ALCOOL
La
droga legale è da bere
MILANO, 22 marzo
(M.Mor.) ne uccide più la lingua che la spada, ridiceva nei tempi antichi. Oggi - soltanto oggi? - si può dire che altrettanto di quel composto organico che s’ottiene da sostanze zuccherine per mezzo di un particolare tipo di fermentazione, non sotto il nome di alcool etilico: uccide più della droga.”L‘alcol uccide” insegnava già nel 1950 un documentario francese che porta una firma ora illustrare, Alain Resnais. ”Alcol” era il titolo di un film muto italiano del 1920, e si chiamava così da noi ”Come Fil the Cup” (1951), film americano di Gordon Douglas con James Cagney nella parte di un giornalista alcolizzato.
Con la doppia ”o” alla francese, ”Alcol” è il titolo di un film di 110 minuti a colori di Augusto Tretti, realizzato per conto della provincia di Milano e presentato avant’ieri in anteprima nella sala della provincia in via Corridoni. C’è stato qualche incidente di proiezione che ha fatto uscire dai gangheri l’emozionatissimo autore (Lassù in cabina - insinuò un maligno - qualcuno deve aver bevuto…) Ma alla fine il publico - più di 300 invitati - ha tributato al film un caldo applauso, per non dire delle risate e risatine che hanno accolto le invenzioni più spiritose, i momenti più buffi, le frecciate satiriche più aguzze.
Quello che il veronese Augusto Tretti (La legge della tromba, Il potere), regista eccentrico ha fatto su commissione della Giunta provinciale è un film sulla droga legale. I dati forniti sul ministero della sanità parlano chiaro: nell’Italia del nord i ricoveri in ospedale psichiatrico occupano il40/50% del totale, e dal 1958 al 1974 sono aumenti del 300%; negli anni 60 le morti per cirrosi epatica sono aumentate del 76%. Secondo calcoli approssimativi, quattro milioni di italiani sono alcolizzati anche se la definizione di quell’avverbio ”praticamente” appare assai incerta.
In un’intervista dell’ottobre scorso domandano a Tetti quanto ci fosse di suo in (Alcool) il 10% rispose. Visto il film dobbiamo dire che questa risposta peccava per eccesso di modestia. Di Tretti in "Alcol" c’è molto di più, è vero che il suo film ha espliciti scopi informativi, dimostrativi e didattici. Con un’espediente da inchiesta televisiva Tretti è ricorso, come filo conduttore del discorso, a un quartetto di addetti ai lavori (psichiatra, psicologo, sociologo, antropologo) che dissertano sulle componenti psicologiche del fenomeno, sulle cause sociali, sui suoi effetti, è forse la dimensione più debole di “Alcool” ma, come diceva Ennio Flaviano, anche nei film realizzati in proprio Tretti fa un film didascalico da sillabario, vuol dire una sua idea della società attraverso una comicità fantastica e iperletteraria che rimanda a Jarry (ubo re)da una parte, alle vignette di Milano Maccari dall’altra .
”Alcool”guadagnerebbe, secondo me, in efficacia e in divertimento se fosse limitato, asciugato, potato. Se il suo autore avesse il coraggio, pur versando lacrime amare sul pavimento della sala di montaggio, di ridurlo di 15-20 minuti ”Alcool” potrebbe trovare una distribuzione più capillare, e perciò un pubblico più vasto. La provincia ha investito 200 milioni in ”Alcool”. Sono soldi bene spesi? La risposta dipendente, a mio avviso dal modo e dalla misura in cui si cercherà un pubblico che lo veda e lo discuta.