FOLIVM II.2, agosto 1996

CINQUE SECOLI DI VILLA ADRIANA

Il punto sulla stuazione della celebre villa

di Umberto Maria Milizia

  Non solo Caracalla, è la prima considerazione che viene spontanea a chi consideri con un poco di attenzione lo stato di conservazione e d’uso dei grandi complessi monumentali. In posti dove spesso anche un solo mattone è importante non si è esitato a fare buchi, tagliare murature, montare impalcature cementan-dole alle più antiche rovine.

Uno di questi complessi monumentali, purtroppo, è la Villa di Adriano a Tivoli.

Così, saputo che in occasione del tremilacentoundecimo natale della città sono stati annunciati importanti restauri della Villa, abbiamo creduto opportuno fare questa breve panoramica della storia e degli scavi, ripresa da quella già pubblicata sul settimanale «Hinterland» nell’estate del 1995. Lo scopo è dimostrare che gli interventi programmati sono del tutto insufficienti, dato che l’estensione reale dell’area archeologica interessata è più del doppio di quella posseduta dallo Stato Italiano.

Lo studio ripete cose che dovrebbero essere ben note a tutti gli studiosi interessati o anche, semplicemente, alle persone appassionate di archeologia come il sottoscritto (che in realtà è uno storico dell’arte); non ci si meravigli, perciò, se si è deliberatamente rinunciato ad un apparato scientifico esteso in favore di una maggiore speditezza del discorso.

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Pianta di Villa Adriana dalla Guida dell'Italia Centrale di Karl Baedeker, ed. francese, Parigi 1909.


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Particolare della parte aperta al pubblico dalla stessa guida.

LE ORIGINI

Nato nel 76 e morto nel 138, Publio Elio Adriano ascese all’impero nel 117, succedendo per adozione a Traiano, di cui aveva sposato la nipote Vibia Sabina. Pur avendo dato prova di essere un ottimo militare preferì una politica di pace e di riordino dell’impero certamente più consona al suo carattere di intellettuale raffinato. Ottimo architetto, certamente partecipò attivamente alla progettazione della città da lui stesso fondata e dei monumenti che ne hanno reso celebre il nome, il mausoleo e la villa tiburtina in cui volle riprodurre, anzi, reinterpretare, i più celebri monumenti che si trovavano nel vasto territorio su cui si estendeva il suo dominio.

La villa era una specie di condensato dei ricordi e delle esperienze che l’imperatore aveva tratto dalla sua vita movimentata e piena di viaggi, anche di quelle dolorose, come la morte di un suo favorito, Antinoo, che si suicidò per amore perché, trascurato, credeva di essere caduto in disgrazia. La prima cosa che bisogna tenere presente è che la villa non apparteneva probabilmente al Fiscus imperiale, non era, perciò, terreno demaniale ma rimase sempre proprietà dell’imperatore e dei suoi eredi, tanto è vero che Adriano, che non ci ha lasciato fama di grande spendaccione, la costruì sul terreno della tenuta annessa a una villa di sua moglie Sabina, evidentemente anch’essa d’accordo. Se le cose stessero veramente così non possiamo saperlo con precisione, ma è certo che gli imperatori romani tenevano molto, e giustamente, a distinguere le proprietà private da quelle pubbliche; anche se, in fondo, chi pagava era sempre il contribuente di allora.

In seguito altri imperatori furono proprietari della villa, cosa che non meraviglia più di tanto visto che per un lungo periodo la forma usuale di trasmettere il potere era quella dell’adozione, per cui ogni imperatore fu erede del suo predecessore, come Adriano stesso lo fu di Traiano. Ci piace credere, ma secondo alcuni fu proprio così, che qui sia stata tenuta, “ospite” dell’imperatore Aureliano, la bellissima regina della città di Palmira, Zenobia, che pare fosse capace di incantare con le sue grazie i generali romani inviati contro di lei e che, nel 274, fu portata a Roma legata al carro del vincitore con catene di rose. La potenza di Palmira era cominciata proprio quando Adriano l’aveva dichiarata città libera, per farne uno stato cuscinetto fedele a Roma contro i Parti, nel 129 (1). Dal 129 al 274 erano passati quasi centocinquanta anni e la villa, evidentemente, era considerata una residenza lussuosa.

Sappiamo che nel III secolo il cosiddettoTeatro Marittimo fu restaurato e si è anche trovato un mattone con bollo relativo ad un imperatore del IV: un mattone solo è bastato per sapere che la manutenzione era ancora curata in quest’epoca; quando si dice che ogni più piccolo pezzo, in questi casi, è importante bisogna intendere la frase alla lettera! Ecco perché siamo in disaccordo con quella sentenza che ha assolto un turista (studioso di archeologia, per di più) che si portava via piccolissimi pezzetti della villa!

In seguito, gli ultimi imperatori romani preferirono risiedere a Ravenna, più sicura di Roma dalle incursioni dei barbari ed è in questo periodo che, probabilmente, Villa Adriana fu abbandonata; se, come è probabile, era considerata come una proprietà privata qualsiasi è facile capire che sia stata successivamente venduta come un fondo comune.

