La miniera di marcasite della Roccaccia


La marcasite è un solfuro di ferro, con la stessa composizione chimica della pirite. Si ossida facilmente e non è stabile agli agenti atmosferici.
La marcasite si è formata mediante azioni idrotermali a temperature più basse rispetto alla pirite.
Da questo minerale si produce acido solforico e perossido di ferro, oltre che venire impiegata nella preparazione di concime e di cemento speciale.

La Roccaccia è una località situata nel bacino metallifero dei Monti della Tolfa, nell'alta valle del torrente Marangone, all'altezza di Monte Zanfone (al km 61 della strada provinciale Braccianese).
Il nome deriva dalla presenza, sulla sommità di una collina, di un'antica torre di avvistamento medievale.
L'area della Roccaccia si trova all'interno dei grandi depositi di minerali di ferro e di galena argentifera conosciuti e sfruttati fin dall'antichità.
A testimonianza, si possono vedere le notevoli opere per lo sfruttamento di questi minerali, dai grandi scavi a fossa, dalle trincee, ma soprattutto dalle gallerie ancora oggi in parte agibili.
Nelle vicinanze del villaggio minerario di Ferraria, sono stati scoperti notevoli giacimenti di minerali ed ossidi di ferro (ematite, limonite, magnetite), di solfuri di piombo (galena) e solfuri misti (pirite, calcopirite, tetraedrite).



La zona della Roccaccia vista dal Prataccio
e i ruderi della torre medievale

L'estrazione della marcasite alla Roccaccia inizia nel 1940 ad opera della società B.P.D. - Bombrini Parodi Delfino - che all'epoca deteneva altre concessioni in tutto il Lazio per estrazione della marcasite.
La Roccaccia, insieme agli altri giacimenti minori di marcasite, localizzati al fosso delle Cariole, e Pian Ceraso, è da considerare come la maggiore industria minieraria del 1900 sui Monti della Tolfa.


La Società BPD è stata fondata nel 1912 dal senatore Giovanni Bombrini e dall'imprenditore Leopoldo Parodi Delfino in seguito alla decisione da parte del governo italiano di favorire la nascita di una rubusta industria chimica nazionale nel campo degli esplosivi. Nello stabilimento di Colleferro (a 50 Km da Roma) venivano prodotti esplosivi industriali e militari, propellenti, polveri e munizioni da caccia e da tiro.
Dal dopoguerra entra in scena Francesco Serra di Cassano. Questi, dopo aver ricostruito lo stabilimento di Colleferro distrutto dalla guerra, grazie alla sua grande capacità imprenditoriale, portò la BPD al rilancio.
Negli anni 60 la BPD inizia la sua avventura nel settore spaziale con lo sviluppo di nuovi propellenti e la realizzazione del primo motore per apogeo per satelliti. Dal 1994 la BPD Difesa e Spazio è stata acquisita dalla FiatAvio.

La miniera della Roccaccia era costituita da impianti disposti su due livelli e dal giacimento sotterraneo.
All'esterno, al livello inferiore sul fianco della collina I pozzi, erano presenti gli impianti dell'ascensore, dell'aria compressa per i martelli pneumatici, gli uffici della direzione e la cabina elettrica.
Più in alto la polveriera e in basso gli spogliatoi e la mensa per gli operai. A parte il fabbricato che proteggeva l'impianto dell'aria compressa, gli edifici erano tutti realizzati in legno.
Sempre all'esterno, ma al livello superiore, c'era il frantoio ed il silos di stoccaggio realizzati in muratura. La marcasite estratta alla Roccaccia era di natura spugnosa e per questo il suo peso specifico era di solo 2,5.
Per il fatto di contenere il 45% di zolfo, poteva essere utilizzata senza il processo di arricchimento in laveria.

Il giacimento della Roccaccia era costituito da un ammasso di dimensioni 45 x 30 x 65 metri interamente nel sottosuolo. Per raggiungerlo bisognava scendere di 115 metri mediante un pozzo principale profondo 75 metri dotato di ascensore, poi mediante un altro pozzo si scendeva per altri 40 metri.

Da qui partiva una galleria denominata diretta che dopo 60 metri raggiungeva un altro pozzo utilizzabile in caso di emergenza, dotato di sole scale in legno. I due pozzi, oltre alla galleria diretta erano collegati da un'altra galleria denominata circumvallazione che abbracciava il giacimento di marcasite per la sua circonferenza.
Lungo quest'ultima galleria, erano realizzati diversi pozzi che comunicavano con l'esterno e che permettevano il passaggio dei servizi, come quello per l'aerazione, per l'energia elettrica, per l'aria compressa e per il pompaggio delle acque. Oltre a questi servizi i pozzi venivano usati per immettere nella miniera materiale sterile.
Per l'estrazione del minerale, venivano aperte, lungo la diretta e la circumvallazione, varie gallerie interne denominate traverse. Quando una traversa si esauriva, veniva chiusa con il materiale sterile e ne veniva aperta un'altra al suo fianco o al livello superiore.

