del quotidiano si sono messe in ascolto delle situazioni e che hanno risposto con lo stesso cuore di Cristo.

 

 

 

 

 

PRESENTAZIONE

 

C’era bisogno di questo libro. La beatificazione di mons. Giovanni Battista Scalabrini, vescovo di Piacenza, apostolo degli emigranti, fondatore delle famiglie religiose degli Scalabriniani e delle Scalabriniane, è un momento di grazia che non possiamo lasciare passare inutilmente. I santi ci sono dati dalla grazia di Dio e ci sono offerti dalla Chiesa perché siano stimolo di rinnovamento personale e comunitario. Ma come vivere questo invito alla conversione senza conoscere da vicino quello che i santi sono effettivamente stati? Il modo in cui hanno interpretato e vissuto il rapporto con Dio, il loro impegno nella via del servizio e dell’amore, le caratteristiche personali con cui hanno vissuto il vangelo? Certo, tutti i santi sono plasmati dal vangelo e animati dallo Spirito di Cristo. Eppure, sorprendentemente, questo non significa che i santi sono fatti ‘in serie’, che si assomigliano tutti. E’ vero il contrario: i santi mostrano una identità personale ben spiccata, sono originali nel loro modo di affrontare le situazioni in cui vivono. Sembra che vivere al cospetto di Dio li costringa a estrarre dal loro patrimonio mentale, affettivo, umano tutte le più varie e ricche possibilità di crescita e di realizzazione. Sono costretti a non “conformarsi alla mentalità (modo di pensare e di agire) comune (alle mode) ma a trasformare se stessi secondo la volontà creativa e infinitamente ricca di Dio” (Rom 12,2).

Giovanni Battista Scalabrini non fa eccezione. Egli ha avuto i suoi modelli, soprattutto san Carlo, il grande riformatore della Chiesa milanese dopo il Concilio di Trento; ma questi modelli li ha seguiti in modo creativo. E non poteva essere diversamente perché doveva trasformare in servizio pastorale una situazione ben diversa da quella di san Carlo. Le tensioni all’interno della Chiesa tra transigenti e intransigenti rischiavano di lacerare il tessuto ecclesiale creando sospetti, mene nascoste, lotte virulente; all’esterno il problema irrisolto del potere temporale del Papa rimaneva come un impedimento a qualsiasi progetto di impegno cristiano nel campo pur importante della politica. E tutto questo in un momento di trapasso sociale che sconvolgeva equilibri secolari e rischiava di travolgere, insieme con le strutture, anche le tradizioni di fede. Si pensi al problema che l’istruzione religiosa degli emigranti poneva; all’altro problema della fede degli operai. Non si poteva andare avanti ripetendo semplicemente le esperienze del passato; si sarebbe rischiato di ‘perdere il treno’ e cioè quell’opportunità che pur in mezzo alle difficoltà veniva offerta. Scalabrini è stato coraggioso: ha preso decisioni chiare e capaci di incidere sul corpo vivo della pastorale diocesana; non si è lasciato turbare più di tanto dalle critiche e dalle opposizioni, a volte palesi, a volte celate; aveva una visione chiara della pastorale e l’ha promossa con tutte le sue scelte.

Unità e concordia nella Chiesa, istruzione religiosa (catechismo), eucaristia, attenzione ai bisogni spirituali e materiali delle persone: attorno a questi valori di fondo si sono mosse tutte le scelte. Le sue cinque (!) visite pastorali, anzitutto, pensate perché la sua visione fosse diffusa capillarmente in tutta la diocesi, conosciuta da preti e laici, condivisa, attuata con la collaborazione di tutti; i tre sinodi, per dare vigore alle decisioni nelle quali si concretizzava la visione pastorale; l’opera instancabile e precisa per la formazione teologica dei seminaristi e per quella catechistica dei laici; l’impegno per l’annuncio di fede a tutti e in particolare a coloro che più facilmente potevano essere dimenticati (emigranti, sordomuti). Tutto si armonizza in un’unica visione pastorale vissuta con lucidità e coerenza.

Era necessario che questa figura ci venisse tratteggiata in modo chiaro, sintetico, stimolante. Chi volesse la documentazione completa potrà affrontare le 1300 pagine di M. Francesconi o gli altri volumi citati in bibliografia. Barbara Fiorentini ci ha donato una sintesi che non omette nulla di essenziale e che ha il pregio di farci sentire spesso la voce diretta dello Scalabrini. Auguro perciò buona strada a questo libro; che possa avere molti lettori e produrre un frutto abbondante di fede, di amore pastorale.

 

 

                                                                                         + Luciano Monari

                                   Vescovo di Piacenza Bobbio

 

 

Indice

 

 

 

 

·        Introduzione………………………………………………………………………….

·        La famiglia e l’infanzia ……………………………………………………………..

·        Sacerdote, formatore, rettore…………………………………………………………

·        Parroco a Como..…………………………………………………………………….

·        Vescovo di Piacenza…………………………………………………………………

·        “Apostolo del catechismo”…………………………………………………………..

·        La predicazione della Parola di Dio…………………………………………………

·        “Principe della Carità”……………………………………………………………….

·        Il pastore visita il suo gregge…………………………………………………………

·        Il governo della diocesi e i tre sinodi…………………………………………………

·        L’amore del vescovo per la Casa di Dio……………………………………………..

·        I laici nella Chiesa, “una giovinezza che sorge”……………………………………..

·        Scalabrini, lo Stato e la Chiesa di Roma……………………………………………..

·        La Questione operaia…………………………………………………………………

·        La Questione migratoria: un problema dello Stato e della Chiesa…………………..

·        Scalabrini, vescovo missionario………………………………………………………

·        L’amicizia con Bonomelli……………………………………………………………

·        Scalabrini “comunicatore”……………………………………………………………

·        Gli ultimi anni……………………………………………………………………….

·        Storia del processo di beatificazione…………………………………………………

·        Una spiritualità vissuta……………………………………………………………….

·        Scalabrini e San Carlo Borromeo…………………………………………………….

·        Visita ai luoghi scalabriniani…………………………………………………………

·        Cronologia essenziale………………………………………………………………..

·        Fonti e bibliografia ………………………………………………………………….