Del gran numero di opere d’arte ritrovate, dopo, in buone condizioni si può dedurre che per alcuni secoli la villa, oltre ad essere abbandonata dal punto di vista della manutenzione, fu anche dimenticata quasi del tutto senza essere saccheggiata. Vero è che gli ultimi imperatori dovevano essersi portati a casa, per così dire, tutto il trasportabile e, dato che erano cristiani, tutte le statue degli dei pagani, i nudi e consimili rimasero in loco; così fece Costantino per decorare il suo nuovo palazzo a Bisanzio.

Queste considerazioni sono state fatte per spiegare come mai siano state trovate molte più opere d’arte di quanto lo stato rovinoso degli edifici potesse far supporre: questi ultimi, infatti, furono spogliati di tutto quanto potesse risultare utile a nuove costruzioni, come marmi, scalinate, tegole, ecc.. Quest’opera di spoglio dovette essere particolarmente attiva a partire dal IX secolo, quando nel Lazio, messo saldamente nelle mani dei papi da Carlo Magno, cominciò una lenta opera di ripopolamento per favorire la difesa e l’approvvigionamento di Roma. Ciò spiega perché si siano ritrovati relativamente così pochi oggetti di uso comune: i primi, per la loro utilità, ad essere stati trafugati. Poi, per molti secoli, nel medioevo, della villa non si hanno più notizie.

LA RISCOPERTA DI VILLA ADRIANA

Fu nel XV secolo, quando si impose la cultura umanistica, che ci si cominciò a ricordare dell’esistenza della villa, ma solamento dopo il diffondersi della moda di imitare i motivi decorativi antichi, lanciata da Raffaello con le “grottesche”, iniziarono degli scavi e dei rilievi sistematici (per inciso Raffaello fu il primo a ricevere una specie di incarico ufficiale di conservatore dei monumenti antichi, carica che ci indica chiaramente quanto, nella Roma dell’epoca, si fosse sensibili a certe problematiche).

Già nel 1450 Flavio Biondo aveva parlato della villa e un notevole interesse a questi studi venne dal fatto che fu visitata dal papa Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini; né ci si poteva aspettare di meno da chi aveva fondato, prima della elezione a papa, il borgo di Pienza e, contemporaneamente, la scienza urbanistica moderna. Leggiamo dai suoi Commentarii: “ Circa al terzo miglio fuori della città (Tivoli, n. d. a.), l’imperatore Adriano edificò una splendidissima villa a somiglianza di un gran castello. Rimangono ancora le volte sublimi e vasti templi, miransi le colonne de’ peristili e de’ portici sublimi, le vestigia delle piscine e de’ lavacri, dove una porzione derivata dell’Aniene rinfrescava un dì gli ardori estivi... l’edera veste ora que’ muri che arazzi dipinti e drappi tessuti in oro coprirono... i serpenti abitano le camere delle regine: tanto caduca la natura delle cose mortali.” Una descrizione appassionata, certo, ma anche capace di identificare le caratteristiche funzionali della costruzione.

Nel 1535 circa il cardinal d’Este diede l’incarico a Pirro Ligorio di costruire la sua famosa villa a Tivoli e questi la adornò prendendo statue e marmi dalla vicina Villa Adriana. I “Cioci” del museo Vaticano, in un primo momento, erano stati drizzati nella piazza di Tivoli. Mentre anche Sangallo il Vecchio ed il Peruzzi cominciavano ad interessarsi alla villa e ad effettuare scavi, Pirro Ligorio iniziava delle esplorazioni sistematiche e rilevava, circa nel 1560, la prima grande pianta delle rovine. In questa seconda metà del secolo un po’ tutti cercarono di effettuare scavi e troviamo che non solo la villa era divisa tra più proprietari, ma anche che alcuni erano interessati proprio all’aspetto archeologico, come gli Altoviti.

Nel secolo seguente una parte della villa, forse la più feconda di ritrovamenti, era già proprietà della famiglia che ancora oggi la possiede e nel 1630 Simplicio Bulgarini faceva fare scavi nell’Odeon e nella Accademia.

Oggi, è chiaro, nessun privato può avere più i mezzi per fare una cosa del genere!

BREVE STORIA DI UNA CARTA TOPOGRAFICA

o la nascita dell’archeologia scientifica.

Vale la pena di fermarsi un momento a raccontare la storia della pianta di Villa Adriana rilevata da Pirro Ligorio; riportiamo le parole del Lanciani, a loro volta riprese dalla notizia ivi riportata: “ Pianta d’una parte della villa d’Hadriano cavata da Pirro Ligorio. I disegni di detta villa furono portati in Francia da mons. di Antreville che gli havea compri da un rigattiere ferrarese.

Il Barberini fece perfezionare la pianta dall’architetto Francesco Contini (padre del più famoso Gianfrancesco) e la diede alle stampe. Nel 1751 la pianta fu ristampata e riportata ad un formato più maneggevole; non sappiamo chi fece l’operazione. La pianta originaria di Pirro Ligorio, per inciso, si trova in Inghilterra nella biblioteca di Windsor. Questa ultima stampa riveste una certa importanza perché è stata preparata dopo che il Nolli pubblicò, nel 1749, una sua pianta di Roma che meravigliò i contemporanei per la precisione, con uno scarto non superiore ad un pollice sul terreno, allora quasi incredibile. In realtà il Nolli era uno dei primi cartografi che faceva rilevazioni con il metodo, ancora oggi in uso, trigonometrico, ed aveva lavorato, prima di venire a Roma, per i Savoia che gli avevano fatto fare tutte le mappe militari del loro regno.

