Agosta, Anticoli Corrado, Canterano, Castel Madama, Cerreto, Cineto, Civitella San Paolo

AGOSTA
Circa a metà del tratto della Sublacense tra la Valeria e la città di Subiaco un piccolo paese si affaccia da una collina sulla strada tanto da vicino che si potrebbero colpire le macchine che passano a sassate (per carità, che a nessuno venga l'idea!); in quel punto dall'altra parte della strada si trova l'Aniene, già con un letto abbastanza largo da rendere necessario un lungo ponte su archi per essere passato.
La posizione stessa spiega subito la funzione originaria del castello e del paese:controllare, per conto dei monaci, il traffico verso Subiaco, eventualmente bloccarlo in caso di attacco e, cosa certamente più redditizia, chiedere ai passanti adeguati pedaggi, visto che proprio a quest'altezza della Sublacense sboccano le strade, o meglio, le mulattiere che portavano a Cervara e a Rocca Canterano.
Questi due paesi, da lati opposti della valle, dominano Agosta e tanto si sporge quasi minacciosa Cervara su di uno sperone roccioso quanto Rocca Canterano si mimetizza con la cresta del monte per forma e colore.
Agosta, invece, per chi passa in fretta per la statale, cioè tutti, sfugge all'occhio, che dovrebbe alzarsi troppo, con la conseguenza che a pochi viene il desiderio di visitarla.
Colpevoli, in questa dimenticanza, sono anche le guide più note, a cominciare da quella del Touring Club, nella quali il paese viene solamente, e ingiustamente, citato.
Eppure motivi che possano giustificare una visita dedicata a questo paese in particolare ce ne sono parecchi, a cominciare dall'interesse storico che puo suscitare in chi appena voglia informarsi delle sue vicende.
Come accade per tutta la zona i primi abitatori del territorio furono gli Equi ai quali succedettero i Romani; non sembra che Agosta, nell'attuale sito sia pero esistita prima del IX secolo, quando, come abbiamo già avuto modo di rilevare, la restauratio imperii voluta da Carlo Magno riportò gradualmente, anche se faticosamente, una parvenza di vita civilmente organizzata.
Al periodo romano è probabilmente da connettersi il nome, che ricorda come l'imperatore Cesare Augusto Ottaviano fece immettere nell'Acqua Marcia una nuova fonte che si trovava di sicuro in questa località, probabilmente le attuali sorgenti dell'acqua della Mola.
Senza fondamento, anche se bella e triste, è la leggenda che vuole il nome derivato da quello di una Fausta morta nel castello per l'opposizione dei genitori al suo amore, infatti, si fa notare, Agosta in dialetto si pronuncia àusta, con lo stesso accento.
Anche se l'esistenza del castello vero e proprio è attestata dopo l'anno mille certamente già in precedenza doveva esserci una qualche fortificazione, necessaria per il controllo della Sublacense.
Per tutto il Medioevo Agosta fu coinvolta in quelle lotte che i signori feudali condussero continuamente tra di loro e che portarono, con una serie continua di annessioni prima ancora che per forza di diritto, alle monarchie dell'evo moderno.
Il fatto è che i "signori feudatari" tra i quali Agosta era contesa erano gli Abati di Subiaco o, come allora si diceva, il Sacro Speco e i Vescovi di Tivoli, all'epoca tanto potenti da permettersi di disobbedire a Roma.
Agosta era soggetta ai Vescovi di Tivoli da un punto di vista religioso ma sotto ogni altro aspetto era feudo del Sacro Speco; così, i tributi feudali erano dovuti a Subiaco e le decime religiose a Tivoli.
Citiamo. a titolo di curiosità e di esempio, che l'antichissima basilica di Santa Felicita, nel territorio di Agosta sulla strada di Rocca Canterano, doveva ai Vescovi di Tivoli un tributo annuo di due polli (sicuramente ruspanti) e che quando l'abate Simone, dopo lunghe controversie, accetto di pagare per detta chiesa una pensione oltre a 11 soldi si impegno a fornire al vescovo di Tivoli anche 100 trote arrostite.
I diritti di pesca nell'Aniene e nel laghetto formato dall'acqua della mola furono, come è logico aspettarsi, anch'essi oggetto di controversie ma questa volta tra gli abati e la comunità paesana, che da questa pesca doveva trarre, come abbiamo visto, un buon reddito.
Una vera e propria sagra della trota si fece, come racconta G. Panimolle nel suo libro sul paese, in occasione della visita di Pio II (Enea Silvio Piccolomini), il papa umanista che aveva già ridotto definitivamente all'ordine i tiburtini costruendo la rocca.
Da un punto di vista militare il paese fu sempre sotto il controllo sublacense, con conseguenti storie di prese, assedi, tradimenti che costituiscono il tributo di sangue che i poveri hanno sempre dovuto dare ai potenti.
Oggi per visitare il paese bisogna uscire un momento dalla via sublacense e, praticamente, ci si è subito dentro.
Due percorsi si possono seguire, a sinistra si arriva in quella che oggi è la piazza principale e, proseguendo, al ricostruito arco rinascimentale che è l'ingresso principale al paese, ma noi consigliamo di andare ancora diritti per un poco e di entrare da quella che nel medioevo era la porta di accesso al castello, un percorso certamente pi- suggestivo, dominato dai resti delle antiche mura e da una torre imponente.
Quest'ultima si vede assai bene salendo e, una volta, ma non troppo tempo fa, a quanto pare, era assai pi- alta prima che, essendo abitata, fosse ristrutturata; un poco ci dispiace perch‚ l'effetto, guardando da dove si trova la farmacia, doveva essere notevole.
Sempre dallo stesso luogo di osservazione si notano, sotto le costruzioni pi- antiche, dei cantieri; speriamo che non si tratti di altre costruzioni simili a quelle che si vedono lungo la strada di accesso, troppo evidenti per dimensioni e colore perch‚ il paese, visto da dietro, ancora conserva buona parte del suo fascino antico.
Alcuni anziani commentavano con noi "qui 'gnuno fa come se pare".
Come nel caso di quelle villette che si arrampicano in fila su di una collinetta (ex) verde, poco fuori paese, lungo una ripida salita, l'ideale per ammazzare la vecchia suocera: ma ai vecchi nessuno pensa mai?
Basterebbe, come al solito, qualche modifica secondaria per ricostruirne il centro storico, come l'eliminazione delle ringhiere vetrate o la mimetizzazione del duralluminio metallizzato, di cavi, tubi e, naturalmente, dei telefoni pubblici "spaziali" della TELECOM.
All'interno di quello che era il castello e in tutto il paese antico l'atmosfera è ancora quella di un tempo.
Il centro è la piazza della chiesa dedicata all'Assunta, ristrutturata una quindicina di anni fa modificandone radicalmente la pianta settecentesca, alzandola, aggiungendo nuovi locali e rifacendo il pavimento in marmo grigio con guide in marmo di Verona, tipo stazione ferroviaria anni trenta. Il tutto eliminando le antiche tombe all'interno e all'esterno dell'edificio.
Comprendiamo benissimo che questa chiesa è sempre stato il centro della vita del paese e che come tale "deve" mantenersi viva, ma non costava meno farne una nuova?
Si trattava dell'antica cappella del castello e quanto vi era rimasto di medioevale avrebbe dovuto essere salvato, visto che la fede, quella sincera del popolo, vive anzitutto nelle tradizioni della comunità; non ci si può permettere di perderne il senso.
Nei dintorni è più facile che la parrocchiale sia divenuta una chiesa più popolare, al di fuori delle mura, dove abitavano in prevalenza i contadini e gli artigiani piuttosto che, come qui, quella frequentata dai padroni e dalla loro famiglia; anche questa è una caratteristica che, anche se non rara, distingue comunque un poco Agosta.
Insomma, piuttosto che costruire a casaccio attorno o dentro un nucleo medioevale, non sarebbe meglio programmare direttamente dei quartieri nuovi? Senza, possibilmente, stravolgere il paesaggio. In altre parti d'Italia per una vecchia torre da ristrutturare si pagano cifre da capogiro, e la gente ci si trasferisce volentieri: ora come ora, chi vorrebbe andare ad Agosta? Eppure, basta appena girarci un poco dentro, è ancora tanto bella...a dispetto della guida del Touring.
LA MADONNA DEL PASSO

