Da
Fulvio Vassallo Paleologo - ASGI, ICS - 30 novembre
2002
RELAZIONE
SULLA MANIFESTAZIONE E SULLA VISITA AL CENTRO DI DETENZIONE
DI AGRIGENTO.
Il 30 novembre scorso, nell'ambito della giornata nazionale
contro i centri di permanenza temporanea in Italia,
si è svolta una manifestazione indetta dalle
associazioni e dai movimenti antirazzisti siciliani,
oltre che dall'Osservatorio agrigentino sull'immigrazione,
con un presidio davanti al centro di detenzione sito
in Contrada San Benedetto, nella zona industriale di
Agrigento.
Dopo un fax della Prefettura, che il giorno prima vietava
l'ingresso della delegazione che era stata richiesta
da una settimana, l'unica persona che ha potuto fare
ingresso nel centro è stato il deputato regionale
Lillo Miccichè, del gruppo Sicilia 2010. L'offerta,
giunta all'ultimo momento, di fare entrare anche il
sottoscritto veniva respinta perché non corrispondeva
alla richiesta di una delegazione vera e propria avanzata
in precedenza.
Durante la visita, svolta quindi dal solo on. Miccichè,
si è potuto constatare un netto peggioramento
rispetto a precedenti visite e la condizione di totale
invivibilità della struttura: per il mancato
funzionamento degli scarichi il pavimento dei gabinetti
ed i corridoi adiacenti erano cosparsi di feci ed il
fetore risultava dappertutto nauseabondo. Tutto ciò
si aggiungeva ad una situazione di totale promiscuità
tra immigrati di religioni e provenienze geografiche
molto differenti, costretti a condividere celle piccolissime,
costruite a celo aperto, con semplici divisori in cemento,
all'interno del capannone e separate dagli altri locali
con semplici teli.
Efficace soltanto il servizio di videosorveglianza interna,
e l'attenzione delle forze dell'ordine nel seguire i
movimenti dell'unico visitatore, al punto che dopo le
prime riprese effettuate dall'On. Miccichè, che
si era portato dietro una propria videocamera, questa
gli veniva sottratta ed erano rimosse dal nastro le
sequenze registrate dopo l'ingresso. Evidentemente non
si voleva che fossero documentate le condizioni di invivibilità
della struttura, dove si era peraltro registrato, qualche
giorno prima un tentativo di rivolta.
L'on. Miccichè ha comunque potuto parlare con
alcuni immigrati, raccogliendo storie ormai
" quotidiane" di diritti negati e di speranze
tradite. Le donne, in particolare quelle provenienti
dai paesi dell'est, apparivano rassegnate al loro destino.
A loro almeno era riservato un trattamento igienico
sanitario più dignitoso, anche perché
i locali nei quali erano trattenute erano più
piccoli e meglio attrezzati. Presenti anche due donne
rom, provenienti dal campo di contrada Casena, una discarica
a cielo aperto alla periferia di Agrigento, con numerosi
figli nati in Italia, rimasti soli al campo. Anche dal
punto di vista legale la situazione appariva gravissima
in quanto alcuni immigrati trattenuti nel centro lamentavano
di volere chiedere asilo e di non avere potuto presentare
la relativa domanda. Nessuna delle donne provenienti
dai paesi dell'est, presumibilmente vittime del traffico
della prostituzione, e trattenute nella sezione femminile,
avevano fatto richiesta di permesso di soggiorno per
motivo di protezione sociale. Tra gli uomini risultava
più alta che in passato la percentuale di "ospiti"
provenienti dal carcere, anche da istituti di pena di
altre regioni italiane, questo come effetto visibile
delle prime settimane di applicazione della legge Bossi-
Fini.
Il raddoppio dei tempi di trattenimento ( da trenta
a sessanta giorni) introdotto dalla nuova legge produceva
i suoi primi effetti: all'interno del centro la tensione
era cresciuta enormemente per la prospettiva di una
carcerazione così lunga. La effettività
delle espulsioni, già modesta ( meno della metà
dei trattenuti viene poi accompagnata effettivamente
in frontiera), in questo quadro è destinata a
dimezzarsi ancora. Sofferenze umane indicibili, costi
di gestione sempre più elevati, negazioni dei
fondamentali diritti di difesa ( a partire dalla consueta
mancanza di interpreti) caratterizzano il nuovo business
della detenzione amministrativa ma non aumentano la
effettività delle espulsioni.
Nel frattempo i manifestanti rimasti all'esterno del
muro di cinta alto più di sei metri dopo avere
scandito slogan rivolti agli immigrati in italiano ed
in arabo, hanno deciso di recarsi davanti alla Prefettura
di Agrigento per chiedere la immediata chiusura del
centro, anche a causa delle gravissime condizioni igieniche
riscontrate.