È chiaro, perciò, che anche la nuova ristampa del Ligorio dovette essere rivista tenendo conto dei nuovi standards di accuratezza. Per la verità si vede chiaramente che la maggior parte del lavoro è stata fatta trasponendo i disegni del Ligorio e del Cignini con un pantografo, ma bisogna anche prendere atto che la rappresentazione del terreno è complessivamente più precisa, malgrado la scala ridotta, ed abbastanza diversa. La faccenda diventa ancora più interessante se si considera che il Nolli era l’architetto di Villa Albani, sulla Salaria alle porte di Roma, in particolare del famoso parco, poi amorevolmente quasi distrutto dalle speculazioni di inizio secolo ed oggi privo di qualsiasi ornamento. Il fatto è che probabilmente questi ornamenti venivano in buona parte da Villa Adriana, nella quale il cardinal Albani aveva fatto fare molti scavi proprio per questo scopo.

Contemporaneamente un altro cardinale, il Furietti, bergamasco ed amante della cultura, faceva fare scavi nella proprietà Bulgarini, in particolare nell’Accademia, con risultati interessantissimi. L’invidia dell’Albani, che era segretario di stato, spinse quest’ultimo ad emanare il primo decreto conosciuto relativo alla regolamentazione degli scavi archeologici, in cui si stabiliva che non se ne potessero fare senza un permesso statale, anche in proprietà private; per la prima volta veniva riconosciuto ufficialmente che esistevano dei beni la cui conservazione e cura superavano gli interessi privati. E’ ovvio che in seguito l’Albani diede a se stesso il permesso di scavo e lo negò al Furietti, il quale dovette contentarsi di quanto aveva già trovato e che, alla sua morte, fu subito rivenduto a buon prezzo dagli eredi allo stato.

L’ultima edizione della pianta di Pirro Ligorio fu anche corredata di un accurato indice dei luoghi, dei loro nomi e destinazioni presunte che come tali sono giunti fino a noi. Ormai il turista era una figura frequente a Villa Adriana, mentre il Lessing a Napoli dava inizio all’archeologia moderna e ad un metodo di scavo più scientifico. Il Piranesi rilevò la villa proprio in quest’ottica, dopo di che, per cento anni circa, il nulla. Il fatto è che il Piranesi era un ottimo incisore ma un dilettante come archeologo tanto da essere famoso per le sue ricostruzioni di monumenti antichi che definire di fantasia sarebbe riduttivo; la sua pianta della villa è comunque precisissima ed estremamente chiara ed anche molte delle sue supposizioni, alla prova dei fatti, si sono dimostrate più esatte di quanto si potrebbe credere.

La ripresa degli studi del comprensorio non vide certo come protagonisti gli Italiani, ma solo Tedeschi e Francesi in gara tra loro e, quando il governo si decise a rilevare la proprietà della zona archeologica, si limitò al solo fondo Braschi, già dei Fede, dei Borghese e dei Gesuiti; di questa parte solamente fu fatto un accurato rilievo, nel 1905, da parte della Scuola di Ingegneria di Roma e, ancora oggi, l’unico lavoro fatto fare dallo stato. Per il resto ci si deve rivolgere quanto meno al Piranesi.

Il lavoro più completo esistente, sia per i siti che per le opere d’arte, è ancora più vecchio: La Villa Impériale de Tibur di Pierre Gusman, edito a Parigi nel 1903. Con questo lavoro la breve carrellata sugli studi effettuati nei secoli termina con la constatazione che, nel passato ed all’estero, se non la cura, almeno la considerazione che si ebbe per questo complesso fu certamente molto superiore a quella che se ne ha oggi.

Per la verità, tra le rilevazioni su Villa Adriana abbiamo saltato ben due piante della medesima, e per di più famose, fatte respettivamente dal Nibby e dal Lanciani, nell’ordine, nella prima metà del secolo scorso.

Sia il Nibby che il Lanciani sono forse più seri e preparati del Piranesi: tutti e tre, comunque, non aggiungono nulla a quanto già rilevato in precedenza, tanto che sia il Nibby che il Lanciani avvertono il lettore, nel guidarlo attraverso la villa, che alcuni dei monumenti riportati ormai non erano più visibili, come il cosiddetto Ippodromo e le scale del teatro adiacente, forse le stesse di cui aveva già parlato nel ‘500 il Baratta. “Nel guidarlo”, abbiamo scritto, ed il termine è esatto, perché di guide turistiche si tratta, tra le prime moderne, anche se concepite per dei visitatori di cultura molto elevata; le masse, comunque, erano ben lontane dal turismo, termine già in uso dal secolo precedente tra i nobili inglesi: “turista” era chi faceva il Tour, cioé il giro del continente per istruirsi (e conoscere i propri corrispondenti commerciali).

IL COMPRENSORIO ARCHEOLOGICO DI VILLA ADRIANA

Il problema dell’estensione della villa è tuttora aperto, e chiunque si può facilmente rendere conto che buona parte di essa, in tre secoli di scavo, era stata distrutta.

