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AWMR Italia - Associazione Donne della Regione Mediterranea

7a Conferenza Internazionale, Italia - Gallipoli 8-12 luglio 1998

Donne e Lavoro nel Mediterraneo

AWMR - Association of Women of the Mediterranean Region

5. Sessione
Donne nell'economia globale: il diritto a lavorare con dignità.
Realtà e prospettive mediterranee

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5.9. I percorsi della segregazione occupazionale per sesso
di Paola Martino
Marginalità delle donne


A partire dagli anni '70 (Fig. 1) si verifica un incremento della presenza delle donne nel mercato del lavoro che si evidenzia in più aspetti: un maggior numero di donne entra nel mercato, sia come occupate che come disoccupate; un maggior numero di donne permane in esso più a lungo.

Questo incremento ha molteplici cause: L'occupazione femminile si caratterizza sul binomio rigidità-flessibilità. Da un lato le donne sono più deboli, a causa delle rigidità sul mercato dovuta al carico degli impegni familiari (doppia presenza); dall'altro le donne sono più flessibili e adattabili ai cambiamenti del mercato del lavoro, in quanto spesso non svolgono il ruolo di capofamiglia

Quindi all'incremento numerico del lavoro femminile si affiancano elaborazioni teoriche che portano alla "ridefinizione il lavoro femminile come lavoro di riproduzione e per il mercato, la messa a fuoco della doppia presenza, come dato saliente dell'esperienza di vita di maggior parte delle donne" (Bimbi, Pristinger, 1985, pag. 95)

Ma nonostante il mutamento dello scenario lavorativo, in seguito a questo aumento del lavoro femminile, e la conseguente riduzione delle distanze tra uomini e donne sul mercato del lavoro, "molti indicatori concorrono a delineare un perdurante e stabile sistema di disuguaglianze, rappresentato in particolare dalla segregazione occupazionale delle donne" (Bianco, 1997, pag.277).

Segregazione occupazionale lavorativa.

Il concetto di segregazione occupazionale per sesso si scinde in due aspetti: la segregazione orizzontale, cioé la concentrazione delle donne in alcune professioni e in determinati settori di attività; la segregazione verticale, la concentrazione delle donne nei livelli lavorativi più bassi.

Per quanto riguarda la segregazione orizzontale le donne risultano concentrate prevalentemente nei servizi e meno presenti nei comparti industriali (tav. 1).

Tav. 1 Percentuale di occupati per settore sul totale degli occupati.
donneuomini
1981 19911981 1991
agricoltura12,2 7,110,5 7,1
industria28,8 24,544,2 40,9
servizi59,0 68,444,7 52,0
totale100 100100 100

Fonte: Istat, Censimento della Popolazione 1991

Le donne sono in percentuale in numero maggiore nelle posizioni di lavoro di tipo subordinato e meno qualificato: sono solo il 16, 1 per cento tra gli imprenditori e i manager, mentre sono il 52, 1 per cento tra gli impiegati e il 39,0 per cento tra gli operai non qualificati. (Tav. 2).

Tav. 2 Incidenza della percentuale di donne nei gruppi occupazionali.
% donne
Imprenditori, manager16,1
Professionale, docenti37,9
Quadri, tecnici44,9
Addetti vendite46,5
Impiegati52,1
Operai specializzati21,1
Operai comuni24,0
Operai non qualificati39,0
Totale35,0

Fonte: Istat, Censimento della Popolazione 1991.

Il termine segregazione in Italia é spesso usato solo dagli specialisti, al contrario si riferisce a fenomeni consistenti e diffusi. Si tratta di una termine di per se neutro che assume sociologicamente rilievo quando é associato a una situazione di "svantaggio", come nel caso del sesso, dove gli uomini sono concentrati in luoghi migliori o a livelli più alti delle donne. Si può quindi affermare che la segregazione delle donne produce disuguaglianza di genere (Bianco, 1997).

