Intervento di Stelio Spadaro del 29-X-2002

Caro de Angelini,
ti mando finalmente la versione definitiva del mio intervento; ho eliminato qualche ripetizione e spiegato meglio qualche passaggio, anche alla luce delle tue osservazioni.
Il mio obiettivo è quello di dare un fondamento culturale e civile scientificamente, culturalmente solido alle ragioni degli istriani e dell’Italia e parlare, con la consapevolezza che oggi abbiamo, delle caratteristiche di queste terre che costituiscono un capitolo complicato, originale, ma autentico dell’identità nazionale. Capitolo non affidato ad una visione nazionalistica, o a velleità irredentistiche, ma ad una riflessione che adoperano le categorie dell’Europa di oggi, come cultura, come esperienze, ma anche come responsabilità per il futuro.
Perciò il mio intervento è rivolto soprattutto all’opinione pubblica nazionale e chiama in causa la responsabilità dell’Italia,  che invece ha, finora, sempre guardato altrove e ha delegato tutta questa “partita” alla demagogia, dannosa, della destra estrema, derubricandola  frettolosamente alla voce “gruppi di nostalgici”.
Non è così: non è ingerenza occuparsi della presenza italiana lungo la costa orientale dell’Adriatico, è prendere atto di una profonda realtà storica ed agire di conseguenza. Da ciò la responsabilità oggi del nostro Paese.
Perciò ti chiedo di dare pubblicità a questo mio intervento, a partire dai tuoi canali telematici e sulle riviste degli esuli, ma anche sui giornali nazionali. Ti chiedo di inviarlo, nei modi che riterrai opportuno, alle autorità della Repubblica che sai sensibili a queste tematiche (a cominciare dal Presidente della Repubblica).
Fatti vivo.
Saluti
Stelio
 
 
 “LA VENEZIA GIULIA E L’ITALIA NELL’INTEGRAZIONE EUROPEA”
Intervento di Stelio Spadaro

