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Ultimo aggiornamento 12 maggio 2008


CIRCOLO CULTURALE "Umberto Terracini"
Via San Liborio, 71
NAPOLI


Unire i Comunisti

Per un’alternativa anticapitalista

Assemblea pubblica

Giovedì 15 maggio 2008 – ore 17

Sala Multimediale del Consiglio Comunale
Napoli Via Verdi

Intervengono

Sergio CARARO
Direttore rivista Contropiano

Luigi IZZO
Movimento per la costituente dei comunisti

Sergio MANES
Casa editrice “La Città del Sole”

Franco MARANTA
Segreteria regionale P.d.C.I.

Gianluigi PEGOLO
Direzione nazionale P.R.C.

Marco RIZZO
Europarlamentare P.d.C.I.

Circolo Culturale Umberto Terracini




ULTIMA INIZIATIVA PUBBLICA
Venerdì 29 giugno alle ore 17.00 presso la sede della Municipalità in Piazza Dante incontro sul film di Nanni Loy "Le Quattro Giornate di Napoli" organizzato dall'Associazione Culturale "Umberto Terracini" di Napoli



Rara locandina del film








dal SITO A.N.P.I.
Le Quattro Giornate di Napoli
“LE QUATTRO GIORNATE DI NAPOLI” UN CAPOLAVORO DI NANNI LOY
di Antonio Frattasi

“Le Quattro Giornate di Napoli”, uno dei film più noti e belli di Nanni Loy, fu girato nel 1962, su soggetto di Vasco Pratolini, Massimo Franciosa, Pasquale Festa Campanile e lo stesso Loy, sceneggiatori della storia insieme con lo scrittore napoletano Carlo Bernari. La pellicola, che sì inserì con originalità ed in maniera particolarmente significativa nel filone del cinema sulla Resistenza , riscosse, al suo apparire nelle sale, pur tra qualche polemica, un vasto consenso di pubblico, ed ottenne lusinghieri giudizi da parte della critica, che ne lodò la sapiente regia, ne apprezzò la solida struttura narrativa e l’epica drammaticità delle immagini.
Nei decenni successivi, il film fu proiettato più volte, sia in occasione delle celebrazioni per il 25 Aprile, sia per ricordare l’insurrezione napoletana del settembre 1943; e l’attenzione degli spettatori non venne mai meno, soprattutto tra il pubblico più giovane. Prodotta dalla Titanus del leggendario Goffredo Lombardo, l’opera ricostruisce, con grande passione civile, le giornate di impari lotta tra il popolo napoletano, stremato dalle sofferenze e dai patimenti di una guerra lunga e scellerata, e le truppe naziste. Loy descrive, con la precisione e l’accuratezza di uno storico, ciò che accadde a Napoli tra il 28 settembre ed il 1 ottobre 1943, il sacrificio dei giovani e giovanissimi, la dura presa di coscienza dei militari di fronte al dissolversi dello stato, l’impegno degli intellettuali, la rabbia della tanta gente semplice.
I molti attori, italiani e stranieri, che parteciparono alla realizzazione del film, ne vollero sottolineare la straordinaria coralità, e con un gesto semplice ma significativo, chiesero alla produzione di omettere la citazione dei loro nomi dai titoli di testa e di coda della pellicola. Spiccano, per l’intensità della recitazione,le interpretazioni di Gian Maria Volontè (il capitano Stimolo,che guida gli insorti), di Lea Massari, di Frank Wolff, di Jean Sorel (il marinaio toscano fucilato dai nazisti), di Enzo Turco ( bravissimo in un ruolo, per lui insolitamente drammatico), di Aldo Giuffrè (il sottufficiale di Marina che muore combattendo, sognando di poter presto tornare nella sua Sorrento