Fra le possibili cause della scarsa diffusione di analisi sulla segregazione occupazionale, vi è probabilmente la maggiore attenzione da parte delle studiose femministe italiane, a partire dagli anni 80, a elaborazioni più teoriche e filosofiche. Nello stesso tempo è rilevante la scarsa diffusione in Italia di Women studies, sul modello americano, che "fanno da ponte fra la cultura universitaria e la conoscenza più diffusa" (Valentini, 1997, pag. 95).

Alla segregazione occupazionale si affianca una discriminazione salariale per le donne occupate. Sin dal massiccio ingresso delle donne nel mercato del lavoro vi è stato un gap salariale tra uomini e donne. Il dato più evidente, rilevato dalla Banca d'Italia, ci riporta che nel 1989 lo stipendio di una donna dirigente corrisponde al 63 per cento di quello dell'uomo dirigente.

Questo divario salariale non è legato alla minore anzianità delle donne, infatti nei gruppi occupazionali il gap aumenta con l'aumentare dell'età: quindi allo svantaggio iniziale si somma, nel corso del tempo, l'effetto carriera (Bianco, 1997). Così come questa differenza salariale non è solo conseguenza della segregazione professionale, perché le donne guadagnano meno anche quando svolgono lavori uguali agli uomini.

Segregazione occupazionale e differenziali retributivi sono quindi una realtà del nostro mercato del lavoro, che è evidentemente in qualche modo legato alle caratteristiche di genere della forza-lavoro.

Per cercare di spiegare tale caratteristica vi sono state numerose e discutibili teorizzazioni; alcuni studi più recenti hanno hanno fatto un notevole passo in avanti e individuato tre differenti chiavi di lettura: subalternità sociale della donne, divisione sessuale dei ruoli nel lavoro, disuguaglianze sociali delle donne.

La subalternità sociale delle donne, esiste prima della subalternità lavorativa. Per cui l'uomo, in quanto principale percettore di reddito della famiglia ha elevate aspettative retributive, mentre la donna, il cui reddito è considerato aggiuntivo, ha minori aspettative ed è disposta ad accettare guadagni e mansioni inferiori (Bettio, 1988).

La tradizionale organizzazione del lavoro dell'industria determina una divisione sessuale dei ruoli, quindi il tempo di lavoro nell'industria per l'uomo è reso possibile dal fatto che il lavoro di cura è stato completamente delegato alle donne. Nel mercato del lavoro del passato, le donne vengono progressivamente espulse dalla industria, per poi rientrare, in presenza di un aumento della domanda di lavoro, in settori di attività più compatibili con la doppia presenza (Abburrà, 1989).

È necessario tenere conto delle disuguaglianze sociali che differenziano le donne e cercare con le analisi di raggiungere almeno l'obiettivo di "impostare il problema e porre degli interrogativi circa le logiche di scelta e azione dei soggetti, visti in quanto connotati sia dal genere sia dalla collocazione sociale" (Bianco, 1997, pag. 58). Sono tre le tappe della vita che determinano il processo di produzione e riproduzione della segregazione: la socializzazione all'interno della famiglie e della scuola, l'ingresso nel mercato del lavoro, i percorsi delle carriere.

La segregazione occupazionale finora esaminata è uno degli aspetti della disuguaglianza lavorativa, perché all'interno delle aziende, delle carriere assistiamo a una concentrazione delle donne nei livelli inferiori, la cosiddetta segregazione verticale.

Non sono disponibili studi approfonditi su questa materia, ma i dati a disposizione confermano questa tendenza sia nell'industria (le donne sono concentrate nelle qualifiche operaie e impiegatizie più basse), che nel pubblico impiego (le donne sono molto poche nella dirigenza e presenti nelle qualifiche medio basse).

Le interpretazioni di questo fenomeno non devono ridursi a considerare le caratteristiche poco adatte delle donne alle carriere organizzative, né a vedere le donne come un gruppo di uguali con le stesse caratteristiche e comportamenti. Una possibile spiegazione dovrebbe tenere conto di più elementi:
La segregazione formativa.

