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    Gino Strada "Buskaskì" Edizione Feltrinelli
    AA. VV. "Basta perdere" Edizione Limina
    Recensione di Gabriella Bona (gabri.bona@libero.it)
      
      
    Il 12 settembre 2001, all’indomani  dell’attentato al World Trade Center di New York, mentre l’ONU e diverse organizzazioni umanitarie stanno considerando il ritiro del proprio personale dall’Afganistan, Gino Strada e la sua équipe si mettono in viaggio per raggiungere l’ospedale di Kabul, per riaprirlo ed essere presenti per curare le vittime della guerra dichiarata dall’Occidente. 
    Sarà un viaggio lungo, attraverso confini chiusi, pericoli continui, lunghe ed estenuanti trattative che si concluderà l’8 novembre. Quasi due mesi, con una lunga sosta in Panchir dove Strada e il gruppo che lo accompagna lavorano nell’ospedale locale, curando persone ferite, colpite da proiettili e mine antiuomo. 
    Un viaggio verso un Afganistan balzato improvvisamente agli onori della cronaca ma dove”in vent’anni, quasi due milioni di afgani hanno potuto tranquillamente morire per le bombe, o per le mine, per il freddo o per la fame [ma] non hanno mai meritato copertura mediatica”. 
    Il crollo dei grattacieli di New York, l’identificazione immediata del nemico in Osama bin Laden, la decisione di attaccare l’Afganistan hanno trovato concordi i governi e buona parte dell’opinione pubblica occidentale. “Vorrei che fosse qui uno dei membri del Parlamento – scrive Strada -  che hanno votato per la guerra. Che spiegasse ad Ahmad Froh e a Idriss che è giusto che siano conciati così perché una coalizione militare ha deciso di ‘sconfiggere il terrorismo’ bombardando il loro cortile e il mercato”. 
    Ahmad Froh e Idriss hanno quattro anni, non hanno nessuna responsabilità nel terrorismo internazionale, soltanto gravi ferite nei loro piccoli corpi. 
    Non ha paura Strada nel denunciare gli orrori della guerra e dell’ipocrisia occidentale né di essere polemico di fronte alle loro conseguenze: “La guerra attorno a noi […] non assomiglia per niente a ciò che trasmettono le reti televisive”, scrive, ricordando anche come “i parlamentari italiani, il novantadue per cento di loro, hanno dichiarato guerra all’Afganistan […] per qualcuno è stata una decisione sofferta. Vedremo di farlo sapere a Jaweed, magari deciderà di inviare messaggi di solidarietà ai sofferenti tra i nostri politici”. 
    Jaweed ha vent’anni, è stato ferito mentre tentava di mettere in salvo “suo padre, sua madre, le cinque sorelle e i due fratelli. Tutti morti. La sorella più piccola si chiamava Fahima, e aveva cinque anni”. 
    “Nella macchina della guerra – scrive ancora Strada – c’è posto anche per il mondo umanitario. Anzi, un posto importante, una specie di reparto Cosmesi della guerra. Far vedere quanti aiuti arrivano per la guerra, quante belle cose si possono fare per questa povera gente. Per i sopravvissuti, naturalmente”. 
    Emergency ha detto no alla guerra e ai soldi della guerra ed è per questo che mi sembra importante segnalare il libro “Basta perdere” pubblicato da Limina. Da Gino e Michele a Beppe Severgnini, da Valeria Viganò a Fiorello, da Michele Serra a Nando dalla Chiesa, “ventuno scrittori raccontano la loro insana passione per l’Inter” dovolvendo gli incassi del libro a Emergency, a “quel poveraccio di Gino Strada [che] non solo passa il suo tempo a curare corpi straziati nei posti più infelici del pianeta. Ma è anche interista. Se non ha bisogno di aiuto lui…” 
      
    gabriella bona 
   
 
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