BREVE STORIA DELLA CHIESA DI VALMAGGIORE

di  Lorenzo Raspanti

 

Il toponimo di Valmaggiore, 698 metri  s.l.m., pare sia pervenuto alla località da una preesistente torre di segnalazione romana del basso impero – vallum major – collegata a vista con altre torri nella Pianura Padana e sull’Appennino. Poco lontano, a est, nel 552 d.C. Totila, re degli Ostrogoti e flagello di Dio, sconfisse un esercito bizantino inviato da Ravenna e proseguì attraverso i monti su Fiesole e Firenze che distrusse.

 

Nel medioevo, in epoca non definita, sull’altura di Valmaggiore sorse un piccolo castello fortificato sulla strada dei monti che conduceva in Toscana, collegata a vista coi castelli di Monte Battaglia (ruderi restaurati), della Paventa, di Tirli e della Bastia, tutti sullo stesso crinale, dei quali ultimi restano solo esigue tracce segnalate sui percorsi del CAI di Imola. Pare che questa via fosse già conosciuta dagli Etruschi. Le tracce del castello di Valmaggiore sono individuabili sul tumulo accanto alla chiesa.

 

Intorno a questo castello fiorì un minuscolo “comune”, citato la prima volta nel 1265 con “fumanti XVI” (camini) in un estimo del contado “supra stratam” di Imola a cui giurò fedeltà l’anno 1292. Nella stessa circostanza, il castello di Osta – su Monte Guasteto, più in basso – che si rifiutò di giungere, fu distrutto dalle fondamenta dagli armigeri imolesi.

 

A quel tempo Valmaggiore apparteneva a Maghinardo da Susinana, “il lioncel dal nido bianco”; un secolo dopo era degli Ubaldini, i fieri feudatari del Mugello confinante; poi appartenne agli Alidosi di Imola, ai Manfredi di Faenza, a Galeazzo Sforza di Milano, a Caterina Sforza, al Duca Valentino, al Comune di Imola e infine al comune di Fontanelice, nello Stato della Chiesa, sotto cui rimane fino al 1797 quando, con la Rupubblica Cisalpina, cessò la sua esistenza di “comune” e fu aggregato direttamente a Fontanelice e più tardi nel 1817 a Castel del Rio.

 

Nel 1472, il commissario di Imola per conto di Galeazzo Sforza, Nicola di Scipionio, così scriveva al suo signore di Milano:

 “…Valmaggiore è un casteleto de meno importanza cum una turre in mezzo, posto in cima d’una collina; fa circha homini LX et loro medesimi hanno guardati dicto fortezza … e gli stanno dentro de nocte tri homini et de dì uno o dui …”.

 

Non sappiamo quando il complesso architettonico di chiesa, campanile e canonica sia sorto, né come attraverso i secoli sia stato modificato e ampliato fino alle dimensioni che ci sono pervenute. Alcune relazioni sui beni ecclesiastici della parrocchia del secolo scorso fanno risalire la prima chiesa – forse una cappella – intorno all’anno 1000, dedicata a S. Maria Assunta, e ne citano un’altra più in basso dedicata a S. Giacomo, scomparsa intorno al 1571 di cui rimane il toponimo di “Chiesuola”. Nelle stesse relazioni si accenna ad una ristrutturazione della chiesa nel 1828 e al rifacimento dell’altare maggiore e dei due minori laterali nel 1895.

 

Il 19 ottobre 1506 Valamggiore vide uno spettacolo mai visto, né prima né dopo, su questi monti. Gli abitanti delle due valli accorsero quassù per inginocchiarsi al passaggio del papa Giulio II che proveniva da Palazzuolo sul Senio ed era incamminato a cacciare i Bentivoglio da Bologna. Il papa – dicono gli storici – cavalcava una mula bianca sontuosamente bardata, era preceduto da una “chinea” col SS. Sacramento e una lampada accesa e seguito da cardinali, da gentiluomini e da una buona scorta armata. Sulla facciata della chiesa ora è ritornata una lapide a memoria di quell’evento storico.

 

Questa chiesa, nei secoli, seguì le sorti del suo castello come luogo di aggregazione religiosa, economica e sociale dei contadini del comune e fu un costante punto di riferimento per i viandanti sulle vie insicure dei monti, ai quali poteva offrire asilo e ristoro in virtù di antichi lasciti della pietà cristiana, rimasti tradizione fino agli ultimi parroci. Analogamente, in epoca medievale, esistette un “hospitale” a Cestina nella valle omonima, poco distante. E quando nel ‘500 il castello scomparve, come quasi tutti i castelli dei nostri monti, la chiesa gli sopravvisse acquisendo maggiore importanza nella vita del piccolo comune.

