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QUESTO E’ IL SITO
DI: FILIPPO ARMAIOLI MAGI
NATO A PISA IL 12/3/1977
LA MIA E-MAIL E’:
filippo12377@email.it
3.
Il Castello Nero
Il tempo di stare inermi
cessò che le spade erano ancora calde delle sferzate impresse soltanto pochi
minuti prima. Se non fossero entrati presto nell’Antro delle Arpie, ora una
caverna profonda e lunga chilometri sotto la terra. Koran ogni tanto girava lo
sguardo verso Dulian mutata in elfa, e aveva vergogna un poco per quei tratti
così insoliti. E lei intuiva questo imbarazzo, ma non poteva soddisfare il suo
orgoglio maschile pensando in quel momento a tornare come prima. La vanità
estetica avrebbe atteso, di fronte al dovere di quella discesa impervia.
Sembrava senza fine, l’Antro. Non si trovava più la luce e la tensione cresceva
tra tutti. Rayne svenne, e per rianimarla Dulian le influsse un po’ del suo
alito Suvajim perché si rianimasse, e non avvenne rapidamente. E c’era buio, e
anche se non vi erano che poche decine di Pteurogimiti, che li ignorarono per
cercare l’uscita verso il sole, la paura di trovare ospiti indesiderati era
tanta, perché Treia, che aveva abitato per anni forzatamente sotto quelle volte
umide e infestate di tele di ragno, parlava loro di insetti di ogni genere che
non le si avvicinarono mai che la terrorizzavano ogni notte con la loro pur
lontana presenza. I Roke, abituati alle retrovie in guerra, camminavano dietro
tutti con ancora qualche scintilla fra le mani, ed eran loro che permettevano,
pur senza agire da guide, che la visibilità fosse abbastanza da poter garantire
l’avanzata. La seconda uscita si trovò dopo chilometri, e il Castello Nero di
Zaila si intravvide dopo pochi metri. Era enorme, ricco di alti torrioni
fortificati. Esalava gas nero Cheleb, che col tempo, da arma di difesa degli
Haranès, era stato ottenuto da un’evocazione che Treia aveva dovuto inventare
su richiesta di Zaila, che avrebbe avuto così uno schermo efficace contro ogni
magico effetto nemico.
“Zaila e Xein sono ancora
in vita, Arpie maledette!”, si sfogò Treia, che aveva subito
quel lungo esilio per
colpa di Xein, che aveva mentito alla Regina Nera sul suo conto, sserendo che
Treia tramasse contro il suo trono. Zaila trovò presto come punirla, e da
allora la strega, che temeva di finire impietosamente i suoi anni sotto quelle
cave, meditava una vendetta contro le due megere malefiche che la riscattasse
da quel destino indesiderato. Rayne riconobbe nel suo volto tanta sofferenza, e
cercò di confortarla con una dolce cantilena feerica che le sussurrò
all’orecchio:
Asy en delèn mien ohwé, omilay ve ah delèn! Somèr desen lahwehin deleb, doh de ah jelèin! Asy somèr ohwé, ladeion
decaj sonah delèn!
Né Treia nè gli altri la
compresero, perché era in lingua elfica.
Significava:
“Così si tracciano segni sul terreno, che
tanta è la meraviglia!
Alcuni viaggiano fino al deserto, pur di trovare le rune!
Così grande è un ettaro, che si può trovare tanto che
sorprenda !”
Le fate di Eleon non
avevano una lingua scritta, ma parlavano trasmettendo il pensiero con emissioni
di energia telepatica. Però avevano avuto, in secoli passati, il loro
patrimonio di parole, ma lo avevano ceduto agli elfi, che apprezzarono certi
loro suoni, nonché certe loro femmine, che presero in moglie, suscitando ira
accesa tra le ignorate Elfe. Tuttavia, il canto commosse con le sue note dolci
la triste Treia, che scoprì di poter contare su qualcuno, dopo anni di sofferta
solitudine. I Roke stavano trasportando dei grandi carri, su cui, legate con
spesse corde, venivano portati sconosciuti arnesi. Erano trabucchi di media
dimensione, su cui si potevano montare per il lancio balle di fieno
incendiarie. Furono allestiti in fretta, perché la furia della Regina Nera
poteva farle decidere di ventilare verso i nemici gas Cheleb, che li avrebbe
neutralizzati nella forza magica e soffocati inesorabilmente. Koran scongiurò
tutto questo organizzando un piano in gran fretta e comunicandolo con celerità
alle truppe.
