Da sempre fatti ed avvenimenti storici sono stati oggetto della
pittura ma non sempre questa è stata utilizzata come fonte
di informazione sul passato. Solo alla fine del Settecento la
ricerca storica si è interessata ai dati che poteva trarre
dalle arti figurative (scultura, pittura ed architettura). I primi
studi seri cominciarono assieme agli scavi di Ercolano e Pompei,
voluti da Carlo III di Borbone a metà del XVIII secolo
quando, dai dipinti murali e dalle statue ritrovate, si cominciò
a ricostruire in modo attendibile come gli antichi Romani vivessero
realmente.
Nacque allora, nel campo dell'arte, la tendenza a fare una pittura
di storia che non si limitasse ad essere una forma di pura propaganda
del potere ma una reinterpretazione del passato a fini politici.
I pittori dell'epoca si rivolsero ai fatti dell'antichità
per darne nuovi esempi di comportamento ai contemporanei modificando,
spesso profondamente, le interpretazioni tradizionali.
Allo stesso tempo si era fatta largo l'idea di rappresentare gli
avvenimenti contemporanei come se già fossero stati dati
alla storia; una sorta di cronaca del presente destinata ad influenzare
la ricostruzione futura della Storia, se non nei fatti almeno
nella loro interpretazione. Si cercò di far avere ai posteri,
oltre che ai presenti, quale fosse lo stato d'animo con cui questi
avvenimenti fossero vissuti dai contemporanei.
Questo fenomeno si sviluppò per tutto il XIX secolo e trovò,
se così si può dire, il suo apice con i regimi totalitari
del XX e nel concetto di artista "impegnato" al quale
si contrapponeva il rifiuto, da parte di altri, di qualsiasi lavoro
condizionato o su commissione; poi la Televisione ha cambiato
tutto.
La differenza tra la pittura storica precedente e quella della
Rivoluzione Francese è nel fatto che, per la prima volta,
vaste masse popolari parteciparono da protagoniste, moralmente
ed affettivamente, ai significati espressi dall'arte, questo fenomeno
coincise in Italia con la formazione di una coscienza nazionale.
Il primo pittore che vogliamo ricordare è Jacques-Louis
David.
La sua formazione artistica fu tutta improntata sulle teorie del
nascente Neoclassicismo che ebbe modo di conoscere a fondo durante
il soggiorno di studio in Italia quale pensionato del Re. Illuminista,
carico di ammirazione per la Roma antica repubblicana, David diede
sempre alla sua arte un carattere storico e morale. David era
un borghese ed un artista professionista e, come tutti i professionisti,
voleva che le cose cambiassero: l'era degli artisti di corte stava
per finire, o almeno così si credeva.
Dapprima David non poté esprimere apertamente le proprie
idee rivoluzionarie ma già nel famoso quadro, "Il
giuramento degli Orazi" esposto al Salon di Parigi del 1785,
si può vedre il rigore morale e patriottico con cui egli
affrontò il tema del rapporto tra dovere ed affetti. Contrapposte
ai loro uomini che giurano di morire per la Patria le donne, in
secondo piano, non possono fare altro che piangere.
Temi presi dall'antichità, inoltre, servivano anche ad
evitare la censura ma non dobbiamo dimenticare che la storia contemporanea
non offriva ancora soggetti artisticamente validi.
A noi forse un quadro come questo può sembrare troppo retorico,
con i gesti teatrali dei personaggi in una scena che sembra un
palcoscenico, ma esprime bene che già allora si pensava
ad un nuovo esercito che fosse espressione della volontà
nazionale e non del Re, un esercito in cui ogni cittadino fosse
corresponsabile della salvezza di tutti.
Probabilmente il Re Luigi XVI stesso era favorevole ad una simile
evoluzione ed a servirsi dello spirito nazionale per mantenere
unita la Francia, ma lo travolsero gli avvenimenti successivi
e l'intransigenza dei rivoluzionari più accesi tra i quali
era David stesso che, eletto deputato tra i Giacobini, non mancò
di votare per la sua condanna a morte.
I quadri di questo periodo continuarono a prendere spunto dalla
storia antica: soggetti come "Bruto riceve a casa i littori
che riportano i corpi dei figli" indicavano che bisognava
essere intransigenti nel punire i controrivoluzionari, come aveva
fatto Bruto, il primo console della Repubblica Romana, che non
aveva esitato a condannare i figli trovati a congiurare per restaurare
la Monarchia.
Seguace di Robespierre, David rischiò a sua volta di essere
ghigliottinato anche perché aveva esaltato nel quadro "La
Morte di Marat" il proprio ideale morale. Il senso del quadro,
che è di un realismo impressionante, è tutto nella
scritta dedicatoria Á MARAT DAVID, messa sulla modesta
cassa da imballo che il tribuno della plebe parigina usava come
scrittoio in caratteri monumentali romani. Il vero monumento a
Marat era la sua stessa morte. Questa, probabilmente, è
la prima opera d'arte destinata a storicizzare un avvenimento
contemporaneo.
Fu dopo l'esperienza del Terrore che David si convinse a moderare
le proprie idee ed a cercare, anche politicamente, una forma di
governo che lasciasse intatte le libertà civili conquistate
ma frenasse gli eccessi libertari. "Le Sabine rapite che
mettono pace tra Romani e Sabini" è ancora un soggetto
di storia antica destinato alla pacificazione nazionale e tra
i vari partiti rivoluzionari nel momento in cui tutta la Francia
doveva fare uno sforzo per rigettare i tentativi di invasione
stranieri.
Quando il suo allievo Jean-Antoine Gros
gli presentò Napoleone David ne fu letteralmente conquistato,
come lo era stato Gros stesso dopo avere affascinato Joséphine
Beauharnais, la prima moglie del grande generale.
Gros vide personalmente la scena in cui "Bonaparte pianta
il tricolore sul ponte di Arcole" alla testa dei suoi uomini
e ne fece un quadro che è il fedele specchio dell'entusiasmo
che il generale suscitava non solo nelle sue truppe ma in chiunque
lo conoscesse, un quadro che è anche, per inciso un vero
capolavoro.
