Tra Melozzo e Antoniazzo

Questi articoli rappresentano il primo nucleo informe di una ricerca e come tali vanno considerati


S. GIOVANNI EVANGELISTA A TIVOLI

Tra le chiese di Tivoli quella di San Giovanni Evangelista, situata dentro l'ospedale cittadino, non è la più antica, almeno nell'attuale forma, ma, sotto alcuni aspetti, ha poco da invidiare alle altre più famose.
Certamente costruita su di un edificio più antico, ha probabilmente modificato il proprio aspetto in concomitanza con i vari cambiamenti subiti dal complesso ospedaliero nel corso dei secoli il più importante dei quali deve essere stato, probabilmente, il passaggio da lazzaretto ad ospedale, premettendo che, nella mentalità di una volta, la differenza non era tanto nelle strutture quanto nel concetto di isolamento, implicito in quello di lazzaretto.
Nella chiesa stessa un quadro, situato sull'altare a metà della navata unica, sulla destra, indica uno di questi mutamenti e forse, dal punto di vista medico, il più importante: infatti il santo rappresentato è proprio Padre Giovanni di Dio, lusitano, fondatore dell'ordine degli ospedalieri, una delle prime organizzazioni ad occuparsi dei malati e della loro assistenza in modo razionale e moderno, senza voler trascurare l'alto valore civile, morale e religioso della loro opera.
Questo quadro è datato dopo il 1550, anno della morte del santo e fornisce una prima indicazione per la datazione degli affreschi per i quali la chiesa è famosa.
Tutto l'abside, tardogotico, l'arco trionfale e i suoi risvolti, e tutta la fascia superiore della navata sono coperti da questi affreschi che arricchiscono tutto l'ambiente anche senza bisogno di particolari decorazioni aggiuntive.
Certamente i più antichi sono quelli dell'abside che, anche ad un esaminatore superficiale, non mancano di suscitare una certa ammirazione ma anche delle perplessità, e notevoli.
La volta è caratterizzata da una decorazione delle quattro vele certamente tardogotica, divisa da arcate arricchite da una decorazione dorata e caratterizzata da colori così forti ed accentuati da far ritenere certa una ridipintura in epoche successive alla primitiva; vista la forza dei colori e la cattiva qualità delle dorature (in parte finte, almeno nello stato attuale) certamente ci si è messo mano in tempi relativamente recenti.
Determinare un'epoca precisa per questi affreschi ci sembra abbastanza difficile senza documenti, almeno volendo procedere con serietà, ma il carattere ripetitivo e fisso dei moduli espressi fa propendere per la prima metà del Quattrocento, visto anche che i portati gotici, in pittura, non solo non si erano estinti ancora ma, anzi, costituivano una parte maggioritaria dell'arte fuori dei grandi centri, dove ancora la gente era attaccata alle forme espressive più tradizionali.
Problemi ancora maggiori vengono dall'esame degli affreschi sulle pareti dell'abside laterali all'altare; qui, a destra, è rappresentata la Vergine in Cielo, su di una nuvola sorretta da angeli, mentre a sinistra vediamo San Giovanni evangelista che scrive il suo libro mentre, a destra, una natività di Gesù raffigura quello che il santo sta scrivendo.
I problemi accennati vengono dalla difficile attribuzione delle figure almeno ad una scuola, se non ad un autore.
L'attribuzione tradizionale, indicata anche all'esterno della chiesa, è per Antoniazzo Romano, ma già il Venturi aveva indicato un possibile autore in Melozzo da Forlì, il grande teorico della prospettiva.
Il fatto è che, ad essere sinceri, Antoniazzo Romano era effettivamente capace di tutto, visto che la sua fortuna consisté nell' aver riproposto in forma prospettica e moderna (per l'epoca) le antiche immagini popolari del Lazio e di Roma, ma qui la cosa sembra valida, al massimo, per la volta e l'immagine della Madonna a destra, mentre le figure di santi sotto la Vergine, il paesaggio (meno) ed il San Giovanni a destra sono decisamente più umanistici di quanto egli fosse solito fare.
In poche parole si tratta di un autore tecnicamente assai abile ma incapace di quell'originalità creativa che, comunque, si deve riconoscere ad Antoniazzo.
Ancora diverso è il discorso per la fascia di affreschi della navata, posteriore di almeno un secolo il cui autore si è palesemente ispirato al Michelangelo della volta della Cappella Sistina che viene imitato sia nelle figure che nella tematica dei profeti e delle sibille.
Gli episodi della vita di San Giovanni sono presentati come se fossero tele incorniciate tra figure in piedi, tranne tre, attorno ai quali sono stati dipinti dei tendaggi tirati di lato od abbassati, come se questi quadri, a differenza degli altri, fossero stati tenuti abitualmente coperti.
