L'IMPERIALI A SANT'EUSTACHIO

L'Altare Maggiore di Nicola Salvi e la Pala dell'Imperiali

Nella Pala dell'Altare Maggiore della Chiesa romana di S. Eustachio è rappresentato il momento in cui per convincere il Santo e sua moglie ad abiurare i suoi due figli vengono fatti bruciare all'interno di un grande toro di bronzo. Ricordiamo che Eustachio, uno dei santi più venerati nell'Alto Medioevo, era un tribuno romano convertitosi dopo aver inseguito, mentre andava a caccia, un cervo che aveva una Croce d'Oro tra le corna. Nel Medioevo Eustachio divenne il prototipo di un nobile cavaliere cristiano visto che dopo la caduta dell'Impero Romano solo i nobili potevano combattere, un santo, quindi particolarmente venerato dalla classe al potere..
Questa grande tela è di Francesco Ferdinandi, detto l'Imperiali, testimonia la capacità anche di artisti oggi considerati "secondari" di raggiungere livelli qualitativi buoni se non eccellenti, come in questo caso.
Quando la chiesa di Sant'Eustachio fu ristrutturata, ormai tre secoli fa, la pittura italiana ancora faceva scuola nel mondo e la professionalità, se non l'arte in senso stretto, era sempre molto elevata.
Il Ferdinandi evidentemente appartiene a quella schiera di pittori che, senza grandi idee innovatrici, era però in grado di soddisfare pienamente ogni aspettativa del committente.
La tela, delle stesse dimensioni di quelle del transetto, fu certamente dipinta in studio e poi collocata in sede.
La Parrocchia di Sant'Eustachio, una delle più antiche dell'Urbe, certamente a corto di denaro come tutte le parrocchie romane in ogni epoca e senza grandi ordini religiosi che sostenessero le spese di restauro, procedette lentamente nell'ordinare i dipinti indispensabili, allora molto più che oggi, per educare ed indottrinare i fedeli, con particolare riguardo a quelli, allora numerosissimi, analfabeti.
L'Imperiali si trovò di fronte a due problemi, misurarsi artisticamente con gli affreschi manieristi di Federico Zuccari che sulla facciata del palazzetto antistante la chiesa illustravano la leggenda di Sant'Eustachio ed evitare che la propria composizione fosse solamente uno sfondo lontano dietro il ricco altare.
Lo scopo fu ottenuto con uno schema compositivo ampiamente collaudato sin dai primi anni del Seicento nell'Accademia dei Carracci: qualche parte di uno dei personaggi in primo piano tocca o sporge dal piano di affioramento, la superficie teorica che separa lo spazio immaginario del quadro dallo spazio reale dello spettatore; questo personaggio ne indica un secondo in qualche modo o ad esso rimanda e questi a sua volta rinvia sempre più all'interno del quadro fino al più importante.
Così chi guardava veniva "introdotto" nella scena e quasi invitato a parteciparvi come spettatore attivo.
In questo secolo ci si è abituati a forme di comunicazione per immagine sempre più veloci, ma all'epoca in una chiesa si sostava sempre abbastanza a lungo da poter esaminare un dipinto con comodo ed acquisirne i significati; ci si possono così spiegare quei dipinti tanto scuri da richiedere alcuni minuti per recepirne i particolari.
Nel caso specifico l'autore preferì colori abbastanza chiari da rendere ben visibile tutta la scena; il luminismo caravaggesco era passato di moda perché "funzionava" bene con pochi personaggi, ma era del tutto disadatto a scene a largo respiro ed affollate.
Sant'Eustachio stesso ci introduce nel quadro, in primo piano, con il ginocchio sinistro che quasi tocca, come avevamo detto, il piano di affioramento.
Sul pavimento due striscie di marmo segnano una prima direttrice prospettica che va da sinistra (di chi guarda) a destra mentre la scena posteriore, più alta e lontana, è di nuovo spostata a sinistra, dove campeggia, scuro in controluce, il Toro di Bronzo nel quale tutta la famiglia è destinata a morire.
Si costruisce, così, una sorta di percorso visivo per lo sguardo degli spettatori.
Dal Sant'Eustachio in primo piano si passa alla moglie, più arretrata, che contrasta con la sua veste azzurra quella rossa del marito; i due colori scelti dal pittore sono quasi complementari, la loro somma, cioè darebbe il bianco, e la luminosità del quadro ne è complessivamente accresciuta.
Alla struttura lineare della prospettiva si sovrappone una struttura di colore, alla veste azzurra della donna in basso a sinistra corrisponde l'azzurro intenso e luminoso del cielo in alto a destra, mentre il rosso del vestito del Santo è richiamato dai bagliori rossi che illuminano i personaggi dietro, in particolare il carnefice che mette uno dei due figli nel toro di bronzo.
In genere tutta la parte sinistra del quadro è più scura della parte destra; questo probabilmente corrisponde all'illuminazione naturale prevalente nella chiesa all'epoca e comunque crea una sensazione di illuminazione naturale, favorita dalle discrete dimensioni del dipinto.
Il vuoto compositivo del cielo non viene assolutamente recepito come tale dallo spettatore (sia consentito l'uso di un termine teatrale) perché due diagonali parallele formate dalle braccia della donna e dal braccio destro di Sant'Eustachio portano proprio a questa parte di Cielo libero, che simboleggia il Paradiso cui i due sono destinati.
L'angelo che porta la palma del martirio è illuminato dall'alto da una luce proveniente dalla zona dei Cherubini, ordine angelico più vicino a Dio, ma la nube dietro di lui è scura, artificio con cui si suggeriva la presenza di una luce ancora maggiore senza dover fare colori sempre più chiari ma scialbi; Tiepolo porterà questa tecnica ai massimi livelli.
I due Cherubini sono quasi avvolti da una luce color fuoco che suggerisce l'Empireo dantesco e si riflette, tecnicamente, sulle figure sottostanti.
Anche l'interno del toro, dove già la figlia del Santo soffre, è scuro, perché non dobbiamo dimenticare che queste scene erano vissute con intensità dal popolo che non poteva, però, essere spaventato più del conveniente.
Per impressionare la gente bastava la scena del bellissimo giovane, l'altro figlio di Eustachio, che sta per essere bruciato mentre il padre cerca conforto nel Cielo e la madre volge la testa inorridita; i due gesti suggeriscono ai fedeli i sentimenti da dover provare e l'atteggiamento composto da tenere.
La bellezza del corpo del giovane era specchio evidente della bellezza dell'anima e su questo corpo il pittore evidenzia un idea di bellezza ideale.
Una breve considerazione va fatta a proposito del baldacchino sopra l'altar maggiore, di Ferdinando fuga: questo si ispira a quello del Bernini a San Pietro ma ancora più leggero ed aereo perché, se si fosse sorretto su colonne, avrebbe interdetto notevolmente la vista della pala retrostante; segno ulteriore della grande capacità di rispettare e recuperare le immagini di questo architetto senza appesantire la vista e riempire lo spazio oltre al dovuto, capacità di cui la facciata di Santa Maria Maggiore è l'esempio universalmente noto.

Umberto Maria Milizia