Narra una leggenda che nel 1913, o giù di li, degli scultori portassero da Roma a Subiaco una statua della Madonna da vendere. Non essendogli riusciti ad accordarsi ad Agosta si diressero a Subiaco ma non riuscirono a superare un ponte il cui ruscello, ogni volta che tentavano di passarlo, si ingrossava per la pioggia. Per tale ragione furono costretti a lasciarla al parroco di Agosta al prezzo da lui offerto.
Da qui si origino il culto della Madonna del Passo che, secondo alcuni, si chiama così perch‚ sembra che stia per compierne uno.  pi- probabile, tuttavia, che il nome venga dal fatto che ogni anno una processione si svolga dalla chiesetta della Madonna del Passo, alla base del paese, sino alla parrocchiale a ricordo del fatto che il popolo, quando la statua fu riportata indietro, la accompagno solennemente da questa chiesetta alla parrocchiale.
Questa chiesetta, il cui nome forse deriva dal fatto di sorgere accanto ad un passo o come si racconta, dal continuo passaggio accanto ad essa di persone, fu eretta attorno al posto di un edificio nel cui interno era un affresco della Vergine; questa immagine, nel 1615, liberò un'ossessa in modo miracoloso e divenne celebre nel Lazio per questa chiamiamola... specializzazione.
 interessante notare che la leggenda ripete, quasi in maniera identica, analoghi racconti di altri paesi del Lazio e non è da escludere che, oltre l'imitazione, non nasca da qualche antico mito connesso alla credenza popolare che attribuiva alle immagini, molto paganamente, una parte dell'essenza vitale e della volontà di chi era raffigurato, per cui parlavano, ridevano, piangevano, mentre oggi, si sa, è tutto diverso, o no?
Due immagini della Madonna del Passo, dunque, e un culto che è riuscito ad arrivare sino a noi ancora vivo, quando le immagini miracolose erano poche e la fede vera.

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ANTICOLI CORRADO

Le Origini
Qualcuno ha detto che è l'unico paese con nome e cognome, questo gli viene dall'aggiunta del nome di Corrado di Antiochia che, nel secolo XIII, lo acquistò dai monaci di Subiaco; non si è certi di poter identificare questo Corrado; l'unico conosciuto bene era amico di Federico Barbarossa e sposò la figlia dell'imperatore Isacco di Costantinopoli, ma il fatto che sia morto a Tiro, di cui era principe, rende assai dubbiosi, visto che dal compratore di Anticoli derivò una famiglia che tenne il paese per secoli. Probabilmente fu un altro crociato che investì i suoi risparmi per la vecchiaia comprandosi un paese come si usava allora.
L'abitato, naturalmente, era assai più antico e sorgeva sui resti di un insediamento precedente di epoca romana o, più probabilmente, ancora più antica.
Il nome deriva forse da "ante colles" (davanti ai monti) perché si trova davanti ai contrafforti dei monti Ruffi. Tenderemmo a scartare l'etimologia "ante-aequos" (contro gli Equi) perché tutta la zona era, prima della conquista romana, degli Equi stessi. I Romani che ci misero oltre un secolo a sottomettere i bellicosi vicini. Se il nome deriva da "equi" (secondo alcuni il popolo delle acque) non bisogna connetterlo agli acquedotti, che furono costruiti per rifornire Roma alcuni secoli più tardi e non c'erano certo prima della conquista.

La storia
Poi il paese appartenne all'abazia di San Cosimato dopo essere stato ripopolato nel IX secolo, come la maggior parte di quelli della zona, a seguito del fatto che Carlo Magno aveva rimesso ordine nelle cose italiane e, in genere, in quelle di tutto l'occidente rendendo la vita più sicura per tutti con leggi eque e rispettate.
In quei tempi il vicino abruzzo era del duca di Benevento che, con l'alleanza dei bizantini, si manteneva tanto indipendente dall'imperatore Carlo da costringerlo, quando venne a Roma per farsi incoronare dal papa, a dover rinunciare a passare per la Valeria; per inciso fu questo il momento storico in cui l'Italia si divise definitivamente in due, distinguendo il meridione dal resto.
Logico, quindi, che il primo documento che lo ricordi sia di poco seguente, dell'832, quando entrò a far parte della rete di fortezze che proteggevano Roma da questa parte.
In seguito Anticoli si trovò coinvolto nelle lotte contro le colonie Saracene che minacciavano Roma dall'alta valle dell'Aniene; dicono che la celebre bellezza delle sue donne che tanti artisti ha attirato nei secoli, sia dovuta alla somma della bellezza moresca con quella nostrana.