·        Indice…………………………………………………………………………………

 

Cronologia essenziale

 

 

1839, 8 luglio: Giovanni Battista Scalabrini nasce e viene battezzato a Fino Mornasco (Como)

1857: entra nel seminario minore della diocesi di Como

1863, 30 maggio: viene ordinato sacerdote

1868: viene nominato rettore del seminario minore

1870: viene nominato parroco a San Bartolomeo di Como

1876, 28 gennaio: viene preconizzato canonicamente vescovo di Piacenza

            5 febbraio: prende possesso della diocesi piacentina

            5 luglio: fonda “Il Catechista Cattolico”, prima rivista catechistica in Italia

            4 novembre: indice la prima visita pastorale

1878: promuove a Roma la riapertura del seminario lombardo

1879: indice il primo sinodo diocesano; fonda a Piacenza L’Istituto per le sordomute

1880: fa uscire il giornale diocesano “La Verità”; si fa promotore della fondazione della rivista teologica “Divus Thomas”

1881: promulga il nuovo catechismo per la diocesi; inaugura il comitato diocesano dell’Opera dei Congressi

1884: promulga il nuovo “Proprium” piacentino; istituisce la Commissione di santa Cecilia, per la riforma del canto sacro

1885: tratta con il Papa Leone XIII la pubblicazione dell’opuscolo “Intransigenti e transigenti” e presenta un memoriale sulla conciliazione dell’Italia con la Santa Sede

1887, 9 luglio: istituisce a Piacenza un comitato per la protezione degli emigrati, denominati “Società San Raffaele”

         29 novembre: fonda la Congregazione dei Missionari di San Carlo per l’assistenza degli emigrati

1889, 19 marzo: consegna il crocifisso a Madre Cabrini e alle sue suore che, dietro suo consiglio, salpano per gli Stati Uniti con lo scopo di assistere gli emigrati italiani

          24 settembre: indice il primo Congresso catechistico nazionale

1891: tiene numerose conferenze nelle principali città italiane, istituendo i comitati della “San Raffaele” per la protezione degli emigrati a Roma, Genova, Firenze, Torino e Milano

1892: erige a Piacenza l’Opera di Sant’Opilio per i chierici poveri

1894: lancia alla diocesi l’appello per i restauri del Duomo

1895, 25 ottobre: fonda a Piacenza la Congregazione delle Missionarie di San Carlo per l’assistenza agli emigrati

1900, 10 giugno: approva le costituzioni delle Suore Apostole del sacro Cuore e le indirizza sulle vie dell’emigrazione

1901, 18 luglio: parte da Genova per la visita ai missionari e agli emigrati italiani negli Stati Uniti

          10 ottobre: viene ricevuto dal presidente americano Theodor Roosevelt

1902: appoggia la pubblicazione del settimanale “Il Lavoro”

1903: fonda a Piacenza l’Opera “Pro Mondariso”

1904, 13 giugno: parte da Piacenza per visitare i suoi missionari e gli emigrati italiani in Brasile

1905: propone alla Santa Sede la costituzione di una Commissione centrale per tutti gli emigrati cattolici

1905, 1° giugno, festa dell’Ascensione: Giovanni Battista Scalabrini muore alle 6 del mattino

1908, 1° giugno: viene inaugurato nella cattedrale di Piacenza il monumento funebre

1909, 18 aprile: la salma viene traslata in cattedrale

1936, 5 maggio: il vescovo Ersilio Menzani apre i processi ordinari diocesani di beatificazione e canonizzazione

1940, 6 marzo: i risultati del processo diocesano vengono passati alla Congregazione dei riti

1940, 30 marzo: vengono aperti i processi apostolici. A Scalabrini viene attribuito il titolo di Servo di Dio

1982, 11 maggio: Giovanni Paolo II ratifica il decreto di introduzione della causa

1986, 25 novembre: la Causa passa al vaglio della Congregazione delle Cause dei Santi e, in particolare, al Congresso Peculiare di Padri Consultori.

1987, 17 febbraio la Causa viene vagliata dalla Congregazione Ordinaria dei Padri Cardinali e Vescovi.

1987, 16 marzo: Scalabrini viene dichiarato Venerabile. Viene così riconosciuto allo Scalabrini l'esercizio delle virtù eroiche

1987 - viene diffusa la notizia del miracolo, cioè la guarigione di una suora da un tumore dichiarato dai medici maligno e incurabile. La guarigione miracolosa viene attribuita all'intercessione dello Scalabrini. Vengono allora effettuate numerose verifiche mediche.

1992 - tutti i referti medici riguardanti la guarigione vengono riesaminati da medici specialisti di varie città italiane

dal 23 dicembre 1994 al 5 giugno 1995 - a Piacenza si tiene il processo diocesano sul presunto miracolo attribuito a Scalabrini.

1995, 13 ottobre: la causa prosegue il suo iter a Roma; due esperti oncologi riesaminano i referti medici

1996, 5 dicembre: una consulta medica, composta da cinque membri, all'unanimità ammette che la guarigione avvenuta non può essere spiegata in nessun modo dalla medicina ufficiale

1997, 21 marzo: la consulta dei teologi all'unanimità, sette voti su sette, afferma che il presunto miracolo è attribuibile all'intercessione di Scalabrini

1997, 3 giugno: la Congregazione dei Cardinali dà all'unanimità il suo voto: la guarigione di suor Paolina non ha spiegazioni naturali e tale fatto è attribuibile all'intercessione del Venerabile Giovanni Battista Scalabrini

1997, 7 luglio: Giovanni Paolo II firma il decreto con cui riconosce il miracolo, avvenuto per intercessione dello Scalabrini

1997, 9 novembre: Giovanni Paolo II, durante una solenne celebrazione in San Pietro, dichiara lo Scalabrini “beato”.

 

 

La Questione migratoria: un problema dello Stato e della Chiesa

 

 

“In Milano, parecchi anni or sono, fui spettatore di una scienza che mi lasciò nell’animo un’impressione di tristezza profonda.

Di passaggio alla stazione vidi la vasta sala, i portici laterali e la piazza adiacente invasi da tre o quattro centinaia di individui poveramente vestiti, divisi in gruppi diversi. Sulle loro facce abbronzate dal sole, solcate dalle rughe precoci che suole imprimervi la privazione, traspariva il tumulto degli affetti che agitavano in quel momento il loro cuore. Erano vecchi curvati dall’età e dalle fatiche, uomini nel fiore della virilità, donne che si traevano dietro o portavano in collo i loro bambini, fanciulli e giovanette tutti affratellati da un solo pensiero, tutti indirizzati ad una meta comune.

Erano emigranti”.

 

Così Scalabrini raccontò il suo primo incontro con la realtà migratoria. Nel 1887, in “L’emigrazione italiana in America”, descriveva l’infelicità di chi era costretto a lasciare la propria terra per cercare migliore fortuna all’estero, in altri Paesi europei e in Oltreoceano. Per l’Italia si trattò di un vero e proprio dramma sociale che caratterizzò la sua storia a partire dalla seconda metà del XIX secolo. Si conta che nell’arco di un secolo espatriarono dall’Italia circa 25 milioni di persone.

