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QUESTO E’ IL SITO DI:   FILIPPO ARMAIOLI MAGI

NATO A PISA IL 12/3/1977

ULTIMO AGGIORNAMENTO: 10/08/2008

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11.

Il Popolo del Mare

 

Argant si stagliò sulle rocce a picco verso l’oceano. Respirava gli effluvi dei flutti, e si sentiva forte, ma anche depauperato di un vigore che sentiva di perdere quando era tanto lontano da Orios. Ocenaa, Terra delle Acque, era un mistero, quindi era anche un pericolo. Ma Ocenaa era anche la speranza di Orios. Il labaro di Wasland tornò a mostrarsi, e la sua bandiera sventolò irridendo il cielo. Al suo fianco, sfilavano Olnac di Orios, Mirigone di Lotragh, e Wangaro di Rok. Shamse di Hòho  e Jakkar di Kelzburg li seguivano subito dopo, e quando ebbero mosso alcuni passi si trovarono tutti di fronte a uno spettacolo disarmante e inatteso. Gli Ocenidi, popolo pacifico ma misterioso, avevano costruito un imponente arsenale. Le barche e le navi dentro il porto di Hòho erano mirabili, per la foggia inconsueta, e per le linee aerodinamiche, che non trovavano riscontro in alcun disegno o raffigurazione conosciuta, per cui colpirono gli occhi di tutti con stupefatta ammirazione. Le barche erano molto minute, ma parevano saper entrare fra i flutti con agilità, ed essere quindi mezzi di trasporto assai utili. Le navi erano prodigiose. Erano oblunghe, e presentavano come polene delle sculture auree così splendenti che c’era chi avrebbe creduto splendessero al buio. Raffiguravano naiadi, sirene e napee così belle da parere vive.

“Non ho mai visto un posto come questo in tanti anni di viaggio,” disse Jann.

Uwanish era impassibile, come se già vi fosse stato, ma in realtà era desideroso di tornare ad Orios, ed aveva visto in Carcade e a Melev cose che lo avevano colpito maggiormente, anche se, a domandarglielo, avrebbe ammesso che in effetti l’arsenale di Ocenaa era una meraviglia notevole.

“Guardate le case, laggiù!,” disse Jahlia “Sono fatte di corallo! Sono bellissime!”

Jahlia, tu come sempre sei romantica, e tutto ti commuove.”

“Non sono deliziose?”

“Carine. Ma io preferisco di gran lunga il mio palazzo, e come Verahon voglio tornare presto a Orios.”

Dulian, ti capisco. E tu , Rayne, non sei strabiliata?”

“In effetti è uno spettacolo incredibile. Guardate i balconi, sono pieni di fiori.”

“Preferisco le aspidistre di Aleas a quelle insulse margherite.”

“Non sono margherite, Jahlia. Sono Amunzie. Vedrai un riflesso come d’arcobaleno ogni venti minuti, e ti ricrederai,” disse Mitreis.

In effetti i raggi dei Soli colpirono i petali e le corolle delle Amunzie, e da essi dipartirono raggi colorati assai graziosi.

“Com’è possibile?,” volle sapere Jahlia.

“Perché sono sintetici,” le rispose Drojo.

Tutti si girarono, perché era fra i soldati l’Elho che meno  amava parlare senza motivo.

“Li conosco perché me ne portò dei mazzi Dulian, che li ebbe da Myha. Erano per le mie figlie. E quando gliele ho date, ho scoperto quello che era loro successo a Mersham.”

Drojo pianse, ancora una volta, e ancora una volta alcuni soldati si accesero di livore. Avrebbero ucciso gli ultimi orchi, e affrontato nuovamente Odhon, anche a costo di non fare più ritorno a casa. L’idea partì da Verahon, che non ce la faceva più a reggere il dolore dell’amico. Verahon avrebbe dovuto sposare Tirice, cui era promesso, e tanto la desiderava che Drojo gli promise che gliel’avrebbe fatta sposare comunque, nonostante il forte stato di menomazione psichica che l’aveva colpita, a patto che fosse stato un padre ancor prima che un marito. Verahon aveva accettato il patto, e si era impegnato se avesse dovuto, ad accogliere anche Limia. Drojo gli rispose che non era necessario, perché avrebbero abitato vicino, in modo da non separare le due sorelle.

“Parti, Verahon, ma sai chi è Odhon e a cosa vai incontro,” lo ammonì Koran.

“Io vado, Koran, perché Odhon ha rovinato i miei progetti prima ancora che potessi crearmi una famiglia. Deve tornare alle tenebre da cui fu creato, a costo che io stesso cada nell’abisso!”

“Vai allora, coraggioso cavaliere. Porta con te  chi accetta di venire.”