L'abitato
Il paese scende sulla strada che sale con una serie di case disposte a cascata, con un effetto unico, e che costituiscono una via di ingresso ripidissima e suggestiva, oggi, naturalmente disusata, anzi, probabilmente inutilizzata dal secolo scorso, quando fu aggiustata l'attuale carrozzabile.
Ad un certo punto si apre la vecchia porta delle mura e, a piedi naturalmente, si può tagliare per la piazza passando attraverso la parte più antica dell'abitato medioevale.
Prima di arrivare alla piazza, una delle più belle della zona, si passa attraverso un'altra porta, teoricamente si esce dal paese, e si può fare subito una capatina sulla sinistra, seguendo le mura dell'antico castello, sino ad arrivare alla corte, dove, di fronte alla vecchia cappella gentilizia si trova il museo d'arte moderna.
Questo è praticamente situato in un'ala del palazzo signorile e contiene opere dei maggiori artisti che ad Anticoli hanno lavorato in questi ultimi cento anni circa, roba da fare invidia ad una grande città.
Proprio di lato alla piazza, appena decentrata ma già ben visibile da chi si sieda sul bordo della Fontana dell'Arca di Noé del Marini, si trova l'antichissima chiesa di San Pietro.
Questa è una chiesa extra moenia, fuori delle mura, sottratta quindi, in qualche misura, alla giurisdizione dei feudatari.
Non sappiamo a quando risalga esattamente ma l'impianto sembra essere addirittura anteriore al Duecento, epoca in cui fu certamente ristrutturata, del resto i documenti la attestano sin dal VII secolo, in epoca longobarda quindi, e prima che l'impero di Carlo Magno ridesse vitalità agli abitati della zona.
A testimoniare la lunga vita della chiesa si notano un rosone trecentesco sulla facciata, due cappelle laterali aggiunte nel '500 e i resti di un bellissimo pavimento cosmatesco del '200.
L'ambiente, decorato con pitture ancora leggibili che vanno dal '300 al '600 (ma molte sono probabilmente ridipinture di affreschi più antichi) è estremamente suggestivo e, nel suo genere, ricco, a testimonianza della dignità che il paese aveva in altri tempi.

Il folklore
Ancora viva è l'usanza del "Ballo della Marmotta", che si celebra ogni anno a settembre. Si tratta di un pupazzo di carta colorata con le sembianze di un saraceno che viene trascinato per le strade del paese a partire dal piccolo santuario della Madonna del Giglio, accompagnato da balli che sono la fusione del Salterello romano e della Tarantella napoletana. Quando il pupazzo viene incendiato da come brucia i contadini traggono previsioni per il futuro raccolto.

Una leggenda
La Valle del Signore prenderebbe nome dal fatto che vi sarebbe stato gettato un crudele feudatario del paese che dal monte Rufo opprime gli abitanti. Questi, stanchi, lo avrebbero invitato ad una festa e poi buttato nel burrone dopo averlo chiuso ubriaco in una botte.

Il Museo
Attratti dalla fama delle Anticolane e dalle suggestioni dei luoghi numerosi artisti si stabilirono tra il XIX e il XX secolo ad Anticoli Corrado, basta solo un elenco parziale per comprenderne l'importanza del museo cittadino, situato nel palazzetto Brancaccio, che ne conserva le opere: Amato, Barbasan, Bonfiani, Carena, Carosi, Cecconi, CIfariello, De Carolis, Gaudenzi, Kokoschka, Mancini, Martini, Michetti, Sartorio, Selva.

Extra Moenia
Le chiese furi della cinta muraria servivano di rifugio ai viandanti ed ai pastori, assieme alle pecore naturalmente, quando di notte o per motivi contingenti le porte di una città erano chiuse. Per questo motivo per i contadini esse erano luoghi di culto anche più importanti delle parrocchiali dentro l'abitato, riservate spesso ai soli abitanti.

Vizzu e Pennenti
Il vizzu (vezzo) e i pennenti (pendenti) erano una collana di corallo e degli orecchini spesso enormi che decoravano il volto delle Anticolane quando si vestivano a festa.