Dopo l'incontro con un gruppo di migranti alla stazione ferroviaria di Milano, si rese conto della vastità del problema e si adoperò perché lo Stato impostasse una vera politica migratoria e la Chiesa una pastorale specifica. Nel 1889 fondò la società S. Raffaele, un'aggregazione laicale missionaria con il compito di assistere i migranti soprattutto nell'emergenza. Il vescovo stesso divenne  missionario, visitando le Americhe a più riprese, fino a quando le precarie condizioni di salute glielo permisero.

Nel 1887 fondò la congregazione dei Missionari di san Carlo Borromeo (Scalabriniani), dediti all'assistenza, soprattutto spirituale, anche se non solo, dei migranti. Nel 1895 fu la volta delle Missionarie Scalabriniane.

In "L'emigrazione italiana in America", del 1887, lo Scalabrini scriveva:

 

 "L'emigrazione è un fatto naturale e una necessità ineluttabile. E' una valvola di sicurezza data da Dio a questa travagliata società; è una forza conservatrice più potente di tutti i compressori morali e materiali, escogitati e messi in opera dai legislatori per tutelare l'ordine pubblico e per guarentire la vita e la roba dei cittadini. E' noto il proverbio: malesuada fames. Chi potrebbe trattenere un popolo che scatta sotto le convulsioni del ventre, dato che non vi fosse la speranza di trovare il pane quotidiano?

(...) La Religione e l'emigrazione, ecco ormai i due soli mezzi che potranno per l'avvenire salvare la società da una grande catastrofe; l'una avviando su altri continenti il soverchio della popolazione, l'altra consolando di care speranze il dolore disperato degli infelici".

 

Ed il vescovo sapeva bene che il fenomeno migratorio non era transitorio, ma aveva tutte le caratteristiche per diventare permanente. “Uno dei fatti più importanti della moderna vita italiana e la sua emigrazione; importante per il numero, per i quesiti sociali che involge, per il malessere economico di cui è stimolo”. Così spiegava nel suo intervento alla prima conferenza sull’emigrazione, tenutasi a Roma l’8 febbraio del 1891. E aggiunse:

 

“(…) malgrado i disinganni e le grida di dolore, che di tanto in tanto attraversando l’Atlantico, ci fanno fremere ed arrossire, malgrado infine le proibizioni governative, l’esodo doloroso continua”.

 

E non mancarono le condanne contro coloro che si approfittavano della debolezza dei nostri migranti:

 

“Gli è, o signori, che l’emigrazione italiana, che fu ed è aumentata per le tristi condizioni nostre specialmente agrarie, che fu ed è stimolata fuor misura dagli agenti di emigrazione e dalla necessità di braccia da sostituire agli schiavi liberati del Brasile, risponde nel suo insieme ad un vero bisogno del popolo italiano, ed è in rapporto coll’aumento annuale della sua popolazione”.

 

Lo Scalabrini fu grande studioso e conoscitore dei problemi migratori e si impegnò anche sul fronte legislativo, perché lo Stato emanasse giuste leggi in favore degli italiani che emigravano all'estero. Decisivo fu il suo intervento per l’approvazione della legge specifica sul fenomeno migratorio datata 23 gennaio 1901.

Più volte cercò di portare l’attenzione anche sulle conseguenze negative portate da un’emigrazione forzata: oltre al dolore per l’abbandono della casa e dei propri cari, si aggiungeva anche lo sfruttamento e la speculazione di cui erano vittime nei Paesi in cui arrivavano. Il rischio maggiore era che, in una simile condizione, i nostri emigrati smarrissero il sentimento della nazionalità e della fede. Per evitare che rimanessero abbandonati, in una terra straniera, senza neppure assistenza religiosa, coinvolse tutti, Chiesa e istituzioni laiche.

 

Abbiamo già ricordato che nel 1889 fondò la società S. Raffaele, un'aggregazione laicale missionaria con il compito di assistere i migranti soprattutto nell'emergenza, garantendo tutela legale e sanitaria, fornendo informazioni e favorendo il collocamento nei posti di lavoro. L’associazione si adoperò per l’abolizione della “tratta dei bianchi” da parte degli agenti d’emigrazione e si impegnò a sostenere l’assistenza religiosa dal momento della partenza a quello dell’arrivo.

Nel 1887 fondò la congregazione dei Missionari di san Carlo Borromeo (Scalabriniani), dediti all'assistenza, soprattutto spirituale, anche se non solo, dei migranti. Consegnò il crocifisso ed il mandato missionario ai primi dieci religiosi (che sarebbero partiti per l’America) il 12 luglio nel 1888, nella basilica di Sant’Antonino a Piacenza. In quell’occasione disse loro:

 

“Andate dove la voce di Gesù vi chiama (…). Nei disagi e pericoli della lunga traversata sul mare, nelle fatiche e nelle pene che accompagneranno l’esercizio del vostro umile apostolato in quelle terre lontane, vi sia indivisibile compagno, amico fedele e pietoso consolatore il Crocifisso, che vi rammenterà quanto causò a Dio la salvezza dell’anima vostra e vi insegnerà la strada per cooperare a vostra volta alla salvezza degli infelici che laggiù vi attendono con entusiasmo e speranza…. Il campo dischiuso al vostro zelo non ha confini. Là templi da innalzare, scuole da aprire, ospedali da erigere, asili da fondare. Là infine miserie su cui far discendere gli influssi benefici della carità cristiana”.

 

 Attualmente i religiosi sono oltre 700 distribuiti in circa 260 sedi in 26 nazioni di 5 continenti.

Nel 1895 fu la volta delle Missionarie Scalabriniane, di cui sono cofondatori padre Giuseppe e madre Assunta Marchetti. Il primo fondò dell’orfanotrofio Cristoforo Colombo a San Paolo del Brasile ed esortò lungamente lo Scalabrini perché gli mandasse in aiuto alcune suore missionarie, le “Colombine” come le chiama nel carteggio con il vescovo Scalabrini. Le prime a partire furono in quattro, tra cui la madre di padre Giuseppe, Carolina, e la sorella, Assunta. Oggi le suore sono più di 800 e operano in 148 comunità in 20 nazioni del mondo.

Nell’assistenza ai migranti Scalabrini coinvolse anche l’Istituto delle Apostole del S. Cuore di Gesù, fondato da Clelia Merloni nel 1894 allo scopo di diffondere la devozione al sacro Cuore attraverso l’educazione dei giovani, la collaborazione all’insegnamento catechistico nelle parrocchie e l’assistenza ai malati e agli anziani. Cinque anni dopo la fondazione, l’istituto ebbe gravi problemi finanziari, ma trovò la protezione del vescovo piacentino (nel 1900 si fuse con quello delle missionarie scalabriniane, ma sette anni più tardi i due gruppi si divisero) che, tra l’altro, aggiunse alle sue finalità anche quella dell’assistenza degli emigrati italiani all’estero.

