Roma, come tutte le grandi città che hanno una storia
antica è ricca di edici, monumenti, musei che ne sono il
ricordo e la testimonianza, sono motivo d'orgoglio per i cittadini
e, contemporaneamente, una delle principali attrazioni turistiche;
dal Colosseo a San Pietro al Pantheon a... ma l'elenco è
talmente lungo e conosciuto che diviene quasi inutile farlo. Si
può osservare che la principale attrazione di Roma è
Roma stessa nel suo complesso, con le sue piazze e le sue strade,
i suoi sette colli ed il suo fiume, il Tevere: è vero.
Noi vorremmo provare ad aggiungere ancora un monumento: l'Isola
Tiberina.
Sembra strano dover considerare un intera isola come un monumento,
come se fosse un edificio od un tempio, ma in fondo è proprio
così; infatti gli antichi romani avevano dato la forma
a tutta l'isola di una nave da guerra, con tanto di prua, fiancate
e rostro. Forse non proprio tutta, ad essere precisi, perché
al posto della poppa si ergeva un tempio, ma l'unità dell'insieme
non ne era certo interrotta, visto che nave e tempio costituivano
un solo complesso monumentale.
Il perché di questa inusuale operazione urbanistica va
cercato nelle più antiche leggende relative alla nascita
della città che, come tutte le leggende, hanno un forte
fondo di verità. L'isola stessa si dice che nacque dall'accumulo
di fango che si verificò sul grano gettato in acqua dai
romani dopo la cacciata dell'ultimo re, Tarquinio il Superbo,
grano saccheggiato nei suoi terreni fuori città nel futuro
Campo Marzio, più o meno tutta la zona compresa tra l'attuale
Corso ed il Tevere; e che oggi costituisce il centro storico;
l'isola è in realtà un piccolo sperone calcareo
ma gli scavi hanno rivelato grandi quantità di paglia nel
terreno forse usata per consolidarlo. Più interessante
la leggenda che durante la peste del 293 a.C. il serpente di Esculapio,
dio della medicina, fosse saltato dalla trireme che lo trasportava
a Roma da Epidauro indicando ai cittadini il luogo dove voleva
che gli fosse edificato un tempio. L'attuale chiesa di San Bartolomeo
sorge proprio sulle fondamenta di quel tempio e se si scende sulla
banchina per vedere la prua della nave si può facilmente
riconoscere il Dio Esculapio col serpente sacro che si affaccia
al boccaporto dal quale il capo voga dirigeva le navi da guerra.
Noi crediamo che i medici greci che accompagnavano la sacra reliquia
e ne erano i sacerdoti avessero scelto il posto più sicuro
per farne dei reparti di isolamento e contenere l'epidemia.
Da allora in poi l'Isola Tiberina fu sempre connessa ad una tradizione
di cura dei malati, favorendo, in caso di necessità, l'isolamento
dei malati: bastava chiudere i ponti e si aveva un vero e proprio
lazzaretto, cosa che accade più di una volta nel Seicento
e nel Settecento. In realtà, accertato che lo sprone calcareo
su cui si trova esisteva ben prima della fondazione di Roma, gli
studiosi tendono a spiegare l'esistenza stessa di Roma con l'esistenza
dell'isola. La tribù di Latini che abitava sul Palatino
si accordò con quella di Sabini che stava sul Quirinale
e fondarono una fortezza sul Campidoglio, l'Arce, dalla quale
si poteva dominare agevolmente anche il guado sul Tevere, facilitato
in quel punto proprio dalla presenza dell'isola.
Dalla foce era questo il primo punto in cui si poteva passare
il fiume senza troppe difficoltà ed in cui si incontravano
le barche che risalivano con quelle che scendevano verso il mare;
un posto ideale per fare buoni affari e Roma divenne, in poche
generazioni, una delle città più popolose del Mediterraneo,
nata se non sul mare certo in funzione del mare. Sul Quirinale
si trovavano le quercie (Querquetal, l'antico nome, vuol dire
queerceto) adatte a fare le ossature delle navi, dal Fagutal,
il faggeto che si trovava tra il Palatino ed il Celio, il legno
per il fasciame. Tutta l'isola serviva da attracco alle navi e
sotto il ponte che l'unisce alla riva destra, quella dalla parte
del celebre quartiere di Trastevere, si possono vedere ancora
delle bitte d'ormeggio.
