1979CROCIERA nelle SPORADI



Per uscire dai confini ristretti, nei quali siamo obbligati dalla limitata autonomia, derivante dal troppo breve tempo delle ferie e dalla bassa velocità della navigazione a vela, abbiamo deciso di acquistare una barca carrellabile da rimorchiare con l'automobile.

La scelta è caduta su una barca che allora è chiamata 'Evolution 22, in seguito ' The E Boat. In Italia la barca è prodotta, in quegli anni, da "Vela 77", su licenza dell'inglese Everit Boats. .

Si tratta di una barca lunga fuori tutto m 6,70, con baglio massimo di m 2,80, dislocamento di 850 kg, chiglia da 300 kg, retrattile. L'abitabilità è insolitamente elevata per una barca di 22 piedi, se si accetta l'altezza interna che impedisce la stazione eretta, non c’è tuga, ciò che permette un ponte libero e spazioso

E' disponibile, per il traino, un carrello dotato di culla reclinabile, per contenere la larghezza del rimorchio nella misura regolamentare di m 2,50.

Come spesso accade perplessità ed indecisioni cadono solo quando le vacanze premono, ed in poco più di una settimana uno scafo nudo viene armato ed arredato, con notevole impegno del cantiere e con l'attiva partecipazione del "neo-armatore". La barca, infatti, viene venduta ad un prezzo interessante, pronta per navigare a vela, ma semifinita negli interni. Le ultime viti verranno serrate quando il viaggio a vela starà per compiersi.

L'equipaggio è formato da me, da mia moglie Resi, l'amico Mario , nonché da i nostri figli Leone, Lucia, Letizia ed Eugenia.

Con noi, con un altro Evolution 22 o E Boat,, partiranno due amici Gianni e Serena.

L'obbiettivo del viaggio è Volos, sulla costa egea della Grecia, di dove ci proponiamo, messi in mare gli scafi, di navigare tra le Sporadi.

Al momento di mettersi al volante del fido Autofurgone, già compagno di tante vacanze, la barca, tutto sommato, di modeste dimensioni, sembra trasformarsi negli specchi retrovisori, in un mastodonte incombente, ma mano a mano che ci allontaniamo da Fiumicino, di dove ha preso inizio la galoppata, si comincia a prendere confidenza e l'impresa si rivela tutt'altro che sovrumana.

Impareremo che la velocità contenuta, ci permetterà di godere più intensamente dei paesaggi che andremo attraversando, riscoprendo quasi come nuovi, itinerari già percorsi più volte.

Puntiamo su Bari e di li siamo traghettati dalla un po' sgangherata, ma simpatica, Sveti Stefan a Bar, in Montenegro.

La città ci accoglie mostrandoci le ferite recenti, aperte dal terremoto. Ci vergogniamo quasi della nostra felicità di gente in vacanza, al cospetto di questi infelici che vivono in roulotte o sotto la tenda non certo per diletto.







Lasciata Bar, in direzione nord, dopo 20 km abbandoniamo la strada costiera.

Sulla tortuosa statale che, attraverso un colle ci immette nel bacino del lago di Skutari, ci viene offerto un assaggio di ci che dovremo affrontare per attraversare le montagne del Montenegro: rampe scoscese, curve e tornanti a non finire, in un paesaggio meraviglioso.

Superata Titograd, risalendo le gole spettacolari del fiume Moraca, facciamo un bagno ristoratore, non sapendo resistere all'invito delle sue acque gelide, ma limpide e di un azzurro incredibile.

Alla sera abbiamo lasciato alle nostre spalle il Montenegro e buona parte del Kosovo e ci accingiamo, per la prima volta, ad usare come roulotte la nostra barca parcheggiata in una piazzola di sosta della strada statale M2.

Superata Skopie, capitale della Macedonia, sulla autostrada M1 la velocità del convoglio si fa più rapida ed in mattinata siamo ala frontiera.

Al posto di confine greco dobbiamo, per la prima volta, affrontare le formalità di importazione temporanea dei natanti; sui nostri passaporti sono trascritte le caratteristiche delle barche, nella stessa guisa di quanto vien fatto per gli automezzi, anche il Surf, che trasportiamo, ha l'onore di essere annotato.

