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QUESTO E’ IL SITO DI:   FILIPPO ARMAIOLI MAGI

NATO A PISA IL 12/3/1977

LA MIA E-MAIL E’: filippo12377@email.it

 

1.

In marcia per il regno

 

Le orecchie delle lepri vibravano al moto del vento del Nord, ed esse si rintanavano fra i boschi come  se paventassero l’arrivo di qualche predatore, invisibile alla vista, ma avvertito come prossimo e inarrestabile. L’aria circostante era satura di torbide gocce di una pioggia che si sarebbe presto prorotta con scroscio impetuoso su tutta la valle. Era iniziata l’Era degli Orchi, e se l’Età delle Fate aveva visto la nascita di milioni di loro in gruppi che volteggiavano come api laboriose, sarebbe giunta anche l’Epoca degli Elfi. Gli Ehlo delle Terre di  Orios attendevano quel tempo, perché avrebbero accresciuto saggezza, intelletto e dominio. Non esistevano stagioni, perché era inverno ogni giorno e ogni mese, e non veniva altro tempo, e sempre accadeva che uno sferzante temporale o l’alto sole acceso di  luce giungevano secondo un volere che gli Ehlo osservavano senza poter controllare lo spontaneo accadere di questi fenomeni naturali. Gli Esseri Verdi vivevano in quel Submondo raminghi, in perenne spostamento verso l’esplorazione di un territorio che, benché loro, non conoscevano mai a sufficienza. Alcuni camminavano sui davanzali del Palazzo Elfico di Orios, altri vivevano sotto il bosco di Gruv a Wasland e altri ancora si potevano incontrare a Benthar, la colonia maggiore. Gracili e minuti, si infilavano nelle scarpe degli Umani come piccole formiche, avevano cappelli a cono e bevevano i loro liquori in boccali piccoli come le loro mani, che impugnavano con forza perché non cadessero durante i turbolenti tragitti degli Uomini. Le loro calzature li rendevano spediti come agili traghetti sulla furia d’un moto d’onda marina. Zolle da ogni parte ed improvvidi sassi rendevano ogni percorso minaccioso agli Ehlo, specialmente quando aveva piovuto, ed il fango rischiava di inglobarli e di sradicarli fino a piombare a terra d’un botto. Olnac fu disarcionato, e Gerodel lo seguì. Mendoleen si salvò per poco, e ricevette solo un pugno di terra bagnata sul viso. Argant, il Re, stava sempre assiso in trono, non in un palazzo decoroso, ma dentro la cavità di un albero, dove pare che Dulian, sua figlia, amasse affacciarsi come da un balcone. Lei desiderava vedere altri della sua specie, magari da lontano, attaccati come spore ai calzari dei minatori in viaggio verso le cave. Lili, la sua migliore amica, da tempo era fuggita per amore di Koran, ansiosa di governare con lui la colonia di Kelzburg, fra filari di pioppi e paludi invase da decine di petulanti ranocchie, per poi vedersi preferita Dulian. Argant dovette redarguire Lili perché l'astio che nutriva verso la figlia non sfociasse in gelosa lite furente. Più volte si vide le due battersi ora con questa ora con altra arma, e non vi era scontro che non finisse pari, o, spesso, interrotto da chi non voleva finisse male per la perdente. Più volte Dulian aveva tentato di riallacciare il rapporto con Lili, arrivando persino a chiedersi se un uomo valesse tanto da giustificare la rottura di rapporti affettivi tanto saldi, ma quando volse lo sguardo a Koran, la risposta della sua emozione fu tale che comprese quanto Lili portasse nel cuore, ben sapendo che entrambe avevano un sentimento di uguale intensità. Koran, da parte sua, ignorava Lili, ma i suoi occhi non erano tutti per Dulian, e ciò non era dovuto a una relazione segreta, bensì al suo sguardo, che mirava lontano, verso le Grandi Montagne, verso il destino del regno. Sentiva che il vento era cambiato, portava con se l’alito di creature perfide e straordinarie. Ciò mutava il suo umore, e lo portava a trascurare Dulian, tanto che la ragazza viveva nel dubbio di non essere all’altezza di ciò che il cavaliere chiedeva a chi doveva essere la donna al suo fianco. Per questo, si allenava a essere una guerriera, nell’eventualità che nell’azione dovesse convogliare quell’energia che avrebbe voluto investire nella passione amorosa. Uwanish e Mitreis si accorsero di questo suo impegno, e fecero notare ad Argant quanto la figlia fosse cambiata. Il Re stimò i suoi sforzi, ma paventò che alterasse la sua femminilità fino a perdere se stessa. Invitò Lili a corte, perché vigilasse su di lei. La sua reazione fu aspra.

