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    “Fuori luogo” di Marco Revelli, pubblicato da Bollati Boringhieri
    Recensione di Gabriella Bona

    Dopo Antonio Tabucchi, con “Gli Zingari e il Rinascimento” recensito sul n. 22/99 del Risveglio Popolare, un altro autore affronta il problema tra nomadi e città con un volume scritto con passione ed attenzione, in una dura accusa alla propria città. Ma “Fuori luogo” di Marco Revelli, professore all’Università di Torino e già autore di “Lavorare in Fiat”, “Le due destre” e “La sinistra sociale”, edito da Bollati Boringhieri, è soprattutto un libro vissuto: Revelli, nei campi nomadi di Corso Cuneo e di Via Germagnano, un’assurda periferia ai confini tra Torino e Venaria Reale, ha passato giorni e notti, con i Rom (scacciati dalla Romania dopo la caduta di Ceausescu che li aveva “sedentarizzati” con la strana procedura di offrirgli casa e lavoro dopo alcuni mesi di carcere) ha parlato, ha mangiato, ha dormito, ha condotto le lotte per ottenere una vita più decente, perché adulti e bambini non morissero di freddo. Ma la “Torino della Sindone e dei milioni di pellegrini, la Torino del mito industriale e dei santi sociali, del movimento operaio e democratico, dell’innovazione tecnologica e delle ‘grandi famiglie’ filantropiche” ha sempre risposto negativamente, ha tentato di rendere la vita dei Rom insopportabile, affinché se ne andassero da soli e, infine, li ha rispediti in Romania. Di fronte agli zingari, alle loro esigenze, alla loro umanità ha soltanto saputo contrapporre burocrazia, moduli, tribunali, inutili riunioni e rifiuti.  
    Eppure Torino e Venaria Reale sono governate da Amministrazioni “esplicitamente di sinistra”. Purtroppo, scrive Revelli, “ci eravamo abituati a considerare la sinistra come luogo naturale dell’umanesimo, della solidarietà, dell’uguaglianza”. Per chi ci ha creduto, la delusione è stata enorme.  
    Oggi i punti di riferimento sono cambiati, di fianco ai Rom troviamo “gli ‘irregolari’ dei centri sociali, i volontari dei ‘comitati dei genitori’ o gli operatori della cooperazione sociale”. Sono loro che “hanno saputo inventare un linguaggio efficace per entrare in comunicazione con le comunità di Corso Cuneo e di Via Germagnano, costruendo, insieme alle parole, rapporti di fiducia, circuiti di reciprocità, embrioni di una rete di integrazione vera”. Con i Rom hanno chiesto la disponibilità di vecchie scuole abbandonate, nel periodo invernale per difendersi dal freddo, in cambio della ristrutturazione degli stabili. Opportunità che l’Amministrazione pubblica ha rifiutato, a sé e ai nomadi. Con i Rom hanno richiesto la possibilità di un lavoro regolare, della scuola per i propri figli ma sempre ricevendo rifiuti.  
    Lo zingaro puzza, lo zingaro ruba: sono luoghi comuni difficili a morire. Costa troppo ai più il semplice ragionamento che chiunque non abbia acqua e servizi igienici non riesca a lavarsi e chi non ha un lavoro, ma ha deciso di sopravvivere, in qualche modo deve arrangiarsi. Nessuno vuole vederli né sapere che abitano vicino alla loro casa e l’Amministrazione comunale sa che l’elettorato è formato dai cittadini che protestano, non dagli zingari.  
    Gli articoli della “Dichiarazione universale dei diritti umani”, che aprono ogni capitolo del libro, rendono ancora più stridente la differenza tra gli intenti e la realtà, rendono ancora più evidente che sempre più si tende a tutelare chi è già tutelato e a buttare a mare chi non ha voce.   

    gabriella bona 

     
 
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