Negli archivi della Diocesi di Imola è conservato l’elenco dei Sacerdoti che ressero questa parrocchia nei secoli: nell’isolamento culturale di questi monti, essi furono uomini emeriti nella guida spirituale e materiale del loro popolo. Ne ricordiamo gli ultimi vicino a noi, la cui memoria è ancora nel cuore di molti:

-         Don Francesco Gardenghi

-         Don Aristide Samorini

-         Don Serafino Donatini.

 

La chiesa di Valmaggiore, nei secoli, è stata testimone di tanti eventi storici. I più drammatici, sicuramente, furono quelli dell’autunno 1944, quando la guerra portò su questi monti reparti tedeschi, formazioni partigiane e reggimenti alleati che, dopo combattimenti frammentati su varie quote, si scontrarono nell’epica battaglia sanguinosissima di Monte Battaglia; e a Valmaggiore in poche settimane transitarono o sostarono sotto le granate oltre diecimila uomini, ognuno col suo carico di fatiche, di dolore, d’odio e di paura. La chiesa, con la sua vasta canonica, per gli uni e per gli altri fu ricovero, albergo e ospedale. Nella canonica di Valmaggiore – Parroco don Gardenghi – nei mesi torbidi che precedettero il fronte avevano trovato generosa accoglienza alcuni giovani imolesi, sfuggiti ai rastrellamenti tedeschi in città.

La notte fra il 28 e il 29 settembre qui bivaccarono anche due compagnie di partigiani della 36° Brigata “Garibaldi” che defluivano verso le retrovie, dopo gli aspri combattimenti su Monte Battaglia a fianco degli americani per circa due giorni, un episodio che assunse un altro significato politico e militare.

 

Nel censimento del 1951 la parrocchia di Valmaggiore registrò 187 abitanti con 36 famiglie, sparse nei casolari sui versanti del  Santerno e del Senio. Ma nel decennio della rivoluzione industriale che seguì, qui avvenne un improvviso esodo in massa verso la pianura e la città che lasciò deserti campi, case e chiese. Così, in pochi anni, la chiesa con la canonica accanto e le casi dei contadini, lasciate alla totale incuria, furono aggredite dagli agenti atmosferici e caddero in completa rovina. Verso il 1980 il Corpo Forestale dello Stato portò la strada rotabile fino a Valmaggiore; e per sicurezza, gli ultimi muri della canonica cadente furono abbattuti.

Oggi, la risvegliata cultura delle nostre radici, la contemplazione serena di una natura quasi intatta che porta su questo monte tanti escursionisti, e la convinzione che ai giovani fa bene l’antico, hanno mosso uomini di buona volontà al salvataggio dei muri secolari della chiesa di Valmaggiore, ricca di storia e di memorie, perché vivano ancora come un monumento alla civiltà contadina e alla Fede semplice degli uomini e delle donne che qui, per secoli, trovarono conforto e speranza nell’asprezza della loro vita.

 

Il recupero delle rovine della chiesa di Valmaggiore è stato progettato dall’Istituto per il Sostentamento del Clero di Imola con un piano di massima presentato alla “Soprintendenza dei Beni Ambientali e Architettonici dell’Emilia” nell’autunno del 1996, che proponeva la realizzazione di opere finalizzate al ripristino di alcuni elementi strutturali dell’edificio collabente per salvaguardare il fabbricato dalla rovina totale. Il progetto approvato dall’Intendenza prevedeva la realizzazione delle opere in due fasi di intervento.

Il primo intervento è quello attuato.

Il secondo è rinviato a quando sarà disponibile un ulteriore copertura finanziaria. I lavori di primo intervento, terminati nella primavera del 1997, sono stati eseguiti dalla ditta Paolini di Castel del Rio con maestranze locali.

 

Hanno voluto il recupero dei ruderi di Valmaggiore la chiesa imolese e il suo Vescovo, Mons. Giuseppe Fagiani, con l’approvazione e l’impegno della “Soprintendenza dei Beni Ambintali e Architettonici dell’Emilia – Bologna”. Il Comune di Castel del Rio ha facilitato l’esecuzione del progetto. La Comunità Montana Valle del Santerno ha curato la strada di accesso a Valmaggiore.

 

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