“Sire, io vi debbo rispetto, e devo esservi grata di ogni parola che mi offrite, e del permesso di darne a voi come se fossimo pari in dignità.”

“Ogni mio suddito è per me mio pari, finché

non travalica quella giusta barriera che ovviamente ci divide, ma che è solo il breve spazio tra il trono e il mio interlocutore.”

“Non ho tanto da dire a voi quanto voi forse ne avete a chiedermi. Per questo, sarò breve. Non posso badare a Dulian, fosse pure in pericolo la sua salute. Io e sua figlia siamo nemiche.”

“Per Koran? Io stesso ho faticato ad accettare che le stesse accanto. La sua famiglia è contadina.”

“Anche la mia, Re. E’ per questo che lo vedo come vicino a me. Dulian me l’ha portato via!

Lo conoscevo da molto prima.”

“Non lo sapevo. Tuttavia, se interrogando lui, ci fosse una propensione verso di te, sarei disposto a consigliare a mia figlia di lasciar perdere, e le farei trovare un altro partito.”

“Purtroppo nulla è da fare. Dulian ha già vinto il suo cuore. Koran è suo.”

“Non siate abbattuta. Troverete chi lo sostituirà.

E se ci fosse una rottura tra i due prima della loro unione, mi prodigherò a fartelo sapere.”

“Una donna non può aspettare a lungo. Starò con un alfiere, che da tempo mi perseguita. All’inizio mi infastidiva, l’ho anche affrontato, ma è chiaro che può essere per me un buon compagno, se ha tanto interesse.”

“Parli di Artamis? Mi ricordo di averlo visto spesso presso di te.”

“Sì, è lui che chiede di me.”

“Allora, sia! E’un ragazzo pieno di qualità.

Fidatevi.”

“Non potrei non credere a quel che dice sua maestà.”

“Quanto a mia figlia…”

“Non è più un’amica. Anche con Artamis presso me, Koran sarà sempre nei miei pensieri finché l’alfiere non riuscirà a scalzarlo dal mio petto.”

“Artamis ne sarà ben capace.”

Lili si congedò, e a Argant toccò assoldare una compagnia di giocolieri che campava viaggiando su un caravanserraglio. Dulian apprezzò molto, ma si dovette fermare un mimo, che assalì una

fantesca. Non riuscì a farle del male, ma per punizione dovette subire la punizione dei Cinque Duchi, che consisteva nell’accettare il  responso di cinque membri della famiglia regale. In verità, cinque erano i castighi, proposti uno da ognuno, ed era Argant a decidere se essere piuttosto clemente o crudele. Col mimo fu indulgente, perché gli inflisse di vivere un anno nella contrizione, e perché fosse rispettato questo gli affiancò un monaco guerriero, Kariabe, noto per la sua inflessibilità. Era un individuo misterioso, che nascondeva segreti che nessuno osava indagare. Argant sapeva che c’era qualcosa di lui che lo distingueva dagli altri, ma non gliene chiese mai, temendo di sbagliarsi, e di fargli credere che ci fossero sospetti su di lui di qualcosa di indegno. Kariabe era invece ben accetto in società, benché fosse schivo come nessun altro, e Argant si fidava di lui.

 

 

 

“Non sopporto le ombre della notte,” si confidò Dulian a Lili quando ancora erano amiche.

“E questo ti turba. E’perché in te c’è molto degli Elfi. Sono nel tuo sangue, e ti hanno trasmesso la loro sensibilità. Noi Ehlo non siamo una razza pura. Io sono un mezzo goblin.”