Possiamo paragonare quest'opera al quadro di David che rappresenta
"Napoleone al Gran Sanbernardo" mentre, su un cavallo
rampante, si accinge a conquistare l'Italia: è una di quelle
opere d'arte che sono capaci di fornire immediatamente, senza
esitazioni, il senso di quanto vogliano esprimere, rimanendo al
tempo stesso sincere e spontanee. A nostro giudizio è il
più bel quadro rappresentante Napoleone e, cosa ancora
più importante, la carica di idee e di gloria che egli
portava con se. Da questo momento in poi David non sentì
più la necessità di trovare nell'antica Roma esempi
per il presente: la nuova Francia stava creando, per mezzo di
Napoleone Bonaparte, una storia nuova ed altrettanto gloriosa.
In fondo Napoleone era un militare professionista proprio come
David era un pittore professionista ed entrambi ritenevano iniquo
un sistema sociale che impediva loro di farsi largo per i propri
meriti solo perché non appartenevano alla nobiltà
maggiore.
Sia nella Pittura che nell'Arte Militare (ma anche nell'organizzazione
economica, perché tutto costa) le scuole francesi erano,
prima dello Rivoluzione, le prime d'Europa e, finalmente, ai vertici
si trovavano persone adeguate al proprio ruolo.
David era troppo attaccato alla propria autonomia e rifiutò
la carica di pittore di corte del nuovo impero lasciandola volentieri
al suo allievo Gros che divenne il più grande interprete
dell'epopea militare del nuovo regime. Battaglie, cerimonie, giuramenti
divengono la nuova iconografia per un nuovo regime.
Inoltre si deve considerare che il vecchio monarca si considerava
tale per volontà divina e non aveva bisogno di giustificare
la propria esistenza, ma Napoleone aveva bisogno del consenso
popolare in base al quale poteva occupare il posto di imperatore.
La necessità di questo consenso dà alla pittura
di Gros un contenuto di propaganda molto moderno.
Anche Gros si rifece alla Storia Romana, citandola continuamente
nelle forme e nei modi con cui creava le immagini del nuovo impero,
ma raccontando episodi realmente accaduti. Agli occhi del popolo
nasceva una nuova epopea al cui centro stava Napoleone e con lui
la Francia e con la Francia una nuova Europa. In questa epopea
il popolo stesso era protagonista: la famosa frase di Napoleone
"Nello zaino di ogni soldato si trova il bastone da maresciallo"
aveva proprio questo senso in un esercito fatto dal popolo e del
popolo. Questo ci spiega perché il mito di Bonaparte non
appartenga ad una sola nazione ma a tutto il continente.
Ma si tratta realmente di qualcosa di mai visto prima? Nella forma
certamente si, ma la sostanza esprime molti valori già
esitenti, talora messi in disparte ma già esistenti. Ricordiamo
che l'unione dell'Europa sotto un solo scettro era stata già
uno degli obiettivi della monarchia francese a partire da Luigi
XIV.
Questi valori hanno bisogno di una diversa partecipazione popolare
e non sono più patrimonio esclusivo della nobiltà,
che ne era quasi una gelosa custode. Napoleone è sempre
rappresentato come guida ed interprete di una volontà collettiva,
impersonata da un nuovo custode che è l'esercito popolare
e di leva espresso dalla Rivoluzione. Non ci riferiamo solo alla
Rivoluzione Francese, ma anche a quella Americana, che in questo
senso fu la prima ad affermare che onore, fedeltà, dignità
erano di tutto un popolo e non di una sola classe sociale e che,
di conseguenza, tutto il popolo doveva intervenire a difesa di
questi valori.
Questo fu l'insegnamento che Napoleone portò a tutta l'Europa
e che generò, nelle altre nazioni, il senso della propria
dignità. Questi significati sono presenti nelle opere migliori
di questi pittori e permettono di considerare quadri come "L'Incoronazione
di Napoleone" di David o "Bonaparte visita gli Appestati
di Jaffa"e "Napoleone sul campo di battaglia di Eylau"
di Gros come espressione di tutta la Francia e non semplici opere
di propaganda. La dimostrazione è nell'altissima qualità
espressa dai quadri anche dal punto di vista puramente artistico.
Nel quadro dell'incoronazione viene sottolineato il fatto che
l'Impero Napoleone lo ottenne per i propri meriti e non per nascita
mentre in quello della visita agli appestati si sottolinea lo
stretto rapporto che lega il comandante ai suoi soldati, rapporto
che lo porta a rischiare il contagio e senza avere il dono divino
di guarire col tocco della mano come pretendevano gli antichi
re. Nei gesti e nei rapporti tra i vari personaggi, espressi con
l'intreccio degli sguardi, si ritrovano esemplificati i sentimenti
interiori che divenivano poi azioni politiche.
Può essere interessante paragonare i bozzetti delle opere
di David con la loro versione definitiva per vedere gli aggiustamentti
"ideologici" che l'autore vi introduce, tenendo presente
che il suo riferimento non era qualche funzionario della Censura
ma Napoleone in persona. Ad esempio ne "La distribuzione
delle Aquile nello Champ de Mars" David accentua notevolmente,
nel quadro finale, lo slancio degli alfieri e dei marescialli
dell'Impero, che convergono con le loro bandiere ed i loro bastoni,
quasi a significare l'unione della truppa con i suoi comandanti;
altrimenti, che differenza ci sarebbe stata col passato?
Tra i due, David e Gros, quello che interpretò meglio il
proprio ruolo in senso professionale fu Gros, che riuscì
a mantenere l'incarico di pittore di corte con Luigi XVIII anche
dopo la caduta di Napoleone.
E la storia? Il fatto stesso che queste opere siano il frutto
di un sentimento in buona parte sincero e collettivo ne fa dei
documenti storici importanti, da studiare forse con attenzione
maggiore degli stessi fatti perché in esse si trova il
senso di quanto stava accadendo.