“Le nostre spade stavolta
non possono nulla. Riponiamole, sono solo un peso.”
“Ponete le spade una
sopra l’altra!,”ordinò allora Koran,”Le riprenderemo se ci attaccheranno da
vicino!”
“Che nemici dobbiamo
attendere? Abbiamo sconfitto le Arpie, Koran.”
“Zaila scenderebbe,
credimi. Ne è capace. E pure Xein è addestrata
a combattere.”
“Le conosci come
guerriere?”
“Sono Esseri Neri.
Cercano Warra come se si sostentassero solo col sangue nemico.”
“Rayne si è ripresa, ma è
debole come non mai. Ha una sorta di febbre.”, avvertì Dulian, senza che nessuno,
neppure Mitreis il Saggio, poté offrire consiglio.
“Che riposi, Reginetta
Ehlo, la nostra amica. Fa che si stenda presso le spade. Le gemme al loro
interno potrebbero effonderle forza.
E poi così ritroveremo
sia lei che le armi più facilmente.”
“Mi spiace che la mia
Spada del Dominio non possa niente in merito. Ma la tua Zoromidh, Uwanish,
forse può aiutarla.”, disse Karaki.
“No, non può, e nemmeno
la sciabola di Mitreis. Dulian, cerca le Suvajim: finché hai il loro aspetto ti
accoglieranno con diffidenza, ma poi ti daranno certo fiducia e ascolto se
userai un poco di diplomazia nell’avvicinarti alla loro regina, Behjen.”
“Vado subito. Devo
portare la piccola fata con me?”
“No, lascia Rayne stesa
presso le spade, al sicuro.”
“E se non ce la farà?”
“Se la porterai con te,
quella febbre che l’ha ammalata ti contagerà all’istante, e saranno allora due
le vite che piangeremo.”
“Mi fido di ciò che mi
dici, ma non posso guardarla così sofferente!”
“Non guardarla,
Reginetta, va! E ora, di nuovo, trabucchi in carica! Warra, eroi!”
“Warra! Warra!”
Dulian prese un sentiero
per i Boschi Innevati. Fra gli alberi, spuntò uno gnomo semplice, Jakkar, che
osservando la Reginetta di Orios mutata in un essere a lui simile, se ne
invaghì, e cercò di congegnare in fretta un sortilegio per averla con sé.
Sussurrò un’ evocazione: Fayren Fayrejim,
Oblio degli Elfi. Dulian ne ebbe un effetto simile al fatato Ohlò, ma rimaneva
un fantoccio in mano altrui, veniva guidata con forza e si lasciava persuadere
all’abbandono di un abbraccio, ma senza perdere l’autonomia di un sentimento
proprio, che l’Oblio elfico non riusciva ad intaccare. Karaki, che mentre la
battaglia iniziava a farsi più incalzante si era ferito ad una spalla con un
dardo infuocato, cercava nei presi dei Boschi Innevati un’erba che lo avrebbe
curato completamente. La trovò, e ne fece uso, ma trovò anche la Reginetta
preda di un laido omuncolo che la perseguitava.
“Lascia Dulian al suo
cammino, sporco folletto dei boschi!”
“Sono Jakkar, e tu chi
sei?”
“Pretendi di presentarti,
essere immondo? Togliti, piuttosto!”
E gli sferzò un pugno
deciso alla mascella, stendendolo a terra ammaccato e dolorante.
“Sveglia, alzati. Devi
aiutare Rayne, non c’è molto tempo.”
