Già dall'antichità quando cominciarono a svilupparsi i primi studi scientifici sulla musica le venne attribuito un valore teoretico: in particolare venne sviluppata la teoria della musica (o armonia) delle sfere, in cui il simbolismo del numero e la componente matematica delle proporzioni armoniche risultano intimamente legati alla cosmogonia e alla cosmologia.

Il padre di questa teoria è Pitagora (575ca.-490ca. a.C.) e la scuola pitagorica.

Il filosofo greco, che coniò la parola kósmos per indicare la bellezza, l'armonia, la simmetria dell'universo, fu il primo a compiere studi sperimentali sulla natura del suono.

In particolare riscontrò che le armonie che riuscivano gradevoli all'orecchio erano date da corde risuonanti, in rapporto di lunghezza espresso da numeri semplici (2:1, 3:2, 4:3). 

L'Universo pitagorico

Data l'importanza del numero nella dottrina platonica (veniva considerato la realtà sottesa alla natura dell'universo), la musica venne vista come rappresentazione delle forme nascoste, o razionalmente irraggiungibili, della natura dell'universo (evidenti le analogie col pensiero filosofico di Schopenhauer, tanto da poterlo forse definire un neopitagorico).

In base a tale teoria Pitagora avanzò l'ipotesi che i corpi celesti, con il loro moto nell'etere, producessero suoni non udibili all'imperfetto orecchio umano.

La struttura complessiva dell’universo proposta da Pitagora inoltre era non geocentrica (vista l’imperfezione della Terra) e prevedeva 10 sfere reciprocamente separate da intervalli corrispondenti alle lunghezze armoniche delle corde sonore (i 5 pianeti conosciuti: Mercurio, Marte, Giove, Venere, Saturno, il Sole, che riflette la luce del "cuore dell'universo", la Luna, la Terra e la "contro-terra", introdotta per avere un numero perfetto di sfere e spiegare i fenomeni delle eclissi di Luna e di Sole), in moto di rotazione rispetto al centro in cui era collocato il cosiddetto “cuore dell’universo”, o “Trono di Zeus”.

Esemplare descrizione della dottrina della musica delle sfere viene da Platone (428-348 a.C.) che, nell'ultimo libro della Repubblica narra del mito di Er. Questo personaggio, ritornato dall'oltretomba descrive ciò che ha visto nell'aldilà, e in particolare la struttura dell'universo. Esso è geocentrico e costituito da otto cerchi (ossia i cinque pianeti conosciuti, il Sole, la Luna, le stelle fisse). Queste sfere ruotano intorno al fuso della “Necessità” (simbolo del movimento e spinto dalle tre parche: Lachesi, Cloto ed Atropo che cantano rispettivamente, all’unisono con le sirene, ciò che fu, ciò che è e ciò che sarà).

Su ogni cerchio vi è una Sirena, che emette una sola nota. Il canto di tutte le Sirene creerebbe una perfetta armonia (l’armonia delle sfere), la quale si riflette nella musica umana. Inoltre quest'ultima, essendo immagine dell'armonia cosmica quanto l'anima, è in grado di influire sull'anima e di "accordarla" qualora sia scossa, in preda al "disordine" (in greco: tarachè, contrario di kósmos).

Della musica Platone parla ancora nel Timeo, dicendo che il Demiurgo avrebbe composto l'Anima del Mondo secondo i principi dell'armonia musicale.

Nel VI libro (il famoso Somnium Scipionis) del De Republica Cicerone (106-43 a.C.), riprendendo l'esempio platonico, espone la teoria della musica delle sfere precisando che

  • le sfere più esterne emettono suoni più acuti

  • quelle più interne emettono suoni più gravi

  • la Terra , essendo immobile, non emette suoni

  • Mercurio e Venere emettono il medesimo suono

Il risultato di questo accordo di sette suoni è una divina armonia

Tolomeo (100-178 ca. d.C.) negli Armonica e nel Quadripartito instaura, fra le altre, queste analogie:

  1. come i pianeti si muovono avanti e indietro, così i suoni salgono all’acuto e scendono al grave

  2. come i pianeti sono più o meno distanti dalla Terra, così i suoni si allontanano (o avvicinano ad un punto di riferimento)

L'universo tolemaico

Ripudiata come assurda da Aristotele, la teoria dell'armonia delle sfere è accolta nel Medioevo dalla scuola platonica e pitagorica.

In Dante ne troviamo espliciti riferimenti nella Divina Commedia e nel Convivio (dove assegna alla musica il cielo di Marte, quello che sta nel mezzo degli altri cieli).

Nel 1619, Keplero, nell'Harmonice mundi, sottolineerà come la musica delle sfere attesti la presenza di un Dio, causa dell'armonia e della perfezione geometrica del cosmo. Newton, infine vedrà nella teoria pitagorica, una esposizione in chiave allegorica della propria teoria di gravitazione universale.

La musica delle sfere eserciterà ancora un certo fascino, specialmente nella cultura romantica (troviamo riferimenti anche in Leopardi, nel "Dialogo della Terra e della Luna", sebbene con intenti demistificatori, visto il male che permea l‘universo intero),  quantomeno per quanto riguarda la concezione dell'arte dei suoni come via d'accesso per la comprensione della natura del cosmo, di cui sarebbe immagine.