Non dobbiamo credere perciò che questi artisti agissero
solo per interesse e che i loro committenti fossero sempre in
mala fede, anzi! Per quanto riguarda i primi dobbiamo ricordare
che il lo scopo primario era l'arte; per i secondi il desiderio
principale era quello di trasmettere nel tempo le idealità
che erano alla base dell'azione politica.
Al di là di tutto questo non possiamo ignorare l'altissima
professionalità che pochi, nell'Ottocento, hanno saputo
raggiungere (parliamo di quadri al limite della perfezione tecnica)
e che ancora oggi è capace di portarci in quell'atmosfera
eroica che le guerre della Rivoluzione e Napoleoniche crearono.
Eroica perché si viveva di ideali al di sopra della propria
limitatezza sia che si fosse da una parte che dall'altra.
Al di là dei compromessi inevitabili della politica era
bello lo stesso crederci; e poi, su questo vivere di ideali e
di valori, non fu forse costruita poco dopo l'Italia?
L'epoca che seguì vide la lenta crescita della coscienza
nazionale in molte nazioni europee e la necessità di dare
una soluzione politica che soddisfacesse le nuove esigenze popolari.
In Italia, Germania, Polonia, Grecia, Ungheria, Romania, Serbia,
per citare solo i principali paesi, l'Unità Territoriale
della Nazione diviene un'esigenza primaria che si identifica con
il desiderio di consolidare quelle libertà civili che l'Impero
Napoleonico aveva fatto conoscere a tutta l'Europa.
L'arte acquisì ovunque una valenza nazionale anche se il
centro culturale d'Europa rimase sempre Parigi, dove una relativa
libertà permetteva un maggiore scambio di idee tra gli
artisti.
In ogni nazione i pittori cercarono nella storia passata le proprie
radici culturali e, con maggiori difficoltà, negli avvenimenti
contemporanei. Si deve tenere presente che si era in un'epoca
di reazione, da un punto di vista politico, e che le censure dei
vari stati erano particolarmente attive.
La corrente artistica dominante, in tutta Europa, divenne lentamente
il Romanticismo che orientò la maggior parte dei pittori
verso il Medioevo come punto di riferimento storico. In Italia
in particolare, però, la Storia Antica continuò
ad essere sempre oggetto di attenzione, senza mai essere censurata,
dato che la cultura classica costituiva parte integrante di quella
nazionale per tutte le categoriei sociali.
Anche la storia antica, naturalmente, fu interpretata in senso
romantico e le riproduzioni di questi quadri hanno costituito
buona parte delle illustrazioni nei libri di storia per generazioni.
Certamente i lettori ne ricorderanno qualcuno; ricordiamo per
tutti il senese CESARE MACCARI che rappresentò una serie
di argomenti di storia romana come "Cicerone contro Catilina",
"Attilio Regolo", "Papirio Cursore".
Dobbiamo notare che non fu solo la storia antica a fornire soggetti
ai pittori: in ciascuna regione gli artisti cercarono quei fatti
storici, in genere medioevali, che potevano, in qualche modo,
riferirsi ai concetti di libertà e di indipendenza nazionale.
Il periodo dei liberi comuni sembrava a tutti il più adatto.
Questi fatti venivano reinterpretati ed adattati alle nuove ideologie.
Naturalmente quasi tutti i pittori dell'epoca erano di tendenze
liberali ma bisogna tenere conto che, negli stati italiani più
forti ed indipendenti da influenze d'oltralpe, la fedeltà
alla corona era fuori discussione perché il governo stesso,
anche se di origine reazionaria (o meglio, antifrancese), era
in realtà il primo difensore dell'indipendenza dagli stranieri.
Citiamo il torinese ANDREA GASTALDI di cui ricordiamo il celebre
quadro rappresentante il sacrificio di "Pietro Micca".
In molte di queste opere si sottolineano l'attaccamento al dovere
e lo spirito di sacrificio dei protagonisti. I valori fondamentali
richiamati sono sempre gli stessi: onestà, lealtà,
dedizione alla patria. Questo spiega perché la maggior
parte dei corpi armati, delle gendarmerie e delle amministrazioni
civili siano confluite poi nell'amministrazione della nuova Italia
senza resistenze; quello che non si poteva pretendere era che
i governi dei vari stati rinunciasero spontaneamente alla propria
esistenza.
Le particolari condizioni italiane determinarono una forte differenza
tra la pittura romantica italiana e quella francese, che allora
aveva una grandissima influenza sulla nostra.
A titolo di esempio prendiamo due pittori: FRANCESCO HAYEZ tra
gli italiani ed EUGENIO DELACROIX tra i francesi.
Il primo si sentì sempre legato, nei quadri storici, alla
nostra tradizione espressiva e realizzò dei quadri perfetti
dal punto di vista tecnico ma spesso costruiti con troppa intellettualità,
un poco freddi insomma. Gli argomenti storici sono presi dal Medioevo,
epoca troppo lontana per interessare la censura, e rievocano le
virtù proprie della Nazione.
Ne "I Vespri Siciliani" si trova l'interpretazione moderata
e borghese del fatto e l'allusione a quelli che dovrebbero essere
i comportamenti rivoluzionari del popolo italiano. Attorno al
marito che vendica l'onore della moglie offesa ed al francese
pugnalato e morente nobili e popolani sdegnati si rivolgono alla
croce invocando vendetta. Un richiamo evidente alle teorie politiche
che volevano l'unità di tutte le classi sociali ed una
federazione italiana di stati sotto l'egida del Papa. Disegno,
colore e prospettiva sono perfetti, ma i gesti sono freddi e declamatori
piuttosto che spontanei.
Il secondo era molto meno preciso nel disegno e nelle prospettive
ma capace di un'uso del colore quasi travolgente e nei suoi quadri
lo spettatore diviene spesso co-protagonista dei fatti. Il pittore
sente dentro di se il senso della scena rappresentata e porta
questo sentimento sulla tela senza alcuna attenuazione.