Verahon partì con Tiaff e Raglan, perché Argant si oppose alla partenza di Lahmman che gli era caro come un figlio e che non voleva affrontasse il Re degli Orchi. Apprezzava anche Verahon, ma sapeva anche che era l’uomo più testardo con cui aveva mai avuto a che fare, tanto che da sempre non amava rivolgergli ordini, temendo quegli sguardi arcigni che tante volte avevano fatto desistere i nemici dall’attacco. Verahon sapeva guardare gli altri come se lui fosse un re e l’altro un insetto da schiacciare.

“Raglan, Tiaff, andate pure. Non vi tratterrò. Sappiate porre aiuto a Verahon e convincerlo alla resa se necessario.”

“Noi ci ritireremo, se sarà il caso,” disse Raglan,”perché alla vita ci teniamo. Quanto a Verahon, difficilmente credo che seguirebbe i nostri consigli.”

“E’ davvero così. Siate buoni scudieri per il tempo che potrete.”

“D’accordo, Koran. Addio.”

“Ci rivedremo nella pace.”

“Così sarà, comandante.”

La compagnia partì, e ci si volse di nuovo verso Ocenaa.

Si intravvide un’isola, che colpì molto la curiosità di Jahlia.

“E’ l’atollo di Almaridia,” disse Mitreis. “Secondo i dati in mio possesso, vi si trova la runa di Alhas.”

“Sarà nostra,” disse Uwanish.

“Le consegneremo a te, le rune, Jahlia.”

“Ne farò buon uso, “ assicurò la fata.

“Per arrivare all’atollo, occorrerà che requisiamo una barca ocenide, ” propose Dioril.

“Ci attaccherebbero appena intravisti,” avvisò Jahlia,

“Le ondine sono pacifiche, ma tengono alla incontaminatezza di Hòho più della loro stessa vita.”

“Allora Jann è nei guai, e anche noi.”

“Perché Koran?,” chiese Mitreis.

“Perché ha chiesto di andare in avanscoperta, e anche, se non è stato autorizzato, è partito con Rayne.”

“Questo non gioca a nostro favore. Decisamente. Anche perché non siamo qui con intenzioni ostili. Siamo qui per la runa, e dobbiamo ignorare ogni altra cosa.  Questo non è un viaggio di piacere.”

“Lo avevamo capito da un pezzo!,” bofonchiò Uwanish.

Qualche istante dopo, arrivò Dodonte. Portava con sé Jann.

“Dov’è Rayne?”

“Non sono riuscito a trovarla,” disse il centauro, “ e credo che ben presto sarà

ad Hòho.”

“Questo non ci voleva,” disse Argant, e tutti si voltarono, perché il Re non era solito rivolgere la parola ai sudditi lontano dal trono e dalla regina,

“Presto suonerà l’allarme. E dovremo fuggire.”

 

Nay aveva indosso una tuta a bande azzurre e nere, ed era avvolta da piccole cinture, sulle quali pendevano aguzze punte ed esili cilindri di ferro, che occorreva unire tra loro per ottenere le frecce di un arpione che lei teneva dentro una apposita faretra,dentro cui erano riposti altri dardi di riserva. Aveva una cintura da cui davanti pendevano altre punte e dietro e ai lati altri cilindri di ferro formavano un’insolita gonna che all’occorrenza sarebbe diventata un’altra serie di frecce. Il motivo per cui l’equipaggiamento della figlia di Onati era così scrupolosamente imbracato sul corpo della giovane era perché essa era solita perlustrare arcipelaghi nei meandri delle cui isole poteva soggiornare a lungo sotto l’occhio vorace di belve d’ogni genere. E inoltre, Nay amava cacciare lepri da cuocere attorno ai falò, presso cui parlava con vivace familiarità coi mercenari e le figlie dei pirati dei mari con cui condivideva le serate.

“Ehi, tu! Chi sei?, “ disse la reginetta.

L’intruso era un essere che non aveva mai visto.

“Sono Rayne di Eleon, e tu sei Nay, credo.”

“Non mi piace che mi si tolga il piacere di presentarmi.

Mi conosci, dunque?”

“Per quel che so che di te si dice?”

“E che si dice di me all’Esterno?”

“All’Esterno?”

“Fuori da Ocenaa, voglio dire.”

“Che sei un essere leale, ma assai diffidente.”

“Vere entrambe le cose Per cui, Rayne di Eleon, proclamo il tuo stato di arresto.”

“Ma vengo in pace!”

“Allora riponi le armi a terra!”

“Non posso! Gli Esseri Verdi hanno l’ordine di non disarmarsi fino all’arrivo a Orios.”

“Allora, lo hai voluto tu. Guardie del Mare, venite!”