“Dove sono? Che mi è
successo?”
“Niente di piacevole, ti
spiegherò. Ora va da Behjen, presto!”
Dulian obbedì, impiegando
qualche minuto per tornare a pensare con libertà, sciogliendosi dalla
soggiogante fattura. La crisi di identità poteva essere permanente, senza il
provvidenziale aiuto di Re Karaki, che tornò al suo rango presso il Castello
Nero. La situazione era al culmine dell’assedio. Le balle infuocate avevano
colpito qualche milite arciere, che aveva tentato, con poco successo, la difesa
del principale torrione. Ma dalle feritoie non riuscirono che recar danno a
Karaki di Carcade, e senza eliminarlo. I Roke, ancora scossi per la presunta
perdita dei loro cari compagni, si misero in cerchio, ed alzarono i pugni,
legando palmo a palmo le mani con quelle di chi stava loro di fianco. Una
catena vivente che sferzava energia verso l’aria, elettrizzandola e a sua volta
catalizzandone ioni di carica fiammante.
“Eissan Dèh Rokè! Atelaj Dèh Rokè!”,
furono alcune tra le grida di battaglia.
“Warra, Gnomi! Per Rok e
per il nostro Re Ehlactron!”, proruppe Gione.
I suoi erano conquistati
dalla tenacia del loro comandante, che aveva affrontato ogni insidia con la
forza di un Grande Jem e con il coraggio di un milite Carcadico.
“Ricordi i miei soldati,
Gione.”
“Se non che i Giacopeti
li hanno travolti e ingoiati in un solo boccone.”
“Avevo sentito questo, ma
non volevo crederci, Re Karaki.”
“Sì, Gione, come tu hai
perso una tua legione, io ho perso il popolo che reggevo.”
“Uniremo la nostra rabbia
in una sola Warra, Re coraggioso e nostro alleato!”
“Allora Warra, piccolo
Roke!”
“Warra, per Rok e per
Koran di Orios!”
Al sentirsi appellato da
retro, Koran trovò nuova forza ed energia. Pensò ai racconti che aveva udito
quando era fanciullo, e i Cavalieri del Nord si mettevano attorno ai falò, la
sera, per istruire i giovani su ciò che un giorno anche loro si sarebbero
trovati ad affrontare, e per condividere con essi quei brividi che avevano
passato e che per ore li aveva tenuti carichi di adrenalina. Una volta si
raccontò che in passato il piccolo Bangi si era portato una coetanea, di nome
Camey, dentro un antro pieno di cuscini di piuma d’oca, e che abbracciandola
aveva fatto nascere una stella da un mare di fango, e chi avesse visto il cielo
alle cinque del mattino, da qualsiasi parte avrebbe visto il viso di chi amava
riflesso tra gli sprazzi della scia di quell’astro, che passava con moto
perpetuo. Si disse che esistevano cavalieri di pietra pronti a muoversi da
mercenari per chiunque, dentro le rocce dei monti di Carcade, e sirene
bellissime che nuotavano nude, sotto la
cuora di fiori di loto di un lago, non lontano dal Palazzo Elfico, prima
che le si sorprese e gli si vietò di mostrarsi così impudicamente, distraendo
gli eroi dai loro doveri. E si narrava anche che in alcune grotte esistevano
degli specchi così vecchi che chiunque vi si fosse riflesso avrebbe compiuto
un’azione già fatta dai genitori di fronte agli stessi vetri. Si diceva tutto
questo, quando ancora c’era tempo per fermarsi a parlare. Adesso, non era come
allora.
“Caricate di nuovo i
trabucchi con le balle!”
“Non abbiamo più fieno,
Cavaliere Koran!”
“Evoco Borà Spirethe!”, chiamò Karaki, e giunse
un’Ombra di Fango, che sfrondò alcuni abeti e ne tagliò il tronco, continuando
a romperlo in pezzi minuti. Finché Karaki non la debellò con la spada, per non
trovarsela come nemica. Un Essere Nero evocato aiuta, ma solo per gli attimi in
cui è governato dall’evocazione. Dopo, si desta, ed attacca.
