STORIA E PITTORI DI STORIA

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La rivoluzione Francese e Napoleone

Da sempre fatti ed avvenimenti storici sono stati oggetto della pittura ma non sempre questa è stata utilizzata come fonte di informazione sul passato. Solo alla fine del Settecento la ricerca storica si è interessata ai dati che poteva trarre dalle arti figurative (scultura, pittura ed architettura). I primi studi seri cominciarono assieme agli scavi di Ercolano e Pompei, voluti da Carlo III di Borbone a metà del XVIII secolo quando, dai dipinti murali e dalle statue ritrovate, si cominciò a ricostruire in modo attendibile come gli antichi Romani vivessero realmente.
Nacque allora, nel campo dell'arte, la tendenza a fare una pittura di storia che non si limitasse ad essere una forma di pura propaganda del potere ma una reinterpretazione del passato a fini politici. I pittori dell'epoca si rivolsero ai fatti dell'antichità per darne nuovi esempi di comportamento ai contemporanei modificando, spesso profondamente, le interpretazioni tradizionali.
Allo stesso tempo si era fatta largo l'idea di rappresentare gli avvenimenti contemporanei come se già fossero stati dati alla storia; una sorta di cronaca del presente destinata ad influenzare la ricostruzione futura della Storia, se non nei fatti almeno nella loro interpretazione. Si cercò di far avere ai posteri, oltre che ai presenti, quale fosse lo stato d'animo con cui questi avvenimenti fossero vissuti dai contemporanei.
Questo fenomeno si sviluppò per tutto il XIX secolo e trovò, se così si può dire, il suo apice con i regimi totalitari del XX e nel concetto di artista "impegnato" al quale si contrapponeva il rifiuto, da parte di altri, di qualsiasi lavoro condizionato o su commissione; poi la Televisione ha cambiato tutto.
La differenza tra la pittura storica precedente e quella della Rivoluzione Francese è nel fatto che, per la prima volta, vaste masse popolari parteciparono da protagoniste, moralmente ed affettivamente, ai significati espressi dall'arte, questo fenomeno coincise in Italia con la formazione di una coscienza nazionale.
Il primo pittore che vogliamo ricordare è Jacques-Louis David.
La sua formazione artistica fu tutta improntata sulle teorie del nascente Neoclassicismo che ebbe modo di conoscere a fondo durante il soggiorno di studio in Italia quale pensionato del Re. Illuminista, carico di ammirazione per la Roma antica repubblicana, David diede sempre alla sua arte un carattere storico e morale. David era un borghese ed un artista professionista e, come tutti i professionisti, voleva che le cose cambiassero: l'era degli artisti di corte stava per finire, o almeno così si credeva.
Dapprima David non poté esprimere apertamente le proprie idee rivoluzionarie ma già nel famoso quadro, "Il giuramento degli Orazi" esposto al Salon di Parigi del 1785, si può vedre il rigore morale e patriottico con cui egli affrontò il tema del rapporto tra dovere ed affetti. Contrapposte ai loro uomini che giurano di morire per la Patria le donne, in secondo piano, non possono fare altro che piangere.
Temi presi dall'antichità, inoltre, servivano anche ad evitare la censura ma non dobbiamo dimenticare che la storia contemporanea non offriva ancora soggetti artisticamente validi.
A noi forse un quadro come questo può sembrare troppo retorico, con i gesti teatrali dei personaggi in una scena che sembra un palcoscenico, ma esprime bene che già allora si pensava ad un nuovo esercito che fosse espressione della volontà nazionale e non del Re, un esercito in cui ogni cittadino fosse corresponsabile della salvezza di tutti.
Probabilmente il Re Luigi XVI stesso era favorevole ad una simile evoluzione ed a servirsi dello spirito nazionale per mantenere unita la Francia, ma lo travolsero gli avvenimenti successivi e l'intransigenza dei rivoluzionari più accesi tra i quali era David stesso che, eletto deputato tra i Giacobini, non mancò di votare per la sua condanna a morte.
I quadri di questo periodo continuarono a prendere spunto dalla storia antica: soggetti come "Bruto riceve a casa i littori che riportano i corpi dei figli" indicavano che bisognava essere intransigenti nel punire i controrivoluzionari, come aveva fatto Bruto, il primo console della Repubblica Romana, che non aveva esitato a condannare i figli trovati a congiurare per restaurare la Monarchia.
Seguace di Robespierre, David rischiò a sua volta di essere ghigliottinato anche perché aveva esaltato nel quadro "La Morte di Marat" il proprio ideale morale. Il senso del quadro, che è di un realismo impressionante, è tutto nella scritta dedicatoria Á MARAT DAVID, messa sulla modesta cassa da imballo che il tribuno della plebe parigina usava come scrittoio in caratteri monumentali romani. Il vero monumento a Marat era la sua stessa morte. Questa, probabilmente, è la prima opera d'arte destinata a storicizzare un avvenimento contemporaneo.
Fu dopo l'esperienza del Terrore che David si convinse a moderare le proprie idee ed a cercare, anche politicamente, una forma di governo che lasciasse intatte le libertà civili conquistate ma frenasse gli eccessi libertari. "Le Sabine rapite che mettono pace tra Romani e Sabini" è ancora un soggetto di storia antica destinato alla pacificazione nazionale e tra i vari partiti rivoluzionari nel momento in cui tutta la Francia doveva fare uno sforzo per rigettare i tentativi di invasione stranieri.


Quando il suo allievo Jean-Antoine Gros gli presentò Napoleone David ne fu letteralmente conquistato, come lo era stato Gros stesso dopo avere affascinato Joséphine Beauharnais, la prima moglie del grande generale.
