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ISTITUTO  ARCHEOLOGICO  VALTELLINESE  

       


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STORIA  DELL' ISTITUTO

 

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REVIVISCENZA  

DELL’ISTITUTO          

ARCHEOLOGICO 

VALTELLINESE

Mario Giovanni Simonelli

Il quattro ottobre 1973 a Sondrio, presso lo
studio notarile Surace, si costituì l’Istituto

Archeologico Valtellinese.  I soci fondatori:

Davide Pace , Guiscardo Guicciardi, Elisabetta

Sertoli, Carlo Bozzi, Costantino Storti, Francesco

Pace e Pierluigi Annibaldi.  
Già nella primavera di quello stesso anno, 
il primo direttore dell’Istituto,

Davide Pace, aveva anticipato  alla stampa locale l’avvento  della

 nuova associazione culturale: 

E’ nato l’Istituto Archeologico Valtellinese. E’ nato in semplicità. In alacre semplicità intende germinare fiorire fruttificare. E’ nato dal fervore fausto per cui Teglio può comporre nell’Antiquarium Tellinum la stupenda documentazione megalitica. E’ nato dal fervore strenuo 

per cui Grosio può contemplarsi nella rivelatrice magnitudine dell’arcaico monumento petroglifico. E’ nato dall’improvviso rifulgere copioso dell’antichità valtellinese, degna di essere perseguita con matura autonoma coscienza ovunque la valle dell’Adda e le terre contigue arrisero all’avvento primigenio dell’uomo e si stimarono felici dello spirito creatore dell’uomo e si dischiusero sacre alle reliquie dell’uomo”[1].

          La fondazione dell’Istituto non si concretizzò all’improvviso, apparve, piuttosto, come frutto maturo della strategia d’amore intrapresa da Davide per ammaliare gli studiosi e gli incolti valtellinesi ai segreti ancestrali della propria terra.

        La cultura locale, negli anni sessanta, era animata da valenti e stimati studiosi. Nel benemerito Bollettino della Società Storica Valtellinese si rispecchia fedelmente la elaborazione culturale di quel prestigioso, ancorché ristretto, cenacolo[2]. Davide Pace iniziò la sua collaborazione con la Società Storica Valtellinese nel 1965, con il saggio Nuove acquisizione antiquarie nel territorio di Teglio[3]. Lo stile letterario del contributo suscitò non poche riserve nel comitato di redazione. D’altra parte i reperti illustrati erano ragguardevoli e non potevano non essere segnalati[4]. Renzo Sertoli Salis intervenne personalmente a modificare alcune parti del testo, suscitando le rimostranze dell’archeologoINIZIO PAG. monzese[5] . Ad ogni modo l’incontro fecondo con l’archeologa tellina Maria Reggiani Rajna[6], con Renzo Sertoli Salis e con altri studiosi suscitò l’effetto di un sasso lanciato in uno stagno. Così, infatti, Davide Pace descrisse, con stile inconfondibile, il suo incedere nell’avventura tellina: “Non è incongruo né forse è immodesto che io riveli la decisiva influenza che l’avvento archeologico delle stele di Valgella e delle incisioni rupestri del Doss de la Forca esercitò nel riaccendere vivis- simo quel prestigio antiquario che repentinamente nel 1941 era stato inaugurato dalle stele di Caven: benché alimentato da insigni cultori dell’archeologia petroglifica, si era come affievolito allorché nel 1965 io mi accinsi a investigare il territorio tellino. La squallida imagine divina di Valgella scosse dal sopore la squisita imagine divina di Caven. Il ricomposto letargo della ieratica terra di Teglio si ridestò  alla prima indagazione sistematica.

       Gl’intorpiditi cimeli di Caven furono sottratti all’umbratile requie   del portichetto dei Besta e immessi a vivere con i nuovi monumenti la raccolta ma fervida vita del nascente antiquarium”[7]

         I contadini, i pastori ed i semplici[8]ebbero un ruolo non secondario nell’attività pedagogica di Davide. Alcuni rinvenimenti di notevole interesse si devono proprio allo scavo archeologico nella memoria degli incolti, effettuato dall’archeologo con singolare efficacia ed intelletto d’amore.

        Per trent’anni lo studioso percorse la Valtellina a confermare rinvenimenti, ad allacciare amicizie, a vivere momenti di gioia profonda con i semplici, a sensibilizzare insegnanti e pubblici funzionari, a gustare atmosfere arcaiche con i numerosi amici e ad insegnare sul campo, responsabilmente, la non facile arte dell’osservazione e del rinvenimento

arcaico in superficie. 

L’Istituto Archeologico Valtellinese, ovvero Davide Pace, visse fecondo, attenendosi a questi semplici ma solidi principi, fino al 16 gennaio 1996, giorno della agapica metamorfosi del maestro.

        Dopo un breve periodo di comprensibile smarrimento, 

il Sac. Carlo Maria Bozzi fu acclamato secondo direttore dell’Istituto 

nell’assemblea generale convocata a Teglio nell’estate del 1998. Don Carlo si spense serenamente il 28 novembre 2001[9].

         Attualmente è stato designato quale direttore Francesco Pace. 

         A quasi trent’anni dalla fondazione, l’Istituto Archeologico Valtellinese abbisognava di un adeguamento giuridico e statutario. 

Grazie alla disponibilità ed alla liberalità del notaio Giandomenico Schiantarelli nell’ assemblea generale svoltasi a Teglio il 31 luglio 2002, ciò si è positivamente avverato.

          Riprende l’avventura della ricerca arcaica in amicizia, aperta ad 

ogni incontro e contributo. Chiunque desideri associarsi può richiederlo, senza particolari formalità, al direttore Francesco Pace (Via Tirso 9, 20052 - Monza).

           Il passato dell’Istituto è prestigioso, desideriamo proiettarci verso il futuro vivendo con intensità operosa il presente. In sintonia con la legislazione statuale in materia, con la Soprintendenza Archeologica della Lombardia, con gli Enti locali e con gli istituti di formazione e di cultura presenti sul territorio.

 

NOTE

 

[1] Corriere della Valtellina,sabato 7 aprile 1973.

 

[2] Sfogliando, ad esempio, i Bollettini n.16(1962), n.17(1963-64) e n.18(1965) i contributi scientifici pubblicati furono elaborati da Renzo Sertoli Salis, Tarcisio Salice, Giovanni Busino, Sandro Massera, G.D.Oltrona Visconti, Bice Besta, Ugo Cavallari, Olimpia Aureggi, Battista Leoni, G.BattistaGianoli, Egidio Pedrotti (presidente della SSV, deceduto il 21.07.1964), Diego Guicciardi, Giulio Vismara, Nando Cecini e Davide Pace (dal 1965).

 

[3] Bollettino della Società Storica Valtellinese,n. 18(1965), pp. 8

 

[4] Le due stele di Valgella, numerose e importanti incisioni rupestri rinvenute al Doss de la Forca e l’esame di una epigrafe romana.INIZIO PAG.

 

[5] Si offriva imminente l’annua pubblicazione del ‘Bollettino della Società Storica Valtellinese, che mi pareva la sede più congrua per la prima delle mie trattazioni telline. Mi furono concesse poche pagine. 

Predilessi estendere quanto possibile l’esegesi compartiva delle due stele che più mi affascinavano: le più enigmatiche. Non mi furono accolte che due fotografie. I giochi di spazio che opportuna- mente distinguevano le varie parti della composizione non furono rispettati  nella stampa: devo supporre che la riproduzione fedele non fosse possibile. Anche la forma stilistica, subì qualche alterazione: deplorai e deploro che in una serie coordinata di domande i punti interrogativi intermedii fossero sostituiti da virgole. Spiacevoli ombre 

nell’incipiente luce di un rapporto fecondo.”(D.Pace, Nuove acquisizioni antiquarie nel territorio di Teglio. Tellina opuscula 1, Milano 1972, p. XX)

 

[6] Fausto l’incontro con Maria Reggiani Rajna: rieccitatasi a veemente ardore antiquario, l’acquisitrice dei petroglifi di Caven favorì taluni momenti della mia indagazione pertinace, che anche poté talora divenire felice impresa comune”(D.Pace, Nuove acquisizione antiquarie,cit., p.XXI, nota 3)

 








[7] D.Pace, Nuove acquisizioni antiquarie, cit., p. XXI

 

[8] Nutra gratitudine Teglio al vecchio Giovanni Branchi, prezioso fomite antiquario cui per accendersi provvido non era mancato che il suscitatore incontro con un archeologo cui è consuetudine scavare nella sapienza degli ignari prima che nel grembo della terra. Pasceva mucche l’adolescente Giovanni allorché seduto su una scalucola stupì dell’immagine incisa, gli parve strana figurazione femminea: la vaga impressione precorse l’esegesi archeologica, l’oscura scoperta del pastorello di Valgella precedette la sfolgorante scoperta dell’archeologa di Caven” (D.Pace, Nuove acquisizioni, cit., p.4)

[9] Vds. Hannes, Nec vide
ar, dum sim. In memoria di don Carlo M. Bozzi,
Bollettino della Società Storica Valtellinese. N. 54(2001), pp.7-13.



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