Convinse anche Santa Francesca Saverio Cabrini, fondatrice delle Missionarie del S. Cuore, a partire per l’America, per prendersi cura dei bambini, orfani e infermi italiani. Fu lo stesso Scalabrini a consegnare il crocifisso di missionaria alla Cabrini il 19 marzo del 1889. Ma lo scopo originario della congregazione era l’educazione della gioventù: questo nel tempo prevalse su tutti gli altri, compreso quello dell’assistenza ai migranti, mentre invece proseguì nella cura degli infermi.

Dopo la scomparsa dello Scalabrini, è sorto anche l’Istituto di Missionarie Secolari Scalabriniane, che si ispira alla figura e alla spiritualità del vescovo piacentino. Nato a Solothurn (Svizzera) nel 1961, è ora presente in Europa e in Brasile tra migranti e rifugiati di varie nazionalità e religioni.

 

Le idee dello Scalabrini sul fenomeno migratorio vanno ancora oggi, quasi cento anni dopo, controcorrente, ma hanno comunque fatto scuola. Ad esempio nel 1912 Pio X attua un'iniziativa che stava molto a cuore al vescovo piacentino, cioè l'istituzione di un organismo centrale presso la Santa Sede che si occupasse degli emigrati di ogni nazionalità. Nasce così il Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli itineranti. Inoltre è oggi attivo anche un organismo che opera a livello internazionale, il Consiglio Superiore per le Migrazioni. Il vescovo piacentino aveva rivolto un caldo invito anche alle Chiese locali, che hanno risposto formando gli Uffici diocesani che fanno capo alla Commissione Ecclesiale per le Migrazioni (CEMI) della Conferenza Episcopale Italiana: suo organo operativo è la Fondazione Migrantes. Da un'idea del vescovo nel 1920 Benedetto XV fondò la Prelatura per l'Emigrazione Italiana, che però avrà vita breve.

Infine molti attribuiscono allo Scalabrini anche l'istituzione della Giornata Nazionale dell'Emigrante, nata nel 1914 e divenuta mondiale nel 1952 dalla pubblicazione della Costituzione Apostolica "Exsul familia". Ma anche dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa ha accolto le idee scalabriniane in materia di migrazioni, in concomitanza con il ripresentarsi, in modo urgente e pressante, dei problemi legati ai flussi migratori verso l'Europa ed in particolare verso l'Italia.

 

 

 

Storia del processo di beatificazione

 

 

Il cammino di Giovanni Battista Scalabrini verso la gloria degli altari iniziò nel 1936 per volere dell’allora vescovo di Piacenza Ersilio Menzani. Negli anni il processo ha subito alcune battute d’arresto, ma la svolta decisiva si è avuto a metà degli Anni Ottanta: una suora scalabriniana, suor Paolina De Angeli, nel 1987 viene riconosciuta affetta da un tumore in avanzata fase o, se si preferisce il linguaggio dei medici, di un "voluminoso adenocarcinoma ovarico destro, con metastasi peritoneali diffuse, ascite, douglassite carcinomatosa e metastasi epatiche, polmonari e ossee". Il tutto allo stadio quarto. La paziente viene operata, vengono asportati frammenti e la medicina si arrende. Non disarmano però la stessa malata e soprattutto le comunità scalabriniane che rivolgono preghiere al fondatore chiedendo la guarigione. E la guarigione realmente, poco dopo, si verifica, a dispetto di ogni previsione dei medici.

 Si pensa subito ad un miracolo, proprio quello che mancava perché lo Scalabrini potesse essere proclamato "beato" e così le congregazioni scalabriniane si mobilitano per raccogliere la necessaria documentazione, con testimonianze e perizie di medici. Si sa che la Chiesa è piuttosto cauta in simili casi. Questa volta però i fatti appaiono più credibili di tanti altri segnalati in precedenza e così viene chiesto al vescovo di Piacenza, allora mons. Antonio Mazza, di istituire un apposito tribunale.  L'incarico di postulatore, cioè di avvocato difensore, viene affidato al vescovo scalabriniano mons. Marco Caliaro; suo vice padre Sisto Caccia, attuale superiore della Casa Madre di Piacenza, dove, tra l'altro, è stato creato un centro di documentazione e un museo sullo Scalabrini.

Conclusa la sessione piacentina di questa rigorosa indagine, tutti i documenti vengono inviati alla Santa Sede per essere esaminati dalla Congregazione per le cause dei santi. Un cammino ancora in salita con diverse tappe. Una prima di carattere tecnico consistente nell'esame di un'équipe medica, poi quella dei teologi e dei cardinali. E’ spettato quindi al Papa riconoscere ufficialmente il miracolo e proclamare "beato" il vescovo Scalabrini. Là dove la scienza umana si era arresa, si è manifestata la grandezza della potenza divina.

Per l'"apostolo degli emigranti" il cammino verso la gloria degli altari era iniziato il 5 maggio 1936 quando l'allora vescovo di Piacenza Ersilio Menzani aveva aperto i processi ordinari diocesani di beatificazione e canonizzazione passando i risultati conseguiti il 6 marzo 1940 alla Congregazione dei riti; il 30 marzo successivo vengono aperti i processi apostolici. Al vescovo piacentino viene attribuito il titolo di "Servo di Dio".  Un nuovo passo in avanti è stato compiuto l'11 maggio 1982 quando Giovanni Paolo II ratifica il decreto di introduzione della causa e il 16 marzo 1987 sempre Papa Wojtyla dichiara lo Scalabrini "Venerabile", riconoscendo così che il presule "ha esercitato in grado eroico le virtù teologali e morali.  Questo documento, al di là della terminologia ufficiale, stava ad indicare che per la Chiesa non esistevano più riserve perché la causa andasse avanti.

 Ma ripercorriamo le tappe più significative del processo di beatificazione dello Scalabrini attraverso questa sintesi:

 

5 maggio 1936 - il vescovo Ersilio Menzani apre i processi ordinari diocesani di beatificazione e canonizzazione

6 marzo 1940 - i risultati del processo diocesano vengono passati alla Congregazione dei riti

30 marzo 1940 - vengono aperti i processi apostolici. A Scalabrini viene attribuito il titolo di Servo di Dio.

11 maggio 1982 - Giovanni Paolo II ratifica il decreto di introduzione della causa.

25 novembre 1986 - la Causa passa al vaglio della Congregazione delle Cause dei Santi e, in particolare, al Congresso Peculiare di Padri Consultori.

