Rovigno d'Istria |
città dell'Istria sud occidentale, posta
sulla costa a metà strada tra Pola e Parenzo, a 45° 46' di latitudine
nord e 13° 38' di longitudine est, sorta su di una isola, come altre
città della costa istriana. L'origine del suo nome è tuttora
incerta, alcuni lo fanno derivare dal celtico Ruven, promontorio, altri
dal latino Rubeus (rosso). Ipotesi quest'ultima poco attendibile dato che
tuttora una delle contrade di Monto, il nucleo antico della città,
si chiama Muntalbàn, il che farebbe presupporre che il primitivo
colle si chiamasse Mons Albanus (Monte Bianco) anzichè Mons Rubeus
(Monte Rosso). Il cronista rovignese Antonio Angelini però motivava
questa etimologia, dal rosso del sangue dei martiri cristiani ivi uccisi
per la fede, come riporta un codice del XIII secolo: "Qui rubeus vocabatur,
multorum sanctorum criore". Un'ulteriore ipotesi ne fa derivare l'etimo
da una voce japidica da cui si avrebbe Arupinum. Recentemente il prof.
Mario Doria ha avanzato l'ipotesi forse più convincente: Ruveîgno-Rovigno
non sarebbe altro che la continuazione del patronimico RUFINIUS, con un
esito non infrequente nella toponomastica italiana, vedi Seregno da Serenius;
Ostiglia da Hostilius ecc.
Il primo a citare la città istriana è l'Anonimo Ravennate che, nei suoi itinerari antichi, la riporta con diverse grafie: Ruigno, Ruginio, Rovingo (sic). Nel latino della burocrazia ecclesiastica oltre a Ruginium, è attestata anche la forma Rubinum; mentre nelle cronache in latino del veneziano Dandolo è citata come Rubinium, da cui si la forma italiana Rubinio. Una tradizione leggendaria la vuole rifugio dei profughi romani dell'Isola di Cissa che pare, ma la cosa è assai controversa, fosse allora sede vescovile. Dalle fonti cronachistiche sappiamo che i profughi cissani abbandonarono l'isola a seguito del suo inabissamento nel mare antistante la costa dall'attuale città il 12 luglio dell'800 d.C. Da questa leggenda i canonici di Rovigno, sentendosi i diretti continuatori del fantomatico vescovado cissano, traevano pretesto di portare la veste onorifica detta almuzia o zanfarda. Come recenti scoperte archeologiche dimostrano, per esempio per l'antica storia di Roma, non sempre le leggende si rivelano del tutto prive di un fondamento reale, così è forse anche per la mitica eredità cissana. Del resto negli Annales Bertiniani e nelle cronache del veneziano Dandolo, si dice che nell'800 si ebbero grandi terremoti che sconvolsero l'estuario veneto e proprio all'ottocento la tradizione fa risalire il portentoso approdo sulla costa rovignese dell'arca marmorea di sant'Eufemia, che assai più realisticamente potrebbe esser giunta al seguito dei profughi di Cissa. Le prime tracce di presenza umana nel territorio di Rovigno risalgono al paleolitico superiore e sono state rinvenute nella grotta di San Romualdo nel Canal di Leme, Homo Sapiens Fossilis. Al periodo iniziale dell'età del bronzo risale la cosiddetta Cultura dei Castellieri, apportata dalle ondate migratorie indo-europee. Di queste tipiche cittadelle fortificate nei colli circostanti l'attuale città sono stati scoperti circa una cinquantina di siti: Monrovinal, Montero, Mondelaco, Murazzi, ecc ecc. A partire dall'età del ferro Rovigno fu interessata alla cultura degli Istri popolo che, solo a prezzo di dure lotte, venne alla fine soggiogato al potere di Roma nel 177 a.C. Nell'Impero