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CANTERANO

Le origini
In una posizione che si affaccia sia sulla valle dell'Aniene che su quella di un suo affluente, il Fiumicino si trova Canterano. La ricerca delle notizie sulle origini dell'abitato porta, come sempre nel Lazio, a tempi addirittura mitici ed una leggenda riportata dal Lanciotti in un libro significativamente intitolato "I padri della civiltà occidentale" (Subiaco, 1911) racconta che il nome del paese verrebbe da Kan, progenitore della razza pelasgica, venuta sin qui dall'oriente. Si svela così il piccolo mistero di un paese di montagna che ha per stemma una nave. Un abitato sorgeva già nell'epoca del bronzo, come testimoniano le asce trovate nella zona e conservate al museo Pigorini. I resti di antiche mura ciclopiche vengono fatti risalire a quest'epoca, mentre più probabile sembra l'ipotesi di un primitivo stanziamento equo.
Qualcuno ha anche immaginato un rapporto tra Canterano e la parola "cantores" dimenticando che questi non costituirono mai nessun grado in qualsiasi ordine ecclesiastico o religioso.
Al di la di questi fantasiosi racconti il paese medioevale era, probabilmente, un antico fundus romano più o meno sopravvissuto all'epoca delle invasioni barbariche e cresciuto, moderatamente, con la ripresa economica dell'epoca carolingia. In seguito, vista la posizione dominante, è facile capire perché sul posto fosse stato costruito un castello.
LA STORIA
I documenti relativi alla storia del paese si possono trovare sia negli archivi di Subiaco che in quelli di Tivoli e risalgono, appunto, al IX secolo; il più antico è dell'867 e annovera Canterano tra i possedimenti degli abati di Subiaco. Il fatto è che il paese è al limite di quella valle del Fiumicino che costituiva il confine ed il luogo di conflitto tra i vescovi di Tivoli e gli abates nullius sublacensi. Tenere Canterano voleva dire avere una porta aperta, letteralmente, sopra Subiaco e si può ben comprendere che i bravi abati tenessero in modo particolare a questo loro possesso. è nel corso di qualcuna di queste lotte che Canterano da fondo agricolo fu promosso al rango di castello, il che vuol dire che fu fortificato. Il primo documento attestante la nuova dignità è del 1030 e si tratta di una concessione perpetua di enfiteusi del castello da parte del vescovo di Tivoli all'abate di subiaco; visto che appena 15 anni prima papa Benedetto VIII aveva riconosciuto Canterano tra i possedimenti di Subiaco dobbiamo dedurne che in quel lasso di tempo, più o meno, il vescovo di Tivoli se ne fosse impossessato fortificandolo. Nel documento il territorio del castello è definito "coltivato o incolto, vuoto o pieno"; il "vuoto o pieno"si riferisce agli abitanti che allora erano legati alla terra come gli alberi. Una storia ci è stata tramandata,datata a partire dal 1166, che ci mostra il paese tanto rilevante, almeno da un punto di vista militare, da mettere in difficoltà gli abati di Subiaco. Qui, infatti,ebbe origine la nobile schiatta dei Conti di Jenne nella persona di Filippo di Canterano, proavo di papa Alessandro IV, che, ribellatosi all'abate Simone, arrivò a farlo prigioniero dopo essersi comprato un certo Nicola di Galgano, suo mercenario. In quel periodo l'abazia era divenuta così povera che i dieci monaci rimasti erano costretti alla fame, anche perché Filippo aveva convinto o costretto gli altri a nominare una specie di anti abate. Tutto questo era possibile perché Filippo, i cui possedimenti arrivavano ad Affile, controllava Canterano e si era assicurato l'aiuto di un certo Beraldo, centurione di Rocca Canterano.
Sempre soggetta agli abati di Subiaco per molto tempo si ricorda, tra quelli che apprezzarono di più Canterano, Rodrigo Borgia, il futuro Alessandro VI, padre di Cesare e Lucrezia Borgia; il motivo? La sua grande passione: le donne.
La contesa tra i vescovi di Tivoli e gli abati di Subiaco continuò nei secoli successivi, nel 1564 Canterano fu "trasferita" ai vescovi di Tivoli dal punto di vista spirituale, se non come feudo, e a questi spettarono, così, le decime ecclesiastiche, ma nel 1638 tornò soggetto agli abati fino al 1753, anno in cui il paese passò di fatto alla Congregazione del buon governo, all'amministrazione diretta, cioè, del governo pontificio che cominciò ad intascare direttamente i proventi delle tasse.
IL PAESE
Il paese conserva ancora questo suo carattere medioevaleggiante e girando attorno alla chiesa non è difficile identificare alcuni degli elementi costituenti l'antico castello. I nomi stessi delle strade ne indicano i confini e si possono trovare, a sinistra della parrocchiale, l'antico ingresso ed una torre inglobati in case successive. A destra della chiesa si trova il comune al cui ingresso è collocata una lapide romana che attesta l'antichità dell'abitato; non una villa privata, ma un paese con una sua piccola amministrazione, visto che si accenna ad opere di pavimentazione stradale e, precisamente, alla costruzione o riparazione di qualche scalinata. Il palazzetto stesso in cui si trova il comune è testimonianza di questa storia del paese; all'esterno, ad esempio, si può notare un lungo cordolo di pietra, squadrato ed assai regolare, poco più basso di un uomo (del medioevo), che attesta come in un epoca successiva alla primitiva costruzione tutto l'edificio fosse stato riedificato ed ammodernato. Parliamo, all'incirca, del Trecento ed il cordolo suddetto attesta che la parte bassa della casa e le sue fondazioni sulla roccia fossero state lasciate intatte, tagliandole ad altezza d'uomo e livellando il tutto. All'interno si possono trovare murature anteriori al 1000 ed almeno due fasi costruttive. Che Canterano rivestisse una posizione di particolare importanza lo si può anche dedurre da alcune case che recano tracce di portali particolarmente lavorati anche se successivi all'epoca di cui parliamo.
A proposito della chiesa è curiosa (ma non unica) la soluzione che si è adottata ingrandendola di coprire, per avere un po' di spazio davanti, la strada sottostante. Una bella lapide funeraria romana e neppure troppo tarda, messa di traverso, funge da pietra d'angolo alla facciata, mentre, all'angolo opposto, una funzione simile è esplicata da una colonnina forse seicentesca, a testimonianza dell'antichità dell'insediamento della zona.