“Ma io sono di stirpe regale!”

“Sii tranquilla, anche se si venisse a sapere, non sarai rinnegata o relegata ad altro rango.”

“Successe anche a me di scoprirlo, figlia mia…”

La voce di suo padre la sorprese come fosse quella di un fantasma. Era talmente abituata a lui, che da tempo lasciava che stesse solo con sua madre, la regina, per godere la sua giovinezza nella pienezza di quelle relazioni che, da piccola, non poteva né le erano permesse. Aveva vissuto l’infanzia giocando con Lili a chi fosse la più bella, radunando i bambini di Orios e di Benthar affinché votassero per l’una o per l’altra. Quando Argant e Clise, la madre di Lili, scoprirono questo gioco, le fermarono, rimproverandole duramente, perché temevano che le si considerasse vanesie, e destinate ad un futuro di grama servitù. Ma il loro legame non si sciolse, finché Koran, senza volerlo, non fu motivo di un attrito che consumò il loro rapporto, vanificando anni di intesa reciproca. Era Lili a desiderare maggiormente Koran, ed era Koran che non aveva occhi che per Dulian, che non avrebbe voluto perdere né l’uomo, benché al principio non vi tenesse irresistibilmente, né l’amica, dalla quale si sentiva unita quasi da vincolo di sorella. Ma Lili divenne aspra, violenta, selvaggia. Sembrava divenuta folle. La componente di goblin che era in lei si rivelò anche esteriormente. Le si allungarono le orecchie affusolate, il naso si pronunciò all’esterno, e le rughe attorno agli occhi le cerchiarono lo sguardo, che spesso pareva quello di chi, proprietario di un tesoro, temesse le mani di un ladro lesto e fugace pronto a spezzare i più bei sogni in un sol colpo.

 

Il Re rubò la voce al silenzio delle sue terre. Il tempo della pace era in qualche modo concluso, e a poco sarebbe valso chiedersi il motivo, se non ci si fosse precipitati a muoversi

e a radunarsi assieme.

“Alabarde, Elho!”, gridò Argant.

“Su le lame, chi mi ascolta!”, fu il richiamo di Koran a quest’ordine improrogabile. Chi avrebbe procrastinato l’imbracciarsi di un’arma, fosse anche la più artigianale, avrebbe perso una battaglia di cui non si comprendeva l’origine e lo scopo. A Lili fu consigliato di rifugiarsi presso Dulian, ma la giovane Ehlo non cedeva a lasciare ai maschi la gloria e l’impegno a fronte del nemico invisibile, che si rivelò sotto la forma di una serie di basse nuvole di rugiada, che transitavano viscide e fugaci rasoterra. Erano munite di cellule solide come pelle, e avevano occhi e arti, ed ali che non si intravedevano, ma fendevano nel buio.  Ottanta unità di fanteria Elho stavano attraversando la regione per la fondazione di colonie, spedite in cerca di giovani clamidiane, donne descritte dai viandanti come procaci e dotate di gran fascino e bellezza. Sarebbero diventate bottino prezioso, e mogli e madri docili e remissive, che avrebbero procreato i figli di uomini che in ogni caso mai avrebbero preso grembo di donna con la forza. Mitreis avrebbe garantito, secondo buona regola, che al marito pretendente non sarebbe stata assegnata una giovane suo malgrado. E questo, anche a costo di liberare tutte dal giogo coatto, se da opprimente stato di servitù non fosse divenuta per le nuove coppie una consenziente unione. Così prescrivevano i codici, le cui norme furono sempre rispettate, pena la decadenza da cavaliere a servo di gleba di fronte a qualsiasi testimone, anche privo di nobiltà, del mancato rispetto di leggi ataviche, sul cui carattere di giustizia tutto il regno trovava solido fondamento. La battaglia di Clamidia vide salvarsi solo il prode Koran, e Dulian, che tornò presso Argant. Non furono fondate più colonie, in rispetto ai lutti seguiti all’eccidio. Le ombre di rugiada furono nebulizzate in pozzanghere velenose e lasciate sublimare verso l’alto. Koran visse alcuni anni con Dulian, ed ebbe stima di figlio e di fratello verso il re e la regale principessa. Lili impazzì, letteralmente. E la trovarono completamente mutata in goblin. Anche Clise la vide, e quando uno sciocco elfo non si trattenne dal rivelarle in un sussurro che si trattava di sua figlia, svenne, e fu trovata nei giorni che seguirono in uno stato di catatonica infermità. Furono organizzati dalla corte di Orios degli spettacoli che la distraessero, ma i fuochi dei mangiatori di fiamme, sprizzando verso l’alto prima di finire nelle loro gole, e né le smorfie dei mimi o le danze dei ballerini valsero a scuoterle l’anima sgomenta.

