Sentinella della città , occhio vigile sulla pianura del Simeto, con
la sua imponenza il castello normanno è il monumento simbolo di
Paternò tant'è che rappresenta lo stemma ufficiale sul gonfalone del
Comune: una torre merlata ghibellina aperta e finestrata sostenuta da due
ceraste dragonali controrampanti. Il castello normanno è posizionato sulla
vetta della collina e dalle sue feritoie si può tranquillamente vedere oltre alla pianura intorno e alle prime montagne, anche un tratto della costa ionica a sud di Catania e il rilucente mare. La torre si nota da molto distante e la sua struttura massiccia è ingentilita da due enormi bifore, contornate da conci di pietra calcarea, che danno luce alla sala grande del maniero. Proprio per questa sua posizione strategica si dice che poggi su una primitiva costruzione araba e possiamo tranquillamente pensare che anche i romani avessero qui una loro "vigilia" un posto cioè dove poter vigilare. Una tecnica consolidata dell'Urbe consisteva infatti nel costruire torrette di avvistamento a guardia delle proprie strade e del territorio e dalle quali poi con un sistema di segnali a specchi o con torce, comunicare con le vicine torri di avvistamento e infine direttamente con Roma per avvisare di qualche pericolo imminente. Roma in pratica riusciva, quasi in tempo reale, a muovere truppe o spostare accampamenti in virtù di questo sistema di comunicazione ottico. E' perciò molto probabile che la sommità collinare era l'occhio vigile sulla piana del Dirillo e forse anche su un tratto di mare. All'epoca dalla collina si poteva controllare il ponte romano di Pietralunga e la sua strada come pure l'acquedotto che riforniva l'antica Catania , anch'esso transitante per Paternò o la stessa Inessa o Ibla, come veniva chiamata a quel tempo il primitivo nucleo della città delle arance. Anche a un occhio poco attento non può sfuggire l'impianto romano dell'ipostazione urbanistica del centro storico: un decumano ( la strada dritta nel senso est-ovest) e il cardo (che incrociava nell'attuale quattro canti con l'arteria che si prolungava nel senso nord-sud). Tutt'ora sono ancora queste le strade principali del centro abitato di Paternò. La torre si erge maestosa sulla collina e si leva dalla pianura quasi a monito per chi non avesse sentimenti pacifici. E' alta trenta metri, 24,30 di lunghezza e 18 di larghezza. Le mura, in pietra lavica sono più spesse alla base (tre metri ) e man mano che si sale diminuiscono di spessore ( 2,60), anche per dare più leggerezza alla struttura. Le scale viaggiano all'interno del perimetro murario nord e vengono illuminate da una serie di feritoie che potevano essere usate anche per difendersi dagli aggressori. La spaziosa terrazza funzionava anche da enorme catino per raccogliere l'acqua piovana e un sistema di tubi interni, viaggianti dentro le mura , portava il prezioso liquido alla cisterna che stava alla base del castello . Appena entrati infatti si trova il pozzo-catino attraverso il quale si poteva attingere l'acqua. Si accede al castello attraverso una scala in pietra sul lato nord e attraversata la porta ci si imbatte a sinistra nella graziosa Cappella costituita da una navata unica a forma rettangolare, con soffitto ogivale e abside semicircolare. E' sicuramente l'ambiente più affascinante, praticamente l'unico che porta segni artistici di un certo rilievo risalenti alla prima metà del XIII secolo. Di fronte ci sono dei medaglioni recanti i simboli dei quattro evangelisti e al centro un Agnus Dei. Lungo le pareti si distinguono un'Annunciazione e il santo dei cavalieri, san Giorgio. Quest'ultimo santo era vivo nella devozione di Ruggero il Normanno tant'è che nel lato ovest della collina questi costruì una chiesa intitolata al santo, come forma di ex voto per aver strappato la bandiera dei saraceni dal colle di Paternò. Dentro questa chiesa, ora intitolata a S. Francesco d'Assisi e recentemente restaurata, sembra si conservino resti di Federico II d'Aragona. Accanto a questa chiesa fu edificato anche un ambiente signorile che era una sorta di palazzo reale per incontri di rappresentanza. Il piano terra del castello si conclude con gli ambienti più scoscesi , umidi e tristi: le prigioni. Rimangono segni , come di sangue ormai deteriorato, su alcuni frammenti basaltici quasi a ricordarci il triste ufficio di questo luogo. Due rampe di scale basaltiche ci portano al primo piano dove trova spazio un grande salone illuminato da quattro bifore, il resto è composto da tre stanze quadrate. Dal primo piano si passa al secondo attraverso una scala piuttosto angusta. Si arriva così al salone delle feste, una grande stanza illuminata da due bifore nel senso est ovest. Un'ultima scala ci porta alla terrazza da dove si può ammirare un panorama totale della pianura con l'Etna sempre fumante. La veduta del vulcano da questa posizione è unica: si apprezza la possanza del gigante di lava assieme all'eleganza della sua struttura che sembra quasi sbucare dalla terra. Suggestivo, imponente, solitario ma anche triste e melanconico, il castello ci ricorda i tempi in cui le città dovevano essere difese con le armi da predoni e nemici. I centri urbani vivevano periodi di pace con la paura di attacchi improvvisi. La collina infatti all'epoca era cinta da una struttura muraria e sette porte davano la possibilità di accesso. Ruggero D'Altavilla, il normanno, è l'autore della costruzione del fortilizio paternese. Abile condottiero, conquistò la Calabria ai Bizantini e la Sicilia agli Arabi; alla morte del fratello Roberto il Guiscardo divenne il più potente signore normanno della penisola e godette del conferimento della legazia apostolica in Sicilia nel 1099, due anni prima della morte. Come legato apostolico poteva perciò avere influenza diretta nell'elezione dei vescovi.. Egli notò l'esigenza di contrapporre all'elemento arabo ormai presente, la cultura cristiana e vedeva di buon animo il nascere di comunità religiose cattoliche per riaffermare il culto cristiano; faceva parte infatti del suo seguito anche un monaco, Goffredo Malaterra. In un mondo in cui infuriavano guerre e disordini, violenze e corruzione, i monaci dei monasteri benedettini sviluppavano un nuovo modello di società, dove al posto del concetto di sfruttamento e del privilegio subentrava la cristiana solidarietà fraterna.Il messaggio della cultura della carità cristiana, pur con difficoltà, incomprensioni e anche tradimenti, cominciava ormai a farsi strada. La struttura del castrum o turris Paternonis, ricalca opere simili della Normandia e dell'Inghilterra normanna e venne edificato nel 1072 in pietra lavica con testate d'angolo e contorni delle bifore in calcare siracusano; ciò gli confluisce una contrastante eleganza cromatica. Prima assegnataria è la figlia del conte Ruggero, Flandrina, sposa di Enrico di Lombardia. Attorno al castello e alla città sottostante la popolazione comincia a crescere inizialmente ad opera di avventurieri al seguito dei conquistatori e poi di coloni provenienti dal nord Italia attratti dai privilegi a loro offerti e anche dal clima più mite rispetto a quello più rigido del nord. Questo incrocio di tipologie umane è ancora visibile tutt'oggi dove a tipici isolani si trovano caratteristiche nordiche con tipi alti e biondi a ricordarci la loro lontana provenienza. Comincia così un susseguirsi di ricchi e potenti personaggi che , nello scorrere dei secoli, ruotano attorno al castello. La torre diventa non solo opera di difesa ma anche simbolo di potere e luogo di diplomazia e di governo. Tanti sono i proprietari o gli assegnatari del castello specie nei primi secoli: Enrico degli Aleramici nel XII secolo, Bartolomeo di Luce conte di Paternò nel 1193,poi per concessione di re Federico II di Svevia la torre pervenne a Galvano Lancia. Dopo il periodo degli Svevi comincia quello degli Aragonesi. Nel 1360 sale al trono il giovane Federico III, "il semplice"che celebrò a Paternò le nozze con Costanza figlia di Pietro IV Aragona ed abitarono il castello fino alla loro morte.Nel 1431 re Alfonso cede il castello a Nicolò Speciale in ricompensa di servigi ricevuti nel governo dell'isola e lo nominò viceré di Sicilia. In tale periodo Nicolò dispone di un ingente potere grazie all'acquisizione di svariati possedimenti oltre gli "stati" di Paternò, anche Nicosia faceva parte del territorio paternese. Nel 1456 dopo la morte di Nicolò Speciale il castello passò al figlio Pietro e successivamente al conte Guglielmo Raimondo Moncada, consigliere del re. Nel 1531 al successore Francesco Moncada Luna, viene conferito il titolo di Principe dal re Filippo I di Sicilia e la sua famiglia ebbe la signoria del castello fino agli inizi del XX secolo. La famiglia Moncada é d'origine antichissima e risale a Depisfero, figlio del duca di Baviera,che attuò il cambiamento nel nome in Montecateno, volgarmente detto Moncada. Famiglia di abili condottieri, essa ebbe contatti con la Sicilia ad opera di Guglielmo Raimondo che nel 1282 arrivò nell'isola come militare per il Re Pietro d'Aragona contro Carlo d'Angiò. Il castello normanno, durante i secoli, ebbe quindi non solo motivi bellici ma anche amministrativi e residenziali. Tra i personaggi storici che lo hanno abitato il più famoso è Federico II di Svevia che vi soggiorno nel 1221 e nel 1223. Il castello fu poi abitazione della regina Eleonora D'Aragona alla morte di Federico II D'Aragona avvenuta nel 1337. Divenne in seguito dimora della regina Bianca di Navarra che nel 1405 dall'alto del castello normanno promulgava le "Consuetudini della comunità di Paternò". Il castello infine passò alla famiglia Moncada, dinastia che governò la città per quattro secoli e che lo adibì, per periodi, a pubbliche carceri. Alcuni graffiti ne sono la triste testimonianza.Attualmente è sotto la tutela della Regione Sicilia nella speranza di trasformarlo in sede di civico museo.
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