Il momento della formazione è uno dei momenti cruciali che fornisce alle donne una possibilità in più di avere accesso al lavoro. Questo sembra molto chiaro alle nuove generazioni che si rendono conto che l'istruzione rappresenta uno strumento in più, la possibilità di diventare qualcuno, come testimoniano alcune ragazze in una ricerca su le giovani donne e il loro futuro (Leccardi, 1996). Anche le famiglie iniziano a modificare gli investimenti formativi, se prima istruire le figlie femmine rappresentava quasi un lusso di pochi, oggi l'istruzione diventa un buon investimento, in particolare per le famiglie meno agiate.

I dati confermano questa tendenza per cui nell'ultimo decennio il numero di diplomate e laureate è notevolmente aumentato: le diplomate dall'anno 1972-73 all'anno 1986-87 passano dal 43% al 52,5%; le iscrizioni all'Università crescono dal 38,2% del 1972-73 al 52,5 del 1994-95.

Ma questa raggiunta parità formativa non sempre si traduce in parità lavorativa (Spanò, 1996). Infatti nonostante uomini e donne abbiano livelli di istruzione uguali, per le donne permane una segregazione educativa, in quanto le donne si concentrano in tipi di scuole con minori sbocchi professionali, sono in maggioranza nei licei classici e scientifici. Esse sono in minoranza nelle scuole secondarie superiori che preparano al lavoro tecnico, quali istituti tecnici e professionali. Mentre le donne sono sempre la maggioranza negli istituti magistrali (nel 1991 l'11,5 oper cento di donne contro lo 0,9 di uomini). I dati degli ultimi anni '90 registrano comunque una diminuzione delle iscrizioni ai licei e un aumento delle iscrizioni alle scuole tecniche, ma la differenziazione tra uomini e donne rimane. (Tav.4).

Tav. 4 Iscritti per ogni tipo di scuola superiore. Valori percentuali.

1972-731986-87
donneuominidonneuomini
Licei, di cui31,827,528,222,6
Liceo classico13,88,910,25,7
Liceo Scientifico16,117,813,215,8
Liceo artistico 2,0 0,8 1,6 0,7
Istituti tecnici, di cui26,553,437,155,0
Ist. tecnico industriale 1,127,0 2,121,9
Ist. tecnico commerciale19,512,026,719,6
Ist. tecnico per geometri 0,611,3 1,310,0
Istituti professionali, di cui16,516,218,720,3
Ist. profess. commerciale11,6 1,711,4 2,0
Ist. profess. industriale 0,711,5 1,513,7
Ist. profess. femminile 2,8 0 3,9 0,2
Altre scuole, di cui25,2 2,915,9 2,2
Istituto magistrale20,5 1,911,5 0,9
Totale scuole superiori100100100100

Fonte: Istat, Annuari dell'istruzione

Nella formazione universitaria le donne privilegiano le facoltà umanistiche e sono meno presenti nelle facoltà scientifiche. Anche qui però i dati più recenti fanno registrare qualche cambiamento. Nel periodo dal 1972-73 al 1994-95, le donne iscritte alle Facoltà del gruppo di ingegneria aumentano dal 2,9 al 5,4 per cento, quelle iscritte al gruppo economico e sociale dal 9,1 per cento al 23, 0 per cento, mentre calano dal 55,4 per cento al 32,8 per cento le iscritte al gruppo letterario. (Tav. 5).

Le donne quindi iniziano a fare scelte di formazione tenendo conto dei possibili sbocchi nel mercato lavorativo.

Tav. 5 Iscritti alle Università per gruppi di Facoltà. Valori percentuali.