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CASTEL MADAMA

Risalendo la Valle dell'Aniene, dopo Tivoli, due castelli sbarravano la strada a chi scendesse verso Roma, San Polo dei Cavalieri in alto sulla riva destra e Castel Madama (anticamente Castrum Sancti Angeli) in posizione corrispondente sulla riva sinistra. La storia di quest'ultimo paese è connessa strettamente al mutamento di nome che, di fatto, avvenne nel '500 quando divenne feudo di Margherita d'Austria, figlia dell'imperatore Carlo V e sposa prima del duca di Firenze, Alessandro de' Medici, ucciso, come è noto da un parente, Lorenzino, e poi di Ottavio Farnese. Questa donna, appena adolescente al tempo delle prime nozze e ancora sedicenne alle seconde, fu signora di moltissime terre in Italia e nei Paesi Bassi senza mai divenire uno strumento passivo di suo padre o dei suoi mariti.
I possedimenti Abruzzesi e Laziali furono i più cari, forse anche perch‚, vivendo a Roma nello splendido palazzo oggi sede del Senato, come tutti i grandi dell'Urbe non escluse mai di doversi rifugiare, per motivi politici, in qualche castello sicuro e fedele da cui potersi rifugiare nei propri possedimenti in Abruzzo e nel Regno di Napoli, che era, guarda caso, di suo padre l'imperatore. Le sue preferenze andarono proprio a quello che oggi porta il suo nome e al quale dedico cure del tutto particolari. Non ci si deve scordare della terribile esperienza che, ancora quattordicenne, passo a Firenze dopo l'uccisione del marito, quando dovette rifugiarsi nella Fortezza da Basso, da poco costruita, per parecchi giorni portando con sé‚ i propri gioielli. E`` chiaro, perciò, che i primi lavori a Castel Madama furono di consolidare e modernizzare il sistema difensivo circondando con una seconda cinta di mura l'abitato che, ancora oggi, è condizionato da queste scelte militari molto più moderne rispetto all'impianto medioevale degli altri castelli della zona; Tivoli a parte, naturalmente. Che poi gli Spagnoli avessero la riserva mentale di tenere così anche una porta aperta verso Roma non si puo escludere certo.
Il visitatore che arrivi oggi, anche senza portarsi una guida appresso, è perfettamente in grado di rendersi conto dell'impianto urbanistico da solo, a dimostrazione della razionalità di base della sua impostazione. Non si deve credere, pero, che il paese sia pieno di costruzioni rinascimentali, anzi, ad un primo sguardo la maggior parte è palesemente medioevale e non è difficile identificare case del XIII secolo. Questa apparente contraddizione va spiegata almeno con una ipotesi, per quanto imprecisa. Tra l'altro in alcuni libri viene indicata, come costruita dai Medici, non la cerchia esterna ma quella interna delle mura.
Salendo appare subito chiaro che ogni sviluppo posteriore al '500 è avvenuto lungo la strada d'accesso principale che viene da Tivoli, tanto che, mano a mano che ci si avvicina all'ingresso dell'antico abitato si passa gradualmente da costruzioni molto recenti ad altre sempre pi- antiche, alcune delle quali del '600, come dimostra l'uso frequente dell'arco ribassato, generalizzato, come è noto, dagli architetti del Barocco. Ciò corrisponde con il periodo di ripresa urbanistica di tutti i paesi della Campagna Romana, quando finalmente le lotte tra feudatari e tra questi e il papa erano definitivamente cessate. Anche la squadrata costruzione che si deve attraversare per accedere alla spaziosa piazza Garibaldi e che la delimita per tre lati mostra alcuni caratteri tipici del XVII secolo, ma solo all'interno; la sua origine può comunque risalire al tempo di Margherita, visto che rafforza le difese proprio nel punto dove il pendio d'accesso è meno forte, salvo una risistemazione meno militaresca quando queste esigenze difensive non furono più preminenti.
Dentro il paese si identificano subito sia la strada che gira attorno al cerchio di mura più interno, sia quella che lo attraversa longitudinalmente, con all'inizio la chiesa di San Michele Arcangelo ed a metà il palazzo/castello baronale. Piccoli vicoli in salita, spesso coperti, portano alla campagna; in uno di questi si possono ammirare delle poderose arcate forse duecentesche, i cui pilastri, forti ed anche eleganti,possono essere stati solo di un palazzo importante, specie se si fa il confronto con le casupole circostanti, ma non si è riusciti a trovarne memoria. Sopra le arcate una loggia che se fosse rinascimentale come sembra sarebbe pienamente inquadrata nella storia del paese. Il fatto che questa costruzione non sia al centro del sistema difensivo fa supporre che il proprietario originario fosse un ordine religioso e non un'autorità civile.
Come si è già accennato quasi tutte le costruzioni hanno un impianto medioevale, compreso il palazzo, e sono appoggiate ad entrambe le due cerchie di mura; per tale ragione dobbiamo supporre che i lavori difensivi del '500 siano stati piuttosto di consolidamento e di ristrutturazione che di rifacimento. Una conferma viene dal fatto che le mura hanno spesso un piede piuttosto pronunciato, come si usava allora per resistere alle artiglierie, ma anche un gran numero di torri quadrangolari, senza bastioni interrati, anzi, piuttosto verticali, come facevano nei secoli precedenti quando il pericolo maggiore era che il nemico si arrampicasse sugli spalti.
Naturalmente Castel Madama è anche ricca di opere d'Arte, vale la pena di ricordare le due chiese di San Sebastiano, con affreschi di scuola dello Zuccari, fuori le mura, e San Michele, che è tuttora meta di pellegrinaggio di visitatori, specialmente Spagnoli, perch‚ vi si trova un'effigie al naturale di Sant'Ignazio, il fondatore dei Gesuiti, fatta sulla sua maschera mortuaria, che aveva fatto fare la pace tra Tivolesi ed Empolitani (da Empulum, il nome romano dell'abitato che sorgeva vicino) in lite per il diritto di porre dazi su chi passava per la valle dell'Aniene. Questa eccezionale mediazione era stata voluta certamente da Margherita, che il Santo proteggeva tanto che il riconoscimento della regola probabilmente si deve proprio alla sua intercessione presso il papa, ache se poi Sant'Ignazio cerco di minimizzare il suo intervento.
La storia di Castel Madama viene così proiettata in quadro più che italiano addirittura europeo dal ricordo di quella che fu la sua rifondatrice e quasi quasi viene da pensare che sia ingiusto che per molti questo nome sia più che altro un casello autostradale (senza sminuire i benefici reali di questo) e non un pezzo importante della nostra storia e anche, sotto molti aspetti, dell'emancipazione femminile, visto che Margarita d'Austria non fu certamnete inferiore ad alcuno dei politici del suo tempo.

UN CASTELLO SOTTOVALUTATO

Il Castello Orsini di Castel Madama fu evidentemente ristrutturato da Margherita d"Austria e oggi, finalmente, l'amministrazione comunale sta procedendo al suo restauro dopo che, negli anni trenta, era stato adibito ad Asilo Infantile. L'ingresso è caratterizzato da un piano inclinato, adatto a permettere il passaggio delle carrozze su cui viaggiavano i signori tenuto, lateralmente, da pietre che sembrano provenire dalla cornice di qualche edificio antico. L'unica parte interna che si puo vedere un poco, sia pure sbirciando dal portone, è la corte, non vasta ma con un bel loggiato rinascimentale e ricca di testimonianze romane e antiche pietre tombali che testimoniano la presenza di famiglie che dovevano avere una certa importanza. Particolarmente bella è la scala di accesso al loggiato e al piano superiore, che funge anche da passaggio esterno tra un lato e l'altro della costruzione. Certamente nelle guide turistiche non si è data il dovuto rilievo a questo complesso. Per quanto riguarda i restauri, anche senza mettere mano alle strutture le sole opere di stuccatura e pulitura richiederanno molta attenzione. Sperando in una (relativamente) rapida conclusione dell'opera vogliamo far notare che nel cartello d'avviso antistante finalmente abbiamo visto indicati gli importi esatti dei lavori, come per altro vuole una legge che sembra dimenticata da troppe amministrazioni, l'auspicio è buono, speriamo anche la conclusione.

