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 La parola del Vescovo
 
       
     
    Attese spasmodiche, presunte fughe di notizie sul 3° segreto, speculazioni spesso grottesche, rincorrersi di voci millenaristiche, il tutto si è quasi completamente dissolto dopo la dichiarazione letta dal Card. Sodano a Fatima, sabato scorso 13 maggio, alla presenza del Papa. Un gesto in parte inatteso, che aiuta a meglio collocare e comprendere il messaggio venuto da Fatima, che si conferma come messaggio antico e sempre attuale.
       In fondo Fatima ci ripete che è possibile cambiare, convertirsi, bloccare “l’ira di Dio’’. Ancora una volta è stata Maria a dircelo: “Fate tutto quello che Lui vi dirà’’. E’ un messaggio di speranza, più evangelico certamente di quello gridato a Ninive da Giona: “Ancora 40 giorni e Ninive sarà distrutta’’. E’ interessante considerare l’arco di spazio e di tempo che il messaggio di Fatima abbraccia: da Lisbona a Mosca, dal 1917 al 2000.
       Il 13 maggio 1917 (data della prima apparizione a Fatima) era anche il giorno della consacrazione episcopale di Eugenio Pacelli, poi Papa Pio XII, il Papa che consacrò la Russia al Cuore Immacolato di Maria. Il 13 maggio 1981 l’attentato a Papa Wojtyla. Dalla Rivoluzione di Ottobre al Duemila. Anche qui, nulla che non si sapesse già: c’è una regìa della storia che sta al di sopra dei protagonisti umani, basta rileggersi la seconda parte del Libro di Isaia (cc. 40-55) e dopo la Dei Verbum tutti abbiamo imparato cosa vuol dire storia della salvezza, dove Dio è non solo il Signore delle anime ma anche il Signore della storia.
       Sappiamo bene che Fatima rappresenta una rivelazione privata che non obbliga il credente, proprio perché nulla toglie e nulla aggiunge alla rivelazione biblica. In fondo anche i miracoli non “obbligano’’ nessuno a credere: resta sempre un margine di libera scelta che Dio non annulla mai. Ma allora perché il Papa ha deciso di intervenire, ed anche in modo clamoroso? 
       Giovanni Paolo II in questi 22 anni di pontificato ha compiuto moltissimi atti di magistero, ma fin dall’inizio li ha accompagnati col renderci partecipi della sua esperienza personale di fede, senza rispetto umano, condividendo con la Chiesa anche gli aspetti più personali della propria vita di credente. Anche l’uso dell’”io’’ al posto del “noi’’ maiestatico mi pare rientri in questo suo modo così personale di fare il Papa. Ha sempre messo in gioco tutto se stesso.
       E mentre sui pronunciamenti magisteriali un po’ tutti siamo bravi a disquisire e sottilizzare, di fronte alla vita di Karol Wojtyla, alla sua fede come quella di un bimbo in braccio a sua Madre, le discussioni perdono un po’ di significato. Possiamo esserne più o meno toccati e coinvolti ma è impossibile non tacere per un attimo e riflettere.
     
    + arrigo miglio
     

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