Gros vide personalmente la scena in cui "Bonaparte pianta il tricolore sul ponte di Arcole" alla testa dei suoi uomini e ne fece un quadro che è il fedele specchio dell'entusiasmo che il generale suscitava non solo nelle sue truppe ma in chiunque lo conoscesse, un quadro che è anche, per inciso un vero capolavoro.
Possiamo paragonare quest'opera al quadro di David che rappresenta "Napoleone al Gran Sanbernardo" mentre, su un cavallo rampante, si accinge a conquistare l'Italia: è una di quelle opere d'arte che sono capaci di fornire immediatamente, senza esitazioni, il senso di quanto vogliano esprimere, rimanendo al tempo stesso sincere e spontanee. A nostro giudizio è il più bel quadro rappresentante Napoleone e, cosa ancora più importante, la carica di idee e di gloria che egli portava con se. Da questo momento in poi David non sentì più la necessità di trovare nell'antica Roma esempi per il presente: la nuova Francia stava creando, per mezzo di Napoleone Bonaparte, una storia nuova ed altrettanto gloriosa.
In fondo Napoleone era un militare professionista proprio come David era un pittore professionista ed entrambi ritenevano iniquo un sistema sociale che impediva loro di farsi largo per i propri meriti solo perché non appartenevano alla nobiltà maggiore.
Sia nella Pittura che nell'Arte Militare (ma anche nell'organizzazione economica, perché tutto costa) le scuole francesi erano, prima dello Rivoluzione, le prime d'Europa e, finalmente, ai vertici si trovavano persone adeguate al proprio ruolo.
David era troppo attaccato alla propria autonomia e rifiutò la carica di pittore di corte del nuovo impero lasciandola volentieri al suo allievo Gros che divenne il più grande interprete dell'epopea militare del nuovo regime. Battaglie, cerimonie, giuramenti divengono la nuova iconografia per un nuovo regime.
Inoltre si deve considerare che il vecchio monarca si considerava tale per volontà divina e non aveva bisogno di giustificare la propria esistenza, ma Napoleone aveva bisogno del consenso popolare in base al quale poteva occupare il posto di imperatore. La necessità di questo consenso dà alla pittura di Gros un contenuto di propaganda molto moderno.
Anche Gros si rifece alla Storia Romana, citandola continuamente nelle forme e nei modi con cui creava le immagini del nuovo impero, ma raccontando episodi realmente accaduti. Agli occhi del popolo nasceva una nuova epopea al cui centro stava Napoleone e con lui la Francia e con la Francia una nuova Europa. In questa epopea il popolo stesso era protagonista: la famosa frase di Napoleone "Nello zaino di ogni soldato si trova il bastone da maresciallo" aveva proprio questo senso in un esercito fatto dal popolo e del popolo. Questo ci spiega perché il mito di Bonaparte non appartenga ad una sola nazione ma a tutto il continente.
Ma si tratta realmente di qualcosa di mai visto prima? Nella forma certamente si, ma la sostanza esprime molti valori già esitenti, talora messi in disparte ma già esistenti. Ricordiamo che l'unione dell'Europa sotto un solo scettro era stata già uno degli obiettivi della monarchia francese a partire da Luigi XIV.
Questi valori hanno bisogno di una diversa partecipazione popolare e non sono più patrimonio esclusivo della nobiltà, che ne era quasi una gelosa custode. Napoleone è sempre rappresentato come guida ed interprete di una volontà collettiva, impersonata da un nuovo custode che è l'esercito popolare e di leva espresso dalla Rivoluzione. Non ci riferiamo solo alla Rivoluzione Francese, ma anche a quella Americana, che in questo senso fu la prima ad affermare che onore, fedeltà, dignità erano di tutto un popolo e non di una sola classe sociale e che, di conseguenza, tutto il popolo doveva intervenire a difesa di questi valori.
Questo fu l'insegnamento che Napoleone portò a tutta l'Europa e che generò, nelle altre nazioni, il senso della propria dignità. Questi significati sono presenti nelle opere migliori di questi pittori e permettono di considerare quadri come "L'Incoronazione di Napoleone" di David o "Bonaparte visita gli Appestati di Jaffa"e "Napoleone sul campo di battaglia di Eylau" di Gros come espressione di tutta la Francia e non semplici opere di propaganda. La dimostrazione è nell'altissima qualità espressa dai quadri anche dal punto di vista puramente artistico.
Nel quadro dell'incoronazione viene sottolineato il fatto che l'Impero Napoleone lo ottenne per i propri meriti e non per nascita mentre in quello della visita agli appestati si sottolinea lo stretto rapporto che lega il comandante ai suoi soldati, rapporto che lo porta a rischiare il contagio e senza avere il dono divino di guarire col tocco della mano come pretendevano gli antichi re. Nei gesti e nei rapporti tra i vari personaggi, espressi con l'intreccio degli sguardi, si ritrovano esemplificati i sentimenti interiori che divenivano poi azioni politiche.
Può essere interessante paragonare i bozzetti delle opere di David con la loro versione definitiva per vedere gli aggiustamentti "ideologici" che l'autore vi introduce, tenendo presente che il suo riferimento non era qualche funzionario della Censura ma Napoleone in persona. Ad esempio ne "La distribuzione delle Aquile nello Champ de Mars" David accentua notevolmente, nel quadro finale, lo slancio degli alfieri e dei marescialli dell'Impero, che convergono con le loro bandiere ed i loro bastoni, quasi a significare l'unione della truppa con i suoi comandanti; altrimenti, che differenza ci sarebbe stata col passato?
Tra i due, David e Gros, quello che interpretò meglio il proprio ruolo in senso professionale fu Gros, che riuscì a mantenere l'incarico di pittore di corte con Luigi XVIII anche dopo la caduta di Napoleone.
E la storia? Il fatto stesso che queste opere siano il frutto di un sentimento in buona parte sincero e collettivo ne fa dei documenti storici importanti, da studiare forse con attenzione maggiore degli stessi fatti perché in esse si trova il senso di quanto stava accadendo.