Delle tre piante principali che ne abbiamo (2) una riveste una certa im-portanza, quella del Lanciani, visto che è l’unica che si allarghi oltre la zona dei ruderi vera e propria ed arrivi sino alla via Tiburtina; è chiaro che l’autore voleva indicare con precisione la strada da seguire; ma così abbiamo anche, per la prima volta, rappresentato, oltre che raccontato, il posto esatto nel quale si trovava l’ingresso monumentale alla villa, e questo, come logico, era proprio verso la via Tiburtina, a poca distanza da Ponte Lucano.

Del resto ci sembrerebbe strano che proprio il padrone del mondo dovesse ac-cedere alla propria residenza, portandosi appresso centinaia di servi e pretoriani, nonché cortigiani, amanti (maschi e femmine) e dignitari vari passando per un viottolo di campagna attraverso i fondi altrui. Questo ingresso si trovò poi vicino, come si può leggere nelle guide di questo secolo riportate in bibliografia, alla ferrovia in concessione. Nella pianta è anche indicata una strada lastricata che taglia la Tiburtina, quasi parallela ad essa.

Questa via silice strata, molto ben indicata anche dal Piranesi, letteralmente “via lastricata di pietra” (da strata viene l‘italiano strada) non crediamo possa essere identificata con una strada pubblica sia perché situata al di qua dell’ingresso ufficiale della villa, sia perché la strada statale lastricata già c’era da tempo: la Tiburtina: doveva perciò essere una strada di comunicazione interna alla villa stessa, di servizio, che tagliava il percorso sia verso Tivoli che verso Roma, rimanendo così riservato l’ingresso principale agli ospiti di rango. Del resto è anche ovvio che un complesso di costruzioni così importante e così vasto avesse più di un ingresso.

Non si deve confondere, poi, l’ingresso alla tenuta con l’ingresso alla villa propriamente detto, che il Gusman (3) non è alieno dall’identificare con il Vestibulum già indicato dal Piranesi.

I due piloni dell’ingresso monumentale erano attraversati da un passaggio voltato e tra di loro si è supposto che dovesse essere collocata una grande griglia. Su di uno era visibile un uomo che tratteneva un cavallo, forse uno dei Dioscuri, e sull’altro una scena comica, nell’accezione antica della parola.

Le teste delle statue furono mutilate, così pare, per ordine del Duca d’Alba, il celebre condottiero di Carlo V, famoso per la sua ferocissima repressione della rivolta nelle Fiandre ed esempio di quella nobiltà spagnola che tanto protestò perché l’imperatore proteggeva ed ammirava gli artisti italiani del suo impero, considerati “uomini meccanici” e poco più che degli imbianchini, sino ad arrivare (l’imperatore) all’episodio, storico, in cui si chinò a raccogliere un pennello a Tiziano. Nella villa Albani ed a Palazzo Barberini finirono le sculture mancanti; in quest’ultimo si trova un leone che viene fatto provenire, stando alla guida di Roma e dintorni del T.C.I. del 1925, da un terzo pilastro, anche se a noi un ingresso con tre pilastri, per la verità, sembra un po’ fuori della norma.

Sulla base di queste considerazioni non ci sembra azzardato affermare che tutto il terreno compreso tra la Tiburtina, il vecchio ingresso, la strada lastricata romana e la residenza imperiale appartenessero alla villa. Così non saremo costretti ad immaginare gli imperatori che si affacciano al balcone e sporgono quasi sul terreno dei vicini, mentre ci sembra più probabile che esistesse, attorno, una certa area di rispetto e che la maggior parte dei servi e dei servizi (da servus, originariamente l’insieme delle competenze servili) fosse disposta lungo la strada sopra accennata, in costruzioni di mole molto inferiore rispetto a quelle destinate all’imperatore ed ai suoi ospiti, fors’anche di legno; insomma, ci sembra che l’attuale Villa Adriana fosse un po’ troppo lussuosa per degli schiavi! Tanto più che, per non averli tra i piedi, Elio Adriano aveva fatto costruire una serie di gallerie che mettevano in comunicazione tutte le costruzioni tra di loro e tra le quali solo alcune hanno decorazioni e finiture tali da far supporre un uso anche da parte padronale.

Comunque, tuttora non si riesce bene a delimitare quanto fosse effettivamente grande tutto il comprensorio, ed i resti di altre costruzioni nei dintorni non possono essere di grande aiuto, dato che sono spesso di età anteriore, se non repubblicana, e non è possibile determinare se appartenessero al fondo già in possesso di Sabina, la moglie ufficiale di Adriano; possiamo solo determinare che i monumenti, che resero celebre la villa, cioé le ricostruzioni di alcuni dei luoghi più celebri dell’impero, erano compresi tra due grandi terrazze, una che si affacciava verso Tivoli ed una verso Roma, ed entrambe con una articolazione simile: due teatri e delle sale la cui struttura si richiamava, come la sala principale dell’Accademia che richiama il Portico delle Biblioteche o la sala della Piazza d’Oro e dell’Auditorium. Questi nomi, naturalmente, sono quelli storicamente dati alle varie costruzioni ma non hanno forse niente a che vedere con la effettiva destinazione dei vari plessi. Noi, che siamo curiosi, siamo andati a spulciare la carta topografica di Tivoli al 25.000 dell’I.G.M. attualmente in vendita (4). Questa carta risale addirittura al 1874/76 ed è stata aggiornata (si fa per dire) nel 1931/36, dopo che la ferrovia in concessione era già stata messa in disuso, tanto che ancora vicino alla villa, dove era la stazione ferroviaria, ad un certo punto si legge la parola Conc.ne, evidentemente sfuggita alla cancellazione. Così, senza grandi ricerche d’archivio, abbiamo trovato che tutto intorno a Villa Adriana si trova un enorme numero di ruderi di tutte le dimensioni, regolarmente rilevati dai bravi ufficiali cartografi, i cui nomi sono fedelmente riportati in calce alla carta stessa.