1972-731994-95
donneuominidonneuomini
Gruppo scientifico 15,2 13,012,0 12,2
Gruppo medico 9,0 19,0 2,9 2,6
Gruppo ingegneria 2,9 22,1 5,4 23,3
Gruppo agrario 0,3 2,9 1,8 2,9
Gruppo economico e sociale 9,1 17,5 23,0 30,0
Gruppo giuridico 6,7 12,3 22,1 18,8
Gruppo letterario 55,4 12,2 32,8 10,2
Totale Università 100 100 100 100

Fonte: Istat, Annuari dell'istruzione

Non bisogna comunque dimenticare che dietro ogni scelta lavorativa di una donna vi è un percorso di doppia presenza da affrontare. I dati dimostrano che le donne più istruite scelgono più facilmente di lavorare, anche perché ne hanno più occasioni; mentre rimangono maggiormente segregate le donne con un basso livello di istruzione, sia perché le occasioni di lavoro sono minori, sia perché dedicarsi al ruolo di madre e moglie è più conveniente e in alcuni casi "naturale".

Possibili politiche di intervento

Per favorire il superamento della segregazione formativa e lavorativa e fornire pari opportunità di lavoro alle donne nel 1991 è stata varata la legge sulle azioni positive. Si tratta di una legge tra le più avanzate d'Europa, che dà alle donne, dopo 13 anni dalla approvazione della legge di parità (1977), una definizione istuituzionale della discriminazione e della politica delle pari opportunità (Beccalli, 1991).

L'approvazione della legge ha determinato dentro e fuori il movimento delle donne un vivace dibattito; sicuramente l'avere sancito per legge la legittimità ad agire per rimuovere gli ostacoli che impediscono la realizzazione di pari opportunità è stato un importante passo in avanti per tutte le donne. Ma la tardiva applicazione di alcuni strumenti previsti dalla legge, il permanere di una cultura tradizionalista, il distacco che spesso si crea tra legge formale e realtà concreta hanno fatto di questa legge uno strumento limitato.

È quindi importante affiancare a questi e altri strumenti legislativi, come ad esempio l'incentivazione del part time, del job sharing, del retravailling, sia una riconsiderazione dei tempi di lavoro, che una azione che insista sulla diffusione, sul radicamento di una cultura delle pari opportunità nel mondo della formazione e del lavoro.

Per quanto riguarda la segregazione formativa si è avviato un interessante percorso basato sull'orientamento come azione formativa, cioè permettere alle giovani di riflettere su se stesse e sui propri desideri, di credere nelle proprie capacità e di avvicinarsi eventualmente anche a materie, e quindi future professioni, da sempre considerate maschili. (Erlicher, Mapelli, 1991).

Come abbiamo visto nei dati precedentemente riportati sulle scelte formative negli ultimi anni, inizia a cambiare qualcosa e nelle Università aumentano le iscrizioni a Facoltà più tecniche.

Tutto questo si dovrebbe tradurre in un potenziamento dell'empowerment delle donne, inteso come capacità di potenziare le proprie possibilità, riconoscendo i propri desideri, liberandosi da stereotipi e aspettative di altri e individuando il proprio progetto di realizzazione professionale.

In questo senso si sta muovendo il Centro Studi "Osservatorio Donna" dell'Università di Lecce, che ha individuato uno spazio di interesse, sia a livello teorico che pratico, sul potenziamento dell'empowerment e sulla rimozione di stereotipi e pregiudizi. In particolare il Centro sta progettando, in collaborazione con il Provveditorato agli Studi di Lecce, un intervento su questi temi nelle scuole secondarie superiori.

Alcuni dati locali

Per quanto riguarda la situazione di Lecce e della sua provincia è importante riflettere su alcuni elementi.

Il numero delle donne in cerca di prima occupazione, dal censimento del 1991, è di poco inferiore a quello degli uomini, 9 per cento di donne contro il 10 per cento di uomini; al contrario il numero delle donne occupate è quasi la metà del numero degli uomini, 24 per cento di occupate contro il 42 per cento di occupati.

Nella distribuzione nelle diverse attività economiche il dato locale ricalca in parte quello nazionale: le donne sono scarsamente presenti nell'industria con il 22,9 per cento, mentre sono più rappresentate nelle attività terziarie con il 44,4 per cento, ma comunque meno degli uomini (che sono il 51,8 per cento) e ciò contrariamente al dato nazionale dove le donne nel terziario sono la maggioranza.