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CERRETO
Le Origini
"Posto a guardia della valle del torrente Fiumicino... su posizione dominante la valle Giovenzana", con queste parole, in genere, si comincia a parlare di Cerreto nelle guide turistiche, mettendo subito in evidenza l'origine militare del paese. Le cronache benedettine di Subiaco risalgono quasi all'anno mille, epoca alla quale si fa risalire, con buona approssimazione, il mastio del castello, ma è da ritenere che già da prima i monaci avessero sentito la necessità di bloccare la trasversale che, passando per Canterano, portava direttamente all'alta valle dell'Aniene.
Erano i tempi in cui i Saraceni tentavano di impossessarsi di qualche solida base alle spalle della Città eterna per colpire la cristianità al cuore e superare il limite di tre giorni (quanto in viveri e foraggi si può portare con se) per le loro incursioni dal mare. Prima di attaccare Tivoli cercarono di arrivare a Subiaco trovando però, sulla loro strada, i Cerretani, anche se allora non si chiamavano così, visto che l'antico nome del paese era MonteRuffo; la sostanza, comunque, non cambia.
Il Paese
Oggi, chi arriva al paese senza esserne a conoscenza trova il muro di sostegno della strada che porta al municipio affrescato con la storia del gatto e dell'assedio; un affresco che non può passare inosservato e che caratterizza, piacevolmente, l'accesso al centro storico introducendo anche gli estranei alla comunità locale ed alle sue tradizioni.
Più oltre, entrati nel cuore dell'abitato, una gatta in bronzo, un vero piccolo monumento davanti al comune, ricorda ancora l'episodio. Avanzando ancora si giunge all'ingresso della parte più antica della rocca, un vero e proprio castello sorto attorno ad una torre cilindrica. Non è una costruzione della stessa mole di altre già viste nella zona, meno imponente, forse, ma estremamente compatta e solida, più tesa a soddisfare delle necessità pratiche che la vanità di un signore o l'ambizione di un architetto. All'ingresso del castello, costituito da un breve passaggio coperto, un antico rivellino dotato ancora di feritoie aperte e forse riutilizzato come balcone rende subito l'idea che anche se qualcuno fosse riuscito ad arrivare fino alla porta avrebbe dovuto avere la pazienza di sopportare per un po' una certa quantità di olio bollente sulla testa A proposito della porta, si vedono ancora parte degli stipiti e delle cerniere, eppure deve mancare certamente da secoli! Ecco, è qui il punto, da altre parti abbiamo ammirato l'imponenza e la bellezza delle fabbriche, qui tutto è rimasto come era nel trecento, specialmemte l'interno del castello, e i secoli ci stanno attorno con una presenza quasi solida.
Tornando alla piazza principale per la via Maggiore è questa la sensazione che si porta con se.
Tra le cose da vedere citiamo un bel crocifisso ligneo del XVII secolo nella chiesa parrocchiale.
La Storia
Risale ad allora la leggenda della gatta che aiutò i difensori a ricacciare il nemico; la povera bestia, infatti, fu cosparsa di sostanze incendiarie e gettata, accesa ovviamente, nell'accampamento saraceno, di notte, incendiandolo. Per di più, nel trambusto che ne dovette seguire, i Cerretani attaccarono facendo strage di nemici. In genere si parla di questo episodio come di una leggenda, ma l'espediente di mandare animali che trascinassero fascine incendiarie tra i nemici per incendiarne il campo o spaventarne i cavalli è molto antico e non escudiamo che gli sprovveduti Saraceni, poco esperti di assedi, potessero ancora cascarci.
Certamente vero è invece il fatto che per poter assalire Subiaco dovessero prima passare di qua, prendendo questo castello per non essere chiusi tra due fuochi. Le grandi lotte per il possesso della valle dell'Aniene, però, risalgono a prima dell'anno mille, e questo convalida l'ipotesi che il paese esistesse già prima di quanto siano antichi i documenti, almeno da un punto di vista militare.
Si hanno notizie di un saccheggio da parte di soldati napoletani di passaggio a causa della guerra tra Ferrara e Venezia nel 1482.
Ancora nel 1592 i Cerretani erano in grado di resistere a degli assalitori agguerriti come le bande di Marco Sciarra. In questa occasione si sarebbe ripetuto l'episodio della gatta che sarebbe stata gettata tra i fienili dove erno accampati i soldati di Marco Sciarra. Questa volta il fuoco avrebbe minacciato di incendiare il paese stesso se non fosse per l'intervento di Sant'Agata.
Il Folklore
Il 25 aprile si celebra la festa della gatta, qualunque sia la versione dell'episodio che si prenda per buona, originariamente messa al 5 febbraio.
Il 15 agosto le immagini dell'Assunta e del Salvatore vengono portate a spasso per il paese e davanti la chiesa di San Sebastiano i portatori fanno in modo che facciano una specie di inchino reciproco.
La domenica dopo la Madonna delle Grazie, a settembre, si possono gustare, gratuitamente, le "pizzarelle" locali, piatto tipico del paese, basta arrivare in tempo per trovare un posto nei tavoli in piazza.

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CINETO

Le origini
Il nome più antico di questo paese era Scarpa ma fu cambiato in Cineto (dal greco kiné = cane), dai due cani presenti sullo stemma, prima della guerra.
La zona mantenne un'identità equa sino al tempo della guerra sociale; l'abitato antico non era l'attuale ma si trovava in corrispondenza dell'incrocio con la Valeria, un luogo di sosta, pare, e in cui si pagava un pedaggio prima di procedere verso l'Abruzzo o la Sublacense.
Ciò comportava anche la presenza di un centro per il rilevamento di pesi e misure e, aggiungiamo noi, la presenza di un banco di cambio.
L'ipotesi è plausibile in se anche se sembra difficile stabilire epoche e modi, si deve anche considerare che il desiderio che molti popoli avevano di ottenere la cittadinanza romana era dovuto proprio all'esenzione da simili gabelle, visto che i Romani costruivano le strade per favorire piuttosto che per limitare i commerci.
É certo, comunque, che l'abitato attuale risale ad un'epoca non anteriore al X secolo, sempre nell'epoca in cui si fortificarono tutti i castelli che si affacciavano sulle strade dirette a Roma.
Di questi castelli ne esistettero, nel Medioevo, ben tre ed è sul terzo che venne costruito l'attuale palazzo baronale. Il fondatore fu un Orsini, Napoleone, nel Duecento e la proprietà rimase a questa famiglia fino al 1612, quando fu ceduta ai Borghese. Questi ultimi lo cedettero nel 1925 con la conseguenza che attualmente è diviso in una serie di piccole proprietà immobiliari minori. Il mastio del castello risale, però, ad un paio di secoli prima e riteniamo che la datazione del nucleo originario (la torre) all'XI secolo sia fondamentalmente esatta. Nel piccolo cortile, in cima alla scalinata e sopra la porta di quelli che probabilmente erano gli appartamenti dei signori è situata un'iscrizione in latino: "OSTIUM NO HOSTIUM - MD86 p." che va letta: "...degli ospiti non dei nemici, p[osta] nel 1586".