Purtroppo non sappiamo se “si trovano” sia una proposizione esatta o se non sarebbe il caso di cominciare ad usare il passato.

QUALE FUTURO PER VILLA ADRIANA?

Introduciamo così un grande problema: quanto di Villa Adriana è ancora da scavare? e, conseguentemente, quanto è già stato rilevato dallo Stato e quanto è ancora in mano a privati? Sulla carta topografica dei puntini indicano i ruderi visibili; e tutta la parte sottoterra, sin dove si estendeva?

Una breve analisi della posizione dei ruderi minori rilevati dai topografi militari attorno alla villa (e certamente non pertinenti alla stessa) mostra chiaramente che sono disposti quasi a semicerchio attorno allo sprone tufaceo su cui sorgono i principali edifici, ma tutti dalla parte opposta alla via Tiburtina; non ci sembra azzardato sostenere che anche questa può essere una prova che il fundus imperiale, dall’altra parte, arrivava fino alla via consolare, allargandosi verso questa e mantenendo una zona di rispetto e di servizio che separava la residenza imperiale dalla trafficatissima strada. La parte della villa attualmente accessibile al pubblico è lunga circa 1 chilometro e larga 600 metri. Senza arrivare alla lunghezza ipotizzata anticamente di 4 chilometri, certamente almeno fino a due si arriva senza difficoltà, il che porta ad un’area costruita di almeno 1,5/2 chilometri.

Tra le cose non visibili forse la più interessante è la ricostruzione degli Inferi virgiliani che Adriano fece fare come una lunga galleria trapezoidale, illuminata da 89 aperture sulla volta che diventano 90 con l’ingresso, situato all’estremità di una valletta infossata, davanti al quale si trovava una statua di Cerbero, come voleva il mito. Il numero delle aperture, probabilmente, aveva un qualche significato esoterico. Che questo trapezio di gallerie sotterranee sia da identificare con gli Inferi è confermato anche dal fatto che, a guardare bene, gli altri chilometri di gallerie di servizio furono ottenuti, in buona parte, utilizzando gli stessi scavi di fondazione degli edifici maggiori o delle opere di contenimento del terreno.

Inoltre il visitatore non può rendersi conto della struttura originaria della villa che attualmente sembra solo un insieme di edifici grandi e bizzarri e non, come era, un complesso armonico di costruzioni voluto e realizzato da un imperatore, Publio Elio Adriano, che era contemporaneamente un amante della musica, della poesia, un architetto (forse la sua qualità migliore, a dire degli storici), nonché un bravo amministratore, e che trovò anche il tempo per introdurre una riforma amministrativa che sostituiva i liberti di palazzo con dei funzionari competenti; da un certo punto di vista fu l’inventore di questo aspetto della burocrazia. Anzi, probabilmente proprio il fatto di poter contare su di una buona amministrazione gli consentì di potersi dedicare alle arti con un poco più di attenzione (5).

Ci sembra, a questo punto, di essere riusciti a dare un’idea della importanza storica della Villa Adriana di Tivoli che fu, vale la pena di ripeterlo, la più grande raccolta d’arte mai concepita e realizzata prima di questo secolo e, per magnificenza, certamente di tutti i tempi. Anche l’ipotesi che il comprensorio della villa si estendesse, allargandosi, sino alla statale (6) ci sembra abbastanza plausibile, visto che l’ingresso principale era quasi a Ponte Lucano.

Molte parti e molte costruzioni non sono attualmente visitabili perché situate in terreni privati, alcune non sono neppure più visibili, è vero, ma date le dimensioni (il cosiddetto ippodromo era grande quanto il Pecile) è difficile credere che ne siano scomparse anche le fondamenta: possibile che nessun sopraintendente abbia mai formulato una proposta di acquisizione da parte dello Stato ed un piano di scavi organico? Non sarebbe ora di pensarci finché si può ancora salvare qualcosa? Ognuno, a questo punto, può trarre da sé le sue conclusioni.

SCAVI E RITROVAMENTI.

UNA BREVE PANORAMICA STORICA

Per dare meglio l’idea di quanto il complesso abbia dato alla storia dell’arte e della civiltà basti questo elenco, breve e per forza di cose incompleto, delle più importanti opere ritrovate tra le rovine a partire da un’epoca, il nostro Rinascimento, in cui già si attribuiva loro il giusto valore; si sonsideri che nel medioevo, per quasi mille anni, statue, mosaici, marmi preziosi furono saccheggiati senza alcun criterio per abbellire chiese e case pubbliche e private o, più modestamente, per fare qualche parte, magari uno stipite o uno scalino d’ingresso, in una casa di contadini dei dintorni. Il numero dei ritrovamenti effettuati è enorme ma riteniamo che sia utile, una volta tanto, cercare di essere abbastanza completi, solo così, infatti, ci si può rendere conto di quale sia stato e sia, tuttora, il valore culturale, storico ed artistico della villa; forse a costo di essere noiosi, è vero, ma abbiamo visto che anche persone esperte spesso non avevano chiara l’idea quantitativa dell’importanza della villa, lasciando da parte per un momento, al limite, come si dice, ogni considerazione qualitativa perché ci sono opere che, da sole, giustificherebbero un museo.

