IL TRENO E MARIA TREBIGOLI
 

Il treno correva lungo i binari verso la Centrale. Sapevo che di lì a poco avrebbe attraversato il mio quartiere. E come ogni volta la mia mente si riempì ricordi. Tempo fa scrissi che avrei continuato a raccontare qualche episodio della mia fanciullezza, forse è arrivato il momento,
in questo pomeriggio.
Per tutta la scorsa notte gli elementi hanno infuriato sopra le nostre teste e l'acqua,
stufa di cadere sola, si è fatta accompagnare dalla terra del deserto.
Ero in branda questa notte, mentre ciò accadeva, ma il pensiero era ancora su quel treno che presi avantieri. Anche ora la mente mi porta sul quel sedile e mi vedo sbirciare famelico dal finestrino, come se volessi divorare i ricordi.
Gli alberi sfrecciavano con le fronde mosse dal vento causato dal convoglio. Ed ecco l'ospedale Maggiore di Niguarda, con i suoi muri bianchi. Si potrebbe scrivere più di un libro su di esso, è enorme, pieno di palazzi e padiglioni costruiti originariamente da Mussolini.
E' una città dentro una città. Una città purtroppo intrisa di dolore e morte. Lo conosco bene, sapevo persino entrare con l'auto, corrompendo le guardie. Ma per fortuna il treno corre ed ecco
sopraggiungere la scuola dove mi sono diplomato senza neanche troppa fatica, Cinque anni di assoluta ignoranza, libri ancora nuovi, quasi mai aperti. E libri vecchi strappati, non perché gli avessi consumati io, bensì perché gli avevo comprati usati al mercatino della Statale, l'università. Cinque anni in una scuola maschile, dove gli ormoni inappagati facevano a botte con la solitudine di un ragazzo che non studiava mai, non ne aveva la forza. Ma il treno inarrestabile continuava la sua corsa sopraelevata. Si, per chi non lo sapesse, la ferrovia in città corre su delle massicciate che incrociano strade e viali passando sui ponti. Da ragazzo giravo molto, ero sempre in strada, dapprima a piedi, poi in bici e dopo in motorino. Ma a piedi, spesso mi recavo su quei binari, per gioco, come una stupida sfida. Quante monete schiacciate dai binari, quanti chiodi divenuti scimitarre.
La scarpata che fiancheggia questo tratto di strada ferrata ospita una fitta vegetazione. Da ragazzi costruivamo le capanne tra quelli arbusti e spesso ci ferivamo con le ortiche o le spine dei rovi. Un giorno, vicino ad un campo incolto, trovammo persino una vipera. Ma ecco, ora sto attraversando la via dove sono nato, una squallida via di periferia, dove le fabbriche attaccate alle case di ringhiera contribuivano a colorare di grigio il cielo.
La mia casa natia invece era una villa, perché mio padre possedeva una piccola officina meccanica eredità di famiglia. Ma di casa mia non ne voglio parlare. Piuttosto mi è venuta in mente una piccola leggenda del quartiere, una leggenda che da piccolo mi faceva paura.
Lungo il sentiero che costeggiava il tratto di scarpata che dalla mia via portava nel viale parallelo, circa 1000 metri di uno stretto passaggio ricavato tra i muri delle fabbriche e la vegetazione, c'era una caverna. Ed in quella caverna viveva una persona. Per la precisione una donna, una megera. Nel prossimo capitolo se ne ho voglia, scriverò la storia di Maria "Trebigoli".
 
 

Maria "trebigoli"

Ecco la leggenda di Maria detta "trebigoli". A quel tempo vivevo a Milano nella casa natia.
Come ho accennato, era una villa con annesso un cortile che dava sull'officina di mio padre. In quel cortile sono cresciuto tra scarti di fonderia e scarafaggi, uno in particolare: Cleto (per chi se lo ricorda). Appena fui grande abbastanza da scappare dal cancello lo feci e mi ritrovai a giocare in strada tra le auto. La via era triste, circondata da ditte e case popolari. In fondo c'era il ponte sul quale transitava la ferrovia. Tra la scarpata e il recinto di una di queste ditte c'era, e c'è ancora, un sentiero lungo circa un chilometro. La leggenda che circolava allora raccontava che a metà di questo sentiero c'era una caverna dove abitava una megera cattiva. Nei miei incubi di bambino spesso mi ritrovavo a scappare dalle grinfie di questa vecchia strega.
Un giorno, insieme ad un gruppetto di amici, decidemmo di avventurarci sul sentiero per scoprire cosa c'era nel mezzo. In effetti qualcosa di strano c'era, perché ogni tanto vedevamo passare qualche uomo e, del resto, il sentiero era battuto. Un po' per noia, un po' per spirito d'avventura decidemmo di iniziare la perlustrazione alle prime ombre del crepuscolo. E così facemmo. Scavalcammo una pseudo-staccionata che dava accesso alla stradina e piano piano ci avvicinammo alla meta. Il sentiero non era illuminato e quindi ci portammo dietro una torcia elettrica con la quale disegnavamo delle ombre sinistre sui ciottoli. Ad un certo punto scoprimmo qualcosa, il sentiero si allargava e comparve una spelonca. Illuminammo l'antro "maledetto", notando per terra numerose impronte. Di colpo una figura scura avvolta da un mantello comparse dal fondo della grotta. Ed una voce cavernosa ci intimò gridando di andare via. Con i capelli dritti per lo spavento percorremmo quei cinquecento metri di sentiero in un attimo e scavalcando di fretta, convinti che fossimo inseguiti dalla strega, a momenti ruzzolammo giù dalla staccionata.
Ci ritrovammo lontano dal sentiero e guardandoci in faccia, un po' spaventati ma spavaldi, ci dicemmo che saremmo ritornati di giorno, armati di bastone. Nei giorni seguenti il traffico in quel sentiero parve diminuire e dopo circa una settimana, un sabato verso le 11 di mattina ci recammo al sentiero. Così, più tranquilli, arrivammo davanti alla caverna. Di giorno, con la luce, l'aspetto era decisamente meno spaventoso. Si trattava di uno dei ponti della ferrovia costruito ogni tanto lungo la massicciata, ma che non essendo utilizzato, era chiuso. Nessuno quella volta apparve e dopo una breve ispezione ce ne ritornammo sui nostri passi. La sera chiedemmo informazioni ai ragazzi più grandi. "Come???" Chiesero ridendo, "siete andati da Maria Trebigoliiiii??? Ahahahahahahaah! Ma se avete ancora il latte in bocca!". Cominciammo a fare domande ed allora ci spiegarono. Maria Trebigoli, non era una strega (dal nome lo potevamo anche capire prima!) Ma era una prostituta chiamata così perché aveva tre uomini che la proteggevano.
La cosa per noi cessò di avere ogni interesse, anche se mai ci scorderemo quella sera nella quale, illuminata dalla fioca luce di una torcia, una strega ci aveva inseguito.
 

Ary
 
 
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