Spuntarono Clime, Parawi, Miave, e Desen, insieme all’ondina Shamse, che amava curiosare.

Clime! Desen! Avete lottato con noi!”

“Non statela a sentire! Prendetela!”

“Ma Nay, quel che dice è vero! Tu stessa ci hai mandato in suo aiuto!,” disse Clime.

“Allora sei al seguito di Re Argant?”

“Infatti.”

“Davvero? Continuo a non crederti. Ti farò liberare, ma prima devo rinchiuderti.”

Rayne volle opporsi, ma Miave e Parawi avevano una forte presa, e non lasciarono che  si divincolasse fino a che non furono certi di aver ben chiuso la cella. Quello che infastidì Rayne non fu né la prigionia né le sbarre, ma il mare, perché la gabbia dentro cui era stata richiusa era a picco sulle onde, che erano alte, scroscianti e minacciose. Rayne era in balìa dell’alta marea. Gridò di stare male, ma nessuno mostrò di ascoltarla.

 

Koran e Dulian giunserò a Hòho in cerca di Rayne, perché se Jahlia sapeva usare le rune, era lei che si era sempre mostrata più abile a trovarle. La liberò Uwanish, e quando Shamse riferì alla reginetta della liberazione della prigioniera, l’atteggiamento mite degli Ocenidi mutò radicalmente, perché Nay esigeva il rispetto delle proprie decisioni. Si pose sulla cima del monte Ariman, e da lì spronò le figlie dell’oceano alla rivolta contro lo straniero che da ospite indesiderato, pareva comportarsi come offensivo invasore. Nay non poteva permettere che giungessero nel cuore della cittadella, non perché vi fossero segreti da nascondere, ma perché lo statuto del loro popolo vietava che gli Esseri delle Terre potessero porre piede nel Regno del Mare.

Nay improvvisò un discorso persuasivo ed accorato, volto a richiamare chiunque avesse

maturato abilità difensive nel corso delle proprie esperienze. La maggior parte dei suoi sudditi ascoltò senza prendere impegno, quindi, perché tranne poche eccezioni, nessuno aveva mai imbracciato armi se non per delle esercitazioni guidate da Parawi, durante le quali pochi si distinsero e molti rivelarono la loro goffaggine. Nay era allarmata, anche se si notava che non provava alcun odio.

Shalocee, Weho. Questo è il nostro mare. Vi parlo come regina, e vi chiedo di difendere queste acque preziose che ci danno la vita. Armatevi di coraggio, respirate l’aria, e prendete forza dall’energia del suo sale. Siamo creature degne di resistere a ogni attacco. Uhlil, Velia, facciamo vedere quanto valiamo.”

Nay noi ci siamo! E siamo con te, regina!”

Shilò, Woka! Per Ocenaa e il popolo Weho!”

“Ondine, l’acqua è il nostro passato e il nostro futuro! Facciamo rimpiangere agli invasori di aver contagiato con la loro impurità la perfezione di questo nido che da sempre ci accoglie!”

Woka! Woka!

Argant e Koran raccomandarono ai cavalieri di non fare troppo male a quelle creature e di cercare di respingere le loro mosse senza infliggere danni, perché avrebbero perso il benvolere di un  popolo che mai nulla aveva fatto contro di loro, e che sempre era vissuto senza cedere al Regno degli Esseri Neri. Koran allontanò Gonta, strattonandolo, perché aveva inferto colpi troppo duri a Miave, e impose a Jahlia di trovare qualche rimedio curativo per lenire all’ondina gli ammacchi doloranti che aveva dovuto subire.

“Perché mi aiutate? Non ho bisogno della vostra pietà!,” si lamentò Miave, piena del suo orgoglio.

“Driade, noi non volevamo fare male ad alcuno di voi. Siamo qui per la runa.”

“A noi non serve, prendetela pure quella pietra. Ma Nay ci ha ordinato di attaccarvi,

e finché non ci ordinerà l’armistizio, non porremo alcuna tregua.”

“Non ci spaventate, perché abbiamo quasi sterminato gli Orchi,” vantò Mitreis.

“I mostri di Mersham non sono più un pericolo?”

“Alcuni sono sopravvissuti, ma ben presto saranno vinti anch’essi.”

Odhon è libero e vive, Ehlo,” disse Nay, “Ma se è vero quel che dite, cioè che avete sconfitto i suoi fanti, non è più motivo che ci battiamo gli uni con gli altri. A patto che, presa la pietra, ve ne andiate senza nulla di altro da chiedere.”

Dioril,” chiamò Koran,” mostra a Nay quel che abbiamo.”

Dioril portò un grande astuccio, dentro cui erano riposti, dentro delle guaine, alcuni utensili inconsueti. All’elfo piacque mostrarli, e commentare ciò che aveva tra le mani spiegando cosa fosse.