Il paese
Il paese si mostra diviso in due parti che confluiscono sulla piazza: una attorno al Castello degli Orsini ed una che si allunga sul poggio antistante.
Su di uno slargo si affaccia l'unico edificio in stile anni '30 del paese; si tratta di un buon esempio, in piccolo, di quel razionalismo degli anni Trenta che distingueva, nelle costruzioni, le varie parti funzionali. In questo caso, ad esempio, le scale, rotonde e torreggianti, dai locali per ufficio, dalla tipica finestratura continua. Oltre si trova il castello in tutta la sua maestosità ed il borgo ad esso arroccato; non è difficile riconoscere le antiche mura e le torri di difesa del tutto inglobate nelle abitazioni. Sopra a tutto, al centro della massa della rocca, si eleva possente l'antico mastio.
Non deve meravigliare la presenza di un sistema difensivo così robusto; oggi la strada che proviene dalla Valeria si ferma proprio sulla piazza e prosegue solo come viottolo tra i monti sino a dietro Riofreddo, collegandosi con Orvinio e Vivaro in alternativa alla strada di Licenza e Percile. Riofreddo, in linea d'aria, è assai vicino e molti preferivano passare di qui venendo da Rieti per Subiaco piuttosto che arrivare ad Arsoli e dover poi tornare indietro.
Lo preferì anche San Francesco cui, si dice, fu donato dagli abati sublacensi la piccola chiesa di Santa Maria, poco sotto il paese, perché la restaurasse. Sulla questione dell'epoca in cui il santo di Assisi sia passato da queste parti per andare a Subiaco anno già scritto in molti e non si può sapere se queste prime comunità francescane si debbano tutte alla sua opera personale, ma è certo che la prima espansione del francescanesimo fu appoggiata in Italia dai Benedettini, a cominciare dalla prima donazione di San Damiano.
Dalla piazza si può salire al castello ed all'antico borgo passando per una porta ancora ben conservata e sovrastata da un piccolo campanile a vela che ricorda l'esistenza di un'antica cappella nobiliare. Qui i vicoli cominciano a scendere e salire ripidissimi e si riconosce immediatamente la struttura alto-medioevale dell'abitato.
Vicino all'ingresso alla piccola corte la finestra di una cantina, protetta da una robusta inferriata malgrado l'altezza da terra, ci indica il luogo dove erano le prigioni. Una leggenda racconta che qui sia stata rinchiusa anche Beatrice Cenci. Era abitudine rinchiudere i detenuti in attesa di giudizio importanti, specialmente quando si temeva che il popolo li liberasse, in posti lontani dalla capitale. Per i castellani era un introito, visto che il detenuto doveva pagarsi la prigione con i propri mezzi.

Leggende e folklore
Tornando sulla piazza si può fare una piccola visita nella parrocchiale di San Giovanni dove il popolo venera anche, da tempo immemore, S. Agata. Questa, dice una leggenda, apparve ad una donna che lavava i panni che, naturalmente non fu creduta. Il popolo, comunque, andato sul posto, trovò i panni lavati e stirati ed una statua della santa che fu portata in chiesa. Il giorno dopo la statua fu ritrovata sotto un noce fiorito fuori stagione e, riportata in chiesa, si dice che sparì di nuovo e sia andata a stabilirsi definitivamente, chissà perché, in Sicilia. Esiste, al ruscello, una pietra con l'impronta della santa.
La leggenda è un poco anomala, ed una delle poche che narri di un santo che se ne vada da un paese invece di stabilircisi, ma il culto popolare è realmente molto antico e sincero e S. Agata va considerata la vera protettrice di Cineto.
Ricordiamo anche la cosa più famosa del paese, un pozzo profondissimo, scavato un poco più in alto, non si sa quando e non si sa da chi, ma probabilmente dagli Equi, visto che in altri paesi della zona ne esistono di simili. Flavio Biondo recitava due esametri interi di Virgilio prima che un sasso arrivasse al fondo.
Alcuni usarono, per misurare il fondo, un pendolo, arrivando a calcolare oltre 500 metri attuali. Qualcuno dice che sia profondo "solo" 100 metri ma prosegua poi, con quasi due chilometri di gallerie sotto il monte. Perché sia stato scavato, poi, è un mistero ancora più fitto e ogni ipotesi rimane solamente tale.