I Manoscritti della
Stirpe su ciò avvertono ben chiaramente.
“Usate questo legname, è
tagliato in schegge che potete accatastare.”
E Koran e tutti aiutarono
a imballare i dardi sferici, mentre le micce trovavano la scintilla fra le
palme dei Roke, che li incendiavano in breve tempo.
“I proiettili di legno
ardono, Koran! Il piano riesce!”
“Lo avevo già
sperimentato, amici di Rok. Colpite, ora!”
E fu spietata Warra, e
ben presto si capì contro chi, perché un esercito di militi della Legione Nera
spuntò fra le nebbie. Erano meduse mutanti, grandi come gli Orchi di Mersham.
E spietate come le Arpie,
di cui erano stati servi fedeli fino al loro sterminio.
“I nemici sono tra noi!
Son dovuti fuggire, guardate!”, avvertì Mitreis.
“Il Castello Nero sta
crollando!”, notò Uwanish. E cadde, dopo esser stato eretto per secoli.
Dulian incontrò Behjen
tra i suoi simili, mentre essi approntavano manicaretti di cacciagione presso
ad un falò che li riscaldava presso quelle foreste sempre piene di coltri di
fredda neve.
“Mi chiamo Behjen delle
Suvajim, e custodisco la sapienza dei Poteri Elfici. Molte evocazioni che i
popoli dei Mondi usano derivano dalla nostra tradizione magica, mentre per il
resto sono Ehlo. Non sei dei nostri clan, chi sei?”
“Sono una Ehlo, e non ho
alcun potere per tornare com’ero.”
“Ho intravisto un
manipolo di fanteria. Sono i tuoi uomini?”
“Sono la mia gente, sì.”
“Ci hanno sorpreso e
spaventato, anche se non avevano l’aria di avercela con noi.”
“Mi spiace, ma è stato
tempo di Warra, e lo è forse tuttora.”
“Hai bisogno di aiuto, ma
senza l’amuleto di Re Karaki non posso aiutarti.”
In effetti, quel sovrano
guerriero, incontrandola ferito nei boschi, le aveva lasciato una piccola
sacca. Aprendone il laccio, scopriva ora questo rosso rubino scintillante
incastonato entro un anello con su scritte incise in elfico.
“E’ elfico Suvajim. Feyhedo roh qhan yej lemier hòs.
Significa Anello del Potere che Muta Forme. Sei della stirpe di Orios, e Re Argant è
il tuo Re?”
“E’ mio padre.”
“La Reginetta di un Regno
si spinge così lontano?”
“Ora sono una guerriera. Ma
non chiedermi cosa ho dovuto affrontare.”
“Siete sempre in lotta,
ma so che il vostro è un popolo pacifico, quindi avrete i vostri buoni motivi
per queste imprese, che noi evitiamo finché possiamo. Non abbiamo abilità
militari, né alcuno che ci istruirebbe. Così ogni pericolo è per noi inermi
sentito con molto timore.”
“Conosco il vostro
carattere, ma vi vedo per la prima volta.”
“I nostri Mondi sono
lontani.”
Le Elfe Suvajim non
avevano maschi tra loro, ma vivevano bene anche sole. Ogni fruscio le vedeva
correre in una fuga continua, da cui si fermavano per cogliere Bacche Scure e
altri vegetali.
“Come posso aiutarti? In
fondo i nostri tratti non sono poi così brutti sul tuo volto.”
“Non sapete com’ero
prima, Behjen, e non siete mai stata una donna.”
“Devi spremere delle
bacche, come prima cosa. Poi dovrò bollirle in un calderone con foglie di
mezereo e di Azalea delle Nevi.”
“Devo cercarle fra i
boschi?”
“Ci penseranno Azil e
Ochvernon a trovarle per la ricetta. Tu, intanto, dimmi qualcosa su ciò che abbiamo
sentito presso il Castello Nero.”