17 febbraio 1987 - la Causa viene vagliata dalla Congregazione Ordinaria dei Padri Cardinali e Vescovi.

16 marzo 1986 - Scalabrini viene dichiarato Venerabile. Viene così riconosciuto allo Scalabrini l'esercizio delle virtù eroiche

1987 - viene diffusa la notizia del miracolo, cioè la guarigione di una suora, la missionaria scalabriniana Paolina De Angeli, da un tumore dichiarato dai medici maligno e incurabile. La guarigione miracolosa viene attribuita all'intercessione dello Scalabrini. Vengono allora effettuate numerose verifiche mediche.

1992 - tutti i referti medici riguardanti la guarigione vengono riesaminati da medici specialisti di varie città italiane.

dal 23 dicembre 1994 al 5 giugno 1995 - a Piacenza si tiene il processo diocesano sul presunto miracolo attribuito a Scalabrini.

13 ottobre 1995 - la causa prosegue il suo iter a Roma; due esperti oncologi riesaminano i referti medici.

5 dicembre 1996 - una consulta medica, composta da cinque membri, all'unanimità ammette che la guarigione avvenuta non può essere spiegata in nessun modo dalla medicina ufficiale.

21 marzo 1997 - la consulta dei teologi all'unanimità, sette voti su sette, afferma che il presunto miracolo è attribuibile all'intercessione di Scalabrini.

3 giugno 1997 - la Congregazione dei Cardinali dà all'unanimità il suo voto: la guarigione di suor Paolina non ha spiegazioni naturali e tale fatto è attribuibile all'intercessione del Venerabile Giovanni Battista Scalabrini.

7 luglio 1997 - Giovanni Paolo II firma il decreto con cui riconosce che il miracolo, avvenuto nel 1987, è attribuito all’intercessione di Giovanni Battista Scalabrini.

9 novembre 1997 – Giovanni Paolo II dichiara lo Scalabrini “beato”.

 

Alcune fasi del processo furono particolarmente travagliate. Per quale motivo? Forse lo Scalabrini era un personaggio troppo scomodo per la Chiesa, anche dopo la sua morte?

"Fu un uomo molto impegnato nella Chiesa del suo tempo, anche nelle questioni di convivenza con lo Stato. E proprio questa sua forte presenza nella realtà storica ed ecclesiale gli ha creato non pochi problemi, sia da vivo sia da morto". Così si esprime padre Sisto Caccia, vicepostulatore della causa di beatificazione di Giovanni Battista Scalabrini. I ritardi prima e durante il processo di canonizzazione sono una prova di come il vescovo piacentino fosse stato un personaggio "scomodo", anche dopo la morte. Scomodo, sì, per molti, ma certamente non per i fedeli piacentini: in questo senso la sua fama non incontrò ostacoli. Ancora cinquant'anni dopo la sua morte, quando a Piacenza si diceva "il vescovo" ci si riferiva implicitamente, ma chiaramente allo Scalabrini.

La poliedricità di questo personaggio ha creato problemi ovviamente anche ai suoi successori. La sua era un'eredità non facile da raccogliere. "Nonostante tutto però - spiega padre Caccia - il processo è andato avanti: fino al 1940 a Piacenza, raccogliendo più documentazione possibile. Poi tutti gli atti sono stati portati alla Congregazione dei Santi, a Roma. A questo punto l'esame più importante fu quello effettuato sull'ortodossia degli scritti dello Scalabrini".

Contemporaneamente, però, incominciarono a sorgere problemi sulla figura del vescovo, a livello sia locale sia ecclesiale italiano. "Aveva certamente degli oppositori, ma la storia poi - sottolinea padre Sisto - gli ha dato ragione. Ma è certo che le sue amicizie (soprattutto quella con il vescovo  Bonomelli) e la schiettezza nei rapporti con papa Leone XIII hanno aggiunto nuove difficoltà. Alcuni hanno persino detto che era un "furbo" che diceva di obbedire al papa mentre poi faceva quello che voleva. Ripeto: la storia, invece, ci insegna che i fatti avvennero in modo molto diverso".

E' accaduto, quindi, che queste dispute, sostenute da pochi, per un certo periodo hanno avuto la meglio sulla "fame" di santità che tutti i fedeli piacentini avevano verso lo Scalabrini. La causa fu bloccata da Giovanni XXIII e poi riaperta nel 1969 da Paolo VI, che chiese una nuova biografia per cercare di sciogliere quei fastidiosi "nodi" che ancora offuscavano la figura del vescovo piacentino. Dal 1983 in poi, con papa Giovanni Paolo II, una volta chiarita le questioni storiche, i lavori sono proseguiti velocemente. Il 16 marzo 1987 il pontefice riconosce allo Scalabrini l'esercizio eroico delle virtù. "Per noi scalabriniani - afferma convinto padre Caccia - questo giudizio ecclesiale sul nostro fondatore è stato molto importante, quasi più di una beatificazione".

Ma non per questo il cammino verso gli onori degli altari si è arrestato.

La causa di beatificazione è stata sostenuta da sempre dalla Congregazione dei missionari di San Carlo, con postulatore il vescovo scalabriniano monsignor Marco Caliaro, vicepostulatore padre Caccia e vicepostulatore per la Diocesi piacentina monsignor Renzo Rizzi. "E' vero che siamo sempre stati noi scalabriniani gli attori principali della causa - sottolinea lo stesso padre Caccia - ma Scalabrini, prima di essere "padre dei migranti" e quindi nostro fondatore, è stato soprattutto vescovo. E' stato qui, nella diocesi di Piacenza, che ha maturato la sua ansia caritativa verso i migranti. Non è nato santo, ma lo è diventato proprio in questa terra piacentina, terra fatta e guidata da santi, da persone che nella realtà del quotidiano si sono messe in ascolto delle situazioni e che hanno risposto con lo stesso cuore di Cristo".

 

 

Documenti

 

1.      L’11 maggio 1982 il cardinale Pietro Palazzini, Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, emanò il seguente decreto di introduzione della Causa:

 

“Secondo il Concilio Vaticano II i Vescovi devono essere santi e santificatori: ‘In primo luogo i Pastori del gregge di Cristo devono, a immagine del sommo ed eterno Sacerdote, Pastore e Vescovo delle anime nostre, compiere con santità, slancio, umiltà e fortezza il proprio ministero, il quale così adempito, sarà anche per loro un eccellente mezzo di santificazione. Eletti alla pienezza del sacerdozio, è loro data la grazia sacramentale, affinché, pregando, santificando e predicando, con ogni forma di cura e servizio episcopale esercitino un perfetto ufficio di carità pastorale, non temano di dare la propria vita per le pecorelle e, fattisi modello del gregge, promuovano anche con l’esempio la Chiesa ad una santità ogni giorno più grande ‘ (Lumen Gentium, 41).