La celebre composizione "Il 28 Luglio" o "La Libertà
che guida il Popolo" entrò ed uscì dall'esposizione
al pubblico secondo i momenti politici ma rappresenta veramente
quel popolo che col suo slancio rivoluzionario stava scrivendo
la storia europea. Sopra i cadaveri una donna a seno scoperto,
simbolo della Madre Patria, porta la bandiera tricolore scavalcando
una barricata; ai suoi lati un borghese ed un operaio armati si
slanciano con lei passando sopra i cadaveri. Chi guarda ha la
netta sensazione di essere travolto, e non importa se i particolari
sono ora troppo relistici ora del tutto mancanti.
La critica francese criticò aspramente la donna, non per
il seno nudo ma perché si vedeva la peluria sotto le ascelle,
particolare inestetico e non idealizzante secondo i canoni dell'epoca
(ed odierni), ma la rivoluzione di Delacroix non è ipotetica
o collocata nell'antichità ma vera e vissuta.
Delacroix stesso espresse il proprio pensiero scrivendo al fratello
Carlo Enrico, generale nell'Esercito: - ho comiciato un soggetto
moderno, una barricata
se non ho combattuto per la Patria
almeno potrò dipingere per lei -. Il concetto che si potesse
servire la Patria anche con l'arte non lasciò mai Delacroix
che partecipò anche alle spedizioni militari in Africa
del suo paese dipingendo tipi e combattimenti in Marocco ed in
Algeria.
Delacroix eccelleva soprattutto nei disegni e nei bozzetti, che
molti considerano superiori ai quadri finiti. È il caso
del bozzetto per "La Battaglia di Taillebourg vinta da San
Luigi" una scena storica dove forze titaniche si scontrano
e quasi si fondono in un turbinio di colori e di riflessi; l'opera
definitiva risultò troppo meditata e baroccheggiante,sempre
relativamente ai livelli qualitativi del grande pittore; quasi
il percorso inverso di David ne "La Distribuzione delle Aquile".
In Italia la situazione politica aveva portato molti pittori all'esilio
prima ed a combattere poi, ma pochi a realizzare opere che avessero
per soggetto le guerre del risorgimento. Tra questi ultimi certamente
Giovanni Fattori merita un posto d'onore.
Nelle storie dell'arte viene indicato come il maggior rappresentante
della scuola toscana dei Macchiaioli che fu vista come anticipatrice,
sotto molti punti di vista, di quella francese degli Impressionisti.
Fattori fu di sentimenti un fervente patriota ed è naturale
che le battaglie delle guerre risorgimentali costituissero uno
dei suoi soggetti preferiti.
Le grandi composizioni che si trovano alle Gallerie Nazionali
d'Arte Moderna di Firenze e di Roma ne sono la testimonianza e
tra queste "Il Campo Italiano dopo la Battaglia di Magenta"
va ricordato perché vinse il primo concorso per un quadro
che avesse per soggetto la guerra del 1859. Sotto un cielo solcato
da grandi nuvole luminose Fattori riuscì a risolvere il
tema richiesto con una scena dove la tragica grandiosità
degli avvenimenti non diviene mai retorica.
Una citazione merita ancora, tra tante opere, "La Battaglia
della Madonna delle Scoperte" dove le mase di uomini e cavalli
sono disposte secondo una struttura visiva in cui coincidono la
prospettiva, la direzione dello sguardo dello spettatore ed i
movimenti dei reparti, realizzando quella unità di visione
che rende immediatamente recepibile l'avvenimento. È proprio
questa immediatezza non retorica che fa di Fattori un artista
poco esaltata ma più vicino a quello spirito di sacrificio
silenzioso che è uno dei valori principali del militare
(ma anche del lavoratore e del cittadino) italiano. Non sono "intuizioni"
artistiche ma conoscenze ed abilità tecniche faticosamente
acquisite.
La luce fonde tra loro uomini e natura in una grandiosità
morale che è insita nei fatti stessi; è questa una
considerazione che vorremmo estendere a tutti i quadri di ogni
pittore che abbiano per soggetto avvenimenti che hanno determinato,
spesso cambiandola, la storia umana: sono gli avvenimenti stessi
ad avere una dimensione superiore all'individuo ed è proprio
il fatto che l'uomo sia in grado di generare cose tanto più
grandi di se stesso che lo rende così tragicamente unico
tra le specie viventi.
Purtroppo le storie non ci dicono esattamente quanto egli abbia
conosciuto direttamente della vita militare, a parte la giovanile
partecipazione alla difesa di Livorno dagli Austriaci nel 1949,
ma in molti soggetti Fattori mostra di averne intimamente compreso
l'essenza. I soggetti in cui mostra pattuglie di cavalieri in
perlustrazione o in sosta sono meno epici dei grandi quadri storici
ma forse più veri perché mostrano quell'insieme
di sacrificio e di senso del dovere che, alla base della vita
del militare, è poi il presupposto dei fatti più
evidenti storicamente. Tra i tanti quadri citiamo proprio "La
Vedetta" e "Il Ritorno della Cavalleria" proprio
perché nel modo in cui sono presentati da Fattori fermano
degli episodi possibili sia in tempo di pace che di guerra.
Nella prima delle due opere la narrazione porta quasi ad una visione
spirituale della scena, sospesa in un'atmosfera in cui la luce
estiva sembra assorbire la visione delle cose identificandosi
intimamente, anche nell'animo dello spettatore, con la visione
attenta che i cavalleggeri prestano alla campagna. Nella seconda
una prospettiva ardita, tutta schiacciata dal basso e senza cielo
(chi altri avrebbe osato!) comprime verso lo spettatore i cavalieri
mantenendo nella sua mente, tramite l'unità e la compressione
della visione, anche il senso dell'unità morale del reparto
che avanza senza nulla togliere all'individualità caratteriale
dei singoli cavalieri. In entrambi i casi i militari sembrano
ben consci del proprio ruolo e dell'appartenenza ad una tradizione,
ad un insieme di valori insiti in questo ruolo e nel rapporto
con l'ambiente; la luce permette questa dimensione interiore e
questo rapporto tra ambiente ed uomo senza la necessità
delle inutili descrizioni e delle ampie gestualità retoriche
francesi.
