il Rimino - Riministoria

Patologie riminesi.
Il caso della biblioteca malatestiana di San Francesco

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Sono sempre stato contrario al «principio d'autorità», ma ho sempre cercato di rispettare l'autorevolezza di certi autori. Invecchiando ho scoperto non ci si può fidare di nessuno. Che non soltanto Omero ogni tanto dormiva. E che bisogna sempre partire da una specie di «tabula rasa», cioè dal presupposto che nulla naturaliter può darsi per certo ed acquisito una volta per tutte. Ovvero che anche ai grandi studiosi scappano le boiate.
Insomma il dubbio metodologico è una sana verità da rispettare ad occhi chiusi.

Quando dieci anni fa ho curato la pubblicazione della «Storia di Rimino» di Antonio Bianchi, in una nota a proposito della famosa lapide del 1490 che ricorda la biblioteca francescana dei Malatesti (o se volete, la biblioteca malatestiana nel convento di San Francesco), mi sono fidato ad occhi chiusi della 'fonte' che riportava il testo diciamo così ufficiale della stessa lapide, e l'ho ripreso pure io, con debita citazione della fonte.
Nei mesi scorsi è avvenuto un fatto indipendente dalla mia volontà che mi ha costretto a ritornare sul testo di quella lapide.

Il fatto è questo. Un prestigioso quotidiano locale, anzi romagnolo, pubblica una lettera fintamente anonima contro di me. Sono accusato di aver inventato la «patacata» tipicamente riminese della biblioteca francescana dei Malatesti.

Parlo di «lettera fintamente anonima» per due motivi:
1. il testo inviato per mail in redazione da persona ovviamente ben nota alla stessa redazione, è stato presentato come un «libello» in circolazione a Rimini. Falso. Nulla invece era stato pubblicato, ed il redattore del giornale mi spiegava poi che appunto trattavasi soltanto di una semplice mail.
2. La mail è stata firmata con uno pseudonimo. Ma ovviamente chi l'ha inviata in redazione non può essere altro che persona nota ed accreditata.

Dunque la redazione di quel quotidiano si è resa responsabile di un doppio falso: spacciare una mail privata contro di me per un testo uscito a stampa, e firmarlo ovviamente non con il vero nome del mittente ma con uno pseudonimo.

Ciò premesso, aggiungo che per fornire una ricca messe di notizie a quel giornale onde poter dimostrare la stupidità antropologica e l’ignoranza culturale della persona che mi aveva attaccato, ho approfondito [1] l'argomento con ricerca di materiali inediti ed una rivisitazione di quelle editi.

Ecco: appunto rileggendo il testo di quella lapide che parla del trasferimento della biblioteca in oggetto dal pianto terra al primo piano del convento, per rispondere alla volontà testamentaria di Roberto Valturio (lascito della propria biblioteca personale [2]), mi sono accorto che la trascrizione fatta in anni lontani da un illustre studioso, era sbagliata. In un punto non si deve legger «sum tua cura», ma «summa tua cura», soprattutto perché quel «sum» non dice nulla nella frase e nel contesto.

Il fatto che anche di recente altri autori, ovviamente esperti in materia e illustri per titoli e pubblicazioni, abbiano riproposto la versione sbaglia del «sum tua cura», significa che il ricordato principio d'autorità domina incontrastato.

Orbene, dato che, come ho letto in un libro cesenate sulla altrettanto cesenate Malatestiana unica rimasta, essendo quella di Rimini scomparsa, uscirà prossimamente a cura di illustri studiosi riminesi una storia delle biblioteche antiche riminesi, mi auguro che la lapide riminese sia da riminesi restituita al suo vero testo, ciò che si scriva che in essa sta scritto «summa tua cura», e non si ripeta pigramente il «sum tua cura», con l'autorevolezza di chi magari cita documenti latini senza sapere un accidente della lingua latina (ho le prove).

Ma questo non è un primato riminese di tutto rispetto, assieme a tanti altri. Infatti ci sono studiosi italiani che non sanno il latino e che lo traducono, pubblicando volumi di gran pregio, testo latino a fronte e testo italiano ricavato non da quel latino ma da una traduzione francese.


[1] Forse, conoscendo chi ha organizzato la perfida azione ai miei danni, la seconda in due anni (per le connessioni della prima pende un processo), era meglio che anziché stare a studiare gli avessi dato due pugni in faccia.

[2] 1475. Testamento di Roberto Valturio che lascia la propria biblioteca alla «liberaria» (libreria) del convento dei frati di San Francesco di Rimini «ad usum studentium et aliorum fratrum et hominum civitatis Arimini», con la clausola che i frati facciano edificare «unan aliam liberariam in solario desuper actam ad dictum usum liberarie».
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Antonio Montanari


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