Carlo Tivaroni
zaratino (1843-1906)

combattente e storico delle guerre risorgimentali, nelle guerre del 1859-60 raggiunse Garibaldi a Napoli e combatté a Civitella del Tronto: Per la sua partecipazione alle guerre risorgimentali, venne decorato con la medaglia d’argento al valor militare.

Autore della fondamentale "Storia critica del Risorgimento italiano"  Torino, 1888-1897 opera che riveste un carattere di particolare importanza, non solo perché è la prima organica ricostruzione del Risorgimento, ma anche perché rappresenta una sorta di testamento politico dell'autore, volontario garibaldino, collaboratore del «Gazzettino Rosa», deputato dell'estrema, ed infine giolittiano. "Vittorio Emanuele e Garibaldi, Mazzini e Cavour, anche quando si straziavano fra loro per divergenze in idealità secondarie, tutti combattevano per uno scopo  fondamentale comune, un'Italia senza stranieri, e  si completavano l'un l'altro di guisa che se uno solo di essi fosse mancato il Risorgimento sarebbe stato ritardato; provvidenziale coesistenza di quattro uomini eccezionalmente dotati, cui nessun secolo an­teriore aveva avuti eguali"; così Carlo Tivaroni presenta una delle prime se non la prima descrizione del «pantheon risorgimentale»(1).

Per poter includere Mazzini in questo elenco Tivaroni, seguendo sostanzialmente la strada già tracciata da De Sanctis, lo riduce al solo apostolo della nazionalità italiana, mettendo in secondo piano tutti gli altri aspetti del complesso pensiero mazziniano. Così egli ritiene merito del Genovese l'aver infuso  nelle coscienze degli Italiani lo spirito nazionale dopo il fallimento dei moti carbonari, soprattutto grazie alla forza morale che seppe infondere in quei pochi che, conquistati all'idea nazionale, la diffusero tramite l'esempio ed il martirio; e di avere poi strenuamente difeso dopo il '48 l'idea dell'unità italiana quando ai più essa pareva una follia utopistica. Ed infatti egli vede proprio nel periodo che va dal 1849 al 1853 l'apogeo della fortuna di Mazzini, poiché nonostante i continui insuccessi il solo partito unitario rimaneva attivo. Ma "quel continuare a gettare la vita dei più risoluti italiani in continui tentativi di riuscita impossibile, quell'errore costante divenuto quasi allucinazione di vedere presti i popoli a sollevarsi, sebbene non si muovessero mai, quella mancanza assoluta di criterio pratico che comprometteva centinaia di famiglie quando oramai non vi era più bisogno di forche a rinfocolare gli animi essendo la coscienza nazionale formata, disgustava ed allontanava da Mazzini molti dei migliori repubblicani unitari, tanto più che al di là del Ticino si vedeva tenuta alta là in Piemonte la bandiera tricolore"(2).

Il fallimento dei moti del febbraio 1853 segna nell'interpretazione di Tivaroni, il definitivo superamento per il moto risorgimentale dell'esperienza mazziniana, mentre il sorgere del socialismo la rendeva sorpassata all'interno dello schieramento progressista. La necessità di collaborazione tra la monarchia sabauda, incapace da sola di liberarsi dei vincoli egoistici che la legavano al vecchio Piemonte, e le forze unitarie repubblicane, incapaci di trascinare il popolo alla lotta per l'unità, avrebbe quindi condotto alla nascita di quel «partito nazionale italiano», concretizzatosi nella «Società Nazionale», che avrebbe, con il proprio programma di una monarchia unitaria nazionale, realizzata quella che, per Tivaroni, era la fondamentale idea di Mazzini: l'unità d'Italia. Da allora la funzione di Mazzini si sarebbe limitata a quella di pungolo  della monarchia, su cui avrebbe costantemente fatto pendere la spada di Damocle del repubblicanesimo. Quindi il Genovese viene ridotto dopo il 1853 al ruolo di semplice comprimario; ed anche la rivoluzione siciliana e la spedizione dei Mille, considerate "l'azione più efficace dell'Iliade mazziniana", hanno il loro vero eroe non in Mazzini ma in Garibaldi "anello tra gli estremi, incarnazione della coscienza nazionale indifferente di repubblica e monarchia".