romano, sotto Augusto, dal 27 a.C., l'Istria fece parte integrante dell'Italia, venendo inclusa nella X REGIO VENETIA ET HISTRIA, con il territorio di Rovigno che partecipava della giurisdizione del municipio di Pola (Tribù Velina) che arrivava sino al Canal di Leme che deve il nome dal latino Limes (confine) visto che vi terminava l'Ager Polense. Il lungo periodo di pace vissuto all'ombra dell'impero romano rese prospera la regione, che già allora era famosa per le sue bellezze naturali. Seguendo le sorti del resto d'Italia, Rovigno subì via via il dominio di Odoacre, di Teodorico re dei Goti e dal 555, con tutta l'Istria, dell'Esarcato ravennate, diventando parte integrante dell'Impero bizantino o Impero Romano d'Oriente. Risulta che dal VI secolo e sino alla metà dell'ottavo, Rovigno versasse all'erario bizantino un tributo annuo di 40 soldi mancosi, quando Parenzo, Pola e Trieste non ne versavano che 60. Dal IX al X secolo, dopo un breve periodo di dominazione longobarda, l'Istria passò sotto il dominio franco. All'epoca della famosa dieta presso il fiume Risano, Rovigno risulta essere una delle principali città istriane. A partire dal X secolo e sino al 1283 fu pressocchè un libero Comune, data la blanda autorità del potere ecclesiastico a cui nominalmente era soggetta. Come libero Comune cercò, anche con le armi, d'ingrandire la sua influenza soprattutto sul mare: ebbe vari scontri d'alterna fortuna con Pirano, Capodistria, col vescovo di Parenzo e con il conte d'Istria. Risale al 1188 il trattato di pace e reciproca amicizia stipulato con la repubblica dalmata di Ragusi o Ragusa, conservato negli archivi di Ragusa-Dubrovnik, città con cui Rovigno aveva notevoli rapporti commerciali. Anticamente la città era cinta da una triplice
linea difensiva che culminava nel Castello di Rovigno, cosa questa che
non gli evitò di subire le scorrerie di avari, slavi e longobardi
nei turbolenti secoli succedutisi alla pax romana, dal VII al X Secolo.
Nel 1563, fu fatto edificare dal podestà veneto un grande arco di
stile toscano con doppi battenti e ponte in pietra, posto di fronte al
breve canale che separava Rovigno dalla costa, e che al calar delle tenebre
veniva sprangato chiudendo la città tra le sue mura difensive. Solamente
duecento anni dopo, e cioè nel 1763, al cessare dei pericoli esterni
e con il crescere della popolazione, il breve tratto di mare che separava
l'isola dalla terraferma venne interrato con la conseguente demolizione
del ponte, che ancor oggi dà il nome a quella parte della città
che congiunge la parte nuova, sviluppatasi nella circostante terraferma,
e quella antica detta Monto. Di una di queste scorrerie, quella avvenuta
l'anno 876 ad opera di Domagoi, capo di un gruppo di pirati croati, troviamo
riscontro in un brano del veneziano Dandolo:
Rovigno inoltre, anche se non citata dalle fonti,
dovette essere comunque più o meno coinvolta nelle scorrerie effettuate
in Istria nel 819 e 842 ad opera dei saraceni e nel 865 e 887 ad opera
dei pirati narentani. A partire comunque dal decimo secolo le condizioni
di vita delle città istriane migliorarono tanto che Rovigno, intorno
alla metà del novecento, in uno slancio di pia vitalità decise
di erigere una nuova e più grande chiesa per onorare la venerata
santa Eufemia, che era diventata la co-patrona della città, a fianco
del primitivo santo patrono S. Giorgio.