“Questo è un trigulzio, una specie di pugnale. Quest’altra, la iaca, è una piccola accetta.

E questa piccola spada si chiama nestrello. Non so come si chiamassero nella loro lingua ma ora sono nostri, perché chi li usava non è più tra i vivi.”

“Riconosco questi oggetti, Ehlo, e vi credo. Ondine!,“ gridò Nay, “E’ l’armistizio! Riponete le armi!”

“Scelta saggia, Figlia del Mare.”

Koran di Orios, fa come ti ho detto. Clime ti aiuterà con una barca a raggiungere Almaridia. Non ci sono pericoli, perché le Salamandre che vi abitavano si sono estinte e nessun altra creatura vi abita.”

Era davvero così, e la runa fu presa.Era arrivato quindi un momento molto atteso, e giunse perfino Kariabe il druida per compiere un rito ancestrale, per il quale era necessaria la presenza di cinque differenti membri di differente etnia attorno a sé.

Argant si fece precedere da Olnac di Orios, Mirigone di Lotragh, Jakkar di Kelzburg, e Nay di Ocenaa. Nay aveva chiesto Verahon come sposo in cambio della sua presenza, e fu accettato il connubio. Così, contenta di aver trovato un compagno, Nay si fece dare la runa di Alhas da Jahlia, e l’incastonò su uno dei quattro lati dell’Obelisco di Belzared, che fu portato da Hòho.

Agli altri tre furono messi la runa della Bruna Terra di Mergje, la runa di Fuoco Yhli e la runa di Pietra di Rok. Quando tutte furono incluse nel pinnacolo, esso sprofondò fino a sparire verso il centro della terra.

Kariabe gridò:

“Evoco Maran Elaié, per un unico regno!”

 

Verahon non si interessò all’evento, ma adulò la sua nuova amica:

Jahra Ebdim Sa Lohi. Tu sei ogni giorno una scoperta di bellezza. Ti regalo questo diadema come promessa.

Fahri alelas, maram alami leha. E tu che così mi vedi ora, così sempre mi vedrai. Ti dono questa collana di conchiglie in nome del mio impegno.

“Le tue branchie non sono così orribili come si può pensare, sai?,” scherzò Verahon.

“Nemmeno i tuoi baffi, Verahon, mi impediscono di baciarti!,” rise Nay.

Ma prima ancora che lei potesse posare le sue labbra anfibie su quelle di Verahon, giunse un’enorme idra. A cavallo di essa, erano Anaea e Onati, che subito redarguirono la figlia, che, turbata dal loro improvviso arrivo, balzò d’un passo indietro. Il tridente di Onati incastonò il collo di Verahon, che temette che i due denti della lancia forcuta si stringessero ancor più fino a soffocarlo. Non fu così, ma fu tanta la paura, perché i genitori dell’ ocenide non erano graziosi quanto la figlia, ma assai mostruosi.

Argant vide tutto, ma non poté far nulla. Verahon si districò da sé. Quando vide partire Nay dentro

i flutti, mentre lei agitava le braccia verso di lui per riabbracciarlo, Verahon si disperò, tanto questa giovane aveva preso il suo cuore.

Nay, torna da me!”

“Non può sentirti, Verahon. L’hai persa, purtroppo. Forse un giorno la ritroverai.”

“Ma Argant, era mia!”

“Lo so, ma le leggi di Ocenaa non ci pertengono.”

Si sa che Verahon si gettò nel mare, e di lui non si seppe più nulla. C’è chi è convinto sia morto, ma c’è chi dice che abbia sviluppato lui pure delle branchie, e che si sia evoluto in forma di pesce. Comunque sia andata, egli non rivide più le Terre. Argant avrebbe preferito riportarlo a casa, ma accettò il volere del destino.

 “Si chiamerà Elhom la nostra patria, l’antica Elevon,” declamò, “così come i Manoscritti vogliono si dovesse chiamare quella oggi perduta.”

E mentre Tahoo Pee danzava forsennata, Rayne cantò con Lim questa canzone:

 

Aloj Shel’Elhom, Noo Hai Shilé

anadh Elevon! Ohn evì, anah

Sharan Elevon, aihaiiss!

 

Evviva Ehlom, l’antica Elevon, che  di tutti i popoli è

la patria! Risorge la Terra degli Antichi, e vi si prepara

il tempo futuro di chi è ancora con noi!

 

E trascrivo qui nella lingua degli Uomini il significato di queste parole, affinché anche i Grandi Jem possano sapere delle grandi gesta che attorno a loro e a loro insaputa per anni si volsero in quelle Terre in cui essi ponevano i loro passi.

 

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