La Nuova Ferrara
FERRARA 
lunedì 29 aprile 2002, S. Caterina da Siena 

Nel bianco inferno del Cvm
«Tastavamo i filtri intasati di polvere micidiale»
Inchiesta Solvay, i racconti degli ex addetti: pesci avvelenati discariche, rischio monetizzato


La sfilata dei testimoni davanti ai carabinieri del Nucleo operativo di Ferrara sta ricostruendo, pezzo per pezzo, la storia della lavorazione del Cvm e degli inquinamenti alla Solvay. Servono tempo, pazienza e riscontri incrociati per venire a capo di quasi quarant'anni di attività di tre impianti, che utilizzavano i prodotti chimici oggi nel mirino: mercurio, clorurati e Cvm. I verbali riempiti dagli ex addetti Solvay forniscono riscontri su come si lavorava nei reparti a rischio, prima e dopo il 1974, e descrivono episodi a volte illuminanti sulla divaricazione tra teoria e pratica quotidiana. Le inchieste aperte dalla procura di Ferrara, lo ricordiamo, sono due: le morti tra gli esposti al Cvm e l'inquinamento di acqua e terreni.
PESCI SFORTUNATI. Oggi vicino alla portineria non si vede più niente, tutto coperto da un parcheggio per i camion. I lavoratori più anziani, però, si ricordano bene che lì, in faccia alla recinzione che dà su via Marconi, c'erano due fontane alimentate dai pozzi artesiani che pescavano nella falda al di sotto dello stabilimento. Nelle due fontane sguazzavano un bel po' di pesci, e negli uffici non erano pochi gli appassionati di acquari che si preoccupavano di loro. Fino ad una brutta mattina, alla fine degli anni '70, quando i primi operai in turno hanno visto galleggiare i pesci in superficie: tutti morti, una strage. I testimoni hanno raccontato cosa successe dopo. La Solvay fece chiudere subito i due pozzi, e cercò di recuperare le pompe che li alimentavano. Non vi riuscì, perchè le giunture erano "mangiate" e i pezzi dispersi in acqua. Cosa era successo? I risultati di laboratorio non si conobbero mai, ma il collegamento con l'attuale inquinamento della falda da clorometani, sostanze «nocive per la fauna acquatica» dice la stessa Solvay e catalogati come probabili o sospetti cancerogeni per l'uomo, viene immediato. L'impianto il cui impianto cessò la produzione solo nel 1982. Gli scarti di lavorazione, dei fanghi maleodoranti chiamati "codissime", negli anni sono stati via via sepolti nel recinto dello stabilimento o trasportati all'estero, ma probabilmente non era questa la sola fonte di inquinamento. Gli operai ricordano che la ditta incaricata di costruire vicino al canale Boicelli la nuova vasca dell'impianto antincendio, una decina di anni fa, trovò difficoltà anche a causa del terreno intriso di clorometani.
ANDAR A MANAG. Dicevano così, «ragazìt, a ghe da andar a manag», e tutti i manutentori sapevano cosa significava. Qualcuno si dava malato, altri si rifiutavano. «Andare a maniche» voleva dire infilarsi nel posto peggiore della fabbrica, il disseccatore del Pvc, dove c'erano centinaia di filtri a maniche sospesi a cinque-sei metri di altezza. Ogni tanto se ne inceppava qualcuno, e bisognava cercarlo palpando i filtri uno ad uno, camminando sospesi su una passerella, in mezzo ad una nuvola di polvere sottile come borotalco, che s'infilava ovunque. Gli uomini uscivano bianchi dalla testa ai piedi, sputando polvere per giorni. Pagava doppio, la Solvay, ogni minuto passato lì dentro, ma non esiste prezzo per un lavoro del genere.
GLI APPALTI. «Io prendo il doppio di te che lavori qui da tanto tempo» si sentivano dire i vecchi manutentori dai ragazzini delle ditte esterne. Ad un certo punto Solvay ha preferito appaltare all'esterno pezzi importanti di manutenzione, e certe mansioni come l'insacco del Pvc: gli addetti delle imprese la "monetizzazione" del rischio l'hanno accettata anche dopo la sua cancellazione dal vocabolario del sindacato dei chimici. Non per nulla nel pool di ex esposti sotto osservazione da parte dell'Asl sono stati inseriti anche manutentori esterni, e gli inquirenti stanno cercando riscontri anche sulla loro storia epidemiologica.
LE PIOGGE BIANCHE. Le autoclavi da 25 metri cubi sono pentoloni giganti che hanno fatto la loro comparsa in via Marconi con l'ampliamento della Solvic 2. Lì dentro il gas Cvm veniva trasformato in minuscoli granuli di Pvc, ma quando qualcosa andava storto il capoturno doveva gettarci dell'inibitore, per interrompere la reazione. Capitava che il capoturno ritardasse fino all'ultimo l'operazione, per non perdere tutto il carico, e così succedeva l'incidente. Per impedire una esplosione catastrofica, il materiale veniva spruzzato fuori attraverso un condotto di emergenza (prima che l'azienda si decidesse a recuperare il costoso semilavorato) e innaffiava di minuscole goccioline le prime case del Barco. Su quel villaggio sono finite per anni le polveri uscite dalle maniche dell'impianto di essiccazione, e qualche operaio ricorda che i bambini delle scuole del Barco venivano a riportare in portineria i sacchetti pieni di polvere bianca, raccolti nei cortili delle scuole e delle case. Dopotutto, era roba della Solvay.