 

Albergano residui di sogni spezzati, nelle menti infelici di chi è offeso, e quando accadeva questi piani di frustrata insoddisfazione si tramutassero in rabbia anche la dolce fata Rayne, che fino allora aveva intrattenuto con canti presso al fuoco e altruistici consigli e chiacchiere amene i villici, poteva mutare umore in pochi istanti. Graziosa dai verdi capelli, divenne statuaria e furiosa, con una volontà così crudelmente determinata da mutarla da bambola remissiva in muscolosa guerriera. Le cosce paffute e seducenti divennero dure corazze per una contrazione nervosa assai prorompente, e le sue gambe così scolpite vibravano nelle fibre fino ad erompere nel vento. Rayne era furiosa e reprimeva dentro sé grida che se fossero state espulse da quella gola incattivita avrebbero rintronato ogni padiglione d'orecchio. Infine esplose. Fu lei a ritrovare Lili, e ad aiutarla perché tornasse nelle sue sembianze. Si scoprì che di un anno e mezzo vissuto nei boschi aveva perso ogni ricordo, cosicché non si poteva sapere con quali creature avesse convissuto e cosa aveva visto nei sentieri imbattuti. Non aveva scordato Koran e Dulian, no. La sua memoria, tranne i fatti più recenti, non era stata lesa dal suo stato selvatico. Clise fu tanto grata a Rayne, che spinse Argant ad accoglierla a corte. Rayne si ritrasse, e si limitò a ringraziare, sottolineando che non aveva fatto niente se non ciò che si sentiva di dovere nei confronti di un essere sperduto e senza fortuna.

“Stavo vivendo nella mia terra! Ed ora devo rimpiangere la mia gente? I villeggianti che conosco...Dove sono adesso?”

“Calmati, Rayne, è naturale perdere chi ci è caro quando ci si impegna ad affrontare il mondo.”

“Parli bene, Olnac, tu non hai niente da perdere.”

“E’ vero, io no.”

La fata era veramente dolce, gentile e graziosa prima, quanto adesso era abbrutita, irosa e spietata. Olnac preferì non continuare a parlarle. Nessuno poteva trattenere la furia di Rayne, che si risolse in vandalici abbattimenti di fronde d’alberi ed anche di interi filari di essi. Nel suo viaggio incontrò il popolo degli Ehlo, e le loro donne cercavano di porle conforto. Finché Trejo e Hovetrix di Clamidia le riportarono un foglio stropicciato. C’era, soprascritta, la sua storia e la sua patria, Darkonnen. Leggendola, vi rientrò come se pronunciando quel diario vissuto attraversasse una porta fra luoghi altrimenti irraggiungibili. E così fu, in effetti. Rayne, la Fata porpora custode del regno Eleon, tornò a Darkonnen, e da lì prese strada verso il trono. Ma pensare a chi avesse subìto il suo stesso destino, o stesse in procinto di trovarsi strappato al luogo natìo così repentinamente, la rattristava fino ad un pianto che non trovò lacrima su cui effondersi. Tanto dura era stata quell’esperienza che ad Eleon non la riconobbero, finché le cosce tornite non tornarono ad essere quelle d’un tempo. Ma lo sguardo non fu più lo stesso. La paura di ritornare a Piana della Colonna in ogni istante non la lasciò mai. Finché un altro forzato teletrasporto, frutto dell’odio per le fate nutrito da Zaila la Nera, Regina di Melev, non la fece nuovamente separare dalle amate fate. Tanta risoluta malvagità era così grande, che faceva presagire poco di buono per tutti i Mondi abitati.