Con il 1870 si giunge al supremo compimento del Risorgimento d'Italia; la liberazione di Roma segna la nascita a nuova vita della nazione italiana a cui hanno partecipato Cavour come Mazzini, Garibaldi come Vittorio Emanuele, per cui nel nuovo Stato italiano si risolvono, dissolvendosi, tutti i partiti e tutte le passioni del Risorgimento. E dunque l'assunzione di Mazzini nel Pantheon nazionale ha come contropartita la negazione di qualsiasi attualità del pensiero mazziniano. Che la posizione storiografica di Tivaroni sia strettamente legata alla sua posizione politica è un dato oramai acquisito dalla critica storiografica; è tuttavia interessante vedere in qual modo la Storia critica del Risorgimento italiano si inserisca nel quadro dell'azione politica di Tivaroni e nel più vasto insieme della Sinistra radicale e garibaldina. Il tratto caratterizzante dell'opera è, senza dubbio, la vi­sione del Risorgimento come processo a cui hanno collaborato in una superiore unità dialettica tutte le correnti, dai moderati ai mazziniani, dalle forze sabaude ai volontari garibaldini. Allo storico conciliatore corrisponde il politico che, militando "nelle file di estrema sinistra fra il gruppo più temperato di essa" (3), ricercava un accordo tra Sinistra storica ed estrema, tra borghesia e classi popolari, in nome dell'unità italiana. La preoccupazione unitaria pare in effetti prevalere su tutto, ed in nome di essa viene invocato il ricordo del Risorgimento contro i pericoli disgregatori(4). Ed allargando l'orizzonte, proprio il «tabù» dell'unità appare come il più pesante limite dell'azione della sinistra di origine garibaldina, disposta in suo nome ad una collaborazione con le forze monarchiche e moderate, finendo così completamente integrate all'interno dello stato monarchico-liberale, anche in questo ben rappresentata da Tivaroni che, volontario garibaldino nel 1866, finì la sua carriera nel 1903 come prefetto giolittiano.
 
 
 

N O T E

(1) W. Maturi, Interpretazioni del Risorgimento, Torino, 1962, pp. 23-24: "Col Tivaroni si inizia la formazione del «blocco» storico risorgimentale, cioè di quella visione unitaria del Risorgimento che si sforzava di rendere a ciascuno la debita giustizia: a Mazzini come a casa Savoia a Garibaldi come a Cavour".

(2) C. Tivaroni, Storia critica cit., vol. VII, tomo III, p. 147.
 

(3) T. Sarti, Il parlamento subalpino e nazionale, profili e cenni biografici di tutti i deputati e senatori eletti e creati dal 1848 al 1890, cit. in A. Galante Garrone, cit., p. 347, n. 66.

(4) Lettera di Tivaroni a Giolitti del 4 febbraio 1899 cit. in A. Galante Garrone,  p. 354 in "Carlo Tivaroni come divenne storico del Risorgimento italiano", - "Rivista Storica Italiana", 1967, fasc. II, p.  341: "clericali a destra, socialisti a sinistra, ogni giorno crescenti, senza che da essi ci salvi nessuna repressione preventiva-nessuna- anzi serviranno a rinforzarli […]. E tutto sarebbe poco male se l'Unità non corresse pericolo di cadere maledetta in un incomposto movi­mento di odio senza programma, senza bandiera, che verrà poi sfruttato dai più furbi; l'unità, l'unica cosa che vale ancora la pena di difendere colle unghie ... e col cannone; perchè senza di essa torneremo vassalli e avremo dimostrato la nostra incapacità organica ad esistere".

Informazioni in gran parte tratte dal sito: http://www.domusmazziniana.it/vecchi/1993/93_2/Finelli.htm


Indietro