Un ulteriore colpo di coda delle perniciose scorrerie slave si ebbe però nel 965, quando: "Terram Rubinensi nomine, quod etiam, heu proh dolor, nuper a nefandis Slavis ac duris barbaris destructum est..". Non vi è quindi da stupirsi se pur essendo nominalmente sotto la potestà ecclesiastica, di volta in volta del patriarca di Aquileia, del vescovo di Parenzo, e di quello di Grado, la città di Rovigno guardasse per la sua incolumità alla vicina e sempre più potente Repubblica di Venezia, l'unica in grado con la sua potente flotta di contrastare validamente tali perniciose scorrerie. Cosicchè, probabimente sin dal 998, Rovigno in qualche modo si era già legata a Venezia per averne protezione, se nel giuramento del 1149, (Archivio di Stato di Venezia: Pacta, Vol I, P. 139; Vol II P. 158), prestato da Rovigno a Venezia, vi è la frase: "Amodo in antea obedire beato Marco". Passata una prima volta a Venezia nel 1267 per poi tornare sotto la potestà patriarchina, la vera e propria dedizione di Rovigno alla Serenissima risale al 14 giugno 1283. In essa si prometteva di accettare per Podestà un nobile veneziano, pagandogli un'annua provvigione di 400 piccioli oltre a fornirgli il vitto e alloggio per sè e per il seguito. Dal 1283 al 1797, Rovigno seguì quindi le gloriose sorti della veneta repubblica di San Marco, partecipando con uomini e vascelli alle strenue lotte che la videro impegnata per il predominio sul Mediterraneo, il pericolo turco ed i pirati slavi. Ne recano testimonianza tre dei suoi capitani che furono insigniti, per i loro meriti in imprese di guerra, dell'Ordine di Cavalieri di San Marco. Nel periodo veneto Rovigno ebbe a patire la famosa scorreria genovese del 5 maggio 1379, in cui tra le altre devastazioni i genovesi s'impossessarono delle spoglie della venerata patrona di Rovigno, Sant'Eufemia, che vennero recuperate in seguito da Venezia una volta vinta la mortale contesa con la sua acerrima rivale. Visto però che i veneziani, noti accaparratori di sante reliquie, non mostravano alcuna intenzione di restituire il corpo, una delegazione di notabili partì per Venezia e tanto fece che alla fine la santa, tra il tripudio dei suoi fedeli, tornò a Rovigno. Nel corso delle guerre tra Venezia ed Austria innescate soprattutto dallo spinoso problema dei pirati uscocchi, Rovigno subì una loro incursione nel 1599. Sotto Venezia l'Istria venne divisa in giurisdizioni municipali, comunali e baronali. Le giurisdizioni municipali, cioè le città, erano quelle di Capodistria, Cittanova, Parenzo e Pola, mentre Rovigno faceva invece parte di quelle comunali con a capo un podestà veneto, coadiuvato dal Consiglio, composto dagli appartenenti al Corpo dei Cittadini o Nobili di Rovigno secondo l'uso veneto. Il regime veneto si dimostrò abbastanza tollerante e non eccessivamente esoso, anche se pretendeva che il monopolio commerciale fosse esclusivamente di Venezia, e tutti i traffici dovessero passare tramite il suo porto, cosa questa che indusse molti rovignesi a dedicarsi, con notevole successo, al contrabbando. Comunque la fedeltà della città a Venezia si dimostrò chiaramente sul finire della vita della gloriosa repubblica del leone quando le dilaganti truppe francesi avevano già occupato le città di Crema, Bergamo e Brescia e stavano per fare la stessa cosa a Verona mentre in Istria si andava diffondendo la voce che la stessa Dominante corresse tale pericolo. A tale eventualità con un moto di fervente patriottismo i rovignesi proposero di accorrere con tutta la lora flottiglia di barche in difesa di Venezia. Tranquillizzati gli animi da notizie più rassicuranti il progetto fu abbandonato. In seguito Rovigno non mancò comunque di concretizzare il suo aiuto verso la sua capitale: il 20 giugno 1796 accompagnati da 18 notabili, 94 giovani marinai rovignesi, senza alcun soldo d'ingaggio, accorsero volontari alla difesa di Venezia ed inoltre il Consiglio di Rovigno offrì ben mille ducati al Governo veneto per il suo riarmo e quale tributo di devozione. Tale atto piacque tanto alla Signoria che il 23 giugno emanò una ducale con onorifici riconoscimentui per la "fedelissima Comunità di Rovigno" e per i suoi volontari. Inoltre il 5 luglio partì dalla volta di Rovigno per accorrere in difesa di Venezia il pielego della famiglia Blessich, da questi offerto alla difesa della Dominante completamente armato e munito di un entusiasta equipaggio.