A promuovere una sempre maggiore santità della Chiesa sembra il Signore aver chiamato il Servo di Dio Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo di Piacenza dal 1876 al 1905, e fondatore delle Congregazioni dei Missionari e delle Missionarie di San Carlo per gli emigrati.

Il suo programma episcopale fu infatti: ‘Quanto a me, debitore a tutti, secondo le mie forze, tutti abbraccierò col mio ministero facendomi servo di tutti per l’evangelio, ed inviato in prima ai poveri ed ai più infelici che traggono miseramente la vita nella desolazione, soffrirò con essi, dando opera soprattutto a sovvenire ed  evangelizzare i poveri’ (Lettera Pastorale al Clero e Popolo della Città e Diocesi di Piacenza, 30/1/1876, p. 3). Dopo trent’anni di episcopato, indicendo la sesta visita pastorale, esclamava: ‘Me felice se la termine della visita potrò in verità ripetere coll’Apostolo: Mi sono fatto tutto a tutti per guadagnar tutti a Cristo! Guadagnar tutti a Cristo, ecco la costante, la suprema aspirazione dell’anima mia!’ (Lettera Pastorale del 5/5/1905, p. 2).

Nato a Fino Mornasco nella diocesi di Como l’8 luglio 1839, fin da fanciullo dimostrò di essere chiamato ad aiutare ed evangelizzare i poveri. A 18 anni entrò nel Seminario di Como, e fu ordinato sacerdote il 30 maggio 1863. Fu subito  destinato alla formazione dei seminaristi; a 30 anni gli fu affidata la parrocchia di S. Bartolomeo in Como, dove fondò per i lavoratori le prime associazioni di mutuo soccorso, ma più ancora attese all’insegnamento del catechismo, alla carità verso i poveri e gli ammalati, alla predicazione della parola di Dio. Si distinse particolarmente per la difesa della Chiesa e del suo infallibile Capo, divulgando l’insegnamento del Concilio Vaticano I. Per questo Pio IX di s.m. lo scelse, alla giovane età di 36 anni, a reggere la vasta diocesi di Piacenza, di cui fu consacrato vescovo il 30 gennaio 1876.

Le sue prime cure furono per la riforma dell’insegnamento del catechismo, tanto che lo stesso Pio IX lo definì l’Apostolo del Catechismo. Il suo esempio risvegliò in Italia il movimento catechistico: nel 1876 fondò la prima rivista catechistica italiana e nel 1889 realizzò il primo Congresso Catechistico Nazionale. Formò una numerosa schiera di catechisti laici, e riformò gli studi ecclesiastici, prevenendo la riforma tomistica di leone XIII, ma soprattutto fornì al clero e al popolo i mezzi più efficaci di formazione spirituale e apostolica.

Da buon pastore volle conoscere da vicino tutto il suo gregge, visitando personalmente per cinque volte le 365 parrocchie dell’impervia diocesi. Frutto di tale conoscenza furono tre Sinodi Diocesani. Distribuì con eccezionale abbondanza la parola di Dio; prese contatto, anche attraverso indagini sociologiche, con le necessità del suo popolo; andò in cerca delle pecorelle smarrite, anche con il pericolo della vita; visitava gli ammalati e carcerati;  soccorreva alle necessità dei poveri per i quali si spogliò di tutto; promosse il culto della casa di Dio e dei Santi; diffuse in tutta la diocesi la pratica dell’adorazione perpetua dell’Eucaristia e la devozione mariana.

In ossequio alle direttive di leone XIII, la Diocesi Piacentina non fu seconda a nessuna nell’organizzazione del cosiddetto Movimento Cattolico, opponendo il Servo di Dio alla propaganda marxista una capillare rete di associazioni operaie, fondando l’Opera pro Mondariso, intervenendo a comporre i primi conflitti sociali in nome della carità e della giustizia cristiana.

Ma l’opera che maggiormente lo distinse nel campo religioso-sociale fu la fondazione di istituzioni a favore degli emigrati italiani, il cui esodo verso l’America aveva assunto proporzioni  allarmanti per le conseguenze sociali e religiose. Il Servo di Dio Pio XII, ricordato come nel 1887 il Papa Leone XIII approvò la fondazione in Piacenza di un Istituto Apostolico di missionari per gli emigrati, aggiungeva: ‘Dopo di che, col concorso di solerti sacerdoti e di chiarissimi presuli, quell’uomo apostolico, da Noi proclamato oltremodo benemerito della Chiesa e della patria, fondò un collegio di sacerdoti… E così si ebbe la nuova Congregazione religiosa dei Missionari di S. Carlo per gli emigranti d’Italia, che venera appunto nel Servo di Dio il suo fondatore’ (Pio XII, Costituzione Apostolica “Exsul Familia”, 1/8/1952, I, II).

Nel medesimo tempo fondò un’associazione di patronato, denominata poi Società San Raffaele; nel 1889 convinse Santa Francesca Saverio Cabrini ad accorrere con le sue Suore al soccorso degli emigrati in America; nel 1895, diede inizio alla Congregazione delle Suore Missionarie di San Carlo; infine, nel 1905, su invito di San Pio X, progettò una Commissione Centrale pro Emigratis Catholicis indicando alla Chiesa universale le linee di una pastorale specifica per questa categoria di fedeli.

Con l’opera in favore degli emigrati il Servo di Dio intese anche contribuire in forma pratica al risanamento del dissidio che divideva allora il nuovo Stato italiano della sede Apostolica. Fu infatti caratteristica ansia del suo zelo apostolico la ricerca dell’unità e della riconciliazione, persuaso che la carità di Cristo, che lo urgeva, si poteva diffondere solamente mediante l’unità fondata sull'amore alla verità. Mosso dalla medesima ansia si fece apostolo della conciliazione fra Religione e Patria, tra scienza e fede, tra le varie correnti del clero, sotto l’unico vessillo dell’obbedienza al Romano Pontefice, all’unico fine di raccogliere in unità i dispersi figli d’Israele.

Per simile ansia di conciliazione, come del resto per l’assiduità del suo zelo, per la molteplicità delle fatiche apostoliche, per lo strenuo combattimento per la causa di Cristo e dell’uomo redento dal suo Sangue, ebbe a portare una pesante croce.

Ma tutti i giorni domandava alla Madonna, di cui era devotissimo: fac me cruce inebriari! Fedele seguace di Cristo Crocifisso, ardente adoratore di Gesù nell’Eucaristia, costante nella meditazione della parola di Dio, esemplare nell’esercizio dell’umiltà, della povertà, della castità, instancabile nell’orazione e nella cristiana mortificazione, già durante la vita fu da molti considerato un santo; e quando morì, il 1° giugno 1905, nell’episcopio di Piacenza, il popolo esclamò spontaneamente:

“E’ morto un santo!”.