I primi saggi di scavo del napoletano Pirro Ligorio, fatti per conto del cardinale d’Este al tempo di Alessandro VI (1535-1538) fornirono quasi tutte le statue antiche destinate ad abbellire la celeberrima villa omonima a Tivoli e i due telamoni di granito rosa che si trovano nei Musei Vaticani, dissepolti nella Piazza d’Oro, e che ebbero il soprannome di “Cioci”. Le otto muse del museo del Prado vengono, probabilmente, da questi scavi; tre furono poi restaurate da Bernini. Successivamente, quindici o venti anni dopo, lo stesso Ligorio rilevava tutta la villa mentre il cardinal Farnese portava alla luce il portico circolare.

Quasi tutti i personaggi più in vista della cultura romana del Cinquecento fecero fare rilievi e scavi nel territorio e fu allora che l’intera città di Roma si riempì di reperti provenienti non solo da Villa Adriana ma un po’ da tutte le ville della zona perché, è bene ricordarlo, Adriano volle risiedere dove già tutte le famiglie più importanti dell’impero, letteralmente i padroni del mondo di allora, avevano le loro dimore maggiormente rappresentative, vicino ai maggiori esponenti di quella classe superiore cui egli stesso apparteneva e lontano dalle tumultuose popolazioni dell’Urbe, sempre pronte a rivoltarsi per avere un po’ di pane in più.

Forse dai terreni della famiglia Altoviti venivano i busti dei filosofi e dei letterati greci che si trovano ai Musei Vaticani, Temistocle, Isocrate, Aristofane, Aristotele, Carneade, Demostene, Eschine, fatti collocare da papa Giulio III nella sua villa; un gruppo marmoreo rappresentante Adriano che adottava Traiano prendendolo per mano, documentato da umerose incisioni, è andato perduto.

Sotto Innocenzo X, a metà circa del XVI secolo, Giovanni Maria Baratta trovò ancora molte cose interessanti tra cui “ una scala colli gradi di alabastro orientale le pareti de fianchi intarsiate de vari mischi... Con incassature di metallo corintio indorato”. Scala che sarà forse finita in qualche grande palazzo romano, visto che in loco non si trova più.

Il Settecento vide, in gara tra loro, due cardinali e l’ordine dei Gesuiti fare scavi sistematici nella villa. Il cardinal Furietti, di famiglia relativamente più povera, scavava per passione e rinunciò ai ricchi guadagni che avrebbe potuto trarre dalla vendita dei due centauri di marmo nero ora ai Musei Capitolini e del celeberrimo mosaico con due colombe, negli stessi musei, mosaico che contiene la bellezza di seicento tessere per centimetro quadrato! Ovviamente il tutto fu venduto al papa dagli eredi appena il povero Furietti morì.

L’altro cardinale, l’Albani, trovò tra le altre cose due rappresentazioni di Antinoo, il celebre amante di Adriano: la statua la vendette al papa per farlo contento ed il bassorilievo andò ad adornare la villa fuori Porta Salaria che il Nolli gli stava costruendo assieme a molte altre opere minori.

Sempre di quest’epoca sono i ritrovamenti della testa colossale di Oceano dei Musei Vaticani ed un gruppo marmoreo rappresentante due donne sedute con un cane tra i piedi. Tutti questi reperti furono trovati nella proprietà dei Bulgarini, nell’Accademia e dintorni; i ruderi sono ancora di proprietà privata benché si trovino a pochi metri dal Canopo.

I Gesuiti furono più furbi: non scavarono per la gloria, ma per vendere e, a tale scopo, avevano acquistato i terreni compresi tra il Canopo (incluso) e Roccabruna. Le statue in granito nero del Museo Egizio Vaticano vengono da qui e sono particolarmente importanti perché rappresentano la principale interpretazione romana della civiltà egizia. Ancora da questi terreni vengono il Satiro in marmo rosso dei Musei Capitolini e l’Erma di Antistene con il mosaico egiziano rappresentante una barca e dei coccodrilli, al Vaticano.

L’elenco dei ritrovamenti fatti nel Settecento è lunghissimo. Citiamo: una statua di Arpocrate (Campidoglio), una Flora (Campidoglio), un Endimione (Stoccolma), un Antinoo egiziano (Vaticano), una testa colossale di Cibele (Campidoglio), un’Elettra (Campidoglio), un Fauno, un’erma femminile ed una di Bacco. Una statua di gladiatore morente simile a quella del Campidoglio fu trovata vicino alla strada (la Tiburtina o la strada di accesso alla villa?); dallo stesso posto vennero i due gladiatori donati al principe reale di Polonia. Vista la qualità delle opere noi siamo propensi a credere che si trattasse della strada di accesso, inclusa nella proprietà privata dell’imperatore, piuttosto che della strada pubblica. Nella proprietà Fede furono rinvenuti, inoltre, un Adriano con clamide che si trova nei giardini del Quirinale ed un pugile che sta al Louvre, nonché un busto di Domizia ed un giovane Ercole, al Vaticano.