Nè Venezia nè Rovigno sapevano però della clausola segreta dell'infame trattato di Leobon del 10 aprile 1797, con cui Napoleone cedeva Venezia ed i suoi ex domini al nemico di sempre, l'impero Austriaco, che otteneva così i sospirati territori adriatici che sino ad allora non era riuscito ad ottenere con la forza delle armi nonostante i ripetuti tentativi. Cosicchè il 10 giugno l'I.R. gen. Klenau entrava con le sue truppe a Capodistria ed il 14 si dirigeva alla volta di Rovigno, ponendo fine al governo liberalmente eletto dal popolo. Iniziava così il primo periodo di dominazione austriaca, 1797-1805, che fu abbastanza rispettoso dell'uso veneto e delle consuetudini locali. Nel 1802 infatti gli austriaci ripristinarono il Corpo dei Cittadini, aggregando ad esso le famiglie del Popolo che avevano un rappresentante nel così detto Governo dei Diciotto. L'Istria venne divisa in 7 Dipartimenti, tra cui quello di Rovigno che aveva nella sua giurisdizione anche Valle. Il primo dominio austriaco durò assai poco visto che con la pace di Presburgo del 1805 la città, con tutta la regione, passò sotto il dominio francese, 1805-1813, che si rivelò subito eversore delle antiche consuetidini ed esoso in tasse e uomini. L'unica nota positiva per Rovigno fu che, grazie soprattutto, alla favorevole relazione dell'ispettore Bargnani, venne posta a capo di uno dei due Distretti in cui fu suddiviso il così detto Circolo dell'Istria. Il Distretto comprendeva oltre che la nostra città ed il suo territorio (13 mila abitanti), anche Dignano ed Albona, arrivando a contare circa 29 mila abitanti. A capo dell'altro distretto vi era la città di Capodistria, già capitale dell'Istria veneta. Dal 1805 al 1809 l'Istria fece parte del Regno d'Italia, ma quando con la pace di Vienna Napoleone acquistò anche le provincie al di qua della Sava, venne staccata dalle sorti del Regno d'Italia per diventare con Carniola, Carinzia, Croazia civile, Croazia militare, Dalmazia e Ragusa, una delle sette Provincie illiriche dell'impero francese. Il loro regime infatti, anche se ad un certo punto favorì l'elemento slavo dell'Istria, consentì soprattutto a Rovigno, compattamente italiana, di auto governarsi e di conservare intatti usi e consuetudini. L'unica grave menomazione era la mancanza di scuole superiori in italiano per i maschi, per i quali era previsto il tedesco come lingua d'insegnamento. Molti rovignesi, a dimostrazione del perdurare dei loro sentimenti di fedeltà verso Venezia, ancora dopo 50 anni dalla caduta della Repubblica di San Marco, parteciparono attivamente alla difesa della neo proclamata repubblica di Venezia (1848-49) capeggiata da Daniele Manin. GdeA L'avvento del regime fascista fu vissuto da Rovigno,
la popolana dell'Istria, senza particolari entusiasmi data la forte componente
socialista dei suoi operai, contadini, marinai e pescatori. La disastrosa
guerra in cui ci precitò il fascismo fu un'ulteriore motivo di distacco
dal regime, anche se i suoi cittadini vi parteciparono con eroico coraggio
come il cap. Silvano
Abbà, perito nella campagna di Russia, medaglia d'oro al valor
militare. Sul finire della II Guerra Mondiale venne occupata dai tedeschi
e molti dei suoi giovani, per non venire arruolati o richiamati al lavoro
coatto in Germania, ma soprattutto per i loro sentimenti antifascisti si
diedero alla macchia, costituendo ben presto un agguerrito Battaglione
partigiano che, dal nome di uno dei principali capi partigiani di Rovigno,
si chiamò "Pino Budicin". Tale battaglione si distinse, pur se scarsamente
armato, nella lotta partigiana contro i tedeschi. Tutto ciò non
valse nulla quando giunsero i partigiani jugoslavi di Tito. Questi, forte
della direzione politico-militare accordatagli dal PCI di Togliatti, aveva
provveduto precedentemente a dirottare i partigiani italiani della "Pino
Budicin" in Slovenia, sguarnendo così la nostra regione dei suoi
naturali difensori, così che i partigiani slavi ebbero mano libera
in Istria, che "liberarono" prima di Lubiana e Zagabria, dando sfogo alle
loro mire annessionistiche, mai del resto tenute celate, che puntavano
ad occupare oltre la nostra regione anche la Dalmazia, Trieste, Gorizia
e perchè no pure il Friuli.
