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    RICORDANDO DUE CARI PRETI 

    La vigilia di Natale sono andato a Reggio Emilia per partecipare al funerale di don Alberto Altana. E’ un nome che non dirà niente ai lettori, anche se venne a parlare ad Ivrea molti anni fa. Eppure credo che se in Italia abbiamo il Diaconato permanente, lo dobbiamo a lui. Ne era profondamente convinto. 
       Aveva fondato con don Dino Torreggiani - una figura profetica nella Chiesa reggiana -l’associazione “Servi della Chiesa’’, un Istituto Secolare di Preti e di laici che, pur restando legalmente membri del popolo di Dio e del presbiterio reggiano, si impegnavano a mettersi totalmente al servizio dei più poveri e a disposizione assouta del vescovo. Avevano avviato a Reggio Emilia l’apostolato tra i Sinti (quelli che noi chiamiamo Zingari), poi tra i carcerati e i drogati. Poi, nell’ideale del servizio, per primi avevano auspicato il ricupero del diaconato permanente all’interno della Chiesa. Il vescovo mi confidava che questo “sogno’’ era stato trasmesso a don Dossetti (reggiano anche lui), che poi l’aveva trasmesso al Card. Lercaro, e da questi all’intero Concilio. Al funerale precisavano che il ricupero del diaconato permanente era visto non come esigenza di supplenza per sacerdoti numericamente sempre più scarsi, bensì come sollecitazione per tutta la Chiesa, e quindi anche per tutta la gerarchia, a porsi anche istituzionalmente in atteggiamento di servizio. 
       Quando si trattò di attuare in Italia la prospettiva offerta dal Concilio, la Cei istituì un piccolo Comitato formato da quattro vescovi, due della Commissione Clero, due dei Seminari e dell’educazione cattolica. Io ero uno di questi e, perché il più giovane, fui incaricato di presentare la proposta ad una Cei in gran parte esitante se non contraria. Fu proprio don Altana a seguire il lavoro della Commissione con una accurata documentazione e con una grande carica di entusiasmo; fu lui a preparare con me l’ultimo difficile appello che peraltro, su 306 vescovi componenti la Cei (si esigeva la maggioranza dei due terzi, quindi 205 assensi), ma con un’aula di soli 230 vescovi, riuscì ad ottenere il voto positivo di ben 218! 
       Don Altana continuò a interessarsi del Diaconato permanente con una Rivista specifica e con innumerevoli conferenze in Italia; anche ad Ivrea venne per preparare l’inizio della nostra esperienza. 
       Don Altana mantenne fino all’ultimo l’amore e l’esperienza della povertà, anche questa considerata non come espediente ascetico, ma come condizione di autenticità per la Chiesa. Le sue canoniche (fu parroco nel Reggiano ma per alcuni anni anche alla Magliana di Roma) erano costantemente frequentate dai poveri, come lo è stata l’ultima residenza, prima che la malattia gli togliesse la lucidità del pensiero. 
       Ho creduto mio dovere far di tutto per essere presente, come segno di stima e di gratitudine personale, ma anche per testimoniare in qualche modo la riconoscenza delle Chiese italiane e dei diaconi, per pregare per lui, ma anche per rinnovare il nostro impegno a coltivare l’amore verso una Chiesa evangelicamente povera e serva. 

    *** *** *** 
       Sabato 8 gennaio ho partecipato a Spilamberto, nel modenese, ai funerali di Mons. Luigi Campagnoli. Era un sacerdote bolognese, un po’ più giovane di me ma amico da sempre, soprattutto da quando, nominato io Assistente dio cesano dell’Azione Cattolica, l’avevo scelto come Assistente degli Uomini Cattolici. Era divenuto il mio consigliere più ascoltato e l’amico più frequentato. In un momento di difficile rapporto con l’Arcivescovo m’aveva accompagnato per una vacanza inveranel all’Isola d’Elba e m’aveva poi facilitato nell’estate la salita del Monte Bianco. 
       Quando, divenuto vescovo di Ivrea, avevo programmato un viaggio in India per il gemellaggio con Ivreagiri, aveva accettato volentieri di unirsi alla dspedizione, allacciando amicizie durature (ad es. col can. Meaglia): con la sua bontà e il suo umorismo era stato strumento e garanzia di concordia e serenità. Anche in seguito aveva condiviso brevi periodi di riposo ed era venuto più di una volta ad Ivrea, a portare la sua esperienza di parroco e di responsabile di settori pastorali diocesani. Aveva fondato e diretto a lungo un quindicinale di informazione diocesana ed era stato scelto dai successivi Arcivescovi bolognesi come stretto collaboratore. 
       La sua amicizia era preziosa, la sua arguzia proverbiale e contagiosa. Negli ultimi anni era stato affetto da una malattia (l’Alzheimer?) che l’aveva reso totalmente assente. Amorosamente accudito dalla sorella, aveva partecipato alla festa che nel settembre scorso parenti e amici avevano organizzato per il cinquantesimo del suo sacerdozio. 
       Caro don Luigi,  grazie per l’esempio di vita sacerdotale, per il dinamismo del tuo ministero, per un’amicizia così fraterna e sincera. 
      
    + luigi bettazzi   

     
       
      
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