Inoltre nell'area di Lecce e provincia rimane alto il dato delle donne occupate in agricoltura, 32,7 per cento; ma bisogna tenere conto che si tratta di un dato falsato dalle donne iscritte all'ufficio di collocamento come braccianti solo per potere riscuotere i contributi, ma che in realtà non svolgono lavoro agricolo. (Tav. 6)

Tav. 6 Distribuzione per sesso e attività economica.
Lecce e provincia. Valori percentuali. 1991

donneuomini
Agricoltura32,712,7
Industria22,935,5
Altre attività44,451,8
Totale100100

Fonte: Istat, Censimento della Popolazione, 1991.

Nella distribuzione nelle diverse professioni degli occupati si evidenzia la cosiddetta segregazione verticale, in quanto le donne risultano essere meno rappresentate nelle professioni corrispondenti a classi sociali più elevate, il 16 per cento di donne tra i legislatori, dirigenti e imprenditori contro l'83 per cento degli uomini; il 38 per cento delle professioni intellettuali di donne contro il 61 per cento di uomini. Al contrario la percentuale di donne inquadrate come personale non qualificato sale al 46 per cento. (Tav. 7).

Tav. 7 Occupati per professione e sesso
Lecce e provincia. Valori percentuali. 1991

donneuomini
Legislatori, dirigenti e imprenditori16,083,0
Professioni intellettuali38,061,0
Professioni intermedie-tecnici47,052,0
Professioni esecutive di ammin. e gest.36,063,0
Professioni relative alle vendite e servizi35,063,0
Artigiani, operai specializzati e agricolt.33,066,0
Operai industriali21,078,0
Personale non qualificato46,053,0

Fonte: Istat, Censimento Popolazione, 1991.

Riguardo la segregazione formativa la situazione locale non si discosta da quella nazionale, infatti la percentuale di donne che si iscrive alle scuole tecniche è la metà di quella maschile, nel 1993-94 il 34 per cento di donne contro il 66 per cento di uomini. Con particolare differenza negli Istituti tecnici industriale e nautico dove le donne sono il 4 per cento rispetto al 96 per cento degli uomini, o ancora nell'Istituto tecnico agrario con l'8 per cento di donne e il 92,0 per cento di uomini.

Rimane alta la percentuale di donne nei licei e schiacciante la maggioranza delle donne negli istituti magistrali, 93 per cento di donne contro il 7 per cento di uomini. (Tav. 8).

Tav. 8 Iscritti per ogni scuola superiore.
Lecce e provincia. Valori percentuali. a. s. 1993-94

donneuomini
Licei59,041,0
Istituti professionali41,059,0
Istituti tecnici, di cui34,066,0
Istituto tecnico agrario8,092,0
Istituto per geometri12,088,0
Istituto industriale4,096,0
Istituto nautico4,096,0
Istituti d'arte52,048,0
Istituto magistrale93,07,0
Totale48,052,0

Fonte: Provveditorato agli Studi di Lecce

Un ultima riflessione da sottolineare è la distribuzione dei giudizi di merito tra gli alunni maschi e le alunne femmine delle scuole di Lecce e provincia: le donne hanno complessivamente giudizi migliori. (Tav. 9).

Tav. 9 Distribuzione giudizi

Lecce e provincia. Valori percentuali. a.s. 1993-94

donneuomini
sufficiente39,359,6
buono23,519,2
distinto16,410,5
ottimo20,819,2

Fonte: Provveditorato agli Studi di Lecce

Inoltre le donne hanno dei tassi di ripetenza e di bocciatura più bassi degli alunni maschi, ma nello stesso tempo il tasso di abbandono è superiore per le alunne femmine, 55 per cento per le donne contro il 24 per cento degli uomini.

Sicuramente dietro questo dato vi è la considerazione, già valutata in sede nazionale, che l'investimento nella formazione scolastica fino agli anni '90 ha riguardato prevalentemente i figli maschi. per cui probabilmente e soprattutto nelle classi sociali meno abbienti, sono le donne ad abbandonare la scuola per andare a lavorare o per mettere su famiglia.

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