Rovigno subì l'occupazione titina con il solito corollario di arresti, deportazioni, angherie di vario genere ed il terribile tributo di morti infoibati. Non va però taciuto che parte delle indiscriminate epurazioni avvennero ad opera degli stessi comunisti rovignesi. Cosicchè al termine della guerra, con l'ennesimo trattato che non teneva in nessun conto dei sentimenti delle popolazioni locali, Rovigno venne a trovarsi, per la prima volta nella sua millenaria storia, sotto il duro dominio della Jugoslavia, patria di quei pirati slavi di cui, come abbiamo visto, ebbe a lungo a soffrire. A seguito di questo infausto evento la maggior parte dei rovignesi preferì seguire l'esempio del resto delle popolazioni italiane dell'Istria e della Dalmazia, contribuendo a quel massiccio esodo che coinvolse circa 350 mila persone. Comunque il nucleo di rovignesi tuttora presenti, quasi 3 mila degli oltre 10 mila d'ante guerra, ha fatto sì che Rovigno ed il suo circondario per Statuto Comunale vi sia il bilinguismo.
Inoltre Rovigno come suo ultimo sprazzo vitalistico ha prodotto nel dopoguerra il suo maggiore poeta dialettale, quel Ligio Zanini, conosciuto anche a livello nazionale, che con le sue raccolte di poesie in istrioto, l'antico linguaggo dell'Istria meridionale, ha segnato il punto più alto del suo risveglio culturale. La tradizione coristica, pur se in forma ridotta, è mantenuta viva dal coro del maestro Vlado Benussi ed il suo antico linguaggio, anche se in fase d'estinzione, ha conosciuto dei notevoli acuti oltre che con le già ricordate poesie di Ligio Zanini, anche con quelle di Giusto Curto, autore tra l'altro di notevoli opere teatrali in vernacolo, di Matteo Benussi, di Bepi Nider e di molti altri poeti che qui è lungo ricordare. Non va dimenticato poi quel Dizionario di Rovignese, meritoria opera di Antonio e Giovanni Pellizer, vera e propria pietra miliare per la conoscenza della nostra antica lingua, estremo retaggio dei legionari di Roma. La comunità degli italiani ha il suo bel
circolo nell'ex palazzo Fabris, di recente restaurato con il contributo
dello stato italiano. Concludendo Rovigno è una delle poche città
istriane in cui lo sparuto ma dinamico elemento italiano ha saputo far
sì che l'italiano sia parlato o comunque compreso da tutti i suoi
cittadini, anche se di etnia slava. Le scuole italiane di Rovigno in questi
ultimi tempi hanno visto crescere di molto la loro scolaresca, richiamando
oltre che gli italiani o i figli nati da matrimoni misti, anche bambini
slavi i cui genitori vogliono che la lingua italiana sia parte integrante
del loro bagaglio culturale. Tutto ciò fa sperare, visto anche le
nuove aperture della Croazia di Mesic, che la peculiarità
rovignese con la sua storia, la sua cultura e la sua antica lingua non
debba del tutto venir meno.
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