Con l’andare degli anni la sua fama venne crescendo, tanto che negli anni 1936-1940 la Curia Piacentina celebrò i Processi Ordinari Informativi, che furono chiusi il 29 febbraio e aperti dalla S. Congregazione dei Riti il 30 marzo dello stesso anno. Il Decreto sugli Scritti fu reso di pubblica ragione dalla S. Congregazione per le Cause dei Santi il 18 febbraio 1972.

Ciò fatto, in forza della speciale facoltà concessa il 7 luglio 1977 dal papa Paolo VI e prorogata da Giovanni Paolo II, su istanza del rev.mo P. Mario Francesconi, postulatore generale della Congregazione di S. Carlo per gli emigrati, il 5 aprile di quest’anno 1982 si è tenuto il Congresso Ordinario di questa Congregazione per le Cause dei Santi, in cui il Cardinale Prefetto propose questo dubbio: Se la Causa del Servo di Dio Giovanni Battista Scalabrini debba esser introdotta. Gli Uffici Prelati e gli altri aventi diritto di voto, insieme con lo stesso Cardinale Prefetto, dopo completo e maturo esame, al dubbio proposto risposero affermativamente se ciò fosse piaciuto al Sommo Pontefice.

In seguito, fatta di tutto relazione al Sommo Pontefice Giovanni Paolo II il giorno 11 maggio 1982, Sua Santità ha ratificato e confermato il responso della Sacra  Congregazione per le Cause dei Santi, cioè Si introduca la Causa del Servo di Dio Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo di Piacenza e Fondatore dei Missionari di S. Carlo per gli emigrati.

 

Roma, 11 maggio 1982

 

Pietro Card. Palazzini, Prefetto

+ Traiano Crisan, Arciv., tit. di Drivasto, Segretario

 

 

 

2.      Il 16 marzo 1986 Giovanni Paolo II dichiara solennemente che il Venerabile Scalabrini esercitò in grado eroico le virtù teologali e cardinali. Questo il testo del Decreto.

 

Se consta delle virtù teologali Fede, Speranza e Carità verso Dio e verso il Prossimo e delle virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortezza e virtù annesse in grado eroico, nel caso e agli effetti di cui si tratta.

“Cristo diede agli Apostoli e ai loro successori il mandato e la potestà di ammaestrare tutte le genti, di santificare gli uomini nella verità e di pascerli. Perciò i Vescovi, per virtù dello Spirito Santo, che loro è stato dato, sono divenuti veri e autentici Maestri della fede, Pontefici e Pastori” (Christus Dominus, 2).

Maestro della fede, Pontefice e Pastore fu il Servo di Dio Giovanni Battista Scalabrini, che ispirò la sua vita apostolica al mandato missionario di Cristo Signore: Andate, dunque, ed ammaestrate le genti (Mt 28, 19) e all’esempio dell’Apostolo: Mi sono fatto tutto a tutti in ogni cosa, per salvare tutti. Tutto faccio per il Vangelo (I Cor 9, 22). La sua spiritualità consistette nel voler riprodurre in sé l’immagine di Cristo, per poter essere continuatore dell’Incarnazione, secondo una tesi cara alla tradizione dei Padri Greci, nella conformità a Cristo Crocifisso, secondo il principio Teologico di S. Paolo: Sono crocifisso con Cristo, e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me (Gal 2, 20) e secondo il principio ascetico de L’Imitazione di Cristo: di tanto progredirai in quanto ti avrai fatto violenza (1 I, c. 25). Scelse a modelli S. Carlo Borromeo e S. Francesco di Sales.

Al triplice compito episcopale vissuto in tale spirito la Provvidenza preparò il Servo di Dio fin dai primi anni. Nato l’8 luglio 1839 a Fino Mornasco, nella diocesi di Como, fin dalla fanciullezza, sull’esempio della madre, mostrò predisposizione alla pietà eucaristica e mariana, all’apostolato, allo studio e alla carità verso i poveri. Entrato a 18 anni nel Seminario di Como, fu ordinato sacerdote il 30 maggio 1863. Si iscrisse all’Istituto Missioni Estere di Milano, ma il vescovo di Como lo destinò all’insegnamento e alla direzione del seminario minore di S. Abbondio. Nel 1868 il giovane sacerdote non esitò ad esporre la sua vita per assistere il colerosi.

Nel 1870 fu nominato parroco di S. Bartolomeo in Como, difficile parrocchia di periferia industriale, che egli trasformò in comunità esemplare, con l’intensa amministrazione della Parola di Dio e dei sacramenti, la catechesi sistematica della gioventù, la sollecita cura degli infermi e l’istituzione di associazioni di azione cattolica e di mutuo soccorso.

Segnalato a Pio IX, di s.m., da S. Giovanni Bosco per lo zelo pastorale e per il devoto attaccamento alla Sede Apostolica, dimostrato nelle Conferenze sul Concilio Vaticano, pubblicate nel 1873, fu eletto Vescovo di Piacenza all’età di 36 anni e consacrato a Roma il 30 gennaio 1876.

Maestro della fede, nel primo anno del trentennale di episcopato riformò gli studi ecclesiastici e rimise in vigore gli Esercizi spirituali e le Congregazioni dei casi di coscienza per il clero, organizzò in tutte le 365 parrocchie della diocesi le Scuole della Dottrina Cristiana in forma di vera scuola, infine intraprese la prima visita pastorale. Negli anni successivi sviluppò questa strategia pastorale con la celebrazione di tre Sinodi, la fondazione della prima rivista catechetica italiana, la celebrazione del primo Congresso Nazionale Catechistico, nonché con singolare abbondanza di magistero orale e scritto e con il contatto paterno con il clero e il popolo.

Difensore e propagatore della fede, la protesse non solo contro gli errori del tempo, ma anche contro le inutili logomachie che offendevano la carità e la verità. Per la verità, infatti, combatté e soffrì tanto che si poté dire di lui che seppe tradurre l’amore della verità in intrepido servizio della verità, accettando poi con coerenza, fortezza e pazienza il martirio della verità e dando prova di una straordinaria lealtà ecclesiale e partecipazione alla sollecitudine per tutte le Chiese. Sopportò in umile silenzio le contraddizioni e le sofferenze personali, alieno da qualsiasi interesse egoistico, ma considerò delitto il silenzio ogniqualvolta si trattasse della causa di Gesù Cristo, della Chiesa e del Papa, e quando era in pericolo il bene delle anime come regola suprema, che regolò tutte le sue scelte, spesso contro corrente e innovatrici.