Ci piace paragonare il metodo compositivo di Fattori, così
lucido, con quello di pittori più vicini al Romanticismo,
come MICHELE CAMMARANO, nelle cui composizioni luci ed ombre servono
a sottolineare i gesti ed i gesti indicano i sentimenti e lo slancio
dei combattenti. Pensiamo a "Il 24 Giugno a San Martino",
dove l'eroicità dei soldati si sintetizza nel gesto di
Vittorio Emanuele II e la tragicità degli avvenimenti è
simboleggiata ed accentuata da un'enorme nuvola nera sotto la
quale squarci di luce illuminano gli uomini tesi a vincere gli
avvenimenti e la natura avversi, come i cannonieri sulla sinistra.
Questa dimensione morale e caratteriale distingue nettamente la
Scuola Italiana dal nascente Impressionismo, che disimpegnava
totalmente l'artista dai soggetti dipinti, e non sappiamo quanto
giustamente. I nostri pittori rimasero sempre legati alla tradizione
culturale italiana e la adattarono ai nuovi tempi per tramandarne
i valori; un po' è quello che fecero i corpi militari dei
vari stati nel confluire nelle forze armate nazionali, che si
trovarono arricchite per somma di tradizioni e riunite nella difesa
fondamentale dei valori che erano già base comune a tutto
il paese anche se politicamente diviso e non più povere
perché appena nate; così era avvenuto nel momento
di passaggio tra Rivoluzione e Reazione e così accaddde
all'atto dell'Unità d'Italia.
Con un piccolo salto temporale ci permettiamo di passare direttamente
all'arte del secolo appena trascorso. Dopo il 1970 l'Europa godette
di un periodo relativamente lungo di pace interna e le guerre
furono prevalentemente di tipo coloniale, il contemporaneo sviluppo
scientifico e tecnologico portò ad una serie di invenzioni
che rivoluzionarono il modo di vivere dell'umanità e culminarono
nella Radio e nell'Aeroplano.
L'arte non fu insensibile a questo processo e gli artisti si gettarono
in una serie di sperimentazioni, tutte derivate tecnicamente dall'Impressionismo,
ma cercando di ritrovare quell'impegno storico e sociale che agli
Impressionisti mancava e aveva caratterizzato la prima metà
dell'Ottocento.
Questo sperimentare portò all'inizio del XX secolo al periodo
delle Avanguardie Storiche che ebbero in comune l'impegno a trovare
nuovi mezzi espressivi e la presunzione di poter cambiare non
solo l'arte e la cultura ma anche il mondo in genere.
Apparentemente la volontà, quasi feroce, di trovare nuove
vie dell'arte e di essere per forza all'avanguardia sembra che
debba allontanare gli artisti dalla rappresentazione di fatti
storici o da storicizzare, ma è così solo per i
meno dotati, che nel rifiuto dei valori del passato trovano una
facile strada per coprire le proprie mancanze di preparazione
tecnica.
Chiarito questo, vorremmo soffermarci subito su una corrente artistica,
il Futurismo, tanto rivoluzionaria quanto capace di recuperare
il passato proprio nei suoi valori essenziali. Quello che veniva
rifiutato era il conservatorismo, inutile e pauroso, della Borghesia
europea, ma facciamo osservare che essi invocavano Patria, Unità
Nazionale, Giustizia Sociale, Eguaglianza che erano valori e concetti
che venivano dal passato ed avevano costituito la base ideologica
delle lotte per l'indipendenza e l'unità nazionale.
Quello che caratterizzò il Futurismo Italiano e ne favorì
la fortuna in tutta Europa, con particolare riguardo alla Russia,
fu la violenza con cui i Futuristi portarono avanti le proprie
idee, aggredendo letteralmente il pubblico invece di attirarlo
e blandirlo.
Ancora oggi si tende a confondere l'atteggiamento provocatorio
dei Futuristi dei primi anni con il vero contenuto delle loro
proposte artistiche, che non rifiutavano del passato se non un
certo tipo di retorica.
Lo stesso amore per la guerra, "vera igiene del mondo",
come disse Marinetti, era in realtà la coscienza che gli
ideali del Risorgimento andavano portati a termine.
Tecnicamente i pittori futuristi scompongono le immagini nelle
loro componenti essenziali come i contemporanei Cubisti, ma il
loro impegno va sempre oltre la pura espressione artistica e le
loro opere hanno sempre significati precisi; con questo non vogliamo
dire che questi siano sempre facili da riconoscere anzi, spesso
e volentieri è il contrario.
Tra i maggiori citiamo GIACOMO BALLA, che cercò di dare
forma dinamica alle emozioni umane anche collettive, come nel
celebre quadro che mostra la forza della folla ad una "Manifestazione
Interventista a Siena" e "Forme Grido: Viva l'Italia!"
conservato allo GNAM di Roma.
Ancora oggi è difficile acquisire a prima vista i criteri
in base ai quali Balla compose questi quadri; quello che salta
subito agli occhi è l'accordo dei colori e la centralità
del Tricolore, squillante nella stesura, racchiuso tra linee che
esprimono dinamismo e tensione, non certo gli statici rettangoli
di una bandiera ferma. A guardare bene si nota che nel primo di
questi quadri il movimento dei colori viene fuori da una base
neutra, perché tutto l'ambiente circostante e la folla
sono interpretate dall'artista, questa base è in movimento
instabile e su di essa si innestano, come forme vitali, l'azzurro
del cielo e l'ocra delle case; da tutto questo nascono, come le
torri medioevali della città, i tre colori nazionali. Nella
modernità assoluta della composizione quel futuro che i
Futuristi mitizzavano viene fatto nascere sempre dal passato.
La seconda delle opere citate è più sintetica nella
composizione e le forze vitali in gioco hanno la forma di un vulcano
che esplode nel tricolore; questa maggiore sintesi e la rinuncia
a complicate allegorie rende molto più comprensibile il
soggetto senza tanti discorsi.