Nel momento dell’allargamento dell’Europa serve una riflessione su queste terre.
Ricostruendo nella memoria i tempi e le fasi delle vicende della costa orientale dell’Adriatico nel ‘900, uno degli elementi che riemerge con insistenza è quello di un atteggiamento di lontananza e di estraneità con cui l'opinione pubblica italiana guarda alla Venezia Giulia: mi riferisco al periodo dopo il 1954, ma si potrebbe senza fatica risalire al 1918 e all’inserimento della Venezia Giulia - parlo di Gorizia, di Trieste e dell’Istria - nel Regno d’Italia. C’è, ovviamente il grande impeto irredentistico molto diffuso negli anni attorno alla prima guerra. Ma spesso ci si limita a guardare le emozioni e si trascura di osservare altri dati. Quali furono gli atteggiamenti, gli orientamenti espressi dai funzionari dello stato italiano venuti nelle terre irredente? La cultura amministrativa e politica era in grado di cogliere il carattere di queste terre? D’accordo, in quegli anni, ovunque in Europa l’obiettivo era quello di omogeneizzare le popolazioni alloglotte, ma in concreto, quali furono la specificità dell’approccio italiano?
In altre parole in che modo lo Stato italiano e le sue strutture amministrative vengono in questa regione plurale? Con quale atteggiamento nell’organizzazione della burocrazia e nella vita quotidiana? Quali categorie culturali si adoperano per capirne la fisionomia e operare in questa realtà?  Come si affronta il problema che la Venezia Giulia comprende aree abitate da popolazioni slovene e croate?
A me sembra che una possibile risposta debba tener conto del fatto che i caratteri specifici dell’approccio italiano non dipendono solo dal nazionalismo e, poi, dal fascismo, ma anche dal fatto che gran parte della cultura italiana semplicemente non era in grado di comprendere una realtà culturalmente composita come quella della Venezia Giulia, che, ricordiamo, era una realtà complessa non solo per la numerosa presenza di non italofoni, ma anche per il fatto che gli stessi italofoni avevano un proprio peculiare bagaglio culturale.
L’esito fu che la Venezia Giulia fu di fatto percepita, al di sotto dei fiumi di retorica ufficiale, dal senso comune dei funzionari italiani quasi fosse terra di conquista, una specie di “colonia europea”, da sorvegliare e di cui diffidare, come se questa regione fosse, con le sue proprie caratteristiche e proprio a causa di esse, del tutto estranea all’Italia. E a loro volta i funzionari italiani furono visti come estranei dai “locali”, anche da quelli di lingua italiana, sempre più consapevoli di essere considerati come un’appendice ininfluente rispetto al restante corpo nazionale.
Ciò che si perse allora, e forse non si recuperò più, fu la consapevolezza che la Venezia Giulia, per quanto riguarda gli italofoni, era di fatto un altro capitolo della complessa identità culturale italiana (come lo furono e lo sono, con le loro proprie caratteristiche, la Sicilia o la Sardegna, per fare solo un esempio), ma poneva anche, per quanto riguarda i non italofoni, un limite alla identità culturale degli italiani. Ambedue i problemi rappresentavano una sfida non piccola alla capacità delle istituzioni italiane di governare un territorio plurale. La sfida, possiamo dirlo oggi, fu persa quasi subito e quel che si materializzò fu un senso di provvisorietà che si avvertì a diversi livelli (nelle gerarchie militari, nella scuola, ecc.) e che le parole forti e - per gli italiani della Venezia Giulia - “rassicuranti” (Roma, la tradizione latina, Venezia) non furono in grado di eliminare, anzi lo confermarono perché si legò la Venezia Giulia alla politica e alla forza repressiva del regime.
Ciò rese deboli le ragioni dell’Italia già rispetto alle richieste ed alle azioni tedesche sempre più insidiose ed insistenti nel corso degli anni ’30: si vedano l'Anschluss e le conseguenti iniziative fino all’Adriatisches Küstenland  con l’annessione di fatto della Venezia Giulia al III Reich, intesa come un suo “ritorno” al  “naturale” mondo tedesco.
E non valse a riscattarle appieno, negli anni cruciali della seconda guerra mondiale, neppure la partecipazione alla Resistenza, di fronte alla coalizione alleata, e in particolare di fronte ad una Jugoslavia divenuta parte attiva in uno scacchiere particolarmente delicato d’Europa nella lotta contro il nazifascismo ed alla quale il titolo di alleato riconosciuto della coalizione antifascista consentì di avanzare pretese territoriali non legate soltanto ad un disegno di riscatto nazionale e unificazione dei popoli sloveno e croato, ma anche a mire di derivazione nazionalistica, secondo mai sopite dinamiche nazionalistiche che sia da parte slovena e, rispettivamente, croata, sia da parte italiana, erano da tempo operanti in queste terre, dalla Venezia Giulia alle coste dalmate.
Qui viene fuori la responsabilità dei comunisti, giuliani in particolare: la loro acquiescenza, in vasta ancorché non totale misura (e varrebbe la pena di studiarne i contrasti interni!), alle tesi jugoslave (e sovietiche) nasce dalla tradizione internazionalista e dalla specifica impostazione della loro cultura politica (primato dell’URSS ed espansione della sua sfera di influenza), ma anche dalla convinzione che la Venezia Giulia nel suo complesso (con l’eccezione particolare di Trieste centro) fosse estranea, non facesse parte dell’Italia, ma fosse esclusivamente un portato del nazionalismo e del fascismo. La perdita della Venezia Giulia non fu percepita dall'opinione pubblica italiana come una drammatica semplificazione che zittiva una voce particolare e distinta dell’identità italiana, una voce presente da secoli nel concerto delle molte tradizioni che compongono la cultura italiana. La perdita della Venezia Giulia non fu nemmeno percepita come un fatto che metteva in discussione principi di libertà fondamentali, come il diritto di ascoltare le opinioni degli interessati.
