Non c’è pace nel nuovo ordine

di Michele di Schiena (Presidente onorario aggiunto della Cassazione)

articolo pubblicato su "Il Manifesto 10 giugno 1999)

 

 

Con l'ultima decisione dei G8 e la risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, finalmente la guerra sta per fermarsi ma non si intravedono ancora segni di pace, di quella pace che non si esaurisce nell'assenza delle ostilità ma implica, nel suo contenuto più profondo e più vero, un atteggiamento spirituale e comportamentale positivo, un cammino convergente di concordia e di collaborazione, una situazione caratterizzata dal normale svolgimento della vita nelle sue diverse espressioni, un valore riconosciuto come punto comune di riferimento dagli uomini "di buonavolontà".

Di questa pace non c'è ancora sentore perché gli Stati uniti e la Nato parlano di vittoria, di piano imposto alla Jugoslavia, di resa di Milosevic, di sconfitta della Serbia, di condizioni dettate al nemico; esprimono cioè, in tutto il suo disvalore, una cultura di potenza e di guerra che scandalizza e deprime soprattutto perché è fatta propria non da un qualsiasi Milosevic né da uno dei tanti dittatori "periferici" ma dai gruppi dirigenti dei paesi più civili e progrediti del mondo. E questo dimostra come la scelta bellicista che ha mosso gli attacchi della Nato seminando morte e distruzione, sia li, tutta intera ed imperturbabile, con le sue primitive sicurezze, le sue rozze arroganze, la sua impermeabilità ad ogni revisione critica e la sua incapacità a farsi almeno attraversare dagli argomenti di una più attenta analisi, dalle valutazioni di una più serena riflessione e dai suggerimenti offerti dal salutare esercizio del dubbio. Perseverare nell'errore (ammesso che di errore si possa parlare in questa tragedia) è veramente diabolico -. Clinton e i suoi alleati continuano a sostenere che era doveroso reagire alla " pulizia etnica" con una guerra che ha moltiplicato all'inverosimile massacri, esodi e distruzioni; assumono cinicamente che le vittime e le devastazioni sono state un prezzo che andava pagato anche quando si era fatto insopportabile per l'orrore degli "effetti collaterali"; sostengono che gli obiettivi prefissi sono stati raggiunti.

Ci sembra, tutto questo, il ritorno ad un anti-cultura che credevamo sepolta, la malinconica recita su di un vecchio copione, una massiccia operazione di imbonimento rivolta ad alterare i dati della realtà per poi raccontarla ad "usumdelfini". Proviamo a dire la verità: il bilancio di circa 80 giorni di guerra è terrificante per il numero dei morti e degli invalidi, per l'esodo di quasi un milione di kosovari ammassati come bestie nei paesi confinanti, per i danni alle povere economie di quei paesi con previsioni di regresso e di miseria che 1’avidità imprenditoriale d'occidente si appresta a sfruttare; una simile guerra non poteva e non può definirsi umanitaria non solo per ragioni di principio ma anche, più pragmaticante , per la nefandezza dei risultati ottenuti: la guerra è stata voluta dagli americani e da loro portata avanti con le logiche del più bieco militarismo (intensificazione progressiva dei bombardamenti ad , ogni costo e fino all'abbattimento del nemico) e del più marcato razzismo (la vita dei soldati Nato considerata di valore superiore rispetto a quella degli altri).

Ed ancora: i governi "progressisti" dell'Europa si sono ridotti all'umiliante condizione, per salvare faccia e consensi, di parlare di pace mentre facevano una guerra mai dichiarata in fedele adesione alle direttive del Pentagono. La guerra, che poteva essere evitata facendo ieri quel che oggi si è fatto, non è poi servita, nonostante gli strombazzamenti della Nato, a fare accettare da Belgrado le condizioni di Rambouillet dal momento che - come riconosce persino Eugenio Scalfari ("la Repubblica" del 6 giugno) - il Piano aprovato dal Parlamento jugoslavo prevede ciò che prima non c'era e cioè una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu (col consenso quindi della Russia e della Cina), la presenza nel Kosovo di forze militari russe di limitato personale jugoslavo, nonché il disarmo dell'Uck (armato dagli occidentali) in un quadro inteso ad escludere quel protettorato Nato sulla regione previsto invece nella fase prebellica.

Ed infine, la sospensione della guerra non è certo da ascrivere a merito dell'Europa "alleata" che gioca oggi a fare la mosca cocchiera del processo di pace dopo esse re stata ridotta a "provincia atlantica" ma è invece da collegare allo stato di necessità di Belgrado determinato dalla brutalità dei bombardamenti e, in misura non certi inferiore, dalla impraticabilità di un attacco da terra che la resistenza serba stava rendendo indispensabile e che avrebbe però creato dissensi e costi in vite umane no sopportabili dall'occidente.

Il fatto è che l'intervento militare nei Balcani è stato la prova generale, invero non del tutto riuscita, della strategia nordamericana rivolta ad estendere il "nuovo ordine" della globalizzazione neoliberista di aree geografiche ancora "resistenti" attraverso i dollari del Fondo monetario intemazionale, l'utilizzo mercenario delle etnie armate, gli intrighi della Cia e le bombe della Nato.

Oltre il velo delle verità " ufficiali", va detto allora che i governi europei escono sconfitti da questa guerra sia sul versante dell'egemonia statunitense orinai largamente affermata a discapito dell’ONU e sia sul versante del lavoro per la costruzione di un'Europa Politica che, invece di pensare alle patetiche rivalse militariste dell’"esercito unico", potrebbe svolgere un ruolo positivo per il superamento dei nazionalismi e dellearretratezze economiche nei Paesi dell'est europeo e del Medioriente.

Ma c'è di più: per quanto riguarda il nostro Paese, abbiamo stracciato la Costituzione che ripudia la guerra, abbiamo insegnato alle nuove generazioni che la Legge fondamentale dello Stato può essere ignorata o interpretata secondo le convenienze, abbiamo sacrificato sull'altare di una ancellare fedeltà a patti da altri rimaneggiati a piacimento l'alta vocazione dell'Italia a diventare una "grande potenza di pace" . Abbiamo voluto presentarci insomma come un Paese forse "normale" ma certamente "borghese" e "piccolo, piccolo", un Paese che nelle sue maggiori espressioni politiche accetta il neo-liberismo statunitense e la sua filosofia interessata a tutelare i diritti Umani Solo quando, dove e come conviene.

La rassegnazione non può essere, però, l'ultima spiaggia: ci sono nel nostro Paese culture e sensibilità che si battono davvero per la pace e perché i diritti umani siano sempre e dovunque tutelati arie contro interpretazioni restrittive che rifiutano di coglierli nei loro irrinunciabili contenuti economi ci e sociali.