A guardar bene questi tre episodi sono, stilisticamente, della stessa persona che ha dipinto la maggior parte delle figure inferiori a destra dell'altare; in particolare modo la resurrezione sopra l'arco trionfale è chiaramente ispirata a Piero della Francesca, tanto da essere, nella figura del Cristo, quasi una copia,e se anche alcune posizioni si avvicinano a quelle di Melozzo si deve considerare che anche lui, talora, si ispirò a Piero del quale fu allievo.
I finti tendaggi sono un espediente per distinguere i nuovi affreschi dai vecchi che, evidentemente, non si volevano cancellare.
Insomma, almeno tre artisti, ognuno dei quali si è innestato sull'opera dell'altro senza cancellarla, anche, sicuramente, per motivi economici; non ci si deve dimenticare che il committente non era ricco e comunque, se aveva delle disponibilità, doveva impiegarle anzitutto per la salute, anche fisica oltre che spirituale, degli assistiti dell'ospedale allora, anche più che oggi, poveri.
A questo punto proponiamo una soluzione al dilemma Antoniazzo-Melozzo (ci si passi la rima): perché non supporre un intervento di entrambi i maestri, la cui collaborazione è attestata dal 1475 al 1481 nella Biblioteca Vaticana assieme al Ghirlandaio?
In questo periodo, quando Melozzo da Forlì venne a Roma, Antoniazzo Romano, non aveva ancora formato il proprio stile ed era ancora molto vicino alla pittura tardogotica di Benozzo Gozzoli mentre a sua volta Melozzo era ancora sotto l'influsso di Piero della Francesca.
Si spiegherebbero così le forti dipendenze di ognuno dei due dai rispettivi maestri e la mancanza di uno stile preciso, nonché, come abbiamo già detto, la presenza evidente di due mani diverse sullo stesso affresco.
La tradizione che voleva la presenza di Antoniazzo Romano rimane così rispettata e, anche se non era sostenuta da documenti, aveva comunque una sua validità e senza dover negare la presenza di un seguace di Piero della Francesca che già un'acuta osservazione di Lionello Venturi aveva identificato con Melozzo da Forlì.
Questi affreschi rappresenterebbero, insomma, il momento in cui i due maestri,ancora non si erano liberati degli influssi precedenti cosa che avvenne, come si sa, dopo il periodo della loro collaborazione alla Vaticana.
Un problema maggiore, forse, sarà l'identificazione del michelangiolesco decoratore della navata; tenendo conto, come si è già detto, che non vi è traccia di influssi del Giudizio Universale, la data deve essere necessariamente collocata tra il 1513, dopo la fine della volta della Sistina, ed il 1536, prima dell'inizio del Giudizio Universale.
Ne risulta anche confermata il 1550, già indicato nel quadro di San Giovanni di Dio come data della sua morte,è un termine ante quem, supponendo che il quadro di San Giovanni di Dio sia stato collocato durante dei lavori fatti per la modernizzazione dell'ospedale mentre era vivo.
Queste date coincidono con quelle di alcuni graffiti cinquecenteschi sulle pareti a destra dell'altare fatti, apparentemente, da religiosi e non da turisti, scoperti dal signor Alfredo Cipriani.
Malgrado la difficile lettura in una si legge: "HIC FUIT PAULO ZARO.....1537"e nell'altra: "1538....Aprile HIC FUIT Hieronimus De Sebastianis".
Queste date, come si vede, coincidono con quelle supposte di stesura degli affreschi superiori della navata centrale, supponendo che i due visitatori fossero andati, appunto, a vedere le nuove pitture delle quali, a suo tempo, si sarà certamente parlato anche a Roma.
Purtroppo sulla parete destra della navata si notano dei guasti abbastanza gravi dovuti a infiltrazioni d'acqua.
Restauri eseguiti devono aver bloccato le perdite del tetto, tra l'altro sono state scoperte le figure duecentesche di due santi che facevano parte di una decorazione precedente, chiara testimonianza che la forma della chiesa era tale già molto tempo prima; sono anche stati lasciati scoperti dei tratti di muro preparato a scalpello per darci sopra l'intonaco, forse scambiati per una parete primitiva; se si rompessero tutti i muri di una volta, sino al secolo scorso, sarebbero tutti cosi.
A questo punto è superfluo dire che ci sembra indispensabile riportare il tutto ad uno stato di maggiore leggibilità con un restauro adeguato.
La bellezza della chiesa vale molto di più del semioblio cui l'hanno condannata, anche senza volerlo, i tivolesi, che però, questo difetto, sembrano averlo un po' troppo spesso.