Così da atteggiamenti diversi ma convergenti è stato negato il carattere plurale, specifico della Venezia Giulia e delle coste dalmate.
Un atteggiamento negò contro l’evidenza tale carattere e operò drasticamente per ridurlo ad omogeneità: è la politica del nazionalismo italiano e del fascismo, che cancellarono, in Italia, voci che richiamavano l’attenzione sulle specificità della regione.
Un secondo atteggiamento - quello di una parte della sinistra - speculare al precedente, considerò la Venezia Giulia costruzione imposta dal fascismo e perciò destinata a disintegrarsi con esso.
Fece da sponda a questi due, l’atteggiamento jugoslavo che considerò il Litorale e in generale la costa orientale dell’Adriatico sostanzialmente territori omogenei da ricondurre ad un preteso originario alveo nazionale sloveno e croato, solo artificiosamente – secondo questa interpretazione – conculcato.
In questi luoghi, dunque, si incrociano e aspramente si scontrano i nazionalismi, ben prima  e ben dopo dei totalitarismi.
Ma per quanto riguarda l’Italia, dobbiamo andare più in profondità e mettere in evidenza come rimanga largamente diffuso un senso comune che considera presenze e influenze storiche mitteleuropee quali, appunto, tratti distintivi che confermano l’estraneità dall’Italia: una Venezia Giulia  “altro” rispetto all’Italia, con l’eccezione di Trieste, la quale avrebbe tuttavia un’italianità speciale per le sue precipue ascendenze, un’italianità perciò non condivisa con il Paese. Il resto della Venezia Giulia è ignorato.
Si appanna, sfugge il carattere plurale della regione.
Per quanto riguarda l’Italia questo è un problema di carattere generale: la cultura politica e civile italiana non è attrezzata a questo tipo di “diversità”.
Da tutto ciò il silenzio sulla Venezia Giulia dopo la guerra e l’insensibilità della Repubblica nell’affrontare la questione dell’esodo e le richieste di riconoscimento morale, prima ancora che materiale, degli istriani e dei dalmati, e la rimozione di quanto essi abbiano pagato per la sconfitta subita dall’Italia al confine orientale.
Dopo il 1954 scema drasticamente l’attenzione per le vicende al confine orientale: la storia degli italiani della costa orientale dell’Adriatico è, a torto, archiviata. Ciò dipende sicuramente dalle convenienze internazionali, dall’intensificarsi dei rapporti di Tito con l’Occidente e, in Italia, con il P.C.I., dopo la rottura degli anni del Cominform, e più in generale da atteggiamenti governativi che si ammantano sempre più di un dichiarato realismo, ma dipende innanzitutto dall’idea che la Venezia Giulia fosse fin dall’inizio qualcosa di artificiale, di estraneo: con l’ignoranza sul tema che ne deriva. Quando il senatore dell’Ulivo Camerini, dopo anni di vuoto assoluto, propone nel 1996 al Senato di  trattare la questione degli esuli istriani, la reazione spontanea e generalizzata è quella dello stupore e dell’analfabetismo dei suoi interlocutori.
Riprendere oggi, in chiave post-nazionalista, un ragionamento sull’identità della Venezia Giulia e delle coste orientali dell'Adriatico è possibile se si parte dalle seguenti premesse:
1. Questa è stata una terra da secoli plurale e lo è anche ora, dopo un secolo in cui contrapposti, ma simmetrici, progetti nazionalisti hanno perseguito politiche di semplificazione culturale e nazionale che sono giunti in modo più o meno deliberato ad attuare politiche di espulsioni di popolazioni ;
2. Ricordare il tratto italiano delle tradizioni culturali e nazionali presenti sul territorio non significa da parte dell’Italia né un’ingerenza né una ripresa patetica di irredentismi, ma la percezione che la storia e l’identità di queste terre è anche parte della storia e identità complessa dell’Italia e che la presenza degli italiani è ancora oggi elemento costitutivo della costa orientale dell’Adriatico;
3. Ricordare il carattere plurale di queste terre significa anche riconoscere che settori importanti della cultura slovena e croata ancora oggi guardano agli eventi che hanno “semplificato” l’eterogeneità nazionale dell’Istria come la realizzazione di aspirazioni nazionali o meglio nazionalistiche.
4. Sarebbe auspicabile che nella prospettiva europea l’opinione pubblica italiana e slovena e croata finalmente riconosca che l’Istria e Trieste, come altre terre di confine europee, sono parti integranti della complessa storia nazionale di più stati e che a questa realtà plurale va portato rispetto, se non altro per le sofferenze che ne sono derivate agli individui, abbandonando quindi gli atteggiamenti negligenti di tanti sia quelli protervi dei nazionalisti i quali ancora oggi chiamano libertà l’azzeramento della libertà di altri.
 
 

Trieste, 29 ottobre 2002
 
 
 
Lettera a Silvio Delbello
Risposta a Franco Juri
Lettera a Paolo Mieli
Lettera a Indro Montanelli
Lettera ad Azeglio Ciampi
La Venezia Giulia e l'Italia nell'integrazione europea

 
 
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