Antonio Tacconi
Senatore del Regno d'Italia
GdeA

Nato a Spalato, in Dalmazia, il 22 aprile 1880 vi trascorse l'infanzia e la prima giovinezza. Si iscrisse poi all'Università di Innsbruck ove la sua spiccata personalità lo propose come uno dei capi riconosciuti degli italiani di Dalmazia che frequentavano l'università austriaca tra le violenze e le intimidazioni dell'elemento germanico che mal tollerava lo spirito irredentista che animava la gioventù dalmata e istriana che reclamava un'Università italiana (pochi anni prima della sua nascita, nel 1879, due capi del movimento filo-italiano di Dalmazia come Antonio Delbello e Domenico Colombani erano stati proditoriamente assassinati nei dintorni di Spalato).

In questo clima, e dopo gli scontri sostenuti ad Innsbruck, Antonio si convinse sempre più che fosse suo dovere lottare per l'italianità della sua terra natale. Il suo desiderio, come quello di tanti altri dalmati, venne però vanificato dal Trattato di Rapallo del 1920 con cui, alla dissoluzione dell'Impero Austro-Ungarico si assegnava alla Jugoslavia tutta la Dalmazia ex-veneta ad eccezione della città di Zara e dell'isola di Lagosta che vennero invece assegnate al Regno d'Italia.

Frutto di questo trattato fu l'esodo di gran parte dalmati italiani di Spalato, Sebenico, Ragusa e di tante isole e centri minori della Dalmazia. Il Nostro scelse invece di rimanere e di fondare la "Lega Culturale Italiana" e per questa sua attività ottenne "per meriti insigni verso la Patria" la nomina di Senatore del Regno d'Italia.

Nonostante l'ambito riconoscimento Antonio Tacconi preferì restare nella sua Spalato alla guida della sua gente diventata una minoranza vessata nel neo costituito Regno di Jugoslavia dei Karadjiogevic.

Con l'annessione al Regno d'Italia del 1941 Antonio Tacconi si trovò a dover fare i conti con la miope politica fascista con cui, lui da sempre filo-italiano, entrò in contrasto. Erano i tempi dello scontro dei due nazionalismi, quello italiano e quello jugoslavo, e di due ideologie, quella fascista e quella comunista, tutte ideologie che puntavano all'assimilazione di quell'anomalia che era la Dalmazia multietnica e pluralistica retaggio di secoli vissuti sotto le ali del Leone veneto prima e dell'Impero Austro-Ungarico poi. Quest'ultimo infatti, anche se aveva operato una politica filo-slava, almeno a partire dal 1848, aveva consentito all'italianità della dalmazia di sopravvivere.

Se Antonio Tacconi fu inviso ai fascisti lo fu ancora di più ai comunisti jugoslavi che vedevano in lui una figura carismatica da abbattere per eliminare ogni contrasto alla loro definitiva assimilazione della Dalmazia. Politica che colpì anche l'elemento "dalmatino" ovvero gli slavi di Dalmazia che parlavano un dialetto ricco di antichi dalmatismi e di più recenti venetismi e che poco avevano in comune con l'entroterra jugoslavo.

"...nei giorni apocalittici che seguirono al crollo militare dell'Italia, nel settembre 1943 e alla definitiva disfatta nel maggio 1945. L' 11 settembre, il senatore Tacconi, podestà di Spalato, incurante dei pericoli che lo minacciavano, mentre tante altre autorità militari e civili abbandonavano il campo; rimase al suo posto, seppure esautorato, per compiere sino in fondo il suo dovere, verso i suoi connazionali, esposti all'arbitrio dei miliziani che, discesi dai monti, come lupi, in branchi eccitati, percorrevano le strade. In una di queste pattuglie egli incappò,di ritorno,con l'angoscia nell'animo, dal campo delle truppe italiane sbandate. Fu catturato, costretto a seguirla e avviato al Cimitero di San Lorenzo, ch'era divenuto il lugubre teatro delle esecuzioni sommarie degli italiani. Fortunatamente, mentre egli affrontava impavido il suo destino, un capo partigiano di Spalato, che aveva avuto modo di conoscerlo e di apprezzare la sua opera, incontrato il gruppo, lo strappo ai suoi aguzzini e, per salvarlo, gli impose il domicilio coatto nella sua abitazione; mentre i partigiani. all'approssimar­si dei tedeschi, davano sfogo alle loro vendette, ponendo a morte tutti i nostri che erano caduti nelle loro mani.
Partiti quelli, ne i tedeschi, ne gli “ustascia” croati tollerarono la sua presenza e la sua attività invadente, spregiudicata, temendo potesse loro creare complicazioni con l'Italia alleata; sicché lo costrinsero a partire, in una tradotta militare, che Io portò a Trieste, attraverso la. Erzegovina e la Croazia, sconvolte dalla guerriglia dei partigiani serbi e croati che sparavano contro la tradotta, di notte, dal follo dei boschi o dal ciglio delle gole dei monti, così che anche il suo vagone risultò crivellato di palle, al suo arrivo a Trieste, dove lo attendevano trepidanti le sorelle, felici compagne della sua vita. Nè là si interruppe la sua attività, che si volse adesso ad accogliere i profughi di Zara che, attraverso il mare insidiato, affluivano nella città sorella, per dare loro assistenza, coadiuvato nei suoi sforzi validamente dalle autorità locali e istituendo il primo Comitato di assistenza ai profughi, che fu loro d'immenso aiuto e di inestimabile conforto". (1)

Il 5 maggio 1945 Antonio Tacconi si vide quindi costretto a lasciare la sua amata Dalmazia, imitato in questo da tanti altri italiani, per cercare la propria sopravvivenza fisica a Trieste, ma anche lì fu raggiunto dalle armate partigiane di Tito che lo arrestarono e lo rispedirono a Spalato con l'accusa di alto tradimento. La cittadinanza però, memore dei suoi tanti meriti, della sua specchiata onestà e del suo antifascismo, gli dimostrò compatta la propria solidarietà cosa che gli evitò di fare la triste fine di tanti altri dalmati. Antonio Tacconi se la cavò con l'espropriazione di ogni suo bene e con l'espulsione.

Si ritrovò così all'età di sessantasei anni senza mezzi nell'Italia dissestata del dopoguerra. Il suo animo indomito non venne però piegato e continuò la sua opera in favore dei suoi connazionali nell'Associazione Nazionale Dalmata riuscendo inoltre a far istituire presso la Biblioteca del Senato la "Raccolta Dalmata". Solamente la morte, che lo colse il 20 gennaio del 1962 nel quartiere Giuliano-Dalmata di Roma, dove viveva in povertà in una modesta abitazione, pose fine alla sua inesausta opera a favore del popolo dalmata.
 

Gianclaudio de Angelini

(1) Tratto da : "Per la Dalmazia,con amore e con angoscia -  Tutti gli scritti editi ed inediti di Ildebrando Tacconi a cura di Vanni Tacconi"
                       Del Bianco Editore
 
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