UNA STRANA SANTA

Una particolarità è la presenza, nell'affresco a sinistra dell'altare, di una figura femminile che si sporge tra i monti dello sfondo, palesemente sproporzionata, visto che è grande come un albero, questo potrebbe indicare un'aggiunta successiva, fatta in un posto dove non si guastassero i personaggi in primo piano.
Il quadro, probabilmente, indica l'assunzione di Maria in cielo, vista anche l'espressione di estatica meraviglia proprio della figura di San Giovanni, inginocchiato al centro; in tal caso gli altri personaggi sono gli apostoli, ma sinceramente la santa dello sfondo, con una cinta aperta in una mano e l'altra che tiene le dita aperte nel gesto delle corna (sic) non fa parte del nostro pur vasto repertorio iconografico.
Cerchiamo di formulare qualche ipotesi analizzando il gesto e notiamo anzitutto che una cintura rappresenta, simbolicamente, il cinto verginale, l'imene, e che, se chiusa, ne indica l'integrità.
Esempi di quadri matrimoniali con questa simbologia sono stati recentemente identificati ed esposti alla mostra fatta in occasione dell'Amor Sacro ed Amor Profano di Tiziano; in questo caso però è aperta, indicando chiaramente il contrario.
L'unica santa contemporanea di San Giovanni, non vergine, e di cui parlino i vangeli e Maria Maddalena, che la tradizione identifica con la prostituta del pozzo; forse a questa professione è da connettere il popolaresco gesto delle corna, anche se è la prima volta che lo troviamo.

UN GIOIELLO D'ARTE A NAZZANO


Si è lasciato di proposito, sino ad ora, di parlare della chiesa di Sant'Antimo che si trova su di un'altura, dopo una breve salita, prima di entrare in paese e che da sola merita un viaggio. Questa è un piccolo capolavoro, la cui struttura di base è di epoca ottoniana, o almeno la parte principale di questa; il pergamo è infatti del X secolo, ma l'uso di colonne romane per separare le tre navate può far supporre un edificio ancora anteriore. Le colonne vengono da costruzioni differenti, anche se probabilmente non lontane, e le loro altezze, non eguali, furono compensate fornendole di basi di differente misura.
Bei resti di pavimentazione cosmatesca originale si trovano dentro e attorno al pergamo; non ci si stanca mai di stupire della fantasia e delle capacità inventive di questi artigiani che, tagliando piccoli pezzi di marmo prelevati dagli edifici antichi, componevano riquadri sempre simmetrici e mai uguali tra loro.
Nell'abside spiccano, tra il biancore delle pareti, affreschi della scuola di Antoniazzo Romano (Antonio Aquili, attivo nella seconda metà del XV secolo circa) rappresentanti la Vergine tra quattro Apostoli e, più in alto, l'Incoronazione della Madonna. La qualità della parte inferiore è tale da rendere quasi certa l'attribuzione al maestro e si può anche pensare ad un'opera della maturità , dato che sono ben riscontrabili gli influssi di Melozzo da Forlì, con cui Antoniazzo aveva collaborato nella Biblioteca Vaticana. Le complesse costruzioni prospettiche di Melozzo sono quì tradotte in una sorta di polittico vagamente arcaizzante e decisamente arcaica è la struttura della parte superiore, quella con l'Incoronazione. Antoniazzo portò nei paesi e nelle campagne del Lazio i modi dell'arte (allora) contemporanea, ma dolcemente, senza provocare traumi nelle popolazioni che erano, certamente, affezionate alle loro tradizioni figurative e non avrebbero compreso facilmente i complessi significati esoterici dell'avanguardia dell'epoca. Un'opera di divulgazione, insomma, che va considerata meritoria se si tiene conto dell'arretratezza delle campagne.
L'esterno della chiesa è caratterizzato lateralmente da una costruzione muraria particolarmente elegante, certo successiva ed aggiunta alla primitiva; il perchè deve essere connesso alla necessità di consolidare una situazione precaria delle strutture, tanto è vero che il piccolo portico anteriore è stato aggiunto alla facciata originaria, ancora visibile all'interno con tanto di due contrafforti ai lati della porta. Sempre ai lati della porta due mensole di pietra per le lanterne. Nell'Alto Medioevo si preferiva sostenere o riporre gli oggetti servendosi di mensole di pietra piuttosto che di costoso metallo, la manodopera necessaria non era considerata rilevante.