Non dobbiamo credere perciò che questi artisti agissero solo per interesse e che i loro committenti fossero sempre in mala fede, anzi! Per quanto riguarda i primi dobbiamo ricordare che il lo scopo primario era l'arte; per i secondi il desiderio principale era quello di trasmettere nel tempo le idealità che erano alla base dell'azione politica.
Al di là di tutto questo non possiamo ignorare l'altissima professionalità che pochi, nell'Ottocento, hanno saputo raggiungere (parliamo di quadri al limite della perfezione tecnica) e che ancora oggi è capace di portarci in quell'atmosfera eroica che le guerre della Rivoluzione e Napoleoniche crearono. Eroica perché si viveva di ideali al di sopra della propria limitatezza sia che si fosse da una parte che dall'altra.
Al di là dei compromessi inevitabili della politica era bello lo stesso crederci; e poi, su questo vivere di ideali e di valori, non fu forse costruita poco dopo l'Italia?

L'era dei nazionalismi

L'epoca che seguì vide la lenta crescita della coscienza nazionale in molte nazioni europee e la necessità di dare una soluzione politica che soddisfacesse le nuove esigenze popolari.
In Italia, Germania, Polonia, Grecia, Ungheria, Romania, Serbia, per citare solo i principali paesi, l'Unità Territoriale della Nazione diviene un'esigenza primaria che si identifica con il desiderio di consolidare quelle libertà civili che l'Impero Napoleonico aveva fatto conoscere a tutta l'Europa.
L'arte acquisì ovunque una valenza nazionale anche se il centro culturale d'Europa rimase sempre Parigi, dove una relativa libertà permetteva un maggiore scambio di idee tra gli artisti.
In ogni nazione i pittori cercarono nella storia passata le proprie radici culturali e, con maggiori difficoltà, negli avvenimenti contemporanei. Si deve tenere presente che si era in un'epoca di reazione, da un punto di vista politico, e che le censure dei vari stati erano particolarmente attive.
La corrente artistica dominante, in tutta Europa, divenne lentamente il Romanticismo che orientò la maggior parte dei pittori verso il Medioevo come punto di riferimento storico. In Italia in particolare, però, la Storia Antica continuò ad essere sempre oggetto di attenzione, senza mai essere censurata, dato che la cultura classica costituiva parte integrante di quella nazionale per tutte le categoriei sociali.
Anche la storia antica, naturalmente, fu interpretata in senso romantico e le riproduzioni di questi quadri hanno costituito buona parte delle illustrazioni nei libri di storia per generazioni. Certamente i lettori ne ricorderanno qualcuno; ricordiamo per tutti il senese CESARE MACCARI che rappresentò una serie di argomenti di storia romana come "Cicerone contro Catilina", "Attilio Regolo", "Papirio Cursore".
Dobbiamo notare che non fu solo la storia antica a fornire soggetti ai pittori: in ciascuna regione gli artisti cercarono quei fatti storici, in genere medioevali, che potevano, in qualche modo, riferirsi ai concetti di libertà e di indipendenza nazionale. Il periodo dei liberi comuni sembrava a tutti il più adatto. Questi fatti venivano reinterpretati ed adattati alle nuove ideologie.
Naturalmente quasi tutti i pittori dell'epoca erano di tendenze liberali ma bisogna tenere conto che, negli stati italiani più forti ed indipendenti da influenze d'oltralpe, la fedeltà alla corona era fuori discussione perché il governo stesso, anche se di origine reazionaria (o meglio, antifrancese), era in realtà il primo difensore dell'indipendenza dagli stranieri. Citiamo il torinese ANDREA GASTALDI di cui ricordiamo il celebre quadro rappresentante il sacrificio di "Pietro Micca".
In molte di queste opere si sottolineano l'attaccamento al dovere e lo spirito di sacrificio dei protagonisti. I valori fondamentali richiamati sono sempre gli stessi: onestà, lealtà, dedizione alla patria. Questo spiega perché la maggior parte dei corpi armati, delle gendarmerie e delle amministrazioni civili siano confluite poi nell'amministrazione della nuova Italia senza resistenze; quello che non si poteva pretendere era che i governi dei vari stati rinunciasero spontaneamente alla propria esistenza.
Le particolari condizioni italiane determinarono una forte differenza tra la pittura romantica italiana e quella francese, che allora aveva una grandissima influenza sulla nostra.
A titolo di esempio prendiamo due pittori: FRANCESCO HAYEZ tra gli italiani ed EUGENIO DELACROIX tra i francesi.
Il primo si sentì sempre legato, nei quadri storici, alla nostra tradizione espressiva e realizzò dei quadri perfetti dal punto di vista tecnico ma spesso costruiti con troppa intellettualità, un poco freddi insomma. Gli argomenti storici sono presi dal Medioevo, epoca troppo lontana per interessare la censura, e rievocano le virtù proprie della Nazione.
Ne "I Vespri Siciliani" si trova l'interpretazione moderata e borghese del fatto e l'allusione a quelli che dovrebbero essere i comportamenti rivoluzionari del popolo italiano. Attorno al marito che vendica l'onore della moglie offesa ed al francese pugnalato e morente nobili e popolani sdegnati si rivolgono alla croce invocando vendetta. Un richiamo evidente alle teorie politiche che volevano l'unità di tutte le classi sociali ed una federazione italiana di stati sotto l'egida del Papa. Disegno, colore e prospettiva sono perfetti, ma i gesti sono freddi e declamatori piuttosto che spontanei.
Il secondo era molto meno preciso nel disegno e nelle prospettive ma capace di un'uso del colore quasi travolgente e nei suoi quadri lo spettatore diviene spesso co-protagonista dei fatti. Il pittore sente dentro di se il senso della scena rappresentata e porta questo sentimento sulla tela senza alcuna attenuazione.


La celebre composizione "Il 28 Luglio" o "La Libertà che guida il Popolo" entrò ed uscì dall'esposizione al pubblico secondo i momenti politici ma rappresenta veramente quel popolo che col suo slancio rivoluzionario stava scrivendo la storia europea. Sopra i cadaveri una donna a seno scoperto, simbolo della Madre Patria, porta la bandiera tricolore scavalcando una barricata; ai suoi lati un borghese ed un operaio armati si slanciano con lei passando sopra i cadaveri. Chi guarda ha la netta sensazione di essere travolto, e non importa se i particolari sono ora troppo relistici ora del tutto mancanti.
La critica francese criticò aspramente la donna, non per il seno nudo ma perché si vedeva la peluria sotto le ascelle, particolare inestetico e non idealizzante secondo i canoni dell'epoca (ed odierni), ma la rivoluzione di Delacroix non è ipotetica o collocata nell'antichità ma vera e vissuta.
Delacroix stesso espresse il proprio pensiero scrivendo al fratello Carlo Enrico, generale nell'Esercito: - ho comiciato un soggetto moderno, una barricata… se non ho combattuto per la Patria almeno potrò dipingere per lei -. Il concetto che si potesse servire la Patria anche con l'arte non lasciò mai Delacroix che partecipò anche alle spedizioni militari in Africa del suo paese dipingendo tipi e combattimenti in Marocco ed in Algeria.
Delacroix eccelleva soprattutto nei disegni e nei bozzetti, che molti considerano superiori ai quadri finiti. È il caso del bozzetto per "La Battaglia di Taillebourg vinta da San Luigi" una scena storica dove forze titaniche si scontrano e quasi si fondono in un turbinio di colori e di riflessi; l'opera definitiva risultò troppo meditata e baroccheggiante,sempre relativamente ai livelli qualitativi del grande pittore; quasi il percorso inverso di David ne "La Distribuzione delle Aquile".
In Italia la situazione politica aveva portato molti pittori all'esilio prima ed a combattere poi, ma pochi a realizzare opere che avessero per soggetto le guerre del risorgimento. Tra questi ultimi certamente Giovanni Fattori merita un posto d'onore.
Nelle storie dell'arte viene indicato come il maggior rappresentante della scuola toscana dei Macchiaioli che fu vista come anticipatrice, sotto molti punti di vista, di quella francese degli Impressionisti.
Fattori fu di sentimenti un fervente patriota ed è naturale che le battaglie delle guerre risorgimentali costituissero uno dei suoi soggetti preferiti.
Le grandi composizioni che si trovano alle Gallerie Nazionali d'Arte Moderna di Firenze e di Roma ne sono la testimonianza e tra queste "Il Campo Italiano dopo la Battaglia di Magenta" va ricordato perché vinse il primo concorso per un quadro che avesse per soggetto la guerra del 1859. Sotto un cielo solcato da grandi nuvole luminose Fattori riuscì a risolvere il tema richiesto con una scena dove la tragica grandiosità degli avvenimenti non diviene mai retorica.
Una citazione merita ancora, tra tante opere, "La Battaglia della Madonna delle Scoperte" dove le mase di uomini e cavalli sono disposte secondo una struttura visiva in cui coincidono la prospettiva, la direzione dello sguardo dello spettatore ed i movimenti dei reparti, realizzando quella unità di visione che rende immediatamente recepibile l'avvenimento. È proprio questa immediatezza non retorica che fa di Fattori un artista poco esaltata ma più vicino a quello spirito di sacrificio silenzioso che è uno dei valori principali del militare (ma anche del lavoratore e del cittadino) italiano. Non sono "intuizioni" artistiche ma conoscenze ed abilità tecniche faticosamente acquisite.
La luce fonde tra loro uomini e natura in una grandiosità morale che è insita nei fatti stessi; è questa una considerazione che vorremmo estendere a tutti i quadri di ogni pittore che abbiano per soggetto avvenimenti che hanno determinato, spesso cambiandola, la storia umana: sono gli avvenimenti stessi ad avere una dimensione superiore all'individuo ed è proprio il fatto che l'uomo sia in grado di generare cose tanto più grandi di se stesso che lo rende così tragicamente unico tra le specie viventi.
Purtroppo le storie non ci dicono esattamente quanto egli abbia conosciuto direttamente della vita militare, a parte la giovanile partecipazione alla difesa di Livorno dagli Austriaci nel 1949, ma in molti soggetti Fattori mostra di averne intimamente compreso l'essenza. I soggetti in cui mostra pattuglie di cavalieri in perlustrazione o in sosta sono meno epici dei grandi quadri storici ma forse più veri perché mostrano quell'insieme di sacrificio e di senso del dovere che, alla base della vita del militare, è poi il presupposto dei fatti più evidenti storicamente. Tra i tanti quadri citiamo proprio "La Vedetta" e "Il Ritorno della Cavalleria" proprio perché nel modo in cui sono presentati da Fattori fermano degli episodi possibili sia in tempo di pace che di guerra.
Nella prima delle due opere la narrazione porta quasi ad una visione spirituale della scena, sospesa in un'atmosfera in cui la luce estiva sembra assorbire la visione delle cose identificandosi intimamente, anche nell'animo dello spettatore, con la visione attenta che i cavalleggeri prestano alla campagna. Nella seconda una prospettiva ardita, tutta schiacciata dal basso e senza cielo (chi altri avrebbe osato!) comprime verso lo spettatore i cavalieri mantenendo nella sua mente, tramite l'unità e la compressione della visione, anche il senso dell'unità morale del reparto che avanza senza nulla togliere all'individualità caratteriale dei singoli cavalieri. In entrambi i casi i militari sembrano ben consci del proprio ruolo e dell'appartenenza ad una tradizione, ad un insieme di valori insiti in questo ruolo e nel rapporto con l'ambiente; la luce permette questa dimensione interiore e questo rapporto tra ambiente ed uomo senza la necessità delle inutili descrizioni e delle ampie gestualità retoriche francesi.
Ci piace paragonare il metodo compositivo di Fattori, così lucido, con quello di pittori più vicini al Romanticismo, come MICHELE CAMMARANO, nelle cui composizioni luci ed ombre servono a sottolineare i gesti ed i gesti indicano i sentimenti e lo slancio dei combattenti. Pensiamo a "Il 24 Giugno a San Martino", dove l'eroicità dei soldati si sintetizza nel gesto di Vittorio Emanuele II e la tragicità degli avvenimenti è simboleggiata ed accentuata da un'enorme nuvola nera sotto la quale squarci di luce illuminano gli uomini tesi a vincere gli avvenimenti e la natura avversi, come i cannonieri sulla sinistra.
Questa dimensione morale e caratteriale distingue nettamente la Scuola Italiana dal nascente Impressionismo, che disimpegnava totalmente l'artista dai soggetti dipinti, e non sappiamo quanto giustamente. I nostri pittori rimasero sempre legati alla tradizione culturale italiana e la adattarono ai nuovi tempi per tramandarne i valori; un po' è quello che fecero i corpi militari dei vari stati nel confluire nelle forze armate nazionali, che si trovarono arricchite per somma di tradizioni e riunite nella difesa fondamentale dei valori che erano già base comune a tutto il paese anche se politicamente diviso e non più povere perché appena nate; così era avvenuto nel momento di passaggio tra Rivoluzione e Reazione e così accaddde all'atto dell'Unità d'Italia.

Il XX secolo.

Con un piccolo salto temporale ci permettiamo di passare direttamente all'arte del secolo appena trascorso. Dopo il 1970 l'Europa godette di un periodo relativamente lungo di pace interna e le guerre furono prevalentemente di tipo coloniale, il contemporaneo sviluppo scientifico e tecnologico portò ad una serie di invenzioni che rivoluzionarono il modo di vivere dell'umanità e culminarono nella Radio e nell'Aeroplano.
L'arte non fu insensibile a questo processo e gli artisti si gettarono in una serie di sperimentazioni, tutte derivate tecnicamente dall'Impressionismo, ma cercando di ritrovare quell'impegno storico e sociale che agli Impressionisti mancava e aveva caratterizzato la prima metà dell'Ottocento.
Questo sperimentare portò all'inizio del XX secolo al periodo delle Avanguardie Storiche che ebbero in comune l'impegno a trovare nuovi mezzi espressivi e la presunzione di poter cambiare non solo l'arte e la cultura ma anche il mondo in genere.
Apparentemente la volontà, quasi feroce, di trovare nuove vie dell'arte e di essere per forza all'avanguardia sembra che debba allontanare gli artisti dalla rappresentazione di fatti storici o da storicizzare, ma è così solo per i meno dotati, che nel rifiuto dei valori del passato trovano una facile strada per coprire le proprie mancanze di preparazione tecnica.
Chiarito questo, vorremmo soffermarci subito su una corrente artistica, il Futurismo, tanto rivoluzionaria quanto capace di recuperare il passato proprio nei suoi valori essenziali. Quello che veniva rifiutato era il conservatorismo, inutile e pauroso, della Borghesia europea, ma facciamo osservare che essi invocavano Patria, Unità Nazionale, Giustizia Sociale, Eguaglianza che erano valori e concetti che venivano dal passato ed avevano costituito la base ideologica delle lotte per l'indipendenza e l'unità nazionale.
Quello che caratterizzò il Futurismo Italiano e ne favorì la fortuna in tutta Europa, con particolare riguardo alla Russia, fu la violenza con cui i Futuristi portarono avanti le proprie idee, aggredendo letteralmente il pubblico invece di attirarlo e blandirlo.
Ancora oggi si tende a confondere l'atteggiamento provocatorio dei Futuristi dei primi anni con il vero contenuto delle loro proposte artistiche, che non rifiutavano del passato se non un certo tipo di retorica.
Lo stesso amore per la guerra, "vera igiene del mondo", come disse Marinetti, era in realtà la coscienza che gli ideali del Risorgimento andavano portati a termine.
Tecnicamente i pittori futuristi scompongono le immagini nelle loro componenti essenziali come i contemporanei Cubisti, ma il loro impegno va sempre oltre la pura espressione artistica e le loro opere hanno sempre significati precisi; con questo non vogliamo dire che questi siano sempre facili da riconoscere anzi, spesso e volentieri è il contrario.
Tra i maggiori citiamo GIACOMO BALLA, che cercò di dare forma dinamica alle emozioni umane anche collettive, come nel celebre quadro che mostra la forza della folla ad una "Manifestazione Interventista a Siena" e "Forme Grido: Viva l'Italia!" conservato allo GNAM di Roma.
Ancora oggi è difficile acquisire a prima vista i criteri in base ai quali Balla compose questi quadri; quello che salta subito agli occhi è l'accordo dei colori e la centralità del Tricolore, squillante nella stesura, racchiuso tra linee che esprimono dinamismo e tensione, non certo gli statici rettangoli di una bandiera ferma. A guardare bene si nota che nel primo di questi quadri il movimento dei colori viene fuori da una base neutra, perché tutto l'ambiente circostante e la folla sono interpretate dall'artista, questa base è in movimento instabile e su di essa si innestano, come forme vitali, l'azzurro del cielo e l'ocra delle case; da tutto questo nascono, come le torri medioevali della città, i tre colori nazionali. Nella modernità assoluta della composizione quel futuro che i Futuristi mitizzavano viene fatto nascere sempre dal passato.
La seconda delle opere citate è più sintetica nella composizione e le forze vitali in gioco hanno la forma di un vulcano che esplode nel tricolore; questa maggiore sintesi e la rinuncia a complicate allegorie rende molto più comprensibile il soggetto senza tanti discorsi.
La Prima Guerra Mondiale, tanto voluta dai Futuristi, fu la prima guerra realmente nazionale, nel senso che per la prima volta dopo secoli tutta la Nazione nella stragrande maggioranza ne fu coinvolta e si sentì unita, indipendentemente dalle idee politiche e dalle regioni di provenienza; gli artisti per primi.
UMBERTO BOCCIONI fu forse il più significativo degli artisti futuristi ed a suo onore si deve ricordare che si arruolò volontario e morì giovane in guerra nel 1916; ci piace far vedere una delle sue ultime opere, "Cavalleria alla Carica" , dove la sua ricerca delle forze del movimento raggiunge uno dei risultati più significativi. Il movimento della massa dei cavalieri è analizzato, scomposto e ricomposto in una sintesi unitaria significante e capace di esprimere la forza dell'idea che lo genera. Non è un quadro facile da interpretare, ma che piaccia o no, la forza che vi è espressa è indiscutibile e raggiunge immediatamente lo spettatore esattamente come tutto lo slancio dei cavalieri si concentra sulle punte delle lance.
Contemporaneamente alle Avanguardie Storiche altri movimenti intellettuali più "normali" permisero anche ai comuni mortali di poter fruire di una produzione artistica comprensibile e di alta qualità, uno di questi fu il Liberty, libera combinazione di forme floreali e geometriche.
In forme più adatte al grande pubblico e meglio comprensibili alcune caratteristiche formali del Futurismo continuarono anche dopo il momento dell'avanguardia, recuperate da quei pittori che avevano rifuggito dagli eccessi, generando un linguaggio moderno ma comprensibile senza sforzi.
Uno degli artisti che riuscì meglio a "modernizzare" la propria formazione Liberty fu GIOVAN BATTISTA CREMA, che proprio nelle opere ispirate dal dramma della guerra si liberò dell'eccesso di retoricità per arrivare ad una sintesi drammatica.
Quando scoppiò la Grande Guerra Crema si sentì impegnato anche come pittore e diede il suo contributo alla vittoria.
Ne "La Vampata" il dramma diventa la tragedia della morte, nella luce accecante di un'esplosione tra reticolati, ombre all'assalto e mani penzolanti di morti. Attraverso opere come questa chi non era al fronte imparò a solidarizzare con l'Esercito, e se non viene citato un episodio particolare la storicità del quadro viene fuori proprio dalla coscienza che fatti del genere erano ormai la quotidianità, e dalla loro somma nasceva l'eroicità di tutti.
La propaganda di un fatto che interessava tutti non poteva più sintetizzarsi solo su singoli episodi eccezionali ma doveva essere conforme alla realtà tragica che tutti i combattenti vivevano del "…tutti eroi o tutti ammazzati".
Ancora più espressivi ed antiretorici ma non meno patriottici i quadri ispirati nella vecchiaia dalla seconda guerra mondiale, come "Battaglia Navale dell'11 Febbraio 1942", dove sembra preannunciarsi quel precipitare degli eventi successivo, quando tanti sacrifici sembrarono inutili e la Nazione poté ritrovarsi solo nei suoi vecchi valori assieme alle sue forze armate, che del dovere e del sacrificio avevano fatto una costante secolare.
Notiamo che in questo caso Crema accentrò la sua attenzione su di un particolare episodio storico, come nel secolo precedente, forse perché si profilava il contrasto tra chi provocava gli avvenimenti e la volontà collettiva.
Schiacciati tra strutture e sovrastrutture i marinai sembrano quasi dello stesso metallo che li circonda, un tutt'uno tra uomini e nave, come realmente è per gli uomini di mare, mentre l'ardita prospettiva "futurista" schiacciata ed accentuata sembra proiettare questa unità verso il nemico in lontananza.
Alla fine di questa breve rassegna vogliamo ricordare un artista, pittore e soprattutto incisore, oggi forse fuori moda, ma che ha avuto il merito di formare generazioni di pittori ed incisori: ATTILIO GIULIANI, tanto potente e moderno nel segno quanto vicino alle tradizioni della nostra marina; Giuliani era un ingegniere navale ed aveva combattuto imbarcato su di un incrociatore nella Prima Guerra Mondiale. L'abitudine al disegno e la predilezione per l'incisione derivarono probabilmente proprio da questa preparazione tecnica che lo portò, dopo la guerra, a scegliere la professione di insegnante di incisione xilografica: celebri sono i suoi ex-libris, commissionategli dalle più famose personalità dell'epoca. "Sommergibili in Bacino", incisione da cui fu tratta una celebre cartolina postale e "Cant Z/50, Caccia Antisommergibile" ci sembrano due esempi notevoli delle capacità espressive di Giuliani.
Nella prima opera la prospettiva assai accentuata dà l'idea della potenza e, contemporaneamente, la sensazione che le due navi, destinate alle profondità degli oceani, stiano quasi per spiccare il volo. La seconda opera citata è una delle sue celebri incisioni su legno ed affronta, simbolicamente, il tema inverso, mostrandoci il galleggiante dell'idrovolante che scorre come un siluro sopra l'acqua, resa magistralmente servendosi delle venature del legno.
Quanta differenza con la retorica amplificatrice di un David o di un Delacroix, affascinante e stupenda quanto si vuole, ma pur sempre retorica.
I nostri artisti hanno sempre saputo essere più veri sia nel raccontare le passioni e le idee per le quali si combatte sia, soprattutto, nel riferirsi sempre a quello spirito di sacrificio e di dovere che è uno dei valori del popolo italiano e delle sue forze armate e sul quale ancora si fonda quello che del Paese attuale.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale sembrò che non ci dovesse essere più spazio per i nazionalismi e che l'arte non dovesse più occuparsi di storia, eppure ancora si sentiva il bisogno di tornare alle proprie radici: il grande quadro di RENATO GUTTUSO, "La Battaglia di Calatafimi" fu un richiamo all'unità nazionale ed ai suoi valori quando questa era uscita appena dalla difficile prova della guerra civile ed in Sicilia si manifestavano addirittura dei sentimenti separatisti, e Guttuso era siciliano. Ancora una volta il Tricolore ed un quadro che ritrovava nel passato la storia del presente.
Nel dopoguerra non sono mancati certo gli artisti che hanno affrontato il difficile tema di rappresentare un episodio del recente passato per trasmettere alle generazioni future come i nostri padri abbiano vissuto la propria storia e, dobbiamo dire, con risultati artistici spesso notevoli ma l'incapacità dell'artista moderno a lavorare su un tema dato, piuttosto che in totale libertà, ha ridotto la produzione di questo genere rispetto al passato.
Esite, comunque, un Museo della Resistenza, fatto di opere d'arte invece che di documenti e testimonianze come gli altri, e che raccoglie opere di tutti i maggiori artisti degli ultimi cinquanta anni; si trova a Caldarola (MC) nelle Marche ed è un unicum nel suo genere. I quadri sono quasi tutti di soggetto generico, ma tra i temi particolari maggiormente affrontati da alcuni pittori abbiamo rilevato quello della morte di Salvo d'Acquisto.
Tra i tanti quadri sul tema citiamo quelli di VITTORIO PISANI, conservato presso il Museo Storico dell'Arma dei Carabinieri e quello di … nei quali il rapporto tra passato e presente è sintetizzato dalla posa classica dell'eroe che si offre al nemico e nella sua apparente retoricità riporta a quello che il suo sacrificio simboleggia: la perennità dei valori umani e morali di cui, nel caso specifico, l'Arma è sempre stata custode fedele.
Siamo tornati al nostro assunto iniziale: cercare nel passato la storia del presente e trasmettere al futuro i valori di questa storia, ma purtroppo ci dobbiamo fermare qui, constatando che troppo spesso, oggi, la televisione ha sostituito la storia con la cronaca.

Neoclassicismo e Romanticismo.

Il Neoclassicismo si sviluppò tra la metà del Settecento ed i primi anni dell'Ottocento. L'origine è da cercare nelle scoperte che gli scavi di Ercolano e Pompei portarono sull'arte e la civiltà antiche, nelle quali si cercarono modelli di bellezza ideale e di vivere civile. L'esportazione dei libri con le scoperte archeologiche di Pompei fu inizialmente proibita dal re Carlo III di Borbone, provocando un interesse immediato in tutta Europa ed un contrabbando immdediato dei preziosi volumi che a Parigi divennero subito il manuale della nuova moda "alla greca".
La scultura fu la forma artistica preferita perché dell'antichità si conoscevano soprattutto sculture e questo spiega perché forme scultoree abbiano anche i personaggi delle opere pittoriche.
Il principio illuministico sul quale i Neoclassicisti fondarono le loro teorie era il ritorno alla naturale semplicità della natura umana ed alle sue qualità originarie non condizionate dagli eccessi della civiltà. Un esempio famoso di questo modo di pensare si trova nel romanzo Robinson Crusoe impersonato dal personaggio di Venerdì e un altro in quello di Papageno nel Flauto Magico di Mozart.
Iohann Joachim Winckelmann fu il primo grande teorico del Neoclassicismo che e l'Italia divenne la meta obbligata di tutti gli intellettuali europei. Compostezza ed equilibrio furono cercati dai Neoclassicisti sia nelle arti figurative che nell'architettura; quest'ultima in particolare doveva essere il luogo in cui agiva l'individuo inteso ormai non più come suddito ma come cittadino.
In Italia il maggiore esponente del Neoclassicismo fu Francesco Milizia, che per primo assunse la figura del Critico d'Arte, di colui che dice agli altri cosa sia bello e cosa no, spiegando le opere ed indirizzando il gusto del pubblico.
La storia antica romana rimase sempre il riferimento principale degli artisti neoclassicisti impegnati e l'arte greca il loro modello formale; quando l'attenzione si spostò dalla storia al mito si è ormai nell'era del Romanticismo.
Agli inizi del XIX secolo al Neoclassicismo si contrappose il Romanticismo. Sulle teorie del filosofo tedesco FRIEDRICH W. J. SCHELLING si concepì un'arte che fosse espressione del sentimento al di la di qualunque formalismo accademico, un'arte del bello espressivo piuttosto che un'arte del bello visibile.
I sentimenti determinavano il comportamento dei protagonisti nei romanzi e nella vita reale. Quando si parla di sentimenti non ci si deve riferire solamente all'amore, all'odio o all'amicizia ed a tutti queii sentimenti che si generano nei rapporti tra singole persone ma anche a quelli collettivi che muovono le masse.
Uno di questi fu l'amore di patria che divenne importantissimo nella vita popolare ed in un'epoca in cui il nazionalismo è uno dei moventi principali della politica questo fatto fu capace di muovere interi popoli.
I riferimenti storici degli artisti non furono più cercati nella storia romana ma in quella medioevale, ritenuta era di passioni primitive e di idealità vissute con fede. La prima opera importante che indirizzò l'arte europea fu il romanzo Ivanhoe di WALTER SCOTT, primo esempio di una leggenda creata da una storia scritta invece del contrario.
Il contrasto tra Neoclassici e Romantici continuò sino quasi alla metà dell'Ottocento visto anche come contrapposizione tra Sentimento e Razionalità, tra Impulsività e Dovere.

Macchiaioli ed Impressionisti

A metà del XIX secolo due scuole pittoriche si contendono il merito di avere introdotto, nella pittura europea un nuovo modo di dipingere, basato su di una nuova considerazione dei valori della luce e dei rapporti tra colori piuttosto che sul disegno e sulla prospettiva: quella dei Macchiaioli Toscani e degli Impressionisti Francesi.