L'isola era così importante per la città che i sacerdoti
addetti alla costruzione ed alla manutenzione dei ponti , cose
allora quasi misteriose per la gente comune, divennero i più
importabnti di tutti: i Pontefici, parola usata ancora oggi per
indicare la maggiore autorità religiosa di Roma.
Qualcuno può chiedersi perché il serpente di Esculapio
fosse stato portato a Roma proprio con una nave da guerra e la
risposta è semplice: per proteggerla dai pirati. Quella
che si può vedere sulla punta dell'isola, però,
non è una trireme greca ma molto più verosimilmente
una quinquereme romana, un tipo di nave che combatteva sul mare
non solo per speronare le navi avversarie, come facevano i greci,
ma per abbordarle e combattere usando il manipolo di fanteria
di marina imbarcato (milites navales), circa 120 uomini e all'occorrenza,
i 300 rematori che non erano schiavi o condannati, come si crede,
ma uomini liberi ed addestrati alle armi, militari a tutti gli
effetti, insomma. Per completare i conti dobbiamo aggiungere a
questi circa una trentina di marinai addetti alle manovre, i carpentieri
(fabri navales), i cucinieri, i timonieri, i piloti, o ufficiali
di rotta ecc., conti dai quali si vede che si poteva arrivare
a quasi 500 uomini. Delle belle barche di quasi 400 tonnellate
a pieno carico, più lunghe di 50 metri e che potevano essere
spinte a 9,5 nodi di velocità! Provate a fare il calcolo
delle migliaia di litri d'acqua e delle tonnellate di cibo e di
armi che servivano per una navigazione di 15 giorni.
Un trattato con Cartagine riconosceva a Roma un parziale dominio
dell'alto Tirreno sin dai primi tempi della repubblica ma quando
Roma decise di espandersi decisamente sul mare per controllare
direttamente i traffici che la arricchivano, i cantieri non furono
messi ad Ostia, dove potevano essere troppo esposti ad attacchi
esterni; aveva fatto una certa impressione la sfilata "dimostrativa"
di una flotta cartaginese di 150 navi al largo di questo porto
e fu deciso di situarli nel Campo Marzio, dopo l'Isola Tiberina
per chi veniva dal mare, protetti dalla possibilità di
sbarrare il fiume con catene e di difenderlo dai ponti. I templi
che si vedono in mezzo alla centralissima piazza Argentina sono
connessi proprio a divinità protettrici della flotta.
Narra Tito Livio che i Romani poterono sapere come erano fatte
le quinqueremi nemiche (parliamo dell'interno, l'esterno di una
nave si vede sempre) dopo che ne ebbero catturato una che si era
arenata per caso sulle coste del Lazio, alle quali era arrivata
per fare chissà quale missione e nell'inverno successivo,
in meno di sei mesi, ne costruirono, in quei cantieri, ben duecento.
Una bella capacità produttiva ed organizzativa, anche per
i giorni nostri, si pensi solo al taglio ed al trasposrto del
legname necessario, per non dire del fatto che evidentemente avevano
a disposizione maestri d'ascia ed operai specializzati a migliaia;
i rematori intanto erano addestrati su appositi banconi a terra.
La quinquereme romana (ed evidentemente quella cartaginese, che
i romani copiarono) era, insomma, l'equivalente delle navi multiruolo
di oggi, capace di ingaggiare battaglia ma anche di proiettare
forze oltremare per operare in profondità nel territorio
nemico. Comprendiamo così che nel I secolo a.C., nel pieno
della loro potenza, decidessero di costruire in pietra i ponti
sul Tevere che sino ad allora erano rimasti in legno per motivi
di prudenza eventualmente avessero dovuto essere tagliati in fretta
(chi ricorda Orazio Coclite?), per accogliere chi venisse in
città dal mare con lo spettacolo superbo di una nave da
guerra, simbolo di una potenza ormai mondiale.
Per chi capita a Roma, per turismo o lavoro, come per i romani
stessi una visita all'Isola Tiberina è estremamente suggestiva,
e la sera anche particolarmente romantica e non dimenticatevi
di visitare anche la bella chiesa di San Bartolomeo che fu voluta
da Ottone III poco dopo l'anno Mille, Ottone III fu l'ultimo imperatore,
anche se tedesco, che abitò nei palazzi imperiali del Palatino,
quasi mille anni, appunto, dalla fondazione dell'impero e duecento
dopo la restaurazione di Carlo Magno, poi si parlò solo
di Papi anzi, di Pontefici.