 

IL SANTUARIO DI SANTA MARIA DELLA QUERCIA A MARANO EQUO


La chiesa è probabilmente del XV secolo, come gli affreschi più antichi che la decorano e che sono situati nella parete dell'ingresso.
Tra questi si vede, a sinistra guardando l'ingresso, un'immagine della Vergine con Bambino collocata su di un albero, tra i santi Antonio di Padova e Sebastiano, gli altri, sinceramente, erano troppo al buio per permetterci di decifrarli convenientemente.
Visto che sono entrambi santi assai diffusi, nel culto popolare, nel '400 per motivi ideologici vari la prima datazione proposta per l'edificio ci sembra esatta, a parte la corrispondenza con lo stile già prospettico ma legato alle forme popolari gotiche del Lazio che Antoniazzo Romano diffuse nell'epoca a partire dalla chiesa di San Giovanni a Tivoli; la considerazione che viene spontanea che Sant'Antonio morì nel Trecento e che, perciò, non può essere rappresentato in affreschi di questo secolo non è valida, visto che fu canonizzato nel 1332, dopo soli undici mesi dalla morte, caso più unico che raro.
Allora i Santi erano rari, veri esempi di vita cristiana, come i miracoli, che avevano sempre un preciso significato, tanto che quando ne avveniva uno anche in un piccolo paese si trovavano i mezzi per celebrarlo degnamente; in effetti, se si contano il numero di santi e di miracoli che sono avvenuti nella valle dell'Aniene e si pensa che da San Benedetto in poi sono passati circa 14 secoli si vedrà che ne ce ne sono stati circa uno ogni due - tre secoli; fortunati noi, che abbiamo visto canonizzare, in questi ultimi anni, centinaia di santi e piangere altrettante statue della Madonna!
Al massimo, nel tempo quando una comunità raggiungeva un certo grado di indipendenza e di maturità, sorgeva qualche leggenda attorno ai simboli del culto particolare che la contraddistinguevano.
In chiesa si possono ammirare i resti degli affreschi antichi, del XIII secolo almeno e di scuola romana. La nudità e il chiarore delle pareti sottolineano quanto rimane di colore e malgrado il passare dei secoli ancora si possono ammirare sfumature ed espressioni dei volti. Lo stile originario si è mantenuto malgrado le rodipinture e mostra di essere opera di un maestro capace ed autonomo rispetto alle altre botteghe romane. Si possono osservare, ad esempio, tutti i diversi volti degli angeli nei vari riquadri a proposito dei quali va notato che sono divisi da colonne e pilastri e non da cornici, con accenni di prospettiva, fatto unico in quest'epoca e riscontrabile solo molto più tardi, che colloca questo pittore in una netta avanguardia rispetto ai contemporanei. Avanzando nella chiesa ci si accorge ad un tratto di essere passati sotto un arco trionfale riccamente decorato, questo perché in tempi più antichi l'ingresso principale era dall'interno del monastero e l'attuale facciata era l'abside. Questa inversione fu fatta nel XVII secolo, epoca dei due affreschi laterali, dei quali la Crocefissione combina anche pittura e scultura assieme, e degli archi a sesto ribassato della facciata, forse dopo l'abbandono del monastero da parte dei Serviti che erano succeduti ai Benedettini.