Un'inutile polemica ha cercato di dare agli italiani il merito cronologico delle nuove "scoperte" figurative ma le due scuole sono nate indipendentemente le une dalle altre ed hanno seguito la propria strada ingnorandosi reciprocamente.
In campo internazionale gli Italiani sono stati ignorati per molto tempo perché il centro culturale dell'Europa era (ed è) Parigi e tutto il resto veniva considerato periferia ed il nazionalismo dei cugini d'oltralpe ha sempre impedito ad oltranza qualsiasi riconoscimento alle altre nazionalità anche per ragioni di mercato da non sottovalutare assolutamente, favorito in questo, dalla mancanza di stati nazionali unitari in Italia ed in Germania.
Le scuole pittoriche italiane, come i Macchiaoli Toscani o la Scuola di Posillipo, non rinnegarono mai le proprie tradizioni e questo portò a dare sempre alle immagini un impianto prospettico anche se non sempre definito dal disegno; macchie e stesure di colore che si identifica con la luce sono considerate più che sufficienti alla visione.
Visione e non veduta, perché lo spettatore viene portato a vivere la scena prima interiormente col sentimento che razionalmente.
Gli Impressionisti riportano scientificamente sulla tela solamente i colori e la luce che raggiungono la retina dell'occhio, senza impegno nella realtà e senza voler fare impegnare lo spettatore. Sono dei liberi professionisti e lavorano liberamente senza avere committenti e cercando, in seguito, di collocare sul mercato i propri lavori anche con un'opportuna opera di propaganda; a questo scopo gli Impressionisti diedero molto valore alle proprie mostre personali, mediante le quali si potevano far conoscere megli al pubblico. Gli Impressionisti curarono anche la propria immagine cercando di apparire come la gente li immaginava, si dà il caso di CLAUDE MONET che non veniva riconosciuto quando usciva elegantisssimo la sera da quelle stesse persone che aveva ricevuto nella soffitta dello studio vestito da artista povero e scapestrato.
In fondo la reale differenza è nel maggiore attaccamento dei nostri pittori alla tradizione, che anche nel mutare dei tempi costituiva sempre la base culturale della loro arte.
Anche gli Impressionisti, come i nostri, seppero combattere ma scindendo questa posizione dalla loro attività professionale, come quando la maggior parte di loro si arruolò contro La Comune di Parigi: erano borghesi e credettero loro dovere combattere il Comunismo nascente.
I pittori italiani impugnarono le armi, quando poterono, sempre contro lo straniero e per la libertà nazionale; qualche differenza anche in questo c'è.



Tra Liberty e Futurismo.

Lo stile Liberty, in Italia, prende il nome dai magazzini londinesi di ARTHUR LASENBY LIBERTY, specializzati nella vendita di stoffe ed oggetti in stile floreale, in Inghilterra si chiamò Modern Art nell'ambito della più vasta corrente dell'Art Noveau. Si tratta di una forma espressiva che, tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX cercò di conciliare le esigenze della produzione industriale, sempre più seriale, con i canoni estetici tradizionali rifiutando l'eclettismo ottocentesco per attingere direttamente alla natura.
Lo stile che ne derivò fu spesso un misto tra strutture geometriche ed ornamenti a queste strutture sovrapposti e non indispensabili tecnicamente; sempre, comunque, concepiti in modo da non far lievitare troppo il prezzo di vendita. Sono caratterizzanti il linearismo, l'eleganza decorativa ed il metamorfismo, la capacità, cioè, di passare da una forma all'altra giocando sulle somiglianze esteriori.
Caratteristico dei prodotti dell'Art Noveau è una sorta di orror vacui, di paura del vuoto, per cui si cerca sempre di riempire ogni superficie libera con qualche di ornamento.
L'Art Noveau si diffuse rapidamente tra Europa e Nord America con i nuovi mezzi di comunicazione arrivando a determinare una sorta di stile internazionale.
Quando i Futuristi italiani decisero di irrompere nel mondo della comunicazione e della cultura per imporre, a qualunque costo, il loro sogno di rinnovamento globale le premesse per una nuova arte c'erano già tutte, si trattava solo di rompere gli indugi.
Le nuove forme espressive rimasero limitale, nella pittura, alla sperimentazione ma ebbero una grande fortuna in altri campi, come i tessuti, la decorazione di ambienti, la moda in quei campi, cioè, in cui si devono usare disegni e colori anche senza essere obbligati a rappresntare qulcosa di determinato: un esempio per tutti, le cravatte (si perdoni l'apparente dissacrazione).
I Futuristi adottarono tecniche di scomposizione dei colori e delle linee nelle loro componenti essenziali simili a quelle dei contemoranei Cubisti ma, a differenza di questi, le loro opere erano cariche di significati reali e rappresentavano sempre qualcosa di concreto, anche se spesso l'eccessivo intellettualismo e l'amore per la contestazione del passato rende difficile l'immediata lettura dei quadri.
La parte più valida del Futurismo riguarda le sperimentazioni nel campo del teatro, del cinema e, soprattutto, della pubblicità e della moda, dove si impostarono i criteri ancora oggi in uso di composizione delle immagini e di approccio con il pubblico.
Gli eccessi formali del Futurismo generarono, nella tranquilla società italiana di allora, delle reazioni che portarono ad un linguaggio pittorico più moderato, che non rinunciava alla forza espressiva del colore e del segno moderni ma neppure alla possibilità di essere capito dalla maggioranza delle persone, esprimendo contenuti generalmente condivisi.
In altre parole non si rinunciò alla funzione didascalica della pittura ed alla sua tradizionale, per noi italiani, capacità di essere un'arte popolare nel senso migliore del termine.