Newton e la decomposizione dei colori della luce solare con il prisma
Scomporre la luce
Newton comincia gli esperimenti sui colori e la luce nel periodo in cui, per
sfuggire alla peste, si ritira nella casa di famiglia in campagna. A quell’epoca
si pensa che i colori siano un misto di luce e di ombra e che i prismi in
qualche modo colorino la luce.
Newton si procura un prisma triangolare e lo mette attraverso un raggio di sole. Nei loro esperimenti Cartesio, Hooke e Boyle avevano posto uno schermo vicino alla faccia del prisma da cui usciva la luce e avevano osservato un miscuglio di colori. Newton realizza che per ottenere uno spettro ben visibile, deve allontanare notevolmente lo schermo. Sfrutta tutta l’ampiezza del suo studio, dalla finestra al muro, per vedere proiettati tutti i colori separati. Ma per provare che non è il prisma a colorare la luce, Newton mette a punto un Experimentum crucis, l’esperimento decisivo. Sul percorso del suo spettro mette uno schermo in cui ha tagliato un fessura sottile, in modo da far passare solo il raggio verde. Quindi fa passare questo raggio in un secondo prisma. Se il prisma colora la luce, allora il raggio verde deve uscirne di colore diverso. Il raggio invece rimane verde, non modificato dal prisma. Newton così dimostra che i colori sono le varie componenti della luce che il prisma semplicemente separa. Facendo passare tutto lo spettro attraverso il secondo prisma messo in modo opportuno, Newton riesce infatti a ricomporre il fascio di luce bianca. |
Applicando rigorosamente il metodo scientifico Newton raccoglie una gran quantità
di dati, ottenuti combinando in vari modi i prismi. Ne conclude che i raggi
vengono rifratti, ossia piegati, nel passaggio dall’aria al vetro e
viceversa, in modo diverso a seconda del loro colore e che “l’indice
di rifrazione è sì costante per due determinati mezzi, qualunque
sia l’angolo d’incidenza, ma cambia col cambiare del colore della
luce”.
Tutti i colori dell'arcobaleno
Un arcobaleno è il risultato di un prisma naturale in grande scala.
Le gocce d’acqua sospese in aria possono comportarsi in modo simile
ad un prisma, separando i colori della luce per produrre lo spettro che è
appunto l’arcobaleno. La luce viene piegata, o meglio rifratta, nel
passaggio da un materiale ad un altro, come ad esempio fra l’aria e
il vetro o l’aria e l’acqua. I differenti colori della luce, che
oggi sappiamo corrispondere a diverse frequenze dell’onda luminosa,
vengono rifratti in modo diverso. Il violetto, che ha la frequenza più
alta, viene piegato di più, mentre il rosso è la componente
che viene deviata di meno. A causa di questa differente rifrazione, i raggi
di colori diversi escono separati. E se ci troviamo nella posizione giusta,
riusciamo a vedere la luce rifratta dalle gocce d’acqua formare l’arcobaleno.
Newton mostrò
che anche una cosa in apparenza semplice come un raggio di luce, può
rivelarsi meravigliosamente complessa.
Fu Newton stesso ad identificare
nello spettro i sette colori. Si tratta in realtà di una divisione
artificiosa, perché all’interno dello spettro i colori cambiano
in modo continuo e non netto.
Newton rimandò
la trattazione completa di tutti i risultati riguardanti l’ottica e
la luce per evitare polemiche con altri scienziati. Nel 1704, ormai alla fine
della carriera, pubblicò l’Opticks, in cui fra l’altro
si mostrava favorevole alla ipotesi che la luce sia fatta di corpuscoli piuttosto
che di onde. La sua posizione influenzerà decisamente il dibattito
sulla natura della luce che si concluderà solo agli inizi del XX secolo,
quando la teoria dei quanti mostrerà che la luce è contemporaneamente
onda e particella.