La campagna di scavi più sorprendente fu, tuttavia, quella che lord Hamilton fece condurre in località Pantanello, la parte più bassa della valle di Tempe, non lontano dal teatro Greco, dove si raccoglievano le acque che scendevano dalla villa. Riportiamo la testimonianza del Piranesi: “ ... Un prodigioso numero di frammenti di statue fra teste, mani, piedi, vasi, candelabri, animali, bassorilievi di ottima scultura, colonne di giallo antico, di alabastro, ed altri marmi mischi (variegati, n. d. a.), non tenendo conto dei capitelli, basi, cornici e fregi intagliati e rocchi di colonne di marmo ordinario...” e ci sembra che basti.

Tutti i vasi ed i candelabri, gli oggetti di arredamento ed una statua di Giasone finirono in Inghilterra, altre cose sono al Vaticano tra cui un gruppo con Patroclo e Menelao, un busto di attrice ed uno di Antonino Pio, un busto colossale di Faustina, due pavoni di marmo, un busto colossale di Antinoo, un candelabro raffigurante i Dioscuri.

Contemporaneamente cinque mosaici venivano presi dalla parte centrale della villa di cui uno, rappresentante un combattimento fra Centauri e belve, si trova a Berlino e gli altri al Vaticano a fare da superba decorazione pavimentale delle più celebri sale. L’ultimo ritrovamento importante furono due ottime copie del Discobolo di Mirone finite un al Vaticano e l’altra al British Museum.

Passato il periodo napoleonico e quello del Risorgimento, in cui gli studiosi francesi e tedeschi si curarono soprattutto di rilievi, lo stato italiano ha fatto ben poco. E’ vero che lord Hamilton e compagnia avranno probabiulmente portato via tutto il portabile, ma è anche vero che le tecniche di scavo dispongono og-gi di mezzi una volta impensabili e che, forse, nelle parti della villa attualmente non in proprietà dello stato e molto più estese di quanto non si creda, sta ancora materiale interessante per una esatta ricostruzione del territorio.

Forse oggi è possibile qualcosa di meglio e di più che fare dei buchi per terra, magari a pettine.

UNA PICCOLA BIBLIOGRAFIA SU VILLA ADRIANA

Per le nostre note su Villa Adriana ci siamo serviti di una documentazione consistente in guide turistiche non attuali ma ben conosciute, carte topografiche ancora in vendita, studi ben noti agli specialisti, ecc., di natura tale che è difficile poter affermare di non esserne a conoscenza o di non poter arrivare a procurarsela, e questo con buona pace dei burocrati addetti alla concessione di quelle licenze edilizie che hanno già troppo deturpato la zona, strozzandone il traffico, che grava tutto sulla Tiburtina, e facendo cancellare Villa Adriana da molti programmi di agenzie di viaggio che non hanno voglia di impegnare gli autobus in trasferimenti che durano un’eternità per quella che era, una volta, una gita classica per i turisti di stanza nella capitale, anzi «la» gita.

Diamo, ora, una breve indicazione bibliografica. Nel Gusman si può trovare un elenco assai completo di quanto è stato pubblicato fino all’inizio del secolo; per gli ultimi anni, invece, bisogna rassegnarsi a girare per le principali biblioteche:

AURIGEMMA, Salvatore, Nuove scoperte nella Villa Adriana, «Atti dell’Accademia Nazionale di San Luca», III, 1957/58, pp. 55 ss..

AURIGEMMA, Salvatore, Villa Adriana , Roma 1962.

BONFIGLIETTI, Rodolfo, Raffaello a Villa Adriana e a Tivoli, Tivoli 1920.

BRIGANTE COLONNA, Gustavo, La Villa Adriana di Tivoli ricollegata agli itinerari turistici, «Capitolium», 1935, n. 8/9.

CASCIOLI, Giuseppe, Bibliografia di Tivoli. Codici. Manoscritti. Stampe, «Studi e fonti per la storia Regione Tiburtina», Tivoli 1923. CONTI Graziella, Decorazione architettonica della “Piazza d’Oro” a Villa Adriana, «Studia Archeologica», 13, Roma 1970. DEL RE, Antonio, Delle Antichità Tiburtine Capitolo V (il solo pubblicato), Roma 1611.

GUSMAN, Pierre, La Villa d’Hadrien de Tivoli, Paris 1908.

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LANCIANI, Rodolfo, La Villa Adriana. Guida e descrizione compìlata da ... .

AA. VV., Pianta rilevata dagli allievi della scuola degli ingegneri di Roma sotto la direzione di V. Reina e U. Barbieri , Roma 1906.

LIGORIO, Pirro, Pianta della Villa Tiburtina di Adriano Cesare, Roma 1751.

NIBBY, Antonio, Descrizione della Villa Adriana, Roma 1827.

NISPI-LANDI, Ciro, Publio Elio Adriano Imperatore, Villa Elia Tiburtina a Tivoli. Storia e descrizione secondo gli studi e gli scavi recenti..., Roma 1927.

PACIFICI, Vincenzo, L’archivio tiburtino di S. Giovanni Evangelista, Tivoli 1922.

PENNA, Agostino, Viaggio pittorico della Villa Adriana, Roma 1831.

NOTE

1- Alla fine è riportata la bibliografia di riferimento dei dati contenuti nel testo. Per quanto concerne Zenobia e Palmira cfr. N. G. BRANCATO, Il caso Ceccano, Roma 1994, pp. 29 s. e 32 s., con specifiche indicazioni bibliografiche alle note 53 e 70. Fondamentale rimane tuttora T. WIEGAND, Palmyra, Berlin 1932; più recentemente A. CHAMPDOR, Les ruines de Palmyre , Paris 1953. Da ultimo A. R. COLLEDGE, The Art of Palmyra, London 1976. 2- Vedi supra p. 61 s. e le indicazioni bibliografiche in calce, sotto gli autori Pirro Ligorio, R. Lanciani, A. Nibby.

3- Vedi Bibliografia.

4- Foglio 150, I° Quadrante, Tavoletta di NO.

5- Sulla data dopo la quale Adriano fu in grado di dedicarsi all’attività edilizia fuori Roma vedasi quanto constatato in N. G. BRANCATO, op. cit., p. 102. Va però precisato che gli interventi di Adriano a Tivoli ebbero inizio durante il primo anno di regno dell’imperatore, e che furono interrotti per riprendere successivamente.

6- Vedi supra, p. 63.

FOLIVM I.0, gennaio 1998

ANCORA SU VILLA ADRIANA

di Umberto Maria Milizia

 

Questa breve nota è volta a rispondere ad alcune obiezioni fatte a proposito di Cinque Secoli di Villa Adriana, pubblicato su «Folium» II.2, luglio 1996, pp. 59-67.

Anzitutto è bene precisare che l’articolo in questione è tratto dalla fusione di tre articoli a piena pagina (in origine dovevano essere sette) pubblicati su «Hinterland», settimanale locale dell’area tiburtina e che non ha, perciò, intenti strettamente scientifici ma conservativi. Il fatto è che nell’area archeologica della Villa erano, e sono tuttora, in corso una serie di speculazioni edilizie di grande portata che avrebbero fatto del complesso archeologico una specie di parco-giochi tra casermoni; intento degli articoli era, appunto, dimostrare che la Villa si stendeva ben oltre i limiti della parte acquisita a suo tempo dallo stato e che i ruderi che sono al di fuori non si limitano alla cosiddetta “Accademia” e non arrivano solo fino a “Roccabruna”. Perfino nello studio più recente di Federico Guidobaldi (1) si afferma “…uno studio d’insieme che ora non è possibile e che sarebbe falsante se basato soltanto su scarne e spesso sommarie o imprecise o contrastanti notizie ricavabili da documenti di scavo dei secoli passati.”

Sarà forse l’ufficialità dello studio, peraltro eccellente, ma Guidobaldi dimentica, certo non volontariamente, che i ruderi di cui si parla, mai rilevati in questo secolo (!) si riferivano a edifici non minori, per grandezza, a quelli attualmente visitabili e che le “notizie sommarie o imprecise” cui si riferisce sono riscontrabili ancora senza difficoltà nelle comuni guide turistiche di prima della guerra; tutto ciò non può essere scomparso nel nulla! Con questo naturalmente non vogliamo sminuire l’importanza dell’opera del Guidobaldi, che citiamo solo per motivi cronologici, e con il quale ci vogliamo scusare, avendo riguardo soprattutto all’altissima specializzazione dello studio condotto che raggiunge pienamente il suo scopo particolare, ma dovevamo giustificare il fatto che nella bibliografia siano citati solo libri meno recenti e la mancanza di quest’opera era stata,  giustamente, notata. Per tutte le altre più recenti pubblicazioni, di tono minore e certo molto meno serie dal punto di vista scientifico, non si pone neppure il problema.

Tutto questo mentre la Sovraintendenza dava tranquillamente permessi ai “cinematografari” di girare per la villa con camion che sfondavano la volta delle gallerie sottostanti al Pecile, i custodi (o chi altri fosse) coltivavano le olive e i turisti stranieri chiedevano, senza risposta, dove potessero trovarsi gli Inferi, che ancora, supponiamo, stanno lì, sottoterra, dove li fece fare Adriano, nel fondo Bulgarini. A quanto ci risulta nelle gallerie, sulle quali non esiste alcuno studio specifico, non si coltivano più funghi da esportare, come verificò a suo tempo, una trentina d’anni fa, un ispettore inviato dal Ministero dopo una denuncia dei ristoranti della zona ai quali i funghi erano negati. Del processo, naturalmente, si sono perse le tracce. Insomma, anche se non ci fosse più nulla, vorremmo sapere che fine ha fatto il resto della villa, soprattutto dei sotterranei e magari anche delle ville circonvicine. Per concludere, ricordiamo che Villa Adriana è il complesso archeologico italiano più visitato dopo il Foro Romano e non aggiungiamo altro.

1 - F. GUIDOBALDI, Sectilia Pavimenta di Villa Adriana, con la collaborazione di Fulvia Olevano, Andrea Paribeni e Daniela Trucchi, sotto il patrocinio del Consiglio Nazionale delle Ricerche, edizioni dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1994.