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CIVITELLA SAN PAOLO

La presenza di una megalopoli quale ormai è (purtroppo?) Roma ha comportato per tutta la regione circostante una serie di cambiamenti e modifiche ambientali a tutti i livelli, non si parla pi- di Campagna Romana ma di un Hinterland che estende l'area di attrazione urbana sino a distanze di parecchie decine di Chilometri dalla capitale. C'è il rischio di una progressiva perdita di identità della regione che viene coinvolta nel degrado ambientale dell'Urbe senza contropartita alcuna.
Per questa ragione riportare l'attenzione sui centri che circondano Roma cercando di identificarne, sia pure in breve, le caratteristiche peculiari urbanistiche, storiche e artistiche non deve essere intesa come un'opera di propaganda turistica ma come un recupero interiore da parte, prima di tutto, degli stessi abitanti. Non ci si deve dimenticare che un paese che si puo, oggi, raggiungere in auto con mezz'ora di viaggio una volta distava dalla Capitale una giornata di calesse o diligenza, specialmente se non c'era una ferrovia vicina, e che la separazione tra il centro urbano e il suo Hinterland era assai netta.
Un nucleo di paesi, ben identificabile e autonomo rispetto a Roma, sorge sulla riva destra del Tevere e ha la sua origine nella volontà di Ildebrando di Soana, papa Gregorio VII, di costituire uno stato monastico, retto dagli abati di San Paolo fuori le mura e fedele al papato, da contrapporre all'Abbazia di Farfa, fedele all'imperatore, che aveva i suoi domini sulla riva sinistra. Castelnuovo, Riano, Morlupo, Magliano, Cesano, Galeria, Campagnano e Capena erano tutti paesi che, a vario titolo, ne facevano parte; proprio da una colonia di Capenati prese origine l'abitato di Civitella San Paolo, in un epoca imprecisata dell'alto medioevo ma certamente molto prima del 1081, anno in cui Gregorio VII la conferma tra i possedimenti dell'Abbazia, chiamandola, appunto, Civitatem de Coloniis. Troppo lungo sarebbe ricordare tutti i signori di questa terra, ma tra le famiglie di origine nobile ancora presenti nel paese si possono citare i Casilli, mentre tra quelle che vi abitarono hanno fama storica i Malatesta e i Grimaldi.
L'abitato ha sempre mantenuto la caratteristica di fortezza militare che lo contraddistingue anche nella storia, in una posizione che impedisce il passaggio a chi passi il Tevere all'altezza del torrente Farfa e voglia invadere la riva destra oppure, invertendo il cammino, per chi dalla Flaminia voglia andare all'abbazia omonima; ancora nel XV secolo la guarnigione doveva fornire 30 soldati al Papa, chiaro indice che era assai pi- numerosa e che l'importanza della rocca era notevole.
Il castello è il primo spettacolo che si presenta a chi arriva, non grandissimo ma imponente e poderoso e, caso ormai raro, assai ben conservato; di fronte, nella piazza antistante quello che una volta era il ponte levatoio, la chiesa di San Giacomo Maggiore, totalmente ricostruita negli ultimi tempi dello Stato Pontificio dall'architetto Vespignani a imitazione minore della Basilica di San Paolo. La nuova parrocchiale era necessaria perché‚ il paese si espandeva, come ha continuato a fare ancora oggi, lungo la strada di accesso principale; per questo fu anche spostato il cimitero presso la chiesa rurale di San Lorenzo, che si trova a sinistra della strada, prima del rettilineo che porta alla piazza. Si consiglia di fare un giro attorno al cimitero e diventerà facile distinguere il nucleo pi- antico di questa costruzione, dal tetto a capanna e con ancora il piccolo campanile; l'ampliamento successivo, la cupola e la decorazione barocca a fresco sono della fine del XVII secolo.
Osservare il trascorrere dei secoli dalle tracce che questi hanno lasciato, talora ben evidenti, come in questo caso, ma più spesso piccole se non minime è un modo di gustare l'antico che porta ad una maggiore comprensione del passato e del suo rapporto col nostro tempo, a meno che non si vogliano considerare anche le città e i paesi alla stregua di musei, belli ma morti e imbalsamati. È certamente assai bello il castello di Civitella, e vale da solo il piccolo sforzo di una gita, ma girare per il borgo medioevale puo dare sensazioni pi- intime e gustose, quasi raffinate. Il fatto che l'espansione urbana sia avvenuta essenzialmente lungo la via d'accesso principale ha fatto sì che il nucleo più antico sia rimasto praticamente intatto e senza grandi bisogni di interventi conservativi che non siano, in fondo, che la normale manutenzione degli edifici.
Si entra nel paese dal castello e si puo subito osservare come fosse fatto il corpo di guardia, con le due porte di cui restano ancora gli stipiti, e i resti della villa romana che sorgeva nei pressi. La piccola piazza Santa Maria, dietro il castello, era una volta il fulcro dell'abitato pi- antico, le strade del centro portano tutte quì; già, perch‚ anche se oggi non sembra, la parte del paese dentro le mura ha conosciuto almeno due fasi di espanzione urbana. Il primo nucleo, anteriore come formazione al documento del 1081, puo essere identificato scendendo a destra del castello e seguendo la via Garibaldi, stretta e lunga, che ad un certo punto porta a passare sotto un arco assai antico; questo ha tutto l'aspetto di una porta di ingresso, ricavata in un punto in cui la roccia naturale costituiva già da s‚ una difesa eccellente. Le murature più basse, che sono ovviamente le pi- antiche, sono costruite con massi tanto irregolari e così consumati da rendere probabile una datazione anteriore al 1000, e forse di tarda epoca carolingia. Si puo fare un raffronto proprio con il sistema di murare utilizzato a Roma nell'XI secolo (e probabilmente anche prima) in cui ogni tanto si faceva una fila di mattoni messi con regolarità ed in piano, modo derivato dagli antichi e utilizzato in molte case anche quì a civitella; le case con murature troppo pi- rozze, fatte di massi irregolari non lavorati, sovrapposti a caso e saldati con calcina assai povera e scadente (quasi terra) sono certamente anteriori. Quà e là, poi, si ritrovano nei muri mattoni romani di risulta e, in una piazzetta, anche una colonna antica. Questi resti, assieme a quelli conservati nel cortile di ingresso del castello, testimoniano l'antichità dell'abitato e non è affatto escluso che ci sia una effettiva continuità tra il tardo impero romano ed il Medioevo.
Una strada girava sopra o accanto una cerchia di mura più antiche, poi scomparse, e da questa si sono poi dipartiti una serie di vicoli a raggiera chiusi da una nuova cinta muraria, l'attuale, più forte ed organica. Se si osservano le piante più antiche raffiguranti Civitella (ad es. del '700) questa struttura risulta evidente.
Andando per il paese è anche assai interessante curiosare tra i vicoli e osservare che, in certi casi, molte di queste viuzze sono state progessivamente coperte dai travi che univano in alto le case tra loro fino a rimanerne coperte completamente ed a trasformarsi in lunghi androni su cui si aprono le porte di diverse abitazioni. Si immaginino le difficoltà che sorgono, talora, per distinguere tra di loro il suolo pubblico da quello privato e le varie proprietà; ma, nel Medioevo, quando si costruiva così non c'erano problemi, tutto era del feudatario!
Per gli amanti del folklore a Civitella hanno anche interessanti tradizioni locali, tra queste è singolare e suggestivo il grande fuoco che si accende nella piazza di fronte al castello il 17 gennaio, festa si Sant'Antonio Abate, con una catasta di tronchi alta molti metri, veramente un falò grandioso come pochi. Di origini antichissime, pagane e connesse col culto forse di Cerere, è la processione del primo Maggio, festa che si mantenne anche durante il ventennio fascista, dato che non ha nulla a che fare con la festa dei lavoratori. In questo giorno si fa una processione in onore di San Giacomo e di San Filippo durante la quale, in costume tradizionale, le ragazze portano cesti, ornati con fiori e nastri, contenenti dei pani benedetti che i contadini porteranno ai campi per propiziare i raccolti, mentre i ragazzi devono sostenere il peso di grosse croci.
Dunque, un paese tutto da scoprire e che ha la fortuna di non essere lungo una strada trafficata che lo attraversi; questo ha determinato l'assenza di quelle opere ed adattamenti che distruggono in maniera irreparabile molti centri, per necessità, certo, ma sempre con un poco di rimpianto. Gli abitanti e le ammistrazioni che si sono succedute non hanno guastato quello che i loro antenati hanno lasciato e non si sono messi sulla facile strada del turismo; la maggior parte della popolazione lavora a Roma, è vero, ma evidentemente sono ancora tutti civitellesi doc.