La Prima Guerra Mondiale, tanto voluta dai Futuristi, fu la prima
guerra realmente nazionale, nel senso che per la prima volta dopo
secoli tutta la Nazione nella stragrande maggioranza ne fu coinvolta
e si sentì unita, indipendentemente dalle idee politiche
e dalle regioni di provenienza; gli artisti per primi.
UMBERTO BOCCIONI fu forse il più significativo degli artisti
futuristi ed a suo onore si deve ricordare che si arruolò
volontario e morì giovane in guerra nel 1916; ci piace
far vedere una delle sue ultime opere, "Cavalleria alla Carica"
, dove la sua ricerca delle forze del movimento raggiunge uno
dei risultati più significativi. Il movimento della massa
dei cavalieri è analizzato, scomposto e ricomposto in una
sintesi unitaria significante e capace di esprimere la forza dell'idea
che lo genera. Non è un quadro facile da interpretare,
ma che piaccia o no, la forza che vi è espressa è
indiscutibile e raggiunge immediatamente lo spettatore esattamente
come tutto lo slancio dei cavalieri si concentra sulle punte delle
lance.
Contemporaneamente alle Avanguardie Storiche altri movimenti intellettuali
più "normali" permisero anche ai comuni mortali
di poter fruire di una produzione artistica comprensibile e di
alta qualità, uno di questi fu il Liberty, libera combinazione
di forme floreali e geometriche.
In forme più adatte al grande pubblico e meglio comprensibili
alcune caratteristiche formali del Futurismo continuarono anche
dopo il momento dell'avanguardia, recuperate da quei pittori che
avevano rifuggito dagli eccessi, generando un linguaggio moderno
ma comprensibile senza sforzi.
Uno degli artisti che riuscì meglio a "modernizzare"
la propria formazione Liberty fu GIOVAN BATTISTA CREMA, che proprio
nelle opere ispirate dal dramma della guerra si liberò
dell'eccesso di retoricità per arrivare ad una sintesi
drammatica.
Quando scoppiò la Grande Guerra Crema si sentì impegnato
anche come pittore e diede il suo contributo alla vittoria.
Ne "La Vampata" il dramma diventa la tragedia della
morte, nella luce accecante di un'esplosione tra reticolati, ombre
all'assalto e mani penzolanti di morti. Attraverso opere come
questa chi non era al fronte imparò a solidarizzare con
l'Esercito, e se non viene citato un episodio particolare la storicità
del quadro viene fuori proprio dalla coscienza che fatti del genere
erano ormai la quotidianità, e dalla loro somma nasceva
l'eroicità di tutti.
La propaganda di un fatto che interessava tutti non poteva più
sintetizzarsi solo su singoli episodi eccezionali ma doveva essere
conforme alla realtà tragica che tutti i combattenti vivevano
del "
tutti eroi o tutti ammazzati".
Ancora più espressivi ed antiretorici ma non meno patriottici
i quadri ispirati nella vecchiaia dalla seconda guerra mondiale,
come "Battaglia Navale dell'11 Febbraio 1942", dove
sembra preannunciarsi quel precipitare degli eventi successivo,
quando tanti sacrifici sembrarono inutili e la Nazione poté
ritrovarsi solo nei suoi vecchi valori assieme alle sue forze
armate, che del dovere e del sacrificio avevano fatto una costante
secolare.
Notiamo che in questo caso Crema accentrò la sua attenzione
su di un particolare episodio storico, come nel secolo precedente,
forse perché si profilava il contrasto tra chi provocava
gli avvenimenti e la volontà collettiva.
Schiacciati tra strutture e sovrastrutture i marinai sembrano
quasi dello stesso metallo che li circonda, un tutt'uno tra uomini
e nave, come realmente è per gli uomini di mare, mentre
l'ardita prospettiva "futurista" schiacciata ed accentuata
sembra proiettare questa unità verso il nemico in lontananza.
Alla fine di questa breve rassegna vogliamo ricordare un artista,
pittore e soprattutto incisore, oggi forse fuori moda, ma che
ha avuto il merito di formare generazioni di pittori ed incisori:
ATTILIO GIULIANI, tanto potente e moderno nel segno quanto vicino
alle tradizioni della nostra marina; Giuliani era un ingegniere
navale ed aveva combattuto imbarcato su di un incrociatore nella
Prima Guerra Mondiale. L'abitudine al disegno e la predilezione
per l'incisione derivarono probabilmente proprio da questa preparazione
tecnica che lo portò, dopo la guerra, a scegliere la professione
di insegnante di incisione xilografica: celebri sono i suoi ex-libris,
commissionategli dalle più famose personalità dell'epoca.
"Sommergibili in Bacino", incisione da cui fu tratta
una celebre cartolina postale e "Cant Z/50, Caccia Antisommergibile"
ci sembrano due esempi notevoli delle capacità espressive
di Giuliani.
Nella prima opera la prospettiva assai accentuata dà l'idea
della potenza e, contemporaneamente, la sensazione che le due
navi, destinate alle profondità degli oceani, stiano quasi
per spiccare il volo. La seconda opera citata è una delle
sue celebri incisioni su legno ed affronta, simbolicamente, il
tema inverso, mostrandoci il galleggiante dell'idrovolante che
scorre come un siluro sopra l'acqua, resa magistralmente servendosi
delle venature del legno.
Quanta differenza con la retorica amplificatrice di un David o
di un Delacroix, affascinante e stupenda quanto si vuole, ma pur
sempre retorica.
I nostri artisti hanno sempre saputo essere più veri sia
nel raccontare le passioni e le idee per le quali si combatte
sia, soprattutto, nel riferirsi sempre a quello spirito di sacrificio
e di dovere che è uno dei valori del popolo italiano e
delle sue forze armate e sul quale ancora si fonda quello che
del Paese attuale.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale sembrò che non ci dovesse
essere più spazio per i nazionalismi e che l'arte non dovesse
più occuparsi di storia, eppure ancora si sentiva il bisogno
di tornare alle proprie radici: il grande quadro di RENATO GUTTUSO,
"La Battaglia di Calatafimi" fu un richiamo all'unità
nazionale ed ai suoi valori quando questa era uscita appena dalla
difficile prova della guerra civile ed in Sicilia si manifestavano
addirittura dei sentimenti separatisti, e Guttuso era siciliano.