Il percorso in territorio greco, quasi tutto in autostrada, non ha storia; merita però di essere annotata la aggressività dei camionisti, che non tollerano esitazioni nel portarci sulla corsia di emergenza, per agevolare i loro sorpassi, non solo sui rettilinei, ma anche in curva, sui dossi, dove che sia!.















E' già buio quando entriamo a Volos. Andiamo a parcheggiare presso un cantiere che produce cassoni in cemento armato per opere portuali, in un piazzale attiguo al mare, nella parte occidentale del Limin Volou.

In questa città, sede del porto più importante della Tessaglia, contiamo di completare la nostra dotazione di carte nautiche, ed acquistare qualche accessorio che ci manca.

Saremo delusi, qui e nei porti successivi dalle difficoltà di approvvigionamento.

Delusi saremo anche dall'ascolto delle stazioni radio locali, che non trasmettono i bollettini meteorologici in più lingue, promessi dai fascicoli pubblicitari distribuiti dall'ufficio del turismo greco a Roma; riusciamo solo ad intercettare qualche annuncio sommario. Talvolta abbiamo potuto intercettare il bollettino per i naviganti della R.A.I., che non è però esauriente per l'Egeo.

Per varare le nostre barche andiamo alla ricerca di una gru. Verso le tredici, al porto, riusciamo nell'intento, giovandoci di una gru mobile, manovrata da operatori non molto pratici in questo tipo di varo; abbiamo anzi il sentore che costoro operino clandestinamente, dato che preteso, in fine, un compenso maggiore del pattuito, spariscono in un baleno.

Al ritorno saremo serviti da una squadra più efficiente e con un trattamento più equo. Ormeggiate di fianco le barche, completiamo al più presto le operazioni di carico di salmerie ed approvvigionamenti, per sottrarci ad una implacabile risacca che sbatacchia barche ed equipaggi.

Tornati, a motore, via mare, alle banchine, che bordano ad occidente il golfo, dove abbiamo passato la notte precedente, siamo finalmente al riparo dalla maretta e dormiamo sulle barche nel loro elemento. L'indomani armiamo gli E Boat: alziamo, cioé, ed insartiamo gli alberi, montiamo gli ultimi elementi della attrezzatura. Finalmente, poi, ci concediamo un po' di tregua girellando per Volos e dintorni.

La mattina successiva, senza altre esitazioni, salpiamo prendendo il largo nel Pagasitikos Kolpos. Il mare è calmo e non soffia un alito di brezza, procediamo perciò a motore, puntando su Melina, sulla costa orientale del golfo.

Fa caldo e, senza arrestarci, ci immergiamo ogni tanto dalla scaletta di poppa, assicurati ad una cima, oppure ci scambiamo secchiate d'acqua, con grande sollazzo dei bambini e dei meno bambini...

Compaiono i delfini nel primo di numerosi incontri. Alla calma succede, verso le undici, il Meltemi, che in breve si fa sostenuto. E' il famoso vento che batte con forza l'Egeo, nei mesi estivi.

Per la notte ci rifugiamo in una baietta sulla costa occidentale del golfo Vathaudhi.

Il giorno successivo restiamo in zona per bagnarci, pescare, fare un po' di wind-surf, ma verso mezzogiorno, un temporale che solleva subito maretta, ci obbliga a trovare una cala ridossata dal nuovo vento, dove arriviamo a dar fondo non prima che il sole si riaffacci a intiepidire i timonieri zuppi ed infreddoliti.

All'imbrunire ci ormeggiamo nel grazioso porto di Palaio Trikeri, un'isoletta sulla bocca del golfo, abitata da simpatica gente.

Lo skipper di una grossa goletta inglese, seduto sotto la pergola di una trattoria presso la banchina, osserva impassibile le operazioni di attracco delle nostre popolatissime barchette, ma quando qualcuno del mio equipaggio fa passare sopra la battagliola una cima di ormeggio, l'uomo, dalla abbondante chioma canuta, si sbraccia concitato per avvertirci dell'errore.

Non occorre neanche porre la questione, siamo tutti d'accordo, si mangia a terra.

Scegliamo un ristorantino un poco discosto dal mare, a prima vista meno affollato, la sala interna è invece zeppa, non ci resta perciò, malgrado qualche goccia di pioggia, che scegliere un tavolo all'aperto. Aumentano gli scrosci, Costantinone, il gestore ci invita a prender posto ad un tavolo riparato da un grosso cipresso, ma poiche il rimedio sorte scarso effetto ci apparecchia un tavolo nella stretta cucina, intorno al quale ci sediamo, cercando di proteggere le nostre nuche dall’andirivieni dei piatti.

La robusta moglie di Costantinone, si muove alacre ed energica, la figlia, sfinita da ore di cucina, ci guarda quasi con astio.

Dopo non breve attesa, ci vengono serviti: marmore, saraghi ed occhiate cotti alla buona, ma ottimi per la freschezza .

L'indomani, mentre si va attenuando il maestrale che ha seguito le perturbazioni del giorno precedente, prendiamo il largo per iniziare lungo il Dhiavlos Trikeri, (Canale di Trikeri), il nostro trasferimento verso le Sporadi.

Il vento è moderato, il mare è popolato da una ventina di vele; sono quasi tutte barche da noleggio, sloop di dieci dodici metri, generalmente mal condotti, che ci divertiamo a battere in velocità.

Quasi all'improvviso è bonaccia, le vele fileggiano, ma mentre bordeggiamo per sfruttare le bave di vento, in breve si alza il Meltemi, che non tarda a rinforzare fino a forza 5-6, con qualche raffica di vento apparente di 40 nodi.

Si alza una maretta dura, ma per il breve fetch, l'altezza delle onde rimane contenuta. Prendiamo una mano di terzaroli ed iniziamo una serie di bordi, sfruttando tutti i promontori sopravvento per esporci il meno possibile al mare.

Ad un tratto l'ancora, che era sistemata a sbalzo sul musone, si sgancia e va a fondo per tutta la lunghezza della catena e cima. Lascio il timone al piccolo Leone, che se la cava con bravura.

Mario ed io abbiamo il nostro da fare per ricuperare il ferro, in bilico su una prua che si solleva e si tuffa con un rimo violento.

Ripresa la navigazione, nel mare che cresce, la barca si comporta egregiamente, con la sua grande stabilità di forma e le linee d'acqua che consentono di passare bene nelle onde.

Benché‚ la regolazione dell'albero, che poi correggeremo, renda troppo ardente la barca, l'Evolution conserva una grande manovrabilità che permette di orzare e puggiare quanto serve. Solo in qualche treno di onde più cattivo non mi riesce di evitare che caschi nel cavo dell'onda con una certa durezza.

Questo primo incontro con il vero Meltemi, benché‚ in certa misura affaticante, ci tranquillizza, ridimensionando le apprensioni generate dalla lettura di rapporti di crociere nell'Egeo, almeno per quel che concerne questa parte di tale mare, e con una barca che non teme il mare duro.

Sull'emozione, che pure non manca, prevale il divertimento di cavalcare veloci le onde.

Intanto il seguito di vele si è dissolto, molti poppa al vento, sono rientrati, altri hanno puggiato verso l'Eubea.

La meta è ancora lontana, la bolina allunga la rotta, comincia ad imbrunire, scegliamo così di ormeggiarci alla ruota dinanzi alla spiaggia di Platania. Sembrerebbe che a stento la baia possa darci riparo, ci offre invece uno specchio d'acqua abbastanza calmo per pernottare senza fastidi.

Durante la notte il vento cala, per riprendere in mattinata, ma con minor vigore.

Lo stretto di Skiatos, una delle bocche del Meltemi, che vi si incanala tra le Sporadi ed il massiccio del Pilion è passato senza problemi, prima orzando sottovento al capo, Aràpis, poi puggiando attraverso il canale, che attraversiamo di bolina larga filando sulle onde a buona andatura. Siamo presto a ridosso dell'isola, dove repentini salti di vento ci obbligano a tener desta l'attenzione.

Diamo fondo in una baietta di un isolotto prospiciente il porto, per bagnarci e mangiare. A sera riusciamo a trovare due posti non contigui nell'affollato porto. Zuger Zaufen, come abbiamo nel frattempo chiamato la barca, in omaggio del nomignolo di Maria Giulia, l'ultima nata, trova posto tra la minacciosa prua di una "carretta" ed un mastodontico catamarano americano. Anche qui la maggioranza delle barche è a noleggio.

La mattina siamo svegliati dal rombo di un turboelica in decollo dalla vicina pista aeroportuale.

Skiatos non ci piace, è bellissima come natura, ma troppo stucchevolmente turistica, perciò ce la filiamo sulla vicina Skopelos.

Il canale di Skopelos, di circa tre miglia e mezzo, è presto percorso, ma la sua costa meridionale si estende per una lunghezza ben maggiore. Sostiamo brevemente nel porto di Glossa, una sosta più lunga facciamo presso un isolotto contiguo alla costa, al ridosso del quale riusciamo a trovare un minuscolo fazzoletto di mare a riparo del vento, per pescare.

Ripreso il mare raggiungiamo di sera la baia di Agnondas, una piccola cala con un grazioso porticciolo, la cui banchina però, è tutta occupata da imbarcazioni da diporto. Ci ormeggiamo in testa al molo sperimentando la ripidità dei fondali di questa isola: il cavo e la catena dell'ancora penzolano quasi verticali verso il fondo e dobbiamo portare il ferro più al largo con il battellino per garantirci una tenuta più efficace. Sperimentiamo pure, per la prima volta, l'irruenza dei pescatori greci, che con un gran caicco, si ormeggiano accanto a noi ed, emuli dei camionisti, ci sfiorano come se non esistessimo, con grande nostra preoccupazione per l'incolumità del cavo dell'ancora alla quale è affidata la nostra sicurezza.

Mangiamo in un ristorantino dai prezzi che, aimé, risentono dell'invasione dei marchi. Ritorniamo alla barca quasi assiderati da un filo di Meltemi che ci ha lambiti per tutto il tempo che è durato il nostro pasto.

Gianni e Serena, che hanno a bordo quattro simpatici ragazzi lombardi che abbiamo conosciuto a Skiatos, sono proseguiti verso il porto del capoluogo, soccorrendo e rimorchiando, durante la navigazione, sapremo poi, un motoscafo greco che faceva acqua abbondantemente. Per raggiungerli salpo alle sei, mentre tutti dormono, pensando di arrivare in non più tre ore, ma il vento è scarso e dobbiamo avanzare bolinando. La crociera è agli inizi e siamo animati da una forte repulsione a ricorrere al motore, così con bordi interminabili, che ci portano fin sotto la costa di Alonisos, arriviamo dopo le tredici. Entriamo in porto cavalcando i frangenti che il basso fondale provoca sulla cresta delle onde che arrivano dal largo.

Visitiamo il paese, molto bello, costituito come tutti i vecchi insediamenti di queste isole, da un continuum di case bianche che, pur senza comprendere, in generale, elementi architettonici di rilievo, formano complessi di elevata qualità formale. Salutati i nuovi amici, che con il traghetto si accingono a rientrare in patria, salpiamo per Alonisos. La traversata è breve, ma il vento, debole, è girato e siamo ancora di bolina. Presto ci accorgiamo del perché di questa stasi del Meltemi: è in arrivo una perturbazione e giungiamo al nuovo porto sotto l'infuriare di un temporale. E' notte, il porto brilla di mille luci, ma manca di faro e dei fanali rosso e verde d'ingresso. Un caicco occupato e condotto da francesi ubriachi o quasi, per poco non ci sperona e, cercando di ormeggiare alla brava, tocca duramente la banchina ed altre barche.

Gli ormeggi lungo i moli sono tutti presi, i pescatori ci respingono dal settore del porto a loro assegnato, nessun segno di disponibilità a favorire un attracco ci giungeva da terra, non ci resta che dar fondo in mezzo al porto, ai margini dell'area di manovra del traghetto che sopraggiunge dopo poco.

Per trattenerci qualche giorno in distensione scegliamo la baia di Peristeria, un'isola minore prossima ad Alonisos, lontani dai guasti che il turismo comincia ad apportare anche in quest'ultima, fino a pochi anni fa quasi incontaminata. Nel fondo della baia, c'è un piccolo cantiere, dove quotidianamente si alternano un paio di caicchi a far carena, con la partecipazione di tutta la famiglia dei proprietari. La moglie di uno di questi marinai ci da una lezione di pesca al polpo, passeggiando lungo la costa, raccoglie letteralmente, quasi fossero funghi, in duecento metri più cefalopodi di quanti noi con le nostre maschere, boccagli, pinne, mute e fucili in tutta la vacanza.

Confortati dal buon andamento della navigazione, decidiamo di includere Skiros, la più meridionale delle Sporadi, nella nostra crociera. Rinnovati gli approvvigionamenti in un paesino di Alonisos, prospiciente Peristeria, navighiamo verso l'isola di Skantsoura, prescelta come tappa intermedia. Il vento è scarso e viene dritto, dritto dalla nostra meta. Dopo un lungo ostinato bordeggio, con poco guadagno al vento, siamo costretti ad aiutare la bolina con il motore.

Arriviamo, a notte già inoltrata, nel più profondo recesso di una baia piuttosto aperta, che i gavitelli di alcuni corpi morti ci fanno ritenere ben protetto. Ci ancoriamo in poco fondo e fissiamo una cima a terra. Nel buio si sente lo scampanio ed il belare delle capre, uniche abitanti stabili di Skantsoura.

La mattina successiva, mi si presenta la migliore occasione di pesca subacquea di tutta la vacanza, in questo campo piuttosto avara. In una buca, due metri sotto la superficie, scopro una popolazione incredibilmente fitta di saraghi ed occhiate, oltre ad un gronco, tutti di grossa taglia. Al primo colpo, per l'emozione spadello, in seguito due pesci si sferrano, purtroppo ho solo la fiocina a cinque punte, poi il fucile pneumatico fa cilecca essendo sfuggita tutta l'aria. In fine non recupero che un'occhiata spaccata in due.

Prendiamo il largo per Skiros con poco vento, speriamo in un'impoppata con rotta diretta e prepariamo le scotte per lo spinnaker, ma appena doppiato il promontorio meridionale di Skantsoura, il vento gira a scirocco ed iniziamo un lento bordo con rotta sud. Skiros non si vede, ma a dritta è sempre in vista l'Eubea e, traguardando il monte Dirfis, abbiamo un'idea della nostra posizione.

Quando l'isola compare tra le brume, iniziamo un bordo a levante. Presto il vento rinforza ed in breve raggiunge forza 5-6, obbligandoci a prendere una mano di terzaroli. Man mano che ci addossiamo all'isola il mare che la aggira dalle due parti, si fa più caotico e non si può evitare qualche impatto più duro con onde che si alzano, all'improvviso, davanti alla prua, o qualche caduta nel cavo tra due creste. Si procede tuttavia, con buona andatura, senza altri problemi. Il vento gira a mezzogiorno, vorremmo atterrare su Linaria, la grande baia porto dell'isola, ma dovremmo affrontare un estenuante bordo prua al mare, così, anche per non essere sorpresi dal buio, decidiamo di andare all'ormeggio nella parte nord-ovest di Skiros. A due o tre miglia dalla meta, il vento gira a maestrale poi sopravviene bonaccia, tanto che dobbiamo proseguire a motore. I ridossi che esploriamo sono sempre un po' troppo esposti a maestrale, perciò costeggiamo alquanto verso sud per trovarne uno buono.

E' già buio, quando voci da terra ci invitano ad ormeggiarci al riparo di quelli che, probabilmente, sono i resti di un porto munito ottomano con due torrioni all'ingresso.

Gianni non si sente al sicuro e continua nell'esplorazione e ritorna per guidarci in quella che riteniamo una baia ben chiusa. Solleviamo chiglia e timone per andarci ad ancorare in 60 centimetri d'acqua. Il maestrale rinforza e ben presto comincia un ballo tanto memorabile quanto inspiegabile, ma gli equipaggi, ormai ben sperimentati, non perdono ne appetito, ne sonno. Il mistero si chiarisce quando sorge il sole, quella che sembrava una insenatura è in realtà un canale tra la terraferma ed un isolotto; la maretta prodotta dal maestrale entra dalla estremità sud del braccio d'acqua e la risacca generata si prende l'incarico di cullarci con foga.

Purtroppo non disponiamo di carte di dettaglio e su quella a grande scala dell'ammiragliato britannico, benché‚ fedele e tutt'altro che approssimativa, non si possono rilevare le accidentalità minori.

La navigazione verso Linaria è molto bella per l'imponenza delle balze rocciose che costeggiamo. Verso il porto incrociamo due velieri, le uniche imbarcazioni durante tutta la navigazione per Skyatos.

Il golfo di Linaria è suggestivo, ma brullo, privo di quella vegetazione che arricchisce, in genere, il paesaggio delle Sporadi.

Poche barche ci fanno compagnia, all'ormeggio, nel piccolo porto. Con la corriera ci rechiamo al capoluogo, un bel paese che merita di essere visitato. Dalla sommità del colle che sovrasta l'abitato, dal mezzo delle rovine di un vecchio monastero abbandonato, si gode un panorama superbo, con un arco di orizzonte marino di oltre 180° a levante, e la distesa delle case bianche e delle colline a ponente.


Durante la notte si scatena l'ennesimo temporale; nel breve tempo che occorre per andare a prua per mettere in tiro il cavo dell'ancora ho modo di fare una bella doccia gelata che mi intride fino alla pelle.

Ci tratteniamo ancora un giorno nell'isola, divertendoci a tirar bordi nello specchio d'acqua di Linaria, ed a pescare in una baia contigua.

Purtroppo è tempo di iniziare il rientro e salpiamo alle 4,30 diretti ad Alonisos. La navigazione notturna, come sempre, è suggestiva. Un po' di suspence condisce l'uscita dal golfo di Linaria, attraverso il canale nord, che al buio pare terribilmente stretto. Con la luce sopravviene una bonaccia totale, ed ammainato il fiocco, procediamo per trenta miglia a motore, su un mare che pare uno specchio, nella vana attesa che il Meltemi venga a liberarci da questa situazione.

Pernottiamo nel porto di Alonisos. Di primo mattino, manovrando per attraccare di fianco, benché‚ ci sia spazio a sufficienza, un grosso caicco da carico piomba letteralmente addosso ai due Evolution , ormeggiati di poppa, e solo per miracolo ad opera di qualche Agios, la marra della sua ancora non strappa le sartie della barca di Gianni. Per fortuna i nostri motori vanno subito in moto e ci leviamo dall'impaccio, lasciando l'onore di ricevere la prua del bestione alle sartie di uno sloop noleggiato da una famiglia inglese, i cui membri con gran flemma aprono appena un occhio per osservare l'accaduto, come se la cosa non li riguardasse affatto.

Lasciata Alonisos con poco vento, spesso a motore, costeggiamo a nord Scopelos e Skiatos, godendo di splendidi panorami: cale rocciose, boschi solitari di pini di Aleppo, allietati dal volo degli aironi.

Il canale di Skiatos, ci concede, finalmente, un po' di venticello fresco che ci spinge veloci, al traverso, fin quasi a Platania dove trascorriamo la notte in rada.

Avevamo sperato, dopo un'andata quasi tutta di bolina, una bella galoppata col vento in poppa al ritorno. Finalmente facendo rotta da Platania su Palao Trikeri, possiamo mandare a riva lo spinnaker che, gonfio di Meltemi, ci fa filare veloci fino all'imbocco del Pagasitikos Kolpos.

Trascorsa la notte sull'isoletta, ci tratteniamo per il penultimo giorno di vacanza, piena, nel dedalo di golfi e golfetti che fa da contorno alla grande ansa del Limin Trikeri. La giornata è calma, ma la sera si leva un Meltemi piuttosto fresco che ci fa mettere la falchetta in acqua, mentre governano la barca Lucia e Letizia, che si alternano, con disinvoltura, alla barra.

Spinti velocemente andiamo verso una cala circondata dagli ulivi. Dato fondo alle ancore, mettiamo la prua verso il largo, tendendo da poppa una cima data volta ad un maestoso ulivo. Scesi a terra per dar volta le cime all'ulivo, approfittiamo per una piccola ricognizione, siamo dissuasi dal trattenerci per il tanfo che emana dalla carogna di una volpe morta. Fortunatamente una lieve brezza che spira dal largo fa sii che sulle barche non giunga l'odore

La mattina successiva uscendo dal golfetto allamiamo alla traina un bel dentice.

Attraversiamo da est ad ovest il golfo Pagasitico e dopo un avvio tranquillo, spinti da un Meltemi troppo forte per lo spinnaker, ci portiamo con vele a farfalla nell'Ormos Mitrellas, golfetto chiuso a levante dall'isolotto di Agios Nikolaos, troppo basso per fermare il vento. Ormeggiati alla ruota, balliamo alquanto. A sera, calato il vento, andiamo a terra nel grazioso villaggio a mangiare ottimi calamari, ad un prezzo molto conveniente, ( non ci sono tedeschi in giro, ma solo villeggianti greci ).

Trascorsa una notte abbastanza tranquilla, un Meltemi appena fresco, levatosi più presto del solito, ci consente di rientrare a Volos a vela, ciò che mitiga un poco il dispiacere delle vacanze che finiscono.

Le barche ancora in mare, disarmate e con gli alberi già ipacchettati a terra, ci accingiamo a passare l'ultima notte ormeggiati nello stesso specchio d'acqua dal quale siamo partiti.

Come le barche, anche il nostro animo di "marinai" occasionali disarma e con le auto ce ne andiamo a cenare in una trattoria. Non sappiamo che ci attendono le ore più sofferte di tutta la crociera. Lampi e tuoni ci inducono a rompere l'indugio che avremmo voluto concederci sorseggiando un ultimo bicchiere di rezina.

Mentre accorriamo alle barche si è levato un gran vento che alza turbini di polvere. Giunti al porticciolo ci si presenta uno spettacolo poco tranquillizzante: i due Evolution, ma specialmente il mio, sono stretti, quasi oppressi, tra le altre barche all'ormeggio senza equipaggio. Le barche sono ormeggiate di poppa ad una banchina, con a dritta il centro della baia interna di Volos. In testa alla banchina è ormeggiata una pesante barca a motore di legno, seguono Koala, un vecchio sloop in vetroresina, probabilmente francese, che ha l'aria di aver navigato tutti i mari del mondo, la mia barca ed una pilotina; la barca di Gianni chiude la fila. Sistemare la barca del mio amico è presto fatto, mollato il traversino sopravento, si allarga ed è fuori pericolo. La mia, invece, è stretta tra le due contigue e sospinta con la poppa contro la banchina. Resi e Serena cercano di frenare la violenza degli urti, Gianni, Mario ed io, coadiuvati da Leone cerchiamo di architettare un rimedio alla precaria situazione.

Il vento che soffia con almeno forza sette, solleva nel breve tratto di mare e nel giro di qualche minuto, una ripida onda, corta e nervosa.

Le vecchie e logore cime che reggono la poppa della motobarca, date volta ad una bitta lontana, sfregano contro lo spigolo della banchina ed in breve si spezzano. A prua tiene solo il corpo morto del barcone a motore, mentre le prue delle altre barche scadono sottovento. Dobbiamo provvedere a mettere in tiro la cima di prua della motobarca e dar volta le cime d'ancora del Koala e della pilotina sul corpo morto della prima. Mollata alquanto la prua della pilotina, si libera un po' il mio Evolution, la mia ancora, però, che a retto anche la spinta del Koala ha arato. Con il battellino, in un momento di relativa calma, la portiamo il più fuori possibile. Comincia poi un lungo lavoro, al buio e tra gli spruzzi, per giuntare gli spezzoni degli ormeggi di poppa della motobarca, per metterli in tiro affinché non scada sottovento. Ci conforta la convinzione che si tratti di una sfuriata intensa, ma breve prodotta dal temporale. Quando sembra che tenda a calare il vento, ce ne andiamo a dormire nelle nostre cuccette.

Non sono ancora riuscito a prendere sonno, che sento rinforzare la danza. Esco per verificare e posso constatare che è ripreso a precipitare giù dal monte Pilion un vento scatenato. Solo più uno dei cavi che avevamo giuntato, regge la poppa della motobarca, gli altri sono tranciati. Do l'allarme e riprendiamo la nostra lotta legando spezzoni e mettendo in tiro, interponendo sfilacci tra le cime ed il cemento ruvido della banchina.

Mi sento sfinito ed ho perso la fiducia di poter ancora salvare la mia barca, mi batto, ormai, solo per inerzia, confortato dalla tenacia dei miei compagni, tanto per non arrendermi.

Dopo ore, essendoci dati il cambio per turni di vigilanza, quasi alle prime luci, il vento si acquieta e possiamo alla fine crollare nelle nostre cuccette.