“Siamo in conflitto
contro i Militi Neri.”
“I soldati di Zaila?”
“Tutte le sue Arpie sono
state eliminate dalla nostra forte offensiva.”
“Ciò è molto gradito
anche a noi Suvajim. Era un nemico potenziale che più volte ci ha fatto
rabbrividire al solo avvicinarsi presso la loro rada.”
Mentre avveniva questo
dialogo, Zaila comparve sul campo di fronte a Koran e ai suoi. Era un’Arpia
evoluta, priva d’ali, un chimerico mostro simile ad una medusa, ma con
tentacoli da polpo come arti inferiori. Questo tratto ripugnante spuntò
improvviso quando le si alzò la veste, nello slancio verso il prode comandante
Ehlo, che non poté che arretrare di fronte a quell’orrore vivente. I Roke
avevano perso troppa energia, e rischiavano di perdere la loro elettricità,
cosa che li avrebbe sfiniti fino alla morte. Li salvò la provvida Rayne,
infondendone un po’ della propria, ma poté aiutare solo parte della
retroguardia Roke.
“Militi Neri, avanzate in
file unite, plotoni della notte!”
“Per la Regina Zaila,
morte al popolo verde!”
“Per Zaila la Grande,
contro il biondo comandante di Orios!”
I soldati neri erano nani
deceduti e resuscitati dal potere evocativo di Zaila. Non erano fortissimi, ma
bardati con un’armatura pesante e aculeata, con cui potevano infierire anche
soltanto gettandosi con forza verso il nemico. Erano una moltitudine. Non si sa
come sarebbe finito questo scontro, ma l’arrivo di Rayne fu provvido, perché
portò con sé Behjen a capo di un manipolo di fanti che cavalcavano Ippogrifi.
Arrivò anche Dodonte, che si era allontanato per seguire la fata, affinché non
si perdesse tra i boschi.
“Sono Behjen, e questo è
il mio esercito! Per i Suvajim!”
“Alajé, Alajé, Suvajim òth therothet eddà!”,
gridarono le Elfe guerriere. Gli Ippogrifi agirono come le Arpie, ghermendo ed
elevando i militi nemici come fossero leggeri spaventapasseri. Fra i soldati
nemici, ancora tenaci e forti dopo un’ora di feroce combattimento, apparve
Xein, l’unica Arpia sopravvissuta. Un’Ombra le aveva sussurrato che le altre
erano state totalmente spazzate via dalla faccia delle Terre dei Cinque Mondi,
ed essa era impazzita di dolore. Tramutando questo spasmo in odio furente,
scese in battaglia mostrando una dentatura aguzza e prona a morsi che non
avrebbero lasciato scampo, se Uwanish non avesse notato questa presenza
pericolosa fra gli scudi dell’esercito avversario. Allora si stese a terra,
contando sull’ottusità di quei fanti redivivi, ed avanzò carponi fino a
raggiungere Xein. Allora si alzò, e la trovò confusa da un’apparizione così
lesta e improvvisa, che non gli fu difficile infierirle un unico colpo di lama
che la dilaniò una volta per tutte. Zaila soffrì la sua scomparsa come se fosse
stata una sorella a perdere la vita, divenne ancora più spietata, e scelse i
Roke come bersaglio per vendicarsi. Questo popolo dovette così subire un'altra
dura perdita, dopo l’attacco delle aquile Rocken. Quel che successe poi,
allarmò tanto Koran da spingerlo a dare una svolta importante alla guerra, affinché
l’esito non vedesse soccombere tutti i suoi valorosi elementi. I nani neri
parevano privi di volontà, ma rivelarono improvvisamente un potere segreto.