Insegnò e propagò la fede soprattutto con l’esempio di una vita nella fede in Gesù Cristo. Uomo di preghiera, si obbligò con voto sotto pena di peccato grave alla meditazione quotidiana, celebrava i divini misteri e la sacra liturgia con commovente fervore, trascorreva lunghe ore, giorno e notte, prostrato in adorazione dell’Eucaristia, prodigandosi poi in un lavoro senza respiro. Operò così una perfetta integrazione tra contemplazione e azione. Esattissimo nell’adempimento di tutti i doveri, rifuggendo dal peccato come davanti a un serpente velenoso (Sir 21, 2), non solo praticò l’austera penitenza corporale, ma abbracciò con gaudio la stoltezza della croce implorando continuamente dalla Madre celeste, di cui era teneramente devoto, fammi inebriare della croce!

Unito così intimamente a Dio, per ciò stesso fu Pontefice, instancabile artefice di unità e di comunione nel Popolo di Dio. Nella Chiesa italiana lacerata da contrapposizioni polemiche in seguito alla caduta del potere temporale,  fece paziente opera di riconciliazione dei sacerdoti, divisi in tomisti e rosminiani, tra il clero e il laicato, tra le classi sociali, tra ragione e fede, tra il vecchio e il nuovo mondo, tra Chiesa e Stato. Angosciato dal perpetuarsi del “funesto dissidio” tra la S. sede e il governo italiano, tentò ogni via di soluzione storicamente e teologicamente valida della Questione Romana, adottò una pastorale rispondente alle mutate condizioni dei tempi e alle nuove esigenze del popolo, e lavorò tenacemente, ma sempre in perfetta comunione con il Romano Pontefice, perché maturasse una nuova epoca ecclesiale, fondata su valori puramente evangelici, in una unità fondata sulla verità e sulla carità di Cristo.

Pastore, modellato sul Buon Pastore, volle anzitutto conoscere di persona tutte le sue pecore, visitandole cinque volte, a prezzo di fatiche definite da tutti incredibili, facendosi realmente tutto a tutti per guadagnare possibilmente tutti a Cristo, aiutandosi anche con indagini sociologiche per comprendere meglio le necessità del tempo. Andò in cerca delle pecore smarrite, sprezzando anche minacce di morte. Spogliandosi di tutto, diede da mangiare agli affamati, soccorse ogni miseria umana, visitò i carcerati, fondò l’Istituto Sordomute, fece da paciere nelle controversie sociali, organizzò in maniera esemplare il “movimento cattolico”.

Il Servo di Dio è universalmente noto per la sua opera in favore degli emigrati, che allora espatriavano in massa dall’Italia, abbandonati da tutti. Per essi progettò un “disegno di evangelizzazione” e di promozione integrale della persona umana, fondando nel 1887 la Congregazione dei Missionari di San Carlo, con l’approvazione di leone XIII. Dopo aver convinto S. Francesca Saverio Cabrini a intraprendere la sua attività missionaria tra gli emigrati di New York, fondò nel 1895 la Congregazione delle Suore Missionarie Scalabriniane di S. Carlo Borromeo. Indirizzò pure all’assistenza degli emigrati le Suore Apostole del S. Cuore, fondate dalla Madre Clelia Merloni, e nel 1889 istituì la Società San Raffaele, laicale, per la tutela dei diritti umani degli esuli. Sostenne vigorosamente la necessità di una pastorale specifica, atta a salvare il patrimonio spirituale degli emigrati, e suggerì a San Pio X l’istituzione di un apposito organismo ecclesiale centrale, sollecitando la Chiesa universale a prendere coscienza di un problema che in proporzioni sempre più vaste coinvolgeva l’intera umanità e l’avvenire stesso della Chiesa.

Perciò Benedetto XV riconobbe all’”incomparabile Presule…le altissime virtù, e primariamente quella che ne fu principe, la carità, la quale siffattamente le accese da rendergli angusti i confini di vasta diocesi e da spingerlo a cercare nuovo gregge nei lontani emigrati” (Autografo del 30-6-1915), e Pio XII lo definì “Quel grande Apostolo da noi dichiarato molto benemerito da parte della Chiesa e dello Stato” (Constitutio Apostolica “Exsul familia”, 1952, I, II).

Consumato dal fuoco della carità e dall’ardente zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, spossato dalle fatiche apostoliche, specialmente delle visite agli emigrati negli Stati Uniti e nel Brasile, morì santamente nella sua sede episcopale di Piacenza nel sessantaseiesimo anno di vita, il 1° giugno 1905.

La voce del popolo lo acclamò santo. L’Ordinario Piacentino dispose nel 1936 l’apertura dei Processi Diocesani, i cui Atti furono trasmessi alla S. Congregazione dei Riti nel 1940, e, osservato quanto è prescritto, l’11 maggio 1982 fu introdotta la Causa con l’approvazione del papa Giovanni Paolo II.

L’esame delle virtù in specie del Servo di Dio fu condotta presso la Congregazione delle Cause dei Santi, anzitutto il 25 novembre 1986 nel Congresso Peculiare di Padri Consultori, sotto la direzione del Promotore Generale della fede, Rev.mo Mons. Antonio Petti; poi, il 17 febbraio 1987, nella Congregazione Ordinaria dei Padri Cardinali e Vescovi, Ponente l’Em.mo Cardinale Bernardin Gantin. In ambedue le riunioni, alla domanda se constasse delle virtù eroiche del Servo di Dio, fu data risposta affermativa.

Di quanto sopra esposto è stata fatta dal sottoscritto Cardinale Prefetto accurata e fedele relazione al Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, il quale accogliendo i voti della Congregazione ordinò di stendere il decreto sulle virtù eroiche del Servo di Dio.

 

Eseguito questo ordine, convocati oggi il Cardinale sottoscritto Prefetto, il Cardinale Ponente della Causa, me, Presule Segretario della Congregazione e gli altri soliti a convocarsi, e alla loro presenza, il Beatissimo Padre ha dichiarato solennemente: Consta delle virtù teologali Fede, Speranza e Carità verso Dio e verso il prossimo e delle virtù cardinali: Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortezza e virtù annesse in grado eroico del Servo di Dio Giovanni Battista Scalabrini, Vescovo di Piacenza, nel caso e agli effetti di cui si tratta.

 

Ordinò poi di rendere di pubblica ragione e di registrare negli atti della Congregazione per le Cause dei Santi questo decreto.

 

Roma, 16 marzo 1986

 

Card. Pietro Palazzini

Prefetto

+Traiano Crisan

Arcivescovo Segretario