Lo stabilimento dell'alluminio di Aurelia

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Lo stabilimento dell'alluminio di Aurelia, conosciuto così, ma in cui non si produceva direttamente alluminio, era un complesso industriale realizzato dalla Società Anonima Prodotti Chimici Napoli all'inizio degli anni '30, a 6 Km a nord di Civitavecchia, in corrispondenza della stazione di Aurelia della linea ferroviaria Civitavecchia - Capranica - Orte.


Lo stabilimento SPCN di Aurelia in una cartolina postale degli anni '30. Tra lo steccato la ferrovia per Orte.

Lo stabilimento si estendeva su di un'area di circa 13 ettari racchiuso in un quadrilatero recintato di metri 340 x 380, ma l'area di proprietà della SPCN si estendeva con terreni coltivi per altri 300 ettari.
Era collegato alla stazione ferroviaria mediante un proprio binario, e alla strada statale Aurelia distante meno di un chilometro. La scelta di quest'area per impiantare lo stabilimento è stata senz'altro condizionata dalla presenza delle importanti vie di comunicazioni sopra citate, ma anche perché qui si poteva disporre di una grande quantità d'acqua di qualità proveniente dai vicini impianti di filtraggio dell'acquedotto del Mignone che serviva la città Civitavecchia.
Insieme allo stabilimento, vennero edificati anche gli alloggi per il personale che vi lavorava. Un prezioso quanto insolito esempio di realtà urbana, costituirà il piccolo centro abitato di Aurelia. Questo, progettato dagli architetti Anna Paccolomini, Luigi Brunati e Mario Castaldi, si estendeva per circa 30 ettari lungo la strada che congiungueva lo stabilimento con la strada statale Aurelia.
Le tipologie abitative, che seguivano un concetto di distinzione tra le classi dei dirigenti e degli impiegati e degli operai, adottavano soluzioni architettoniche d'impronta nord-europea insieme all'uso di materiale di tradizione alto-laziale come il tufo.

Nell'abitato vi erano i servizi comuni a tutta la popolazione, come lo spaccio di vendita, la trattoria, il forno, la scuola elementare e l'asilo, l'ufficio postale e l'ambulatorio.
Tutte le abitazioni per un totale di 27 palazzine erano provviste di acqua corrente, energia elettrica, rete fognaria, servizi sanitari, doccia o bagno. L'insieme degli scarichi fognari era convogliato da una tubazione centrale in una fossa biologica per la depurazione. Una rete telefonica automatica interna collegava i vari servizi con buona parte delle palazzine e con gli uffici dello stabilimento.
La rete viaria seguiva un preciso disegno di direttrici e diagonali. Un elemento caratterizzante è la realizzazione di grandi spazi per giardini che circondavano un pò tutte le case.


Il centro abitato di Aurelia in una cartolina degli anni '30. Lo stabilimento è oltre case.

Il centro abitato, realizzato per circa l'80% di quello previsto dal progetto, era circondato in gran parte da un grosso muro di cinta: su di esso di aprivano due grandi porte che costituivano gli unici accessi.
Anche lo stabilimento disponeva di un grosso muro di cinta ed una serie di cancelli che permettevano l'accesso agli addetti ai lavori ai vari settori della fabbrica.

Per la costruzione dello stabilimento e del centro abitato furono utilizzati finanziamenti americani, e gli stessi americani fecero parte della SPCN per molti anni a seguire.

Lo stabilimento entrò in funzione nel 1932 dopo essere stato inaugurato in grande stile da Giuseppe Bottai, figura di spicco del regime fascista con la carica di Ministro delle Corporazioni: per la sua importanza a livello nazionale, già nel giugno del 1930, malgrado fosse ancora in costruzione, venne visitato dall'allora presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, Guglielmo Marconi.

All'interno dell'area verranno costruiti imponenti edifici e capannoni costruiti con struttura portante in traliccio di ferro e muri di chiusura in mattoni. Per le coperture dei tetti saranno utilizzati lastre di "eternit". I capannoni dall'altezza media di 14 metri (il più basso 6 metri, il più alto 18 metri) coprivano una superficie di circa 4000 mq.

Il sottosuolo dello stabilimento era attraversato da cunicoli ispezionabili che servivano alla distribuzione di elettricità e di acqua. Questi facevano capo ad una ancora più ampia galleria costituente la dorsale per la distribuzione dei servizi.

Grazie allo stabilimento di Aurelia, l'Italia mosse i primi passi per la produzione di alluminio, qui infatti, impiegando il nuovissimo metodo Blanc, si produceva l'allumina ossia l'ossido di alluminio, dal quale era poi facile ottenere l'alluminio, un metallo destinato ad avere un brillantissimo avvenire per la sua leggerezza.

La materia prima era la leucite. La leucite è un minerale di grande diffusione nelle rocce eruttive: è abbondantissima nelle lave del Vesuvio e nei tufi vulcanici intorno Roma. La leucite è stata studiata da G. A. Blanc negli anni dal 1925 al 1935 per ricavare sali di potassio, allumina e silice, materie prime importantissime per l'agricoltura, per la metallurgia dell'alluminio, e per l'industria vetraria rispettivamente.
Il metodo Blanc consisteva nell'attaccare la leucite con acido nitrico, ottenendo nitrato di potassio e nitrato di alluminio: arroventando quest'ultimo si otteneva l'allumina.

Seppur fosse previsto un potenziamento degli impianti, da attuare negli anni a venire, tali da arrivare alla lavorazione di un milione di tonnellate di leucite all'anno e all'occupazione di 5000 persone, lo stabilimento entrò in funzione con un ritmo di lavorazione di 20 mila tonnellate di leucite con un'occupazione di circa 500 persone tra operai ed impiegati.
Ma appena dopo pochi mesi di esercizio, la produzione venne addirittura fermata, poiché ci si rese subito conto dell'anti economicità del processo: oggi, a testimonianza di ciò, tutti i processi mondiali per la produzione di alluminio si basano su l'elettrolisi.
Il personale ridotto al minimo, era composto prevalentemente da tecnici ed operai specializzati con il compito di mantenere in efficienza l'impianto e studiare soluzioni per aumentarne il rendimento.
La soluzione venne trovata nella metà degli anni '30, quando gli impianti ripresero a produrre, in quantità imprecisata, allumina, ma impiegando come materia prima la bauxite.
L'alluminio contenuto nella bauxite, circa il 25% - 30%, viene ricavato mediante il processo Bayer.
Il minerale una volta macinato e arrostito, viene trattato a caldo e sotto pressione con idrossido di sodio al 45% formando alluminato sodico. Per filtrazione e decantazione vengono separati gli ossidi di ferro, il titanio e la silice. Con idrolisi, viene separato l'idrossido di alluminio dalla soluzione. Quest'ultimo essiccato e calcinato intorno ai 1200°C fornisce allumina pura.

La bauxite lavorata nello stabilimento SPCN di Aurelia proveniva in maggior parte dai giacimenti di monte Velino nella Marsica vicino a Bussi sul Tirino in provincia di Pescara; l'allumina qui prodotta veniva inviata nelle Marche nella zona di Ancona.

La quasi totalità delle materie prime e lavorate giungevano e partivano dallo stabilimento tramite ferrovia. Il collegamento avveniva tramite un binario che si staccava da quello di corsa della linea Civitavecchia - Capranica - Orte poco oltre la fine del fascio binari della stazione di Aurelia. Poco dopo questo punto, il binario diventava doppio: quello lato monte aveva una pendenza maggiore poichè raggiungeva la parte più alta dello stabilimento.
Successivamente una nuova divisione, faceva divenire ben quattro i binari che entravano nello stabilimento attraverso altrettanti cancelli che si aprivano lungo la recinzione nord dell'impianto.
Il servizio ferroviario era svolto da 3 piccole locomotive diesel di proprietà della SPCN condotte da personale sempre dello stabilimento.

E' questo il periodo di massima attività dello stabilimento in tutta la sua esistenza.
Basti pensare che agli operai di Aurelia e di Civitavecchia, si affiancheranno persone provenienti anche dalle città della costa fino a Ladispoli. Questi ultimi potevano usufruire di un treno appositamente istituito per loro. Infatti, il treno, una volta giunto alla stazione di Aurelia il mattino, vi sostava fino alla sera a fine turno in fabbrica, quando ripercorrendo il tragitto all'indietro riportava gli operai a casa.

Inoltre per il gran movimento ferroviario creato dalle materie prime e lavorate, nel 1936 venne elettrificato il tratto di ferrovia di 6 chilometri che dalla stazione di Aurelia arriva a Civitavecchia.

Anche questa seconda fase di attività della fabbrica durò poco, poiché a causa della nascente crisi mondiale, nei primi anni '40, lo stabilimento cessò la produzione. Durante la guerra lo stabilimento venne occupato dalle truppe tedesche e impiegato come base logistica: nei magazzini vennero stipate grandi quantità di materiali destinati alla guerra. Gli uffici della fabbrica usati come comando per le operazioni di controllo dell'Aurelia e della ferrovia per Orte.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, a differenza di altri obiettivi sensibili della zona, distrutti dai massicci bombardamenti aerei, lo stabilimento di Aurelia non venne mai interessato da nessuna azione distruttiva: gli stessi amerciani infatti avevano interessi sulla fabbrica, in quanto facenti parte ancora della SPCN.
Finita la guerra, subentrò una nuova società la Società Prodotti Chimici Nazionali, che in breve vendette buona parte dei macchinari in Argentina, dove avrebbe costruito un nuovo impianto. Lo stabilimento di Aurelia viene adattato per la lavorazione di vari prodotti chimici come il clorobenzene, il silicato di sodio, feldespato e furfurolo. Altra attività svolta era la macinazione e l'insacchettamento di fertilizzanti per l'agricoltura e di zolfo. Si tratta in ogni caso di produzioni di piccola entità: il numero delle persone occupate non supera le 300 unità. Nel 1948 la nuova SPCN vende lo stabilimento e tutti terreni circostanti all'imprenditore genovese Marzano con l'obbligo di tenere in esercizio la fabbrica.

Il nuovo proprietario, invece, vende i terreni circostanti alla fabbrica ai fratelli Parenti, e fa intendere l'imminente abbandono di ogni tipo di attività produttiva dello stabilimento.
Davanti all'evidente crisi che avrebbe portato alla morte della fabbrica, gli operai si costituiscono in cooperativa agricola per la produzione di tabacco coltivato sulle stesse aree libere intorno allo stabilimento.

Il progetto della cooperativa non ebbe successo e nel 1952, dopo un periodo di lotte sindacali ed occupazione dello stabilimento da parte degli stessi operai (fatti sgomberare con l'intervento della polizia militare) tutto l'impianto viene definitivamente abbandonato.

Negli anni a seguire, tutti i macchinari e strutture metalliche rimaste, compreso il raccordo ferroviario, furono demolite e vendute come rottami.

Negli anni 60 viene costruito un edificio a ridosso del muro di cinta interno dell'area della fabbrica: questo farà il segnale dell'inizio della cementificazione della zona di Aurelia che seguirà negli anni. Intanto, vengono riutilizzati i garages riservati ai dirigenti di allora e alcuni locali degli edifici a ridosso dell'autoparco, oltre a due magazzini.

 


La copertura delle officine

Le pompe carburante nell'autoparco

Le 8 cisterne da 10 metri di altezza prima della demolizione

Negli anni 80, per ragioni di sicurezza, vengono abbattute alcune delle tracce rimaste della fabbrica che più caratterizzavano l'area: l'enorme hangar realizzato interamente in cemento armato a copertura delle officine ferroviarie e le 8 cisterne in cemento alte circa 10 metri ciascuna.




I resti dello stabilimento oggi
ricognizione fotografica novembre 2002


La palazzina che ospitava gli uffici ed il laboratorio chimico (al piano terra), e l'ufficio del direttore dello stabilimento SPCN di Aurelia, oggi parzialmente coperta da grossi alberi facenti parte del giardino degli anni '30. Alle sue spalle si estende l'area dello stabilimento.
L'immagine qui a lato mostra uno dei tanti lastroni posti a decorazione delle pareti esterne del fabbricato: su di essa è incisa la formula chimica dei prodotti della leucite
AL2O3 K2O4 SIO2

 

Sulla parte più elevata dello stabilimento è presente la cisterna per l'acqua da 1200 metri cubi delle dimensioni esterne di 50 x 15 metri circa sulle cui pareti interne è ancora presente l'impermeabilizzazione in bitume.
Il foro di scarico è coperto dalla tavola. La cisterna ha un locale sotterraneo accessibile da una scala inghiottita dalla vegetazione e da rifiuti.
 

Sul lato nord sono presenti i due cancelli che permetteva l'accesso dei convogli ferroviari alla parte alta dello stabilimento. Uno dei tre edifici dello stabilimento ancora in piedi: questo è abbandonato, gli altri due sono oggi riutilizzati come magazzini.
 

In quest'area, situata poco sotto la quota della cisterna, raggiungibile da una scalinata in muratura, si trovano una decina di grandi basamenti circolari del diametro di 5 metri realizzati in muratura. Tra alcuni di essi sono presenti ancora porzioni di rivestimenti refrattari.

Insieme ad una uguale se non per l'altezza, questa rappresenta la struttura più curiosa: 14 cunei leggermente inclinati a formare un cilindro. I cunei sono attraversati per il lato minore da grosse aperture con arco. Intorno ad essi, dispersa sul terreno, una discreta quantità di materiale di fusione di color marrone con tracce di silicio.
 

Qui ci si trova ad un livello ancora più basso, delimitato dal precedente da un grosso muro di contenimento su cui si aprono scarichi e tubazioni. In alcuni punti del muro sono presenti tracce di infiltrazioni di colore grigio scuro.
La struttura in alto a sinistra è la base di una delle ciminiere.
Da segnalare inoltre che tutto lo stabilimento è provvisto di un interessante sistema di smaltimento delle acque piovane, con tombini, canali all'aria aperta e una serie di cunicoli sotterranei di grandi dimensioni, dove transitava la rete dei servizi elettrici ed idrici. Intorno a manufatti e strutture murarie è facile trovare pavimentazioni realizzate con mattoni in terracotta disposti a zig-zag.
 

Qui ci si trova a ridosso della palazzina degli uffici, al livello più basso di tutto lo stabilimento.
Questa è la zona dove, negli anni '80, sono state effettuate le demolizioni delle cisterne. E' presente una grossa quantità di frammentati di rivestimento in "eternit", appartenenti alle coperture di capannoni abbattuti in passato.
Dallo scarico di una delle due cisterne fuoriescono tracce di sostanze chimiche oleose di colore scuro, probabilmente causa del cattivo odore presente in questo punto.
 
A causa della grande quantità di frammenti di "eternit" e conseguentemente di amianto in esso contenuto, e del cattivo odore, questa zona non è stata visitata sistematicamente come le precedenti. Nelle ultime due foto, i caratteristici edifici degli anni '20 di Aurelia, ancora oggi abitati.


ATTENZIONE: l'area ex-SPCN, è pericolosa da visitare!
Non è mai stata effettuata una bonifica da sostanze chimiche e da amianto, le strutture murarie ancora esistenti sono in pericolo di crollo; inoltre sono presenti profondi pozzi non segnalati e nascosti da vegetazione e/o detriti.

 


   Testo e HTML
   
Stefano Foschi, Febbraio 2003

   Fotografie d'epoca
   
Angelo Cannatà, Silvio Serangeli, eredi Carlo Toti

   Fotografie
   
Stefano Foschi

   Bibliografia
    Enciclopedia UTET - Torino, 1969
    Civitavecchia, vedetta imperiale sul mare latino - Civitavecchia, 1932
    Enciclopedia illustrata dei minerali - Ediz. Accademia - Milano, 1979


 

 

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