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    Antonio Tabucchi "Gli Zingari e il Rinascimento" edito da Feltrinelli
    recensione di Gabriella Bona

    "Avevo conosciuto Liuba nel 1968 a Lisbona. Di origine polacca, famiglia ebrea, i suoi genitori erano arrivati in Portogallo nel 1943, fuggendo dalle persecuzioni naziste, con la speranza di potersi imbarcare da Lisbona per gli Stati Uniti. Non so invece per quali motivi erano rimasti in Portogallo" Con queste frasi si apre il breve e interessantissimo reportage di Antonio Tabucchi "Gli Zingari e il Rinascimento" edito da Feltrinelli.   

    Liuba vive ora negli Stati Uniti e conduce una ricerca per una università americana sulla popolazione nomade, Gitani e Rom, in Portogallo, Francia e Italia. Per il nostro paese ha scelto Firenze, sapendo di poter contare su Tabucchi che conosce bene questa città e il popolo degli Zingari.   

    Ed è accompagnando e osservando il lavoro della studiosa che nasce il libro, un atto di denuncia, violentemente lucido, verso una città che si è inventata una storia di democrazia che non è mai, nei fatti, esistita: "Impossessatasi del potere alla fine del Quattrocento - scrive Tabucchi - con quello che oggi definiremmo un ‘golpe militare’, la famiglia Medici, nella persona di Cosimo il Vecchio, diventa padrona della città di Firenze [...] A partire da quel momento viene posta fine a qualunque rappresentanza della volontà popolare [...] Non si è mai visto nella storia un proprietario che paga le tasse a se stesso. Grazie a tali ‘facilitazioni’ i banchieri Medici signori di Firenze diventano una delle famiglie più ricche e potenti d’Europa. Per fortuna erano dotati di buon senso estetico. Ciò li rese mecenati degli artisti dell’epoca." La popolazione fiorentina ha dimenticato completamente la prima parte, continua a vantare la seconda, magnificando "la culla del Rinascimento italiano" e rimuovendo dalla propria storia i bandi che, tra la fine del Cinquecento e per un secolo, colpirono vagabondi, cantimbanchi, cerretani, birboni, accattoni e zingari. Senza mai tentare di capire e di rimuovere le cause che spingono gruppi di persone ai margini della società, l’unico obiettivo, oggi come ieri, è di spingerli lontani, in luoghi dove non siano visibili e non possano provocare danno, da cui non possano offuscare la magnificenza della città o spaventare i turisti. Se allora potevano danneggiare l’immagine della corte medicea, oggi non devono essere d’intralcio alla Biennale della Moda e del Cinema o alla mostra degli occhiali di Elton John.   

    Il viaggio di Tabucchi e Liuba percorre i risultati di questa mentalità, della politica che ne deriva, attraverso le baracche della zona di Brozzi e delle Piagge "stretta tra la ferrovia che collega Firenze e Pisa e l’inquinatissimo fiume Arno" dove "gli abitanti non hanno nessun tipo di infrastruttura (acqua, elettricità, fognature, assistenza), né sussistenza. Spesso neppure i documenti che provino che esistono come creature."   

    E’ un racconto drammatico, tra persone a cui, in pieno agosto, viene chiuso dal Comune l’unico rubinetto disponibile in tutta la zona, che devono convivere con topi grossi come gatti. Un giovane prete, Alessandro Santoro, vive in questa realtà, prestando aiuto, insegnando a leggere e a scrivere a bambini e ad adulti, inimicandosi i nuovi "padroni" della città, finché il Comune arriva a sfrattarlo.   

    Attaverso la storia drammatica della famiglia Krasnich scopriamo l’assurda realtà di una popolazione a cui non viene concesso il diritto di esistere. In una società che si definisce multietnica e politically correct, gli Zingari non hanno mai avuto la possibilità di essere considerati persone, vengono giudicati ed emarginati come gruppo, senza mai tenere conto delle singole individualità. Non si vuole pensare che se sono sporchi è perché non hanno i servizi igienici e neppure un po’ d’acqua, che se rubano è perché gli è stata tolta ogni possibilità di esercitare i mestieri tradizionali, che se questuano o vendono le rose nei ristoranti è perché è l’unico modo di sopravvivere.   

    Per questo il libro di Tabucchi è prezioso: perché parla, dall’altra parte, di un mondo che si tende ad emarginare e a dimenticare, finché non diventa oggetto di qualche articolo di cronaca nera, un altra condanna, per rendere sempre più impossibile la loro esistenza.   

    gabriella bona 


     
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