 

Alla festa di Borokà c'erano solo Mitreis e Uwanish, ma avevano i volti oscurati dal mesto ricordo del crollo dei ponti di Undra e Eranwal. Xein era stata fra le Arpie così potente da ottenere poteri Jihmei possedendo l'anima di trenta Elho. La sua forza era dettata dalla rabbia che provava nei confronti delle belle donne delle Terre, perché era nata con numerose escoriazioni al viso, che erano congenite, e verso le quali nessun incanto era mai riuscito a porre rimedio. Odiava nello stesso tempo gli uomini, che a causa della sua bruttezza la fuggivano e che avevano sempre impedito col rifiuto che lei come altre potesse vivere una vita di coppia come tutte.

Xein la bastarda!”, proruppe Uwanish, quasi piangendo come un’ infante.

“Non si poteva contrastarla, era troppo Arrivata.”

“Arrivata?”

“Si dice quando un Essere Nero ottiene poteri Jihmei.”

“Non sapevo questa cosa della mia stirpe! Sono forse un rinnegato?”

“Nulla ti viene nascosto, Uwanish. E' che come tanti non puoi aver preso parte ad ogni battaglia.

E il Re Argant non ha volontà di redigere storiche pergamene. Anche perché spesso...”

“Perché spesso veniamo sconfitti.”

“Cambierà questo destino. Ma la fanteria Elho deve conquistare la Sfera Omilay.”

“Una reliquia?”

“Si tratta di molto di più. E' una delle Sfere della Vita. Omilay è atomo di Ydro combinato con particelle Oxe in tensione attiva...”

“Acqua?”

“Esiste ancora chi la chiama così? Devi aver conosciuto un Grande Jem.”

“Un Grande Jem?”

“Sono come noi, ma alti come la Torre di Najar.”

“Si narra fosse serraglio di draghi.”

“Ed oggi è dimezzata. Un Grande Jem l'ha fessa come fosse un tronco di Pirabete.”

I Pirabeti erano quel che restava di un ampia foresta di Alberi di Fuoco. Quando si estinse la loro energia, e la loro corteccia si sfaldò in una distesa di sabbie mobili, una colonia intera dovette emigrare. La valle che ospitava questa insidia letale si chiamava Madgj Sharok, e Mitreis e Uwanish dovevano raggiungerla per trovare una runa che giaceva sepolta in qualche anfratto abissale.

“Come sopravviveremo?”

“Dobbiamo chiedere a Rayne. Ma ha un atteggiamento alquanto ostile, ultimamente.”

“Le hanno cambiato dimensione. Io impazzirei.”

“Tu sei un Elho, hai resistenza fisica e psichica. Rayne è una fata purpurea. Ha il sistema nervoso di un uccellino perso fuori dal nido.”

“Eppure, mi sembrava forte…”

“Ora lo è, Uwanish, e non sai quanto. Quando una fata diventa Theraton Fayree, acquista poteri Jihmei, ma anche Omilay e Rann.”

“E noi andiamo verso Serahan per acquisire questa proprietà?”

“Sì, perché col Manto di  Serahan, possiamo Sarar Haranei, trasportarci a distanza. Ma dobbiamo ritrovare anche Koran o non sapremo la rotta con certezza.”

Mitreis e Uwanish avevano presto dimenticato la festa di Borokà, ed ora si dirigevano verso Serahan.