Mentre il presidio si trasferiva davanti all'ingresso
della Prefettura di Agrigento, temporaneamente vuota,
al di là del piantone all'ingresso, l'on. Lillo
Miccichè ed il sottoscritto chiedevano di incontrare
il Prefetto.
Dopo circa mezz'ora arrivavano il Prefetto, il Questore
ed il Comandante provinciale dell'Arma dei Carabinieri.
Nel corso del successivo incontro il Prefetto ci comunicava
che, a seguito dei disservizi già verificatisi
nella gestione del centro, non era stata più
rinnovata la convenzione con la Croce Rossa e che il
centro era gestito adesso dalla Misericordia, una associazione
già entrata in questo ultimo anno in altri centri
italiani prima gestiti dalla Croce Rossa, come quello
di Lampedusa. Il Prefetto si limitava quindi a promettere
una indagine interna per accertare se la condizione
schifosa dal punto di vista igienico da noi lamentata
fosse un fatto eccezionale, o derivasse invece da guasti
strutturali.
Il Prefetto aggiungeva che era in stato avanzato un
progetto per la ristrutturazione del centro di San Benedetto,
e che ulteriori stanziamenti sarebbero stati destinati
dal Ministero per la costruzione di un nuovo centro
di trattenimento, anche se non sapeva se in provincia
di Trapani o di Agrigento.
In realtà appariva certo dalle sue parole un
coinvolgimento ancora maggiore di quelle associazioni
che già da tempo collaborano con la Prefettura
di Agrigento per gestire i centri di trattenimento.
Prospettiva questa particolarmente preoccupante, anche
alla luce delle passate esperienze, adesso che si profila
il nuovo "business" dei centri di identificazione
per richiedenti asilo, strutture che rischiano di realizzare
compiutamente anche nel nostro paese quella "privatizzazione"
della detenzione che già è stata tristemente
sperimentata in altri paesi europei.
Noi abbiamo chiesto la chiusura immediata della struttura
detentiva ( impropriamente chiamata dalla stampa centro
di accoglienza) di San Benedetto per le gravissime condizioni
igieniche riscontrate, ma ci è stato risposto
che questo non sarebbe stato possibile per non compromettere
la complessiva politica di contrasto dell'immigrazione
clandestina nel nostro paese, attesa la funzione strategica
del centro di detenzione di Agrigento e la sua ubicazione
nell'area di massima frequenza di sbarchi clandestini
( già ottomila sbarchi quest' anno, soltanto
da Lampedusa ed altri sulle coste agrigentine).
Lo stesso Prefetto sembrava prendere atto della ineluttabilità
dei flussi migratori clandestini, anche quando si inasprissero
ancora le sanzioni già vigenti, e proprio nelle
ore del nostro colloquio si registrava l'ennesima strage
di "clandestini" al largo delle coste libiche.
Abbiamo comunque ribattuto la incongruità della
scelta di rinchiudere in una simile struttura immigrati
in attesa di espulsione provenienti dalle carceri di
altre regioni, ed abbiamo lamentato il mancato riconoscimento
del diritto di accesso alla procedura di asilo, già
rilevato in precedenti occasioni, e percepito anche
da altre Questure italiane che hanno accolto successivamente
istanze di richiedenti asilo trattenuti nei centri di
detenzione di Agrigento e Lampedusa senza avere la possibilità
di chiedere asilo.
Rinnoviamo per questa ragione a tutte le agenzie umanitarie
ed all'ACNUR la richiesta di verificare periodicamente
con proprie delegazioni le condizioni di trattenimento
dei "clandestini" rinchiusi nei centri di
detenzione di Agrigento e Lampedusa, soprattutto adesso
che la nuova normativa prevede percorsi detentivi differenziati
anche per richiedenti asilo già ammessi alla
procedura, stabilendo commissioni decentrate e procedure
abbreviate; ed assegnando impropriamente al Prefetto,
autorità amministrativa, e non al magistrato,
il compito di decidere sulla sospensione dell'accompagnamento
coattivo nei ricorsi contro le espulsioni pronunciate
(a seguito del diniego di asilo) con una istruttoria
sommaria dalle nuove commissioni decentrate.
Continueremo a seguire la situazione dei centri di permanenza
temporanea siciliani, ed a promuovere visite che consentano
un monitoraggio permanente della condizioni degli immigrati
che vi sono trattenuti. Auspichiamo che dopo le visite
svolte in queste settimane in tutti i centri di detenzione
italiani, vi sia una più forte presa d'atto da
parte dei movimenti e dei partiti della tragicità
e della complessiva portata della questione immigrazione,
con un impegno meno sporadico che in passato, per il
pieno riconoscimento del diritto di asilo e dei diritti
fondamentali dei migranti.
Fulvio Vassallo Paleologo
ASGI - Associazione studi giuridici sull'immigrazione
ICS - Consorzio italiano di solidarietà
|