Roma nel Cinquecento

di Umberto Maria Milizia

 

Scrisse Jean Delameau a proposito di Roma che “ormai è impossibile amarla, o semplicemente comprenderla, senza conoscerne la storia edilizia e monumentale…”, e non possiamo dargli torto. La sovrapposizione di strati edilizi e vicende urbanistiche di ventisette secoli ha generato una città unica al mondo in cui sembra perfettamente normale entrare in un ufficio pubblico costruito qualche secolo fa o sedersi sull’orlo di una fontana del Cinquecento.

In tutta la zona compresa tra il Tevere ed il Corso, i palazzi hanno facilmente per scantinati i piani superiori di edifici di età imperiale e non è difficile che questi scantinati siano a più livelli, anche se, per la verità, per ragioni di staticità facilmente intuibili, i locali più bassi generalmente sono stati interrati.

Così, recentemente, ci siamo accorti che l’ingresso di un Bar a lato del Pantheon non era altro che il finestrone del secondo piano di un palazzo di duemila anni fa  ed abbiamo scoperto, dentro un convento poco dietro la Banca d’Italia, una galleria che va dal Colosseo a Santa Maria Maggiore, tre piani sotto il suolo stradale e corrispondente ad un qualche vicus di età della prima Repubblica; appena ventitre/ventiquattro secoli, una bazzecola. Pochi oltre Delumeau, si sono posti il problema di sapere quali furono gli strumenti legislativi che permisero ai governi che nei secoli hanno presieduto alla città gli interventi necessari; già, perché strade e palazzi a Roma non sono quasi mai nati per caso, ma a seguito di precisi piani regolatori i quali, per definizione, sono anche atti giuridici fatti sulla base di leggi preesistenti o, come più spesso accadde a Roma, appositamente emanate.

Probabilmente la più antica disposizione in proposito fu il divieto di costruire sul terreno del pomerium, una fascia di terreno all’esterno delle mura che doveva essere lasciata libera per ragioni di difesa, in modo che nessuno potesse avvicinarsi senza essere visto. Ogni tanto, nei secoli successivi, qualche console o qualche prefetto della città dovette far demolire gli edifici abusivi che i furbi costruivano senza licenza. Al di la del Pomerium non ci fu mai un particolare piano edilizio, ma sappiamo che i regolamenti in materia e quelli di polizia urbana venivano applicati con una certa attenzione da parte delle autorità.

Dentro le mura, invece, le leggi ed i piani urbanistici furono sempre assai precisi… sulla carta, o meglio, sulla pergamena; già, perché l’abusivismo edilizio fu una piaga che Roma si portò avanti sin dal tempo della fondazione.

Chi fece qualcosa di serio, urbanisticamente, furono dapprima Giulio Cesare e poi Nerone. Quest’ultimo, per limitare gli incendi e migliorare le condizioni igieniche della popolazione, emise una serie di norme, valide per tutto l’impero, che limitavano a tre i piani costruibili ed obbligavano a farli in muratura od in pietra. I livelli calpestabili di un edificio, così, furono limitati a cinque se si contano le mansarde ed il piano terreno. Questo comportò il dimezzamento delle insulae, i grandi casermoni popolari che venivano affittati soprattutto ai forestieri, con buoni guadagni dai grandi proprietari, quasi sempre appartenenti all’ordine senatoriale, o dalle loro società finanziarie.

Queste leggi, se fossero state applicate, avrebbero impedito quella serie di incendi di cui la propaganda dell’opposizione accusò Nerone stesso; anche se allora con poco credito. Per rimediare ad uno dei più dannosi, l’imperatore accolse a proprie spese gli sfollati nei suoi giardini e cercò anche di distrarli un poco (si fa per dire) con qualche spettacolo a base di cristiani arrostiti o usati come lampioni pubblici…

Comunque la riforma neroniana fu così poco gradita agli speculatori edilizi che, pare, fu proprio per impedirne l’attuazione che Nerone fu deposto con un colpo di stato e costretto a suicidarsi. Gli imperatori successivi procedettero sulla stessa strada, ma con più prudenza.

Fu dopo la guerra Greco-gotica e l’assedio di Roma che di urbanistica non si parlò più, anche perché la popolazione era calata, alla fine della guerra, da quasi un milione a ventimila abitanti, e tale rimase per settecento anni! Quando l’incremento demografico riprese, a partire dal Trecento, la città antica era semidistrutta e la gente era ristretta in un’ansa del Tevere attorno a Campo de’ Fiori e Piazza Navona. Frattanto gli studi sull’architettura antica, ripresi dagli umanisti, uniti ad una nuova stima della dignità dell’uomo e del suo ambiente, riportarono in auge l’architettura.

Riprendendo il concetto iniziale, tutti conoscono i nomi di Brunelleschi, Alberti, Sangallo, Michelangelo e Bramante, ma quasi nessuno si è interessato degli strumenti legislativi messi loro a disposizione da chi stava al governo. Per esempio, tutti sanno che Brunelleschi costruì la cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze con nuove tecniche, senza impalcature portanti, ma pochi considerano il fatto dal punto di vista che egli dovette presentare un progetto, come titolare d’impresa, ad un regolare concorso, esattamente come oggi; concorso del quale fu vincitore perché la commissione giudicante, evidentemente, era in grado di capire le innovazioni ed i vantaggi dei nuovi metodi. Brunelleschi, in altri termini, non era solo un genio isolato ma l’esponente di una classe di professionisti ed imprenditori tecnicamente ed industrialmente all’avanguardia.

A Roma le nuove idee furono portate da una serie di papi toscani nel Cinquecento e per attuarle fu emanata una legislazione severa, applicata con diligenza. Certo, bisogna anche considerare la mentalità dell’epoca, nella quale alcuni diritti del popolo, per noi evidenti, erano considerati come concessioni benevole del regnante e non connaturati all’individuo.

Si comprende meglio, da questo punto di vista, come la legislazione edilizia dei papi tra il Quattrocento ed il Seicento fosse aristocratica, sia perché solo gli aristocratici avevano la cultura necessaria per comprendere certe esigenze, sia perché erano anche i soli a possedere i capitali necessari per attuare o solo aderire alle richieste del governo papale.

Con una apparente contraddizione le leggi di questo periodo continuamente ribattono il principio di poter essere applicate anche a principi e cardinali; ma la cosa è facilmente spiegabile se si considera il fatto che costoro spesso si curavano assai poco di obbedire alle leggi, proprio in virtù del loro stesso potere.

La prima riforma fu quella di creare dei magistri viarum (magistrati delle strade), che avevano poteri amplissimi. Il più importante tra questi poteri fu quello di procedere ad espropri per motivi d’interesse pubblico, previo risarcimento del valore dell’immobile sequestrato al proprietario, più un risarcimento calcolato dapprima nel 10% e poi nel 25% del valore stabilito da un’apposita commissione di periti. Dopo la fine dell’Impero Romano era la prima volta che un simile principio giuridico entrava nella legislazione di uno stato.

Un altro principio introdotto fu quello che i proprietari di case inutilizzate o cadenti potessero essere costretti a cederle ai vicini che volessero ristruturare la propria abitazione o avessero bisogno di spazio. In breve la città cominciò a rinnovarsi e la paura di perdere una casa per incuria portò tutti ad aggiustare la propria. Frattanto venivano ripristinati gli antichi acquedotti e si sgombravano le strade da portici, scale, impalcature che le ingombravano, tanto che spesse volte non potevano passare carrozze e carri da trasporto e, in qualche caso, neppure cavalli.

Visitando Roma pochi notano che anche nei quartieri più antichi non si vedono quelle scalette esterne che una volta portavano ai piani superiori, come invece spesso si può riscontrare nei centri storici di altre città, più spesso fuori degli Stati Pontifici. Già, perché non bisogna dimenticare che molte di queste norme non erano valide solo per la Capitale, ma per tutto il territorio dello Stato. Successivamente la legge fu estesa e l’obbligo di vendita fu sancito anche a chi abitava la casa da ristrutturare nel caso che il progetto presentato dal vicino che volesse ampliarsi fosse finalizzato sia pure al solo abbellimento della città. Questo favorì i principi ed i nobili che volevano costruire quei magnifici palazzi che tuttora ornano l’Urbe, anche se, in fondo, fu una possibilità poco sfruttata, perché comunque bisognava pagare gli immobili inglobati a prezzo di mercato più una maggiorazione, come abbiamo detto, a titolo di indennizzo morale, del 25%; in altre parole ci volevano veramente tanti soldi, ed i nuovi palazzi sorsero per lo più su aree già posseduta dai proprietari.

Ci si potrebbe chiedere cosa sia rimasto di questa legislazione, possiamo dire soprattutto tre principi giuridici: l’esproprio per pubblica utilità con equo indennizzo, l’obbligo della buona manutanzione degli edifici e l’istituzione di un ufficio comunale competente per l’edilizia e lo sviluppo urbanistico; e ci sembra già tanto. La conseguenza fu che in seguito, dalla fine del Cinquecento ai giorni nostri, fu redatta una serie di piani urbanistici regolari… regolarmente disattesi da una parallela serie di abusi edilizi.

Naturalmente si sentì anche il bisogno di far corrispondere al nuovo assetto urbanistico, più dignitoso, anche un migliore stato igienico e sanitario della città, a cominciare dal problema dello smaltimento dei rifiuti solidi che fu risolto levandone la cura ai singoli privati e dandone l’appalto ad una ditta che provvedeva alla raccolta dei rifiuti stessi ed al loro trasporto in qualche discarica. Non ci meraviglieremo, perciò, venendo a sapere che esisteva anche un’apposita tassa su questi rifiuti, proprio come oggi.

Per lo smaltimento dei rifiuti “liquidi”, chiamiamoli così, si potenziò l’antica rete fogniaria e furono restaurati o ricostruiti i principali acquedotti, portando l’acqua sin dentro le case, anche se non ancora ai piani superiori. Girando per Roma si possono vedere ancora, all’interno dei cortili dell’epoca, i fontanoni fatti per dare l’acqua potabile. Poco dopo l’acqua fu portata ai piani, come fece il Borromini nell’Oratorio dei Filippini, dove ogni camera di religioso aveva un bagno autonomo, con tanto di finestrella e portalampade per poter leggere durante i propri comodi, e tutto questo all’ultimo piano. Si trattava di novità assolute anche rispetto quanto avevano realizzato gli antichi romani, che fecero di Roma la città più moderna d’europa.

A tutto ciò si aggiunsero i nuovi quartieri, con una serie di strade che collegavano tra loro in linea retta i punti principali, si pensi al famoso Tridente di Piazza del Popolo.

A proposito di questo, nella Biblioteca Vaticana esiste una veduta di Roma “a volo d’uccello”, dipinta su una parete come se fosse stata presa, più o meno, dalla cima della Cupola di San Pietro; ebbene, tra Trinità dei Monti e Piazza del Popolo è indicata una strada che non esiste e forse non è mai esistita, in discesa, che prosegue direttamente la Via Sistina (quella che porta da Trinità dei Monti a Santa Maria Maggiore) fino alla Piazza. È su questa via che si sarebbe dovuta innestare Via del Babbuino. La strada non fu mai realizzata anche perché i frati di Santa Maria del Popolo non vollero mai cedere gratis il terreno e poi perché fare la scalinata di Piazza di Spagna come alternativa non era poi così disagevole, almeno nei criteri dell’epoca.

Questo complesso viario, allora nuovissimo, fu concepito perché la gente potesse passeggiare e fare spese, già allora come quartiere commerciale, dove le merci arrivavano al Porto di Ripetta, dove conduceva la via omonima, all’ingresso principale della città, la Porta Flaminia o del Popolo. Le merci erano soprattutto beni di lusso (le vettovaglie entravano da Sud, dalla parte di Napoli e dell’Agro Pontino) e la strada che collega la via direttamente antistante la porta, Via del Corso, con il Porto di Ripetta, l’attuale Via dei Condotti (condotte d’acqua e di fognature), è ancora la sede delle più prestigiose Case di Moda e Gioiellerie a livello mondiale.

Un ultimo cenno va fatto ad una parte di legislazione oggi considerata essenziale, quella della tutela dei beni artistici e monumentali, che fu messa a punto nel XVIII secolo dal Cardinal Albani, appassionato di archeologia, invidioso forse degli scavi fatti da un altro cardinale, il Furietti, a Villa Adriana, scavi cui si devono alcuni dei più bei reperti dei musei romani. Allora gli scavi non erano regolati da alcuna legge e bastava il permesso dei proprietari del terreno; l’Albani, per frenare il rivale, emise, come Segretario di Stato, un decreto legge che dichiarava, di fatto, la proprietà dei beni artistici da scavare, dello Stato, introducendo la necessità di un permesso sia per poter scavare materialmente che per poter detenere i reperti archologici. Questo principio giuridico fu poi esteso a tutti i beni del sottosuolo in epoca più recente. Per comprendere meglio il problema aggiungeremo che l’Albani era nobile ed il Furietti, bergamasco, un avvocato borghese e quindi in rivalità tra loro.

L’Albani si prese poi una rivincita facendosi costruire la magnifica villa omonima sulla Salaria il cui parco, oggi ridotto ai minimi termini fu progettato dall’architetto Nolli; i maligni vociferarono di appalti … ma noi non sappiamo bene cosa potessero intendere. È questo un personaggio che vogliamo ricordare perché fu uno dei primi ad applicare il metodo della triangolazione per determinare distanze, aree ed altezze del terreno, visto che allora la Trigonometria era una novità nelle scienze matematiche.

Il Nolli aveva rilevato, a fini militari, tutto il sistema di fortezze dei Savoia, ma l’operazione, anche se estremamente riservata, lo aveva fatto comunque conoscere anche a Roma (ci figuriamo che servizi informativi esistessero allora come oggi) e l’Albani volle che il Nolli facesse una pianta catastale precisa dell’Urbe. La precisione fu inferiore a un (1!) pollice, meno di 2,4 cm. Ed anche oggi è da ritenere eccezionale. Sull’utilità di avere buone mappe catastali è inutile insistere.

Una particolarità poco conosciuta è che tra Roma ed un piccolo (ma non tanto) paese delle Marche, Caldarola, esiste una specie di gemellaggio; infatti il Cardinal Evangelista Pallotta, della famiglia signora del luogo, era Prefetto della Fabbrica di San Pietro sotto il pontificato di Sisto V, anch’egli nobile marchigiano, e fece sistemare tutto il paese con gli stessi criteri urbanistici allora sperimentati nella Capitale, fatte, ovviamente, le debite differenze. Strade parallele e rettilinee come a Borgo, un bel palazzo comunale con porticato sulla piazza, tutto pavimentato, chi  si trovasse a passare da quelle parti può verificare; e con questo speriamo di avere aiutato un poco qualche curiosità dei lettori sia che vivano proprio a Roma sia che ci vadano per lavoro o per svago.