 

Il re Argant non poteva più reggere il trono. Zaila, la Strega Nera, era una minaccia silenziosa, ma subdola, capace di radunare nemici impietosi come Eleron l’Arpia Grande, munita di rostri ad ogni arto, e come Taimi il Gigante delle Nevi, gli insetti Pteurogimiti e le aquile Rocken. Se i primi si impossessavano della tua mente, i rapaci potevano fenderti da dietro ghermendo. Non c’era aria di pace tra gli Elho, e le donne erano stanche di fare le ricamatrici per vestire decine di soldati. Queste tenute li proteggevano per quel che potevano, ma li rendevano estranei agli occhi delle loro sarte e mogli. Dulian odiava sé stessa per quel contegno e quell’obbligo aristocratico che le suggeriva, anzi le imponeva, di non aiutare le milizie. Dulian si annoiava mortalmente, ed era certa che sarebbe profusa in sonno profondo molto prima che calasse la sera. Torogar il Giocoliere cercava di divertirla, ma la principessa delle fate non era in vena di risa. Era preoccupata per i suoi uomini. Taimi era un potente guerriero, gli Pteurogimiti erano letali e le Rocken volteggiavano irose. Avrebbero potuto i poteri degli Elho fare qualcosa contro di essi? E contro Eleron la Grande? Trejo aveva perso grandi poteri acquisiti con fatica, ed anche molti eroi. Ed ora altri due Elho avevano deciso senza chiedere regale consiglio di afferrare la Sfera Omilay, affrontando le Sabbie dell’ Ultima Fine di Madgj Sharok.

“Koran! Ti cercano!”

Dulian sussultava ogni volta che l’amato veniva interpellato, perché era sempre per missioni lunghe e pericolose.

“Uwanish! Mitreis! Amici miei, tanto siete stati lontani che vi credevo perduti!”

“Non accoglierci col tuo abbraccio. Zaila diventa sempre più temibile, e non concede tempo al  nostro affetto.”

“Che ci portiamo con noi, Mitreis, sempre. Uwanish, sei adombrato come un Ombra Spuria.”

Le Ombre Spurie erano demoni della natura che privavano dei poteri acquisiti con le esperienze nei Mondi. I Mondi erano Orios, Melev, Carcade, e Kadm Serel. Per arrivare da Koran, i due Elho avevano dovuto attraversare Carcade, Terra dei Draghi, così come avevano dovuto transitarvi per incontrarsi. Questi Esseri alati sputavano fuoco come se avessero lo stomaco invaso di lava, con un odio verso tutto che non trovava sosta. Mitreis, che ne aveva studiato ogni dettaglio anatomico prima di intraprendere un eventuale scontro, affermava che queste fiamme fossero la loro stessa anima, e che l’involucro di scaglie brune e verdastre non fossero che un’esoscheletro inerte. Questa teoria affascinò re Argant, che elesse Mitreis Cavaliere Nordico, ponendolo, da mite scudiero che era stato, alla pari in grado con i valorosi Koran, che aveva totalizzato il maggior numero di imprese per la gloria dei Regni, ed era ancora eroe invincibile, e dell’inseparabile Uwanish, goffo ma micidiale nell’affrontare gli Esseri Neri come pochi altri. Dulian ambiva in segreto ad uguagliare Koran, per essere moglie ancor più degna, ma anche per essere davvero un esempio per le Elho, che ambivano a mostrare il loro femminile valore agli occhi scettici dei maschi Elho. Diventata regina, era suo diritto aspirare a Cavaliere Celeste, titolo che rimaneva possibile solo sui Manoscritti della Stirpe, che recavano tradizioni, regole di combattimento, incantesimi, e notizie sugli Esseri dei Mondi. Ma nessuna aveva mai ottenuto questo onorevole traguardo durante la sua esistenza. E Koran, che sapeva di questo indomito fuoco che albergava in seno all’amata, temeva che si sarebbe cacciata in seri guai per questo scopo. Ma in fondo voleva il suo bene, e avrebbe favorito, potendo, il suo sogno. Intanto, però, in campo era lui e la sua spada Heknaton, lunga tredici metri e capace di fendere l’ala di un drago come fosse stata un tronco d’albero sfibrato dopo un’alluvione. Era appartenuta a Argant, che, ormai anziano, anche se sempre temibilmente tenace, non aveva più motivo di impugnarla. Il destino di Orios era in mano a Koran e alla futura regina, e Argant avrebbe fornito loro solo ciò che i Manoscritti gli avevano tramandato, e quei pochi consigli che la sua senile esperienza poteva permettergli di poter dare.

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