Ancora una volta il Tricolore ed un quadro che ritrovava nel passato
la storia del presente.
Nel dopoguerra non sono mancati certo gli artisti che hanno affrontato
il difficile tema di rappresentare un episodio del recente passato
per trasmettere alle generazioni future come i nostri padri abbiano
vissuto la propria storia e, dobbiamo dire, con risultati artistici
spesso notevoli ma l'incapacità dell'artista moderno a
lavorare su un tema dato, piuttosto che in totale libertà,
ha ridotto la produzione di questo genere rispetto al passato.
Esite, comunque, un Museo della Resistenza, fatto di opere d'arte
invece che di documenti e testimonianze come gli altri, e che
raccoglie opere di tutti i maggiori artisti degli ultimi cinquanta
anni; si trova a Caldarola (MC) nelle Marche ed è un unicum
nel suo genere. I quadri sono quasi tutti di soggetto generico,
ma tra i temi particolari maggiormente affrontati da alcuni pittori
abbiamo rilevato quello della morte di Salvo d'Acquisto.
Tra i tanti quadri sul tema citiamo quelli di VITTORIO PISANI,
conservato presso il Museo Storico dell'Arma dei Carabinieri e
quello di
nei quali il rapporto tra passato e presente
è sintetizzato dalla posa classica dell'eroe che si offre
al nemico e nella sua apparente retoricità riporta a quello
che il suo sacrificio simboleggia: la perennità dei valori
umani e morali di cui, nel caso specifico, l'Arma è sempre
stata custode fedele.
Siamo tornati al nostro assunto iniziale: cercare nel passato
la storia del presente e trasmettere al futuro i valori di questa
storia, ma purtroppo ci dobbiamo fermare qui, constatando che
troppo spesso, oggi, la televisione ha sostituito la storia con
la cronaca.
Il Neoclassicismo si sviluppò tra la metà del
Settecento ed i primi anni dell'Ottocento. L'origine è
da cercare nelle scoperte che gli scavi di Ercolano e Pompei portarono
sull'arte e la civiltà antiche, nelle quali si cercarono
modelli di bellezza ideale e di vivere civile. L'esportazione
dei libri con le scoperte archeologiche di Pompei fu inizialmente
proibita dal re Carlo III di Borbone, provocando un interesse
immediato in tutta Europa ed un contrabbando immdediato dei preziosi
volumi che a Parigi divennero subito il manuale della nuova moda
"alla greca".
La scultura fu la forma artistica preferita perché dell'antichità
si conoscevano soprattutto sculture e questo spiega perché
forme scultoree abbiano anche i personaggi delle opere pittoriche.
Il principio illuministico sul quale i Neoclassicisti fondarono
le loro teorie era il ritorno alla naturale semplicità
della natura umana ed alle sue qualità originarie non condizionate
dagli eccessi della civiltà. Un esempio famoso di questo
modo di pensare si trova nel romanzo Robinson Crusoe impersonato
dal personaggio di Venerdì e un altro in quello di Papageno
nel Flauto Magico di Mozart.
Iohann Joachim Winckelmann fu il primo grande teorico del Neoclassicismo
che e l'Italia divenne la meta obbligata di tutti gli intellettuali
europei. Compostezza ed equilibrio furono cercati dai Neoclassicisti
sia nelle arti figurative che nell'architettura; quest'ultima
in particolare doveva essere il luogo in cui agiva l'individuo
inteso ormai non più come suddito ma come cittadino.
In Italia il maggiore esponente del Neoclassicismo fu Francesco
Milizia, che per primo assunse la figura del Critico d'Arte, di
colui che dice agli altri cosa sia bello e cosa no, spiegando
le opere ed indirizzando il gusto del pubblico.
La storia antica romana rimase sempre il riferimento principale
degli artisti neoclassicisti impegnati e l'arte greca il loro
modello formale; quando l'attenzione si spostò dalla storia
al mito si è ormai nell'era del Romanticismo.
Agli inizi del XIX secolo al Neoclassicismo si contrappose il
Romanticismo. Sulle teorie del filosofo tedesco FRIEDRICH W. J.
SCHELLING si concepì un'arte che fosse espressione del
sentimento al di la di qualunque formalismo accademico, un'arte
del bello espressivo piuttosto che un'arte del bello visibile.
I sentimenti determinavano il comportamento dei protagonisti nei
romanzi e nella vita reale. Quando si parla di sentimenti non
ci si deve riferire solamente all'amore, all'odio o all'amicizia
ed a tutti queii sentimenti che si generano nei rapporti tra singole
persone ma anche a quelli collettivi che muovono le masse.
Uno di questi fu l'amore di patria che divenne importantissimo
nella vita popolare ed in un'epoca in cui il nazionalismo è
uno dei moventi principali della politica questo fatto fu capace
di muovere interi popoli.
I riferimenti storici degli artisti non furono più cercati
nella storia romana ma in quella medioevale, ritenuta era di passioni
primitive e di idealità vissute con fede. La prima opera
importante che indirizzò l'arte europea fu il romanzo Ivanhoe
di WALTER SCOTT, primo esempio di una leggenda creata da una storia
scritta invece del contrario.
Il contrasto tra Neoclassici e Romantici continuò sino
quasi alla metà dell'Ottocento visto anche come contrapposizione
tra Sentimento e Razionalità, tra Impulsività e
Dovere.
Macchiaioli ed Impressionisti
A metà del XIX secolo due scuole pittoriche si contendono
il merito di avere introdotto, nella pittura europea un nuovo
modo di dipingere, basato su di una nuova considerazione dei valori
della luce e dei rapporti tra colori piuttosto che sul disegno
e sulla prospettiva: quella dei Macchiaioli Toscani e degli Impressionisti
Francesi.