Senza pronunciare parola si chinarono, e i loro scudi si illuminarono di una
luce il cui riflesso radiante ebbe una consistenza che li stordì. Uwanish perse
l’udito, Rayne e Dulian caddero a terra. Se la Reginetta si procurò una
slogatura non grave, si dové temere per la vita di Rayne, che giacque fra
lamenti che avrebbero intenerito un Orco. Li ascoltò perfino Uwanish, che
avvertì quest’unico suono come un richiamo di speranza per una prossima
guarigione. Ed in effetti, quell’amica aveva conoscenze magiche per medicare
questo invalidante difetto, ma doveva essa stessa sopravvivere alle conseguenze
di quell’urto. Così Uwanish la prese tra le sue braccia, e la portò a Behjen,
che aveva appena colpito quattro militi oscuri librandosi in aria e mutandosi
in un fascio di lame lucenti che, biforcandosi in quattro direzioni,
eliminarono altrettanti stolidi Esseri Neri, lasciando visibili solo quattro
scudi abbandonati, che cocciarono formando un misero tappeto di ferro che era
tutto ciò che rimase di loro. La Reginetta Suvajim accolse la tremante Rayne,
ed ebbe lei stessa dei brividi per la responsabilità che le si chiedeva di
lenirla. Non ci furono rimedi magici, e l’unica soluzione era un prolungato
riposo, così la portò nei Boschi Innevati, lasciando la battaglia, per la quale
tuttavia il suo contributo era stato inaspettatamente determinante. Koran andò
presso Dulian e l’abbracciò, ma si accorse presto che il danno subìto non era
poi tanto grave, e si rasserenò. Tornò sul campo ancor più furioso, ma lo
accolse una scia di Ombre di Fango comparse dal nulla. Era quello il potere
nascosto dell’esercito di Zaila. I Roke le spazzarono però via con poche saette
ben direzionate, che li privarono però di tanta energia, che dovettero
ritirarsi, e lentamente si recarono presso Behjen, in attesa della fine, che
era nelle mani di Koran. Dulian era distratta dal dolore persistente alla
spalla, ed era anche assai stordita, seppure non l’avrebbe mai ammesso. Uwanish
attendeva aiuto. Mitreis era stanco, perché si era accollato gran parte di
quell’impresa, e veniva minacciato da più fronti. Dodonte gli venne in
soccorso, e infierì testate da un lato all’altro, stendendo facilmente le fila
nemiche, ma solo temporaneamente, perché ogni suo sforzo colpiva solo gli scudi
con cui si paravano. Koran prese di mira Zaila, temendo tanto per la sua vita
che credette di immolarsi. Alzò Heknaton, sollevò l’elsa, e torcendo il polso
della mano che l’impugnava balzò in aria urlando:
“Per i Fulminati di Rok,
per Argant di Orios, per Dulian, per gli Esseri Verdi!”
E citando questi amati
alleati, trovò forza nel desiderio di vendicare gli scomparsi e di proteggere i
sopravvissuti, e colpì Zaila nel ventre, dall’alto. Ne scaturì una luce
violacea, che si espanse, e a poco a poco si fece nera, e si rivelò gas Cheleb.
Il volto di lei si aprì in un’espressione orrida, in cui enormi incisivi
sembravano voler cercare dall’alto quella pietà che non meritava, e che non le
fu concessa. Koran si chiese se avrebbe mai incontrato un essere tanto
ciecamente malvagio da odiare indiscriminatamente tanto i nemici, quanto i
propri seguaci che non soddisfavano gli ordini da lei impartiti. Quella nube di
gas Cheleb fu allontanata dagli Ehlo agitando le braccia tutti insieme, mentre
i Fulminati si riunirono in cerchio e piansero le loro perdite. Era stata una
lunghissima impresa, ma nessun eroe Ehlo perse la vita, né ebbe gravi
conseguenze, e un successo così inaspettato fu ascritto in parte a buona
fortuna, in parte al valore di Koran. Giunsero a sfida conclusa, con stupore di
tutti, Trejo e Hovetrix, che recarono con sé provviste di viveri e qualche
unità di soldati gallici, che non parvero molto aitanti, ma che si aggregarono
alla compagnia.
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