Tutte le gallerie comprese le traverse, oltre ad essere armate con travi in legno, erano dotate di binari per il transito dei carrelli; questi una volta riempiti venivano spinti fino al pozzo principale che mediante un argano e successivamente un ascensore raggiungevano l'esterno.
All'esterno del pozzo i carrelli venivano vuotati in una tramoggia che a sua volta riempiva i carrelli, di capienza maggiore, che viaggiavano sul piano inclianto in salita verso il silos al livello superiore.
I carrelli viaggiavano a movimento alterno sul piano inclinato grazie a due binari. L'estrazione della marcasite presenta grosse difficoltà a causa della facilità all'ossidazione. A tal proposito l'estrazione del minerale doveva essere continua e così l'attività nella miniera era di 24 ore su 24.
Così facendo la miniera era sempre presenziata e si prevenivano sacche di gas, incendi o allagamenti. Il minerale una volta portato all'esterno, veniva immediatamente frantumato e caricato su camion che raggiungevano lo stabilimento di Colleferro per la lavorazione.

Altra difficoltà della marcasite, è la sua capacità ad aumentare di temperatura a contatto con l'aria e produrre anidride solforosa, tale da costringere i minatori in servizio nelle gallerie all'uso dei respiratori artificiali. L'abbigliamento per resistere più a lungo, a questo tipo di atmosfera quasi corrosiva, doveva essere costituito da indumenti in lana e scarpe in gomma. La reazione della marcasite con l'aria in alcuni casi poteva formare anche idrogeno solforoso, un gas velenoso.

Nella miniera lavoravano circa cento operai, più 2 periti minerari e 3 tecnici. I turni erano di 8 ore. Questi iniziavano alle ore 6.00, alle 14.00 e alle 22.00.
La massima produzione di ebbe negli anni 1951-52 con 12.000 tonnellate di minerale.

 



La miniera venne chiusa nel 1959, non per l'esaurimento del giacimento, ma a causa dei suoi vecchi impianti ritenuti fuori norma dalla nuova legislazione per la sicurezza e la protezione sul lavoro.
Il sito della Roccaccia, nei primi anni '50 è stato impiegato come set cinematografico per alcuni film. Uno di questi è Appassionatamente con Amedeo Nazzari girato qui nel 1952, di cui possiamo ammirare qui di seguito, alcuni preziosi fotogrammi.



I resti della miniera oggi
ricognizione fotografica marzo 2001

Oggi della miniera della Roccaccia, seppur siano passati relativamente pochi anni, rimane ben poco.


Ecco quello che resta oggi del frantoio e del silos per lo stoccaggio della marcasite

Al livello superiore rimane il rudere del frantoio e del silos, più qualche struttura muraria relativa ai servizi ausiliari. Il piano inclinato è stato inghiottito dalla vegetazione e ne è difficile pure la sua individuazione, anche per il fatto che i binari sono stati asportati.


Al livello inferiore rimangono solo poche tracce delle strutture in legno dei fabbricati.
Nella foto a destra, probabilmente un pozzo secondario ostruito da grossi massi di roccia.

Al livello inferiore rimane solo la scarpata costituita da materiale sterile su cui non è ancora cresciuta nessuna vegetazione. Di tutti i fabbricati di un tempo, non rimangono che poche tracce costituite da qualche palo in legno e tavole su cui sono presenti tracce di incendio.
Il pozzo principale è stato chiuso mediante un tappo di cemento di alcuni metri posizionato alla profondità di 10 metri e poi ricoperto di terra fino alla superficie. Degli altri pozzi nessuna traccia. Ancora visibile e visitabile, malgrado una frana minaccia l'ingresso, una piccola galleria che conduce ad una camera, propabilmente utilizzata come deposito esplosivi durante i lavori minerari della Bombrini Parodi Delfino.


Il magazzino realizzato in galleria. L'ingresso è parzialmente ostruito da una frana.


La scarpata mantiene ancora il suo aspetto originale, malgrado l'assenza dei fabricati.
Il cippo alla memoria dell'operaio deceduto negli anni '50.

Unica traccia dolente è una croce alla memoria di un minatore, che negli anni '50 perse la vita dopo aver portato in salvo 3 compagni rimasti bloccati insieme a lui nelle profondità della miniera.

 
Il sito qui descritto è tutt'oggi visibile e visitabile. Per accedervi bisogna transitare tra allevamenti di animali allo stato brado. Si consiglia di contattare la segreteria del Museo di Allumiere (telefono 0766/967793) per avere ulteriori informazioni o per partecipare a visite guidate. Inoltre si consiglia di prestare la massima attenzione nel camminare fuori dai sentieri per via di probabili pozzi ancora aperti e non segnalati.
Per la raccolta di minerali e rocce sul territorio, consulta l' ordinanza n. 98 del 2000 del Comune di Allumiere.



Testo e HTML Project
   
Stefano Foschi, Luglio 2001

Bibliografia
   Sabella - Le risorse minerarie del Lazio. Roma 1954
   Berardozzi, Cola, Galimberti - Lo sfruttamento degli altri minerali e metalli. Tolfa 1998
   autori vari - I Monti della Tolfa nel medioevo tra incursioni saracene, attività metallurgiche e fondazioni di abitati. Allumiere 1999
   autori vari - Guida ai Minerali del museo Civico Archeologico Naturalistico Mineralogico di Allumiere. Allumiere 2000

  Fotografie
    Stefano Foschi, Dario Di Domenico

  Fotografie d'epoca
    Esposizione sala mineralogica del Museo Civico di Allumiere
    Sabella - Le risorse minerarie del Lazio. Roma 1954

 



 

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