Un'inutile polemica ha cercato di dare agli italiani il merito
cronologico delle nuove "scoperte" figurative ma le
due scuole sono nate indipendentemente le une dalle altre ed hanno
seguito la propria strada ingnorandosi reciprocamente.
In campo internazionale gli Italiani sono stati ignorati per molto
tempo perché il centro culturale dell'Europa era (ed è)
Parigi e tutto il resto veniva considerato periferia ed il nazionalismo
dei cugini d'oltralpe ha sempre impedito ad oltranza qualsiasi
riconoscimento alle altre nazionalità anche per ragioni
di mercato da non sottovalutare assolutamente, favorito in questo,
dalla mancanza di stati nazionali unitari in Italia ed in Germania.
Le scuole pittoriche italiane, come i Macchiaoli Toscani o la
Scuola di Posillipo, non rinnegarono mai le proprie tradizioni
e questo portò a dare sempre alle immagini un impianto
prospettico anche se non sempre definito dal disegno; macchie
e stesure di colore che si identifica con la luce sono considerate
più che sufficienti alla visione.
Visione e non veduta, perché lo spettatore viene portato
a vivere la scena prima interiormente col sentimento che razionalmente.
Gli Impressionisti riportano scientificamente sulla tela solamente
i colori e la luce che raggiungono la retina dell'occhio, senza
impegno nella realtà e senza voler fare impegnare lo spettatore.
Sono dei liberi professionisti e lavorano liberamente senza avere
committenti e cercando, in seguito, di collocare sul mercato i
propri lavori anche con un'opportuna opera di propaganda; a questo
scopo gli Impressionisti diedero molto valore alle proprie mostre
personali, mediante le quali si potevano far conoscere megli al
pubblico. Gli Impressionisti curarono anche la propria immagine
cercando di apparire come la gente li immaginava, si dà
il caso di CLAUDE MONET che non veniva riconosciuto quando usciva
elegantisssimo la sera da quelle stesse persone che aveva ricevuto
nella soffitta dello studio vestito da artista povero e scapestrato.
In fondo la reale differenza è nel maggiore attaccamento
dei nostri pittori alla tradizione, che anche nel mutare dei tempi
costituiva sempre la base culturale della loro arte.
Anche gli Impressionisti, come i nostri, seppero combattere ma
scindendo questa posizione dalla loro attività professionale,
come quando la maggior parte di loro si arruolò contro
La Comune di Parigi: erano borghesi e credettero loro dovere combattere
il Comunismo nascente.
I pittori italiani impugnarono le armi, quando poterono, sempre
contro lo straniero e per la libertà nazionale; qualche
differenza anche in questo c'è.
Lo stile Liberty, in Italia, prende il nome dai magazzini londinesi
di ARTHUR LASENBY LIBERTY, specializzati nella vendita di stoffe
ed oggetti in stile floreale, in Inghilterra si chiamò
Modern Art nell'ambito della più vasta corrente dell'Art
Noveau. Si tratta di una forma espressiva che, tra la fine del
XIX secolo e l'inizio del XX cercò di conciliare le esigenze
della produzione industriale, sempre più seriale, con i
canoni estetici tradizionali rifiutando l'eclettismo ottocentesco
per attingere direttamente alla natura.
Lo stile che ne derivò fu spesso un misto tra strutture
geometriche ed ornamenti a queste strutture sovrapposti e non
indispensabili tecnicamente; sempre, comunque, concepiti in modo
da non far lievitare troppo il prezzo di vendita. Sono caratterizzanti
il linearismo, l'eleganza decorativa ed il metamorfismo, la capacità,
cioè, di passare da una forma all'altra giocando sulle
somiglianze esteriori.
Caratteristico dei prodotti dell'Art Noveau è una sorta
di orror vacui, di paura del vuoto, per cui si cerca sempre di
riempire ogni superficie libera con qualche di ornamento.
L'Art Noveau si diffuse rapidamente tra Europa e Nord America
con i nuovi mezzi di comunicazione arrivando a determinare una
sorta di stile internazionale.
Quando i Futuristi italiani decisero di irrompere nel mondo della
comunicazione e della cultura per imporre, a qualunque costo,
il loro sogno di rinnovamento globale le premesse per una nuova
arte c'erano già tutte, si trattava solo di rompere gli
indugi.
Le nuove forme espressive rimasero limitale, nella pittura, alla
sperimentazione ma ebbero una grande fortuna in altri campi, come
i tessuti, la decorazione di ambienti, la moda in quei campi,
cioè, in cui si devono usare disegni e colori anche senza
essere obbligati a rappresntare qulcosa di determinato: un esempio
per tutti, le cravatte (si perdoni l'apparente dissacrazione).
I Futuristi adottarono tecniche di scomposizione dei colori e
delle linee nelle loro componenti essenziali simili a quelle dei
contemoranei Cubisti ma, a differenza di questi, le loro opere
erano cariche di significati reali e rappresentavano sempre qualcosa
di concreto, anche se spesso l'eccessivo intellettualismo e l'amore
per la contestazione del passato rende difficile l'immediata lettura
dei quadri.
La parte più valida del Futurismo riguarda le sperimentazioni
nel campo del teatro, del cinema e, soprattutto, della pubblicità
e della moda, dove si impostarono i criteri ancora oggi in uso
di composizione delle immagini e di approccio con il pubblico.
Gli eccessi formali del Futurismo generarono, nella tranquilla
società italiana di allora, delle reazioni che portarono
ad un linguaggio pittorico più moderato, che non rinunciava
alla forza espressiva del colore e del segno moderni ma neppure
alla possibilità di essere capito dalla maggioranza delle
persone, esprimendo contenuti generalmente condivisi.
In altre parole non si rinunciò alla funzione didascalica
della pittura ed alla sua tradizionale, per noi italiani, capacità
di essere un'arte popolare nel senso migliore del termine.