CENTRALINE E CENTRALI
Molte sono le richieste avanzate da ditte
private ai Comuni per avere il permesso di costruire centrali
elettriche. Di queste richieste la maggior parte riguarda la
possibilità di costruire piccole centrali di cogenerazione
elettrica a biomasse (come a Sala Bolognese, 20 Megawatt) ma una
parte riguarda la possibilità di costruire grandi centrali (come
a Santarcangelo di Romagna, 800 Megawatt).
Come
è emerso nel convegno nazionale dell’ 11/6/2002 organizzato dai
verdi alternativi a Poggio Berni (Rimini), NON C’E’
ASSOLUTAMENTE BISOGNO di altre centrali. Quelle esistenti coprono
già il fabbisogno energetico, e l’ENEL dispone di una riserva
del 25% (in più rispetto al picco massimo prevedibile), che è
superiore alla riserva degli altri paesi europei. Inoltre, se ogni
nuova centrale sostituisse una vecchia centrale con l’obiettivo
di diminuire, grazie alle nuove tecnologie, l’inquinamento
ambientale, il discorso sarebbe accettabile, perché alla fine si
avrebbe una riduzione dell’inquinamento. Invece le nuove
centrali SI AGGIUNGONO alle vecchie, e il nuovo inquinamento,
anche se minore rispetto a quello prodotto dalle vecchie, SI SOMMA
a quello che c’è già. Inoltre, in assenza di un progetto
complessivo per stabilire scientificamente come e dove
eventualmente intervenire, tutto è lasciato alla… disponibilità
degli enti locali e alla capacità di persuasione delle aziende
costruttrici. In Puglia, per esempio, un territorio a vocazione
agricola e turistica verrebbe martoriato da numerose nuove
centrali, con ulteriore inquinamento acustico, atmosferico,
idrico, e spreco di tonnellate di acqua ogni giorno.
Le
emissioni nocive rilasciate nell’atmosfera, anche se vengono
costantemente monitorate, sono pericolose per la salute.
Il
territorio emiliano è fatto oggetto di attenzioni anche da parte
di imprese che propongono la costruzione di piccole centrali. In
sintesi, le caratteristiche comuni di queste centrali sono:
1.
L’utilizzazione dichiarata di biomasse (legname cippato,
sterpi e combustibili analoghi) da bruciare nei forni per generare
energia;
2.
La necessità di disporre di un bacino di circa 22.000
ettari di bosco per ogni centrale, da cui ricavare almeno un terzo
del legname utile per la produzione annuale di energia;
3.
La necessità di disporre di elevate quantità d’acqua
per l’impianto di raffreddamento;
4.
La necessità di disporre di un numero elevato di TIR per
il trasporto quotidiano e lo stoccaggio dei materiali
combustibili;
5.
La possibilità di ricorrere, semplicemente con una
dichiarazione da inviare al ministero dell’industria, ai sensi
dell’art. 33 del decreto Ronchi, di rifiuti secchi nella misura
del 30% del volume complessivo del combustibile occorrente;
6.
La possibilità di riscaldare serre o impianti industriali
o quartieri con impianti di teleriscaldamento.
Nella pratica succede che:
·
Anche
le centrali con raffreddamento ad aria, essendo molto rumorose,
vengono modificate e trasformate in impianti con raffreddamento ad
acqua. La centrale di Argenta (circa 10 Megawatt) consuma ogni
anno più di 70.000 metri cubi di acqua;
·
Anche
le centrali più piccole riversano sulla viabilità ordinaria
congestionamenti e intralci al traffico: la solita centrale di
Argenta richiede ogni giorno 40 TIR pieni che scaricano e 40 TIR
vuoti che escono – per ogni giorno dell’anno;
·
Anche
le centrali più piccole necessitano di un’estensione di boschi
che non esiste in Italia; se un’altra piccola centrale “a
biomasse” fosse costruita in Emilia, dovrebbe necessariamente
attingere dallo stesso bacino boschivo di quella di Argenta, perché
non c’è abbastanza legna per tutte e due;
·
In
ogni caso, basta dichiarare di ricorrere per il 30% ai rifiuti
secchi e lo si può fare;
·
Finiti
gli otto anni di contributi pubblici, non c’è più la
possibilità di starci dentro con i costi, e a quel punto, una
volta inserita nel piano energetico regionale, sarà facile per la
centrale trasformarsi in inceneritore e farsi pagare per ritirare
rifiuti vari;
·
Le
2 (due) lire di contributi versati ai comuni ogni 250 lire di
incasso per la produzione di energia elettrica non sono
sufficienti, spesso, nemmeno a risolvere i problemi di viabilità
e a pagare l’ARPA per il continuo monitoraggio delle emissioni
nell’aria;
·
Il
sistema di controllo dei fumi è attendibile dal punto di vista
delle quantità, ma poco garante dei diritti del cittadino:
infatti si basa su una media mensile. Se in un certo giorno io
brucio plastica e produco diossina, i valori della diossina di
quel giorno, diluiti nell’arco di tutto il mese, scenderanno al
di sotto della soglia considerata pericolosa e quindi saranno
“permessi”. Nonostante ciò, in quel giorno qualcuno
potrebbe morire. E ogni controllo dell’ARPA costa circa 80
milioni.
·
Il
sistema di amministrazione e gestione delle imprese che
costruiscono centrali è quello dello spezzatino: una volta avuto
il permesso dal Comune, la ditta scorpora la parte del
teleriscaldamento (o delle serre) e la vende; scorpora la parte
degli impianti e della manutenzione e la vende; scorpora la parte
di produzione energetica e la tiene. Per mettere giù convenzioni
efficaci che permettano ai comuni di effettuare i necessari
controlli, gli enti locali diventano matti: si fa fatica a trovare
ogni volta l’interlocutore responsabile;
·
Alcune
di queste imprese (dietro a tutte ci sono capitali tedeschi)
risultano appena fondate, e alcune hanno sede a Montecarlo o in
altri paradisi fiscali; la trasparenza, insomma, non c’è.
Prodotto da alcuni del Forum di San Giovanni in Persiceto (BO) |