per abbracciare il figlio appena nato ), di George Wilson (il direttore del riformatorio), di Franco Sportelli (il professore antifascista, ispirato alla nobile figura di Antonino Tarsia in Curia, uno dei protagonisti della lotta di Liberazione a Napoli, molto attivo nel quartiere Vomero), di Regina Bianchi (la madre del piccolo Gennaro Capuozzo), di Carlo Taranto e Luigi de Filippo; e le apparizioni, in brevi sequenze, di Pasquale Fiorante, di Enzo Cannavale, di Pupella e Rosalia Maggio, di Eduardo Passarelli, di Gino Maringola, di Rino Genovese, di Nello Ascoli, di Enzo Petito, di Enzo Vitale. Un film corale, quindi, in cui protagonisti assoluti sono il popolo napoletano, e la città con le sue piazze, i suoi vicoli, le sue strade, i suoi palazzi ed i suoi bassi.
Nanni Loy non ricostruì gli ambienti in studio, ma preferì coraggiosamente girare tutte le scene, anche quelle tecnicamente più difficili, nel dedalo di vie intorno a Piazza Carlo III, in una stazione della Funicolare di Montesanto, alla Sanità, a Piazza San Luigi, ai Ventaglieri, a Largo Tarsia, a Salita Pontecorvo, a Vico Rosario a Portamedina, al Rettifilo. Le sequenze più drammatiche sono accompagnate dalla suggestiva colonna sonora scritta dal maestro Carlo Rustichelli, la struggente “tarantella tragica”.
“Le Quattro Giornate di Napoli”, per giudizio unanime della critica e del pubblico uno degli autentici “cult movie” del dopoguerra italiano,è un film spettacolare, ricco di pathos, ben recitato e diretto,e conserva, ancora oggi, tutto il suo vigore espressivo ed il suo valore etico, costituendo una preziosa testimonianza storica per le generazioni future. Vorrei concludere con un ricordo personale.
Nel 1962, quando il film fu realizzato, avevo dieci anni, ed abitavo nei pressi di Via San Cristoforo all’Olivella, dove Loy aveva scelto di girare una scena molto movimentata: alcuni marinai italiani, inseguiti da soldati tedeschi, cercano una possibilità di fuga, e corrono disperatamente. Una grande folla di curiosi si era subito radunata intorno alla troupe, che faticava non poco per tenere lontano dal set donne del popolo e ragazzi. Ero piccolo, ma già abbastanza appassionato di cinema, e non ebbi alcuna esitazione a scendere in strada per poter seguire da vicino le riprese (forse anche nella segreta ed ingenua speranza di poter fare da comparsa, ma, purtroppo, non avevo la faccia dello scugnizzo).
Ero emozionato e trepidante, e ricordo che mi sorpresero non poco la pazienza ed il rigore professionale di Aldo Giuffrè, che, con altri attori e figuranti, ripeté più volte instancabilmente l’azione.
Improvvisamente, ebbi la sensazione che quella finzione scenica fosse realtà, che quei militari davvero fuggissero da un pericolo imminente e grave, mi sentii stranamente catapultato in una dimensione temporale coeva agli eventi storici narrati nel film, e fui preso da una forma di leggero stordimento, che scomparve non appena udii la voce di mia madre alle mie spalle.
Sono passati, ormai, più di quaranta anni da quel giorno, ma quando assisto alla proiezione del film di Loy mi torna immediatamente alla memoria il ricordo di quella strana sensazione provata da bambino, ed avverto sempre un forte coinvolgimento emotivo.
(napolichespettacolo.it)






«Le mani sulla città», ecco perché non è un film ideologico

Data di pubblicazione: 05.07.2007

Autore: Frattasi, Antonio

Dal Corriere del Mezzogiorno, 5 luglio 2007

Caro direttore, in alcuni capitoli del suo recente e stimolante saggio, L'altra metà della storia, nell'analizzare le vicende relative allo sviluppo urbanistico di Napoli, lei fa più volte riferimento al famoso film di Francesco Rosi «Le mani sulla città», osservando che esso contiene un tendenzioso atto di accusa al laurismo, perché ingigantisce le responsabilità del sindaco, degli amministratori locali monarchici e del gruppo dirigente laurino, mentre esalta, nel contempo, l'azione dell'opposizione comunista e attenua le pur esistenti corresponsabilità, in operazioni speculative, dei governi democristiani dell'epoca.
Non mi convince la tesi che «Le mani sulla città» possa essere ritenuto un film comunista e contemporaneamente reticente nell'indicare i misfatti democristiani, e anche se la critica cinematografica — compresa quella di sinistra — lo giudicò espressione del «realismo socialista» proprio della cultura togliattiana, esso non lo fu affatto. «Le mani sulla città», uscito nella sale nell'autunno del 1963, fu girato quando il sistema laurino di potere era ormai al tramonto, quando gran parte dell'elettorato monarchico andava disperdendosi per dirigersi verso altri lidi; e militanti di base, segretari di sezione, consiglieri comunali e amministratori, che erano stati al fianco del Comandante per tutto un decennio, avevano già preso le distanze dal loro leader, abbandonandolo e aderendo ad altre formazioni politiche (principalmente la Democrazia cristiana, ma anche qualche partito della sinistra moderata). Per queste ragioni, il film di Rosi guardava al laurismo come a un fenomeno che andava esaurendosi, ma i cui metodi e sistemi di potere potevano invece sopravvivere ed essere utilizzati, forse con maggiore abilità e spregiudicatezza, dai nuovi gruppi dirigenti che andavano a occupare il posto di quelli usciti di scena.
Nel film di Rosi, le forze politiche in lotta, nel consiglio comunale e in città, sono tre: la destra monarchica di Maglione, magistralmente interpretato da Guido Alberti, che è il vero capo della maggioranza, sicuramente più dello scialbo sindaco (che, a dire il vero poco ricorda la figura di Lauro); all'opposizione, il centro di De Angelis (interpretato da Salvo Randone), e la sinistra del consigliere De Vita (Carlo Fermariello). La giunta comunale intende realizzare progetti urbanistici che, a quanto pare, stanno a cuore anche al governo centrale, De Vita li contrasta energicamente, ne svela i torbidi meccanismi, cerca e trova qualche alleato nell'opposizione moderata di centro. Il consigliere della destra Nottola (Rod Steiger), costruttore cinico e arrogante, vuole realizzare l'urbanizzazione di aree della città calpestando leggi e regolamenti, e, per raggiungere i suoi scopi, intende farsi nominare assessore nella giunta che nascerà dopo le elezioni. Ma il partito della destra, che teme una perdita di consensi nella competizione, gli rifiuta la candidatura, ritenendolo, dopo un gravissimo crollo avvenuto nei suoi cantieri, troppo esposto e dannoso all'immagine del partito. Nottola, forte di un grande consenso elettorale, rompe con la destra, e si candida, insieme con altri consiglieri uscenti, nelle liste del centro, e da questa parte politica ottiene l'assessorato al quale tanto ambisce per poter seguire personalmente i programmi urbanistici.
Rosi, La Capria e Forcella scrissero la sceneggiatura e il soggetto del film nei mesi che prepararono la faticosa nascita del primo governo di centrosinistra, formula politica alla quale il regista e gli sceneggiatori di «Le mani sulla città» guardavano con grande simpatia e fiducia. Erano dei riformisti convinti, perché ritenevano l'accordo tra cattolici e socialisti l'unica via percorribile per garantire insieme sviluppo economico, equilibrio sociale, progresso culturale e civile, espansione della democrazia; riponevano maggiori speranze in Moro e la Base, in La Malfa e in Nenni che in Togliatti e in Basso. Ma temevano anche che l'incontro tra democristiani e socialisti (che fu una sfida al Pci), potesse perdere la sua carica rinnovatrice per assumere il profilo di un'operazione trasformistica e sostanzialmente moderata. Si avverte, quindi, in «Le mani sulla città», questa loro preoccupazione, che appare prevalere sulla condanna del laurismo.
A tal proposito risulta illuminante il personaggio del consigliere del centro Balsamo, che, tenace avversario dei metodi di Nottola, quando apprende che lo spregiudicato costruttore sarà candidato nella sua stessa lista, minaccia di ritirare la propria candidatura; mentre il nuovo sindaco, l'astuto De Angelis, riesce, con sapienza tutta dorotea, a garantire nuovi equilibri e accordi politici con la destra, ammorbidisce le posizioni dei suoi amici di partito moralmente più intransigenti, si adopera per stemperare i contrasti, assume la regia delle operazioni speculative.
Quindi, possiamo dire che il vero personaggio «diabolico» nel film di Rosi, è il nuovo sindaco, non il vecchio. E infine, anche la figura di Nottola è meno negativa di quel che può apparire: gli sceneggiatori, infatti, disegnano un profilo del costruttore dal quale emergono sicuramente la rapacità sociale e la spregiudicatezza, ma anche il dinamismo, l'intuito, l'intelligenza, la prontezza a comprendere i processi sociali.
Forse, se inserito in un diverso contesto ambientale, sembrano dire Rosi e La Capria, Nottola avrebbe rispettato leggi e regolamenti, e si sarebbe comportato in maniera corretta. Ripeto, a mio modesto avviso, «Le mani sulla città» è un film di forte denuncia sociale e di impegno civile, ricorda più certo cinema americano d'inchiesta che non il realismo sovietico, non un è film, insomma, ideologico e tanto meno somiglia a un'opera cinematografica dell'epoca staliniana.

Antonio Frattasi

Circolo culturale Umberto Terracini Napoli





Potete scriverci al seguente indirizzo: virgiliano2002@yahoo.it





BIOGRAFIA DI UMBERTO